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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Learning Objects:  Learning Opportunities?
Problemi e prospettive giuridiche

di Eliana Flores

 

1 - P r e m e s s a

 

E’ proprio il web ad aver offerto ai docenti, in maniera molto semplice ed a costi irrilevanti, la possibilità di accelerare in modo iperbolico la mobilità delle esperienze e dei materiali didattici: grazie soprattutto al servizio offerto dai portali “educational”, intesi anche come nuovi luoghi della formazione, oggi hanno un ventaglio di opportunità in più rispetto ai loro colleghi di qualche anno fa, sia in veste di fruitori che di autori di quell’enorme potenziale di produzioni che va ad arricchire l’istruzione formale, elicitando un capitale di conoscenze tacite per troppo tempo rimasto sommerso.

Ma questa fluidità dello scambio grazie alle tecnologie, che hanno permesso il passaggio dall’atomo al bit, non comporta sempre una semplificazione nella circolazione di prodotti per la didattica, bensì individua delle criticità, sotto l’aspetto dell’accessibilità, della sicurezza, della privacy e del diritto d’autore. In questa sede sarà trattato l’ultimo punto.

La tecnologia ha messo in crisi una certa tradizionalità: l’editoria come eravamo abituati a conoscerla, l’andamento di processi e relazioni, lo status dei lavoratori, il sistema della proprietà della conoscenza, i confini della politica (economica), il perimetro dei diritti universali. Anche su quest’ultimo punto c’è un movimento vivacissimo che viene da più parti http://www.annozero.org/nuovo/pages.php?page=politiche+copy

http://www.anomolo.com/x-mas/

http://www.osservatoriotecnologico.it/software/opensource.htm

http://www.ilsecolodellarete.it/html/index.php

http://randomfoo.net/oscon/2002/lessig/#mirrors

http://italy.indymedia.org/archives/archive_display_by_date.php?category_id=19

http://www.godon.org/

http://www.zeusnews.it/index.php3?ar=sezioni&numero=999.

www.rekombinant.org

www.decoder.it

http://www.itu.int/wsis/docs/geneva/official/dop.html

I docenti da sempre hanno conferito valore aggiunto al proprio servizio attraverso appunti, schemi alternativi a quelli reperibili sui testi scolastici, case studies, implementazione di vere e proprie dispense, magari subito riadattate a questa o quella classe o gruppo classe, frammenti di giornali; a ben pensarci una buona lezione di un buon docente è sempre stata interattiva, multimediale, ipertestuale, in una parola, creativa. Ricordo che la mia maestra delle elementari (e parliamo degli anni 70) imbastì una ricca corrispondenza epistolare con una scuola elementare lombarda, ed era un via vai di lettere attraverso cui noi allievi di Avellino comunicavamo con loro, e le insegnanti scambiavano piccoli percorsi didattici di storia ed attualità, che venivano poi discussi nelle rispettive classi. A volte arrivavano delle fotocopie, delle fotografie sull’inquinamento di quel tale fiume…peccato che non ricordi null’altro. La legge italiana sul diritto d’autore (n. 633 del 22 aprile 1941, più volte novellata ed ancora vigente), riflettendo, era al tempo già ius positum, ma meno male che la mia maestra (ed anche l’altra) lo ignoravano - anche perché la soglia di attenzione in materia era quasi pari allo zero nelle scuole - altrimenti ci saremmo tutti privati dell’ebbrezza donataci da questa connessione anche grazie al servizio postale, unico provider (?) dell’epoca. Un’altra esperienza “inedita”,  fu quella di un mensile scritto in collaborazione ove partecipai per due o tre anni, la cui redazione era ad Alba, in provincia di Cuneo; non ho mai conosciuto il direttore o qualcuno della redazione, nessuno ancora diciottenne, ma non so come, entrai in questo circolo di piccoli scrivani (fine anni 70), cui era data la possibilità di inviare sempre via posta i propri contributi (poesie, cronaca locale, barzellette, etc…), che venivano quindi riscritti a macchina; le fotocopie venivano spillate ed il giornale al costo di produzione più o meno, veniva, spedito agli abbonati ed ai “corrispondenti”. A voler essere pignoli, qualche barzelletta non proprio inedita (quindi copiata!!) ricordo di averla letta, ed anche qualche ricetta di cucina. All right reserved?!?

Questo preambolo perché? Cavalcando l’onda anomala del diritto di internet (tutela del software, documento elettronico, contratti elettronici, privacy, reati informatici, firma digitale, meta-tag…..), ed alla ricerca di un regime giuridico per i Learning Object, sembra che si sia un po’ dissolta quella partecipazione collettiva emotivo\formativa che colorava un qualunque giorno di scuola, che non verrà mai ricordato come un giorno qualunque. Sembra che si sia spostato l’asse dell’attenzione da un paradigma ad un altro, dalla creatività ed il confronto di tutti i soggetti e dei loro stati d’animo, alla messa a magazzino di casse di saperi pronte per la spedizione. Cos’è cambiato rispetto a quegli anni? Che quell’attività di progettazione era un’attività di nicchia, in una piazza senza mercato. Oggi che si arrivano a vendere in maniera scelerata liste di discussione intere ovvero si spacchettano e reincartano, lo scenario si percepisce essere completamente diverso. Finito (quasi) il petrolio, la conoscenza è il nuovo business. Parallelamente si assiste ad un paradosso: da un lato le competenze del “vecchio” docente sono state segmentate e diffuse su più attori del processo didattico, dall’altro sovente è proprio il docente, il formatore, il tutor e così via, che assomma una serie di mansioni, soprattutto quando decide di produrre un learning objet, atteggiandosi a grafico, tipografo, commentatore, sceneggiatore, tecnologo, autore…E quando i L.O. vengono generati mediante la convergenza di più professionalità e tecnologie, il quadro dal punto di vista giuridico diviene ancor più composito. Teniamo presente, infine, che il docente della società della conoscenza e della comunicazione è un telelavoratore, anche se nel CCNL e nel CCNI della scuola sembra che le conseguenti implicazioni sullo status giuridico siano trattate solo marginalmente, e nella pratica ancor meno. Non voglio neanche accennare agli effetti normativi cui è sottoposto chi operando con l’e-learning tratta dati personali sensibili! Questa mutazione funzionale non credo sia percepita nella sua esatta portata e gestita sempre consapevolmente; sollevo un interrogativo esemplificativo: la libertà di insegnamento, costituzionalmente tutelata come libertà metodologica, quale e quanta composizione ha trovato negli atti collegiali a contenuto didattico e non meramente amministrativo? Quanto le piattaforme di proprietà fortemente strutturate violano la libertà metodologica ex art. 33 della Costituzione? Che un’altra bomba stia per scoppiare si avverte già dal decreto legislativo 165\2001 e dal Contratto Collettivo Nazionale Quadro del 23 gennaio 2001 nonché dal CCNL del comparto Scuola del 18 ottobre 2001, i quali hanno previsto una serie di procedure deflattive del contenzioso mediante l’istituzione di veri e propri uffici legali negli istituti scolastici, c.s.a. e direzioni regionali, oltre che procedure sperimentali di arbitrato e conciliazione. In altre parole, il docente oggi non può evitare ulteriormente il confronto con il complesso impianto giuridico, barricandosi dietro modelli tramontati e tautologie. Anzi è proprio su questo terreno che il docente può (e deve) partecipare ad un processo di normazione dal basso, onde evitare che disponga sulla scuola chi di scuola non si è mai interessato. Si adatta bene a questo contesto quanto detto nel 1997 nel Libro verde sulla comunicazione, che a prima vista può sembrare porgere lo sguardo esclusivamente alle nuove tecnologie, in realtà, coniando un nuovo significato al termine “convergenza” anticipa ciò che è e sarà la peculiarità di questa terza era: il miracolo non saranno le nuove tecnologie e nuove forme di comunicazioni, bensì gli effetti che queste, nella convergenza con i servizi commerciali, industriali, artigianali procureranno. La gestione, anche normativa della convergenza è e sarà problema complesso che ogni figura professionale (incluso chi si occupa di formazione) dovrà trovarsi prima o poi a dover gestire. L’incremento di diversificazione dell’offerta procurerà alleanze anomale, che in un secondo tempo potranno chiudere segmenti di mercato e magari creare nuove povertà. In pratica la convergenza delle vie di comunicare mina la diversificazione dell’industria, dei servizi, del consumo e dei mercati. Come viene sottolineato “la normativa non è un fine; è semplicemente uno strumento per conseguire più ampi obiettivi sociali, economici e di politica generale”: quel che occorre quindi è che la convergenza tecnologica che trascina la convergenza dei mercati, ed ormai anche la conoscenza vi rientra, costringa ad operare una convergenza normativa. La mancanza di un “territorio” poi, per chi lavora con l’e-learning, e la natura regionale dei servizi diffusi via web fanno sorgere prepotente la necessità di una soluzione legislativa globale per problemi particolari, la necessità di definizioni comuni.

 

2 – il diritto dei Learning Objects

struttura oggettiva - struttura soggettiva

 

Detto questo, si può cercare un tracciato su cui iniziare a riflettere quando ci si trovi al cospetto di Learning Objects (oggetti didattici?!?)?.

Il concetto di Learning Object subisce una mole di slittamenti semantici, pur non avendo un nucleo concettuale ben definito nella dottrina specifica. Ha la propria fonte in un connubio semantico proprio della ricerca didattica (impegnata nella granularizzazione e strutturalizzazione della conoscenza esplicita, che trascina con sé la logica dell’apprendimento modulare tracciabile), e della logica formale della programmazione ad oggetti.

Questa espressione lessicale è un po’ fuorviante, in quanto l’”object” ci dà immediatamente l’idea del possesso, della rigidità e della freddezza, della catena di montaggio di epoca fordista, di frontiere per l’import-export; è un termine che pone tutta l’enfasi sulla “cosa” escludendo niente meno che le persone! E’ una definizione che soddisferà gli informatici ed i giuristi, come dirò di qui a poco, ma non i docenti, gli autori ed i progettisti della formazione.

Era un L.O. il modulo sull’inquinamento che la mia maestra con la sua collega assemblava con le fotografie che ci arrivavano dalla Lombardia, il suo commento, i ritagli di giornale? Non posso permettermi di etichettarlo così perchè (purtroppo) non era riutilizzabile - no R.L.O. (Reusable Learning Objects)- e non era digitale, non apparteneva allo standard SCORM. Senz’altro era una sceneggiatura formativa posta in essere con strepitosa partecipazione dagli allievi e dalle maestre, che ben potevano essere definite Learning Scripter Writers.

Ma procediamo con ordine, esaminando assolutamente in maniera non esaustiva le varie facce del poliedro Learning Object, ognuna delle quali risucchia una schiera di norme, nate in altri contesti e per altre fattispecie, ma che comunque possono adattarsi, tenendo sempre presente che il dibattito ed il confronto generano di giorno in giorno nuovi interrogativi e nuovi adeguamenti e rielaborazioni.

Il L.O. per sua natura ha (dovrebbe avere) innanzitutto un’anima fortemente informativo-formativo-comunicazionale.

Vi è poi l’aspetto tecnologico, che deve essere assolutamente trasparente per l’autore dei contenuti e l’utilizzatore; ed infine la prospettiva giuridica, questa davvero blindata, ma oggetto soprattutto dagli anni 2000 di forti spinte ad opera di movimenti culturali che propongono delle inversioni di tendenza.

Un Learning Object si può analizzare sotto l’aspetto oggettivo (la sua strutturazione interna) e quello soggettivo (i suoi autori).

1 – ASPETTO OGGETTIVO: la peculiarità del L.O. è che può essere un’opera editoriale multimediale, un audiovisivo, un software, un e-book e persino una banca dati, però, in quest’ultimo caso solo se vi sia una scelta ed organizzazione del materiale che generi un “quid novi” rispetto alla semplice operazione di riunione di precedenti opere dell’ingegno. Può avere quindi architettura variabile: essere autoconsistente ovvero far parte di una catena di segmenti formativi; essere costruito per standard operabili su più piattaforme di erogazione; essere assemblato intorno ad un solo obiettivo formativo o spingersi fino a ricomprendere un intero coursewere.

Per il diritto l’editoria on ed off line gode nel nostro stato della stessa tutela di quella su supporto cartaceo, a patto che i files siano intelleggibili ed originali. Ci troviamo al cospetto di opere letterarie a tutti gli effetti anche quando sono costituite da file di bit. Cosa è oggetto di tutela in un prodotto editoriale multimediale che gira in internet? In primo luogo i contenuti, la redazione (se risulta creativa, come lo è la flow chart), e la conversione in formato digitale se si tratta di elaborazione e non di mera trasposizione.

Dal punto di vista giuridico il Learning Object è un bene informatico; i beni informatici hanno la peculiarità di essere beni materiali ed immateriali allo stesso tempo: materiali perché, essendo costituiti da bit, hanno una “fisicità”; immateriali in quanto non sono consumabili, e possono essere messi a disposizione di un numero illimitato di persone senza la perdita di consistenza giuridica del relativo diritto di godimento. Per il diritto, i beni informatici ricadono senz’altro anche sotto la disciplina del terzo libro del Codice Civile che disciplina la proprietà.

Essendo il L.O. senz’altro un insieme di dati registrati mobili, e quindi un bene informatico in senso tecnico giuridico, un bene che non si identifica con il supporto materiale, ma che è comunque materializzato, come tutti i beni potrà essere sottratto, danneggiato, venduto, indipendentemente dal supporto che lo contiene, in quanto, a differenza di quanto si verifica con le opere non costituite da serie di bit, ove è impossibile scindere , ad esempio, un disegno dal foglio su cui è impresso, può essere scomposto, trasportato e duplicato senza ricevere alcun tipo di danno. Ed il tutto con una facilità disarmante ed anche a costo zero! Un L.O. è un bene informatico come lo è un software, una banca dati, un prodotto editoriale, quindi gode delle stesse tutele.

Per esemplificare ancora di più, quanto detto fin qui si applica sia all’enciclopedia in trenta volumi che all’ipertesto didattico sul ciclo dell’acqua, e perché no….anche ai blog.

2 – ASPETTO SOGGETTIVO: analizzando la struttura soggettiva i L.O. possono, in quanto opere editoriali, essere ricompresi sotto l’etichetta di opera complessa o in comunione– creata con il contributo indistinguibile e inscindibile di più persone -ex art. 10 l.d.a. (legge sul diritto d’autore, n. 633\1941) ovvero di opera collettiva, ossia quelle opere dell’ingegno risultanti “dalla riunione di opere o di parti di opere che hanno carattere di creazione autonoma, come risultato della scelta e del coordinamento ad un determinato fine”, ex art. 3 l.d.a.; di opera derivata, cioè le c.d. elaborazioni creative di altre opere, ex art. 4 l.d.a.; di banca dati (disciplinata dalla l. 6.5.1999 che recepiva la direttiva 96\9\CE). Le banche dati ricevono tutela quando raccolgono opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente accessibili anche mediante mezzi elettronici, ma questa tutela non si estende mai al loro contenuto, lasciando a sua volta inalterata la tutela su quest’ultimo.Vi deve quindi essere creatività con riferimento alla scelta e\o alla disposizione delle opere, dati ovvero altri elementi oggetto della banca dati. E’ un diritto particolare quello che viene attribuito al costitutore della banca dati: costui può estrarre e reimpiegare gli elementi per quindici anni e non sono previsti diritti morali.

Nella maggior parte dei casi un L.O. dal punto di vista giuridico, quando non è riconducibile ad una sola persona fisica, è un’opera collettiva, che, come rilevato prima, risulta dalla riunione di opere o parti di opere che hanno il carattere di creazione autonoma; i singoli frammenti dei rispettivi autori hanno una loro autonomia e rimangono distinte ed autonome. La legge sul diritto d’autore dispone all’art. 38 che :”Nell’opera collettiva, salvo patto contrario, il diritto di utilizzazione economica spetta all’editore dell’opera stessa”, senza pregiudizio del diritto d’autore e con la riserva ai singoli collaboratori dell’opera collettiva di utilizzare la propria opera separatamente.

Vi è da precisare che le immagini e le fotografie ricevono una disciplina particolareggiata dalla l.d.a.

I L.O. ricadono quindi sotto la disciplina del diritto d’autore, che si atteggi come e-book, altra opera editoriale, che sia anche un software; anzi se la combinazione e gestione simultanea di frazioni di opere veicolate da media differenti avviene grazie ad un programma per elaboratore, vi sarà una duplice tutela applicabile simultaneamente ad un unico bene che incorpora più regimi giuridici.

Allo stato attuale vi sono due tendenze opposte nello scenario mondiale:

-         la prima che, prendendo spunto dal principio in base al quale colui che produce un’opera creativa ha un “diritto innato”, solo riconosciuto dalla norma,  tende a gestire in modo sempre più restrittivo i contenuti digitali con una serie di strumenti che vanno dal copyright, licences agreement, norme anti-elusione, disciplinati da un ricco pacchetto di norme : nell’UE si parte dalla Convenzione di Berna del 9 settembre 1886 per finire ad una schiera di direttive emanate dal 1991 ad oggi, incluso la PR Enforcement ancora in via di approvazione definitiva; negli USA il DMCA, fino ai trattati internazionali WIPO; vi sono inoltre una serie di atti e patti internazionali che tendono verso una tutela marcata del diritto d’autore, come la Convenzione universale per il diritto d’autore firmata a Ginevra il 6 settembre 1952, la Convenzione istitutiva dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà intellettuale di Stoccolma, gli accordi GATT\TRIPS del 1994, tutti recepiti dall’Italia e resi esecutivi con proprie leggi ordinarie;

-         la seconda che viceversa, rifacendosi alla circostanza secondo cui nessuno crea alcunché perché comunque nella produzione di un’opera si attinge comunque da fonti terze, favorisce gli accordi tra producers, distributors, consumers attraverso sistemi di compensazione (come i prelievi, previsti in Italia dalla decreto legislativo n. 68 del 9 aprile 2003, emanato in attuazione della dir. 2001\29\CE) e  le creative commons.

Quindi, soprattutto dall’inizio degli anni 90 vi è stata abbondanza di legislazione internazionale di forte impronta protezionistica, che ha consentito sempre meno l’apertura dei saperi a livello nazionale perché gli Stati nazionali si sono dovuti adeguare, ed infine vi è da sottolineare che, proprio per la vocazione transnazionale dei contenuti digitali, dal punto di vista giuridico si pone il problema della coesistenza di varia legislazione concorrente.

E’ chiaro che su di un’opera multimediale potendo coesistere testi scritti, immagini, musiche, e quant’altro, coesistono diverse disposizioni legislative concorrenti. Solitamente l’autore di un’opera multimediale dovrebbe essere autorizzato all’utilizzo delle opere dei suoi co-autori e viceversa. Si capisce che il discorso non è semplice, anche perché quando il multimedia non incorpora software, non funziona se non con un software, che a sua volta richiama un altro rivolo normativo. Per quanto attiene ad i software, possiamo rappresentarli  con una piramide, ove alla base riscontriamo i sw proprietari, seguiti dai programmi c.d. oper source, (es. Linux) che si giovano dell’apporto di qualsivoglia soggetto e pertanto possono essere validamente considerati un’opera collettiva, che comunque gode di sua tutela (art. 10 l.d.a.); poi vi è il freeware, tipo di programma molto diffuso sul web che può essere duplicato gratuitamente, ma la manipolazione del codice sorgente ad esso relativo concretizza violazione  del diritto derivante dalla proprietà intellettuale. Lo shareware, a tempo o a “porzione” consente libero accesso solo nella parte de quo. Al vertice della piramide troviamo i programmi c.d. di pubblico dominio (no copyright) che non hanno barriere normative.

La violazione dei diritti patrimoniali e dei diritti morali comporta solitamente un risarcimento del danno.

I diritti patrimoniali sono trasmissibili e prescrivibili: sono il diritto di pubblicazione (art. 12 l.d.a.) di comunicazione al pubblico (artt. 16 e 16 bis l.d.a.), di riproduzione (art. 13 l.d.a.), rappresentazione, recitazione ed esecuzione in pubblico ( art. 15 l.d.a.), distribuzione  (art. 17 l.d.a.), traduzione, elaborazione, pubblicazione di opere in raccolta (art. 18 l.d.a.) noleggio e prestito (art. 18 bis l.d.a.).

Una volta scaduti, l’opera cade in pubblico dominio e, fermo restando il rispetto dei diritti morali, può essere utilizzata da chiunque. Un’opera diviene di pubblico dominio, oltre che per il decorso di 70 anni dalla morte dell’autore, quando lo stesso ha espressamente rinunciato ai propri diritti, quando ci troviamo di fronte ad opere straniere non protette in Italia e quando abbiamo atti ufficiali dello Stato o di altre Pubbliche Amministrazioni

I diritti morali sono il diritto di paternità, integrità e il diritto di opporsi ad ogni uso dell’opera che possa arrecare pregiudizio al suo onore o reputazione. Sono assolutamente inalienabili ed imprescrittibili.

Questo quadro, anche se reso essenziale, non nasconde una complessità peraltro sempre mutevole. I docenti hanno sempre arricchito l’offerta formativa con apporti personali e, fatta eccezione per chi scrive di professione, non si sono mai posti più di tanto il problema della compatibilità con questo scenario di norme; peraltro vi possono essere autori che non si sentono lesi se un loro racconto venga pubblicato sul web, o se una comunità virtuale condivida moduli didattici dell’insegnante Tizio da ridattare a specifici contesti. E’ un “passaggio a nord-ovest”: dal protezionismo standardizzato alla condivisione che stimola la creatività; l’opera non ha più rilevanza quale bene, oggetto, prodotto di proprietà di qualcuno, ma il nuovo valore è l’accesso al file o ad una sua frazione. L’esigenza venuta fuori negli Stati Uniti partiva dall’assunto che i creatori di opere avevano tutto il diritto di stabilire le condizioni in base alle quali conferire ad altri la possibilità di copiare, modificare e diffondere il loro lavoro sulla rete. Proprio lì, poi, la normativa sul diritto d’autore ha un’anima prettamente commerciale che si spinge fino a togliere all’autore dell’opera la gestione della sua fruizione.

 

3 – creative commons public licence (CCPL)

http://creativecommons.org/licenses/by/2.0/legalcode

 

Fino a qualche mese fa, con il lancio l’otto dicembre 2004 delle licenze italiane Creative Commons, sia chi volesse mettere a disposizione della collettività in tutto o in parte il proprio lavoro, sia chi volesse fruirne, era fortemente limitato, tanto nel momento dell’editing che in quello della divulgazione; le opere dell’ingegno ricevevano e ricevono nel nostro ordinamento giuridico una tutela ermetica che pericolosamente si sta allineando alla legislazione americana.

Il primo punto da cui partire nell’analizzare queste licenze, che deve trovare tutti d’accordo, è che la società dell’informazione e della conoscenza – la “terza fase” -  vive di mobilità di dati.

Il secondo, è che bisogna necessariamente trovare nuove forme giuridiche che non ostacolino la mobilità delle informazioni, ma che allo stesso tempo tutelino l’autore.

Terzo, che l’autore sia comunque sempre soggetto attivo nella contrattazione dei propri diritti, ossia il cammino è verso la contemperazione tra la tutela autorale e circolazione del sapere.
Le licenze CCPL, al pari di quelle di software libero, si caratterizzano per la concessione dell'autorizzazione alla copia, modifica e distribuzione dell’opera oggetto dei suoi diritti.

E’ un tipo di licenza, quindi di contratto, assolutamente diversa dalle licenze predisposte per la commercializzazione del software cui siamo abituati, che prevedono viceversa contratti solo di “licenza d’uso”.

L’ambizioso progetto va sotto il nome di Creative Commons Public Licence (CCPL), cui hanno contribuito alcuni docenti di diritto delle università di Stanford, Harvard e del M.I.T, e consiste nella creazione di un’applicazione per il web (un motore di ricerca per le opere non protette) che consente agli autori di opere dell’ingegno di renderle di pubblico dominio, in modo che possano essere poste a disposizione della collettività senza violazione delle norme sul copyright, aderendo solo alle limitazioni previste nella licenze Creative Commons adottata.

Dall’altra parte l’utente può conoscere tutti i diritti associati alla pagina web che cerca, o ai file cui accede in modalità streaming. Tutte queste opere costituiranno secondo i loro padrini, un “santuario universale del sapere”, patrimonio dell’umanità sottratto ad appropriazioni commerciali I saperi collettivi (commons) si atteggiano così a diritto universale ponendo un problema inedito in termini legislativi ed in controtendenza rispetto alla sacralità dei brevetti e del copyright. Una pirateria informatica gestita in trasparenza! Proprio questo è e sarà il problema principale, sperimentare ecosistemi dei diritti digitali equitari tra producers, distributors e consumers , DRM (digital rights managment), che sappiano creare nuovi modelli di business.

 

L’Associazione Creative Commons e le relative licenze, comunque, non sostituiscono la normativa vigente in ciascuno Stato e non tutelano nulla e nessuno.

Inoltre non riguardano il momento della creazione dell’opera, ma solo il passaggio della messa a disposizione ed utilizzazione.

CCPL si limita a togliere una fetta della protezione legislativa sul diritto d’autore disponibile, prendendo atto che la protezione totale oggi non va più bene in una community building.

Creative Commons è quindi dal punto di vista giuridico un contratto di diritto privato tra Creative Commons e l’autore originario, licenziante e licenziatario,  ovviamente atipico, (la cui causa non è stata tipizzata dal legislatore) nel senso che è possibile stipularlo grazie all’autonomia contrattuale ex art. 1322  del codice civile e consensuale perché si perfeziona con il consenso, ad effetti obbligatori; è un accordo regolativo della condivisione, a prestazioni corrispettive, gratuito od oneroso.

Un ponte d’oro tra la tutela ermetica del copyright ed il copyleft assoluto, una riva bianca ed una riva nera che, coniugandosi, generano un set di licenze “some right reserved”.

Attraverso l’interfaccia è possibile conoscere e rendere pubbliche le modalità e le condizioni di distribuzione e riutilizzo dei testi, musica, database, immagini, multimedia, software.

Negli Stati Uniti siamo arrivati alla versione della licenza 2.0, che prevede due modelli: commerciale e non commerciale (<C> e <NC>).

 

Premesso che:

a)      per ogni Stato vi possono essere clausole differenti – c.d. “porting” chiuso, semichiuso od aperto, cioè l’adattamento  subito  per l’armonizzazione con il diritto d’autore interno di ciascuno Stato, perché le CCPL sono nate nel diritto nord-americano;

b)      comunque esistono alcune caratteristiche comuni a tutte le CCPL;

c)      vi sono delle diversità interpretative dovute anche al lavoro di traduzione;

d)      è un cammino appena agli inizi in cui tutta la comunità deve impegnarsi per sperimentare forme nuove da adattare ai singoli casi specifici;

e)      le CCPL sono dei contratti “point and click” che riguardano esclusivamente la “disposizione” dei diritti patrimoniali e mai quelli morali,

le CCPL , come modello contrattuale di licenza per la diffusione di testi, immagini, files musicali, etc…sulla scia del modello delle licenze GNU per i software, consentono agli autori di:

  1. permettere la diffusione, modifica ed utilizzo della propria opera per la realizzazione di opere derivate, a condizione che venga sempre riconosciuta la paternità – attribution;
  2. permettere la diffusione, modifica ed utilizzo in opere derivate purchè avvenga per fini non di lucro – non commercial;
  3. imporre a coloro che vogliano utilizzare la propria opera per la realizzazione di opere derivate di rilasciarle sotto la medesima licenza dell’opera-madre – share alike;
  4. permettere ogni uso, ma escludere l’utilizzazione in opere derivate – no derivs;
  5. permettere che la propria opera venga utilizzata per qualunque fine nei paesi in via di sviluppo;
  6. permettere che l’opera venga diffusa, modificata ed utilizzata in opere derivate ma solo per fini educativi;
  7. permettere la riproduzione solo di parti dell’opera.

Questa scelta composita si effettua sul sito Creative Commons; è consentito all’autore dell’opera anche indicare la giurisdizione alla quale intende sottoporre la licenza ed il tipo di opera.

Ogni licenza è espressa in tre modi ed ognuna con un proprio logo:

-          il primo per chi non si intende di diritto e corredato di amichevoli icone, quindi di facile comprensione per tutti, praticamente un sommario della licenza che non ha alcun valore legale: “commons deed”;

-          il secondo per gli addetti ai lavori (avvocati), l’unico da far valere eventualmente in giudizio, l’unico completo: “legal code”;

-         il terzo generato in codice html, che contrassegna l’opera con il tipo di licenza prescelta, leggibile da apparecchiature automatiche ed in grado di essere interpretata dai motori di ricerca circa le condizioni di utilizzo dell’opera ed i diritti ad essa associati: “digital code”- www.creativecommons.org/learn/technology/metadata. Vi sono browser che riconoscono in maniera trasparente per l’utente le pagine marchiate con CCPL, è un tagging automatico; un’evoluzione del Mozilla consente ad una icona di accendersi ogni qual volta ricorre questa circostanza. CC ha creato inoltre un Wiki per sviluppatori dove condividere script ed esperienze.

 

Per quanto riguarda i rapporti content-provider\consumers, siamo fuori dell’ottica CCPL in quanto inapplicabili queste ed altre discipline pattizie, e senza dubbio chi gestisce l’informazione è responsabile direttamente delle violazioni di legge – soprattutto di natura penale , ma anche ex art. 2043 codice civile-  per il materiale che immette in rete.

Con riferimento, infine, ai rapporti autore originario\i-terzi, quando direttamente senza intermediari vengono posti materiali didattici in rete, Creative Commons, come specificato innanzi, fornisce un’interfaccia che permette al mondo di conoscere le modalita’ e le condizioni di distribuzione o riutilizzo dei testi didattici od oggetti didattici. http://creativecommons.org/license/

Oltre al M.I.T. ed alla B.B.C., che hanno adottato la politica dei “diritti in parte riservati”, forse l’esperienza più significativa in campo formativo è quella della Rice University di Huston: the Connexion Project; da un mega-repository di L.O. ricercatori e studenti possono costruire i percorsi didattici che ritengono più opportuni: http://cnx.rice.edu/.

Come considerazione di chiusura, per il momento qualsiasi Learning Object, che vada da un intero courseware, ad una singola porzione di un qualsivoglia percorso formativo, multimediale o non, fornito o meno di software gestionale, a prescindere quindi dalla struttura oggettiva e soggettiva, può essere licenziato sotto CCPL, e continuare ad esserlo, esclusivamente se gira sul web e non è incarnato su un supporto materiale; altrimenti necessita comunque del bollino SIAE.

Un’ultima annotazione, ma solo per cronologia: da qualche settimana è disponibile su Yahoo http://search.yahoo.com/cc

il motore di ricerca in edizione beta esclusivo per i contenuti rilasciati sotto licenza CCPL.


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