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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Direttore responsabile: Dario Cillo


 

IL COMPUTER NON E’ UTILE ALL’EDUCAZIONE, E’ NECESSARIO!

di Andrea Torrente

 

Premessa

Da oltre vent’anni, i responsabili dell’educazione scolastica in tutti i Paesi del mondo dotano gli istituti scolastici di strumentazione informatica, la rinnovano in maniera talvolta abbastanza regolare ed incoraggiano l’uso pedagogico di tali attrezzature. Perché lo fanno?

La domanda potrebbe sembrare un tantino ingenua. Le ragioni che giustificano queste politiche sono state ripetute tante volte, sono così numerose e così convincenti, che ritornarci ancora sembrerebbe inutile.

Tuttavia, il valore reale delle T.I.C (Tecnologie Informatiche della Comunicazione) in educazione non ha mai cessato di essere messo in dubbio, particolarmente da coloro che le conoscono meglio e che si sono sovente dichiarati delusi dal loro uso nelle scuole.

 

Ragion d’essere delle politiche in favore delle T.I.C.E

Le ragioni che giustificano le politiche pubbliche in favore delle T.I.C.E (Tecnologie Informatiche della Comunicazione Educativa) non mancano.

Ci sono delle ragioni pratiche: le T.I.C.E consentono l’accesso a delle risorse didattiche e documentaristiche inaccessibili con altri mezzi. Ci sono delle ragioni pedagogiche: queste tecnologie esercitano sui giovani un’attrazione che può opportunamente essere sfruttata per farli lavorare di più e più efficacemente, secondo delle modalità che essi accettano più volentieri. Ci sono delle ragioni di politica sociale: queste tecnologie sono strettamente legate alle finalità che una collettività si prefigge per la sua scuola. I giovani devono apprendere a lavorare con le T.I.C per preparare la loro integrazione professionale e sociale. L’equipaggiamento delle scuole costituisce anche un modo per lottare contro le ineguaglianze d’accesso e per colmare ciò che si chiama il fossato digitale.

Queste ragioni ed altre che non sto a menzionare, suscitano all’interno ed all’esterno del sistema educativo, dei dubbi, delle inquietudini, delle contestazioni parziali o totali. Se si riprendessero una ad una, si constaterebbe che nessuna delle ragioni invocate per giustificare la politica di fornitura alle scuole di attrezzature informatiche e di incoraggiamento del loro uso basterebbe da sola a convincere in maniera incontestabile.

Le ragioni pratiche possono essere rifiutate grazie all’analisi dei costi: costo finanziario ma anche costo in termini di tempo poiché gli utilizzatori dell’informatica sono regolarmente messi di fronte alle difficoltà tecniche che, sovente, turbano lo svolgimento dell’insegnamento.

Le ragioni pedagogiche non sono sostenute da alcuna prova inconfutabile addotta dalla ricerca e che può stabilire l’efficacia delle T.I.C.E. Quanto alle ragioni politiche, è facile opporre altre ragioni politiche, non essendo la questione delle T.I.C.E altro che uno degli aspetti del dibattito fondamentale sui compiti dell’istituzione scolastica. Malgrado ciò, le politiche riguardanti le T.I.C.E nel mondo colpiscono per la loro permanenza, per la loro estensione e per la loro ambizione.

 

Alla ricerca delle ragioni nascoste

Incominciamo con lo scartare alcune delle ipotesi spesso evocate. Se nessuna delle ragioni avanzate é convincente da sola, si potrebbe pensare che fosse la somma, l’accumulo, di un gran numero di ragioni, tutte imperfette, che finisce per portare la decisione. Ma questo ragionamento può egualmente essere applicato nell’altro senso: l’accumulo di critiche dovrebbe, almeno in alcuni casi, condurre alla rimessa in discussione delle politiche riguardanti le T.I.C.E. Ora, ciò non accade mai.

Una seconda ipotesi, più seria, è quella della ragione nascosta: le vere ragioni di queste politiche sono taciute, poiché esse sono inconfessabili pubblicamente. Si possono citarne due esempi:

a)      Si conoscono le pressioni che esercitano le lobbies industriali sui decisori politici per incoraggiarli a favorire un mercato largo che tocca una parte della popolazione particolarmente interessante per i loro scopi: i giovani e le famiglie. E’ difficile contestare, da una parte la realtà di queste pressioni e l’effetto reale che esse producono sui responsabili politici preoccupati dell’istruzione quanto dello sviluppo economico del territorio, dall’altra che gli obiettivi degli industriali non coincidono esattamente con quelli dell’educazione. Una tale ragione, sospetta agli occhi degli educatori, non può essere rivendicata apertamente.

b)      Il secondo esempio di ragione nascosta potrebbe provenire dall’atteggiamento dei responsabili politici. In questo campo come in altri, essi si accontentano di riprodurre ciò che altri hanno fatto prima di loro: io favorisco l’informatizzazione delle scuole del mio bacino elettorale perché tutti gli altri lo fanno. Quando il gregge è lanciato, è più semplice seguirlo che separarsene. Nel primo caso non è necessaria alcuna spiegazione. Nel secondo caso, colui che prende la decisione di rompere deve giustificarla rifiutando tutte le ragioni che avevano convinto gli altri componenti del gregge di seguirla. Occorre convinzione, coraggio o anche ingenuità; come quella di cui dà prova il bambino del racconto di Andersen esclamando “Il Re è nudo”.

Nessuna di queste due ragioni nascoste è capace di spiegare da sola la generalizzazione delle politiche di informatizzazione degli istituti scolastici. Tutti i responsabili politici del pianeta non potrebbero cedere in una maniera così durevole alle pressioni dell’industria, contro qualsiasi logica educativa. L’argomento dell’imitazione può, anch’esso, essere ribaltato: che una sola regione o una sola città prenda la strada contraria a quella degli altri, essa sarebbe immediatamente sostenuta dall’esercito degli scettici di qualsiasi appartenenza politica essi siano. Essa farebbe nascere una dissidenza, nutrita dalla stessa imitazione che si invoca oggi per spiegare l’unanimità delle politiche.

No, bisogna cercare altrove, proporre un’altra spiegazione, una ragione sufficientemente forte per giustificare da sola la presenza dei computer nelle scuole. Io credo che questa ragione determinante esista. Come la lettera rubata di A. Edgard Poe, tanto più difficile da trovarsi quanto più essa è collocata bene in evidenza sopra ad un caminetto, questa ragione non è nascosta, è semplicemente difficile da formulare e, proprio per questo motivo, essa è raramente espressa. Per portarla alla luce e farla conoscere, bisogna rinunciare all’analisi dei discorsi, dei commentari e della glossa che accompagnano in permanenza l’informatizzazione delle scuole per volgersi verso la realtà degli usi. Quale che sia la maniera con la quale si giudicano, ed anche quale che sia la loro ampiezza reale, gli usi sono i soli a poter dire l’essenziale: a cosa servono le T.I.C, in che cosa esse sono divenute più che utili, necessarie all’educazione.  

 

Prima ragione

In tutti i Paesi europei i primi passi nel campo delle T.I.C.E non possono ancorarsi su alcuna esperienza di utilizzazione. La sola ragione che può essere invocata per giustificare tale uso non può essere che una ragione essenziale che si riferisce soltanto all’oggetto ed all’ambiente nel quale si intende introdurla: l’informatica è una tecnica la cui presenza a scuola è giustificata da ragioni di cultura. In effetti, lentamente ma inesorabilmente, l’informatica invaderà il mondo. Ma questo successo non può spiegare il successo dell’informatica a scuola.

Ad ogni modo, l’informatica non è la sola tecnica che ha riscosso un successo planetario. Basti pensare al successo della televisione come strumento di svago ma anche di diffusione del sapere, la quale nella scuola, occupa un posto di rilievo nella didattica delle lingue moderne.

 

Seconda ragione

Agli albori dell’uso dell’informatica nelle scuole, si riteneva che ogni docente dovesse conoscere e saper utilizzare i linguaggi di programmazione (Basic, Cobol, ecc.) per poter creare le lezioni e le attività da proporre agli alunni. Ma con il passare del tempo e con la creazione di sistemi operativi che consentivano l’utilizzazione di programmi didattici sempre più complessi ma flessibili e portatori di attività sempre più mirate alla valutazione dei progressi disciplinari di ciascun alunno, le T.I.C.E sono entrate a pieno titolo nelle attività di docenti ed alunni.

A partire da questo big bang, l’informatica scolastica ha prodotto e continua a produrre delle opere multimediali la cui quantità e varietà non cessano di aumentare: giochi, programmi didattici, testi musicali, testi letterari e scientifici, fogli di calcolo, immagini, video, film, disegni animati, siti web, dimostrazioni matematiche, ecc. Questa attività di produzione ha sempre accompagnato lo sviluppo dell’uso delle T.I.C.E, ma lo sviluppo di Internet ha conferito a queste tecnologie una dimensione planetaria, poiché le opere dell’intelligenza umana sono fatte per poter circolare a vantaggio di tutti.

Ancora oggi ci si interroga sull’utilità di questa profusione di informazioni e, particolarmente, sulla sua efficacia pedagogica. Che cosa imparano gli alunni producendo degli oggetti digitali? L’attività di produzione può apportare dei benefici pedagogici all’uso dell’informatica?

Iniziamo dalla seconda domanda. Fin dall’inizio i programmatori si sono sforzati di sviluppare dei programmi a vocazione pedagogica, dei programmi che potessero essere una risposta efficace al problema dell’apprendimento individuale, così difficile da trattare nel contesto dell’insegnamento frontale. L’interattività, qualità caratterizzante il computer, doveva consentire all’alunno di lavorare secondo il proprio ritmo di apprendimento, di acquisire e di consolidare delle conoscenze e delle competenze attraverso la pratica di esercizi personalizzati, di programmi capaci di porre delle domande, di evidenziare gli errori, di correggerli e di proporre dei percorsi adatti alle performance dell’alunno medesimo.

Altro vantaggio: l’uso di tali programmi didattici richiede poche competenze tecniche, essi sono direttamente utili per l’apprendimento scolastico e possono essere proposti a tutti gli alunni, in particolare ai più giovani. Di conseguenza, sono stati creati e diffusi centinaia di programmi didattici, sia da parte di insegnanti competenti nel campo della programmazione, sia da parte di editori e di società di informatica.

Con l’arrivo di Internet, il ventaglio di queste attività di produzione si è considerevolmente allargato. Le discipline quali la storia, la geografia e le scienze della natura, nelle quali la ricerca ed il trattamento documentaristico sono importantissimi, sono state le prime ad interessare la Rete. Il PC si rivela, così, particolarmente adatto alle attività pluridisciplinari, all’esplorazione delle risorse autentiche disponibili sul Web, alla redazione ed all’impaginazione di dossier, alla diffusione locale sotto forma di presentazione multimediale, alla pubblicazione in linea. La quantità di oggetti digitali che sono stati così prodotti e circolano nel corso di un anno scolastico fra i componenti le comunità educative, è divenuta gigantesca, sfidando qualsiasi tentativo di inventario.

Sul piano della teoria pedagogica, gli usi fondati sull’individualizzazione, la produzione e la comunicazione beneficiano del sostegno di una forte corrente di pensiero, quella della pedagogia attiva.

Ma, a dispetto di questi molteplici segni positivi, un dubbio continua a sussistere relativamente alla realtà ed al valore pedagogico dell’uso dell’informatica a scuola.

Questo dubbio è alimentato dalla successione di promesse fatte da alcuni promotori delle T.I.C.E che non sono state tutte mantenute. Tuttavia, per essere legittimo questo dubbio dovrebbe essere fondato non soltanto sull’analisi dei discorsi di accompagnamento o di previsione, ma su degli studi degli usi, sulla realtà delle pratiche didattiche e su delle valutazioni il più possibile obiettive.

Sfortunatamente, gli studi esistenti non sono sufficienti per numero e per qualità, i loro risultati sono contraddittori e l’evoluzione rapidissima degli usi li condanna ad un’altrettanta rapida obsolescenza.

Sarebbe molto meglio, allora, prendere in considerazione la moltitudine di segni positivi che circolano sulla rete, dei quali è possibile verificare la reale utilità attraverso visite sul campo, colloqui con gli insegnanti, gli alunni ed i Capi d’Istituto. Questi segni non sono che degli indici, ma essi hanno il vantaggio di essere coerenti con la storia degli usi e con la ragion d’essere del PC nella scuola.

 

Conclusione

La cultura umanistica classica tenta, da parecchi secoli, di mantenere quella tecnica nel posto in cui è riconosciuta la sua funzione utilitaristica. “Il computer non è che uno strumento” si ricorda spesso a coloro i quali hanno tendenza a dimenticarlo. Una macchina può essere accettata a scuola a condizione che si dimostri utile, che sia uno strumento e nulla più, esattamente come una vanga per il giardiniere. Ma a quale altro status, superiore a quello di semplice strumento, il computer potrebbe aspirare? Per rispondere, bisogna risalire alle origini. Era pressoché impossibile negli anni ’70 prevedere una grande utilità del computer nelle attività didattiche che giustificasse la sua introduzione nella scuola. Di primo acchito, la presenza del computer è stata fondata su di un imperativo culturale. Il posto dello strumento informatico nella cultura è tale che l’educazione, quest’ingresso nella cultura secondo la bella formula di J. Bruner, non può ottenersi senza l’apprendimento e l’uso di queste macchine. In vent’anni, è stata data la dimostrazione di quanto l’uso di queste macchine è stato importante ed utile in educazione.  

 


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