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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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http://cidoc.iuav.it/~conrad/sewcom

Descrizione del Metodo

Il seguente materiale è tratto da:
Corrado Petrucco, Costruire mappe per cercare in rete: il metodo Sewcom, in TD-Tecnologie Didattiche n. 25 - Numero 1-2002 (http://cidoc.iuav.it/%7Econrad/sewcom/).

Introduzione
Cercare informazioni in Internet sta diventando una necessità a scuola, nel lavoro ed in ogni ambito sociale. Purtroppo le difficoltà insite nell’uso dei motori di ricerca e l’utilizzo inconsapevole di approcci cognitivi poco efficienti ne limitano l’efficacia. La maggior parte degli studenti dimostra di non possedere ancora quelle abilità necessarie a padroneggiare gli strumenti per il recupero delle informazioni soprattutto nel mettere a fuoco l’oggetto della ricerca e nel selezionare i risultati.
Tali difficoltà sono dovute anche ad una mancata riflessione metacognitiva sulla conoscenza di cui già si dispone del tema trattato e quindi nell’incapacità di far ricorso ad un lessico specifico che possa restringere efficacemente il numero di documenti trovati.

Da prime sperimentazioni risulta come un utilizzo delle mappe concettuali migliori di molto l’accuratezza dei risultati e soprattutto stimoli la capacità di organizzare in modo coerente il materiale recuperato. Viene a questo proposito presentato un metodo, battezzato SEWCOM che permette di creare mappe concettuali attraverso l'interazione con i motori di ricerca.
Si è verificato inoltre, come la scelta di utilizzare i motori di ricerca e non gli indici categoriali, produca spesso come side-effect una interessante ampliamento interdisciplinare del tema trattato. Altre future ricerche potrebbero verificare come la creatività e la capacità di risolvere problemi possano usufruire del fattore “serendipity” in modo tale che lo studente riesca “giocando” con il processo di recupero delle informazioni, a collegare domini di conoscenza differenti per costruire delle rappresentazioni concettuali alternative.

1 Studenti come “infotective” e il bisogno di una Information Literacy
«Siamo sommersi dall’informazione, ma siamo affamati di conoscenza» [Naisbitt]

Information Overload
Più passa il tempo, più cresce la mole di informazione disponibile in Internet tanto che ci si prefigura da tempo una crisi generalizzata che ha il nome molto significativo di information overload. Questa sindrome può avere effetti non solo di tipo cognitivo ma anche prettamente fisico: stati d’ansia e stress (Gutfeld, 1993). Neanche i bambini e i ragazzi, che sono comunemente considerati psicologicamente molto più ricettivi degli adulti alle nuove applicazioni della tecnologia, non ne sono immuni, anzi, più sono piccoli più l’impatto con il flusso informativo delle nuove tecnologie genera disagio e frustrazione (Akin, 1998).

Information Literacy
Da una recente indagine italiana (Pacetti, 1999) risulta che l’attività più frequente che i docenti svolgono assieme agli studenti quando utilizzano Internet a scuola sia proprio la ricerca di informazio-ni, mentre da un monitoraggio effettuato nel 2000 sui docenti del Progetto 1B viene riportato che la ricerca di materiali in Internet è fra le preferite (45% del tempo). Ma nonostante un generale riconoscimento dell’importanza di questi temi, (molti piani di offerta formativa (POF) di vari istituti scolastici cominciano ad includere azioni educative in questo senso) sorprendentemente vi sono stati sinora pochissime ricerche e studi specifici a livello nazionale ed internazionale, sulle abilità di ricerca dell’informazione in Internet, soprattutto per quanto riguarda gli studenti più giovani (Bilal 1998, Bilal 2000) (Walker & Moen, 2001).

Da questi studi preliminari sembra necessario già nella prime classi della scuola, aiutare a costruire quelle abilità di ricerca in rete che permetteranno agli studenti di selezionare le informazioni e di (Petrucco, 2002) strutturarle in aggregati significativi di conoscenza, ampliando in questo senso una visione costruttivistica (Papert, 1994), (Jonassen et al. 1998) che vede gli studenti proprio come soggetti attivi nella creazione e la condivisione di nuova conoscenza (Pontecorvo, 1995), (Calvani, 1995), (Galliani, 2000).

Gli anglosassoni hanno da tempo coniato un termine per definire quell’insieme di abilità richieste dall’utilizzo delle nuove tecnologie dell’informazione: l’information literacy. Sono in sostanza quelle capacità che permettono di riconoscere quando è necessaria una certa informazione e che mettono in grado la persona di sapere dove e come cercarla, di valutarla e di utilizzarla efficacemente. C’è chi ha addirittura proposto un nuovo termine per definire questo nuovo modello di studente del terzo millennio: infotective (Mckenzie, 1995). Un neologismo per indicare chi possiede l’abilità di raccogliere informazioni in modo efficiente ed efficace come un vero e proprio detective ed è in grado di rappresentare e rielaborare i dati in conoscenza utile a risolvere problemi.

Spesso in classe gli incentivi per integrare la conoscenza (soprattutto di tipo scientifico) sono pochi, sia per la mancanza di tempo che per l’uso di testi che «standardizzano» in maniera eccessiva i fatti. Inoltre essi vengono presentati in maniera troppo astratta senza concreti riferimenti al mondo reale. Il modo di presentare la conoscenza in modo gerarchico e sequenziale (e magari statico ed assoluto) lascia poco spazio alla ricerca individuale di fonti alternative (Scimeca, 1995). L’uso di Internet in questo senso può essere veramente molto utile. Ma non basta cercare nella rete, è necessario discutere e valutare assieme il materiale raccolto, proprio perché la rete offre immense possibilità di accedere a documenti, ma non molte opportunità di collegare, comparare e ciò che si è trovato. Inoltre si deve sempre tener conto del problema dell’autorevolezza della fonte, che se da un lato permette una visione abbastanza priva di preconcetti, dall’altro può provocare dei pericolosi atteggiamenti «relativistici» che possono impedire lo sviluppo di un approccio scientifico all’analisi dei dati. Lo stimolo perché questo non avvenga deve necessariamente essere offerto dall’insegnante:
"Da un punto di vista cognitivo, gli studenti hanno bisogno di cercare, catalogare e curiosare in rete, ma hanno bisogno di una guida per cerca-re di determinare cosa è degno di attenzione e cosa può essere invece ignorato"(Bell, 1995).
Già prima dell'avvento di Internet si è verificato come studenti ed utenti adulti non riescano portare a termine ricerche in modo efficace se privi di una strategia appropriata e soprattutto senza una guida. In tale contesto il docente dovrebbe fornire proprio questo tipo supporto. (Lancaster, et al. 1994; Bates, Siegfried & Wilde, 1993; Tolle & Hah, 1985; Teitelbaum & Sewell, 1986).


Internet non è una grande biblioteca: il problema dell’informazione de-strutturata

Va subito detto a questo proposito che effettuare ricerche in Internet con un motore di ricerca, non è la stessa cosa che cercare riferimenti bibliografici on-line utilizzando un OPAC (On Line Access Catalog). L’informazione presente nella Rete infatti, nella maggior parte dei casi non è catalogata e non esistono per ogni documento riferimenti o indici che ne descrivano il contenuto, né esiste un catalogo esaustivo di tutti i documenti.
Un interessante studio comparativo sulle ricerche effettuate su OPAC e su Web evidenzia oltre che differenze notevoli nella lunghezza delle stringhe di ricerca, anche differenze sul numero delle interrogazioni effettuate e sul numero di documenti visionati (Jansen & Pooch, 2000).

2 Strategie cognitive e stili cognitivi nella ricerca in Internet


Proposte di strategie cognitive per la ricerca informativa
Studi specifici sulle abilità cognitive e metacognitive coinvolte nei diversi momenti della ricerca dell’informazione bibliografica hanno comunque dimostrato di essere utili anche per una comprensione migliore dei processi cognitivi sottostanti la ricerca in Internet: alcuni autori (Kuhlthau, 1993 e 1999), (Eisenberg & Berkowitz, 1990) hanno proposto schemi e tassonomie intese sia come sequenze di attività volte a rendere più efficace l’approccio alla consultazione bibliografica, sia come metodo da seguire per l’attività di ricerca su generiche fonti informative, Internet inclusa (Eisenberg & Berkowitz, 2000). Trattandosi di proposte che seguono teorie costruttivistiche, viene sempre evidenziata la costruzione della conoscenza, punto irrinunciabile del processo di recupero delle informazioni (Kuhlthau, 1996), (Petrucco & Pantò, 1998).


Problemi cognitivi nella ricerca in Internet
La differenza nell'efficacia della ricerca di un utente esperto ed in possesso di una buona strategia, e un utente senza alcuna formazione è notevole: in media quest'ultimo recupera solo un terzo dei documenti pertinenti esistenti (Lancaster, et al. 1994).
Come abbiamo già accennato sono gli studenti (soprattutto quelli attorno ai 10/11 anni di età) che pur riuscendo ad interagire con le interfacce utente, hanno dei seri problemi nel trovare informazioni effettivamente pertinenti (Kafai & Bates, 1997) (Schacter et al., 1998) e nel selezionarla nella massa disorganizzata di risultati recuperati. Inoltre emerge una chiara preferenza per un tipo di ricerca non-strutturato e poco definito: spesso gli studenti preferiscono “navigare” saltando da una pagina all’altra (nonlinear browsing) seguendo i link ipertestuali piuttosto che formalizzare una ricerca in modo analitico utilizzando ad esempio gli operatori logici AND OR e NOT.

3 Mappe concettuali come ausilio metacognitivo per cercare, costruire e rielaborare la conoscenza in Internet
''Information retrieval is a difficult problem because it requires describing information that you do not yet have.'' (Borgman)

Mappe concettuali come strumento di riflessione metacognitiva
L’utente tipico, complice l’ingannevole semplicità d’uso dei motori di ricerca, inserisce uno o due termini generici, sperando di ottenere subito qualche documento interessante, ma viene sopraffatto dalla quantità di risultati. Questo accade perché è mancata all’inizio una formulazione metacognitiva delle sue esigenze informative. Sulla scorta di recenti ricerche sulla metacognizione (Flavell, 1977), (Cornoldi, 1995) e (Butler & Winne, 1995) si è accertato che chi riesce ad apprendere in modo più efficace è senza dubbio chi riesce ad auto-regolarsi in modo tale da far affiorare alla coscienza ciò che sa e a focalizzare ciò che ancora non sa (Schoenfeld, 1987).
A questo proposito, le mappe concettuali sono ormai considerate un efficace strumento metacognitivo. Esse appartengono alla categoria dei “visual organizer” che si sono dimostrati utili per rappresentare, condividere e manipolare la conoscenza. Infatti, organizzare i concetti in strutture visive facilmente riconoscibili rende più facile il loro recupero ed elaborazione. Questo tipo di approccio visuale è stato messo a punto da J. D. Novak (Novak & Gowin, 1989 e Novak, 1998) sulla base delle teorie di Ausubel (Ausubel, 1994) e degli studi sulle reti semantiche di Quillian (Quillian, 1968).


Le mappe concettuali riducono i tempi di ricerca
Da evidenze empiriche abbiamo verificato che in media il 95% del tempo viene perso nel cercare tra i link ed i documenti trovati e meno del 5% nel pianificare e scegliere le parole chiave da inserire nei motori. Questo vuol dire che in una ricerca considerata soddisfacente, della durata media totale di 15 minuti, gli utenti non riflettono neanche 1 minuto sulla scelta delle parole-chiave da usare. Ma alcune ricerche (Hertzberg & Rudner, 1999) riducono ulteriormente questi tempi in quanto riportano che la durata media di una consultazione on-line del database specializzato ERIC, è di circa 6 minuti, per cui presupponendo la stessa percentuale si ottiene un tempo di scelta inferiore ai 20-30 secondi. L'assunto su cui si è basata la presente sperimentazione è che l'utente dovrebbe dedicare invece la maggior parte del tempo alla pianificazione della ricerca per migliorarne l'efficacia, diminuendo così il tempo complessivo dedicato all'operazione. Nei test preliminari, utilizzando le concept maps, si è verificato che le percentuali salgono in media al 40% per la pianificazione e diminuiscono al 60% per l'analisi dei documenti, mentre il tempo medio totale diminuisce di quasi il 30%.

4 L'importanza di un lessico di riferimento esplicitato dalle mappe concettuali

Spiegare, infatti, cosa si vuole cercare, equivale ad ipotizzare delle parafrasi di un concetto sul quale ancora non si dispone di un lessico adeguato. Lo sforzo di costruire una sufficiente competenza lessicale permette di stimolare inferenze sui contesti d'uso e di focalizzare e di rifinire di volta in volta la rete lessicale di connessioni semantiche che legano tra loro le parole di un certo dominio di conoscenza (Marconi, 1999).
Il lessico quindi va adeguatamente inserito in strutture cognitive di cui gli studenti devono impadronirsi. Queste strutture sono in sostanza una metafora della organizzazione dei concetti nella nostra memoria semantica e trovano nelle mappe concettuali una efficace rappresentazione visiva. Ogni struttura cognitiva è legata ad altre, e via via che apprendiamo, aggiungiamo nuovi riferimenti e ne creiamo di nuove, oppure ristrutturiamo quelle già esistenti.

La "previous Knowledge"
A questo proposito è stato dimostrato (Eklund, 1995) quanto importante sia la conoscenza precedente che si ha dell’argomento trattato. Gli apprendimenti infatti sono significativi solo se vanno ad integrarsi compiutamente nel quadro complessivo delle esperienze del soggetto. Ausubel (Ausubel, 1994) insiste proprio sui riferimenti alla struttura cognitiva esistente, che possono essere attivati e riferiti al materiale da apprendere.
Nel caso delle ricerche on-line si nota come lo sforzo di riferimento alla conoscenza precedente, intesa come riflessione metacognitiva, sia poco presente, soprattutto nelle fasce di età più basse:
“children rarely access their previous knowledge and experience of the topic or task ...nor do children execute search strategies to deduce or increase retrieval output.”
(Shacter, 1998)
Altri ricercatori (Holsher & Strube, 2000) confermano un importante effetto pratico: coloro i quali hanno una minore conoscenza dell’argomento digitano una stringa di termini significativamente più lunga di chi invece è competente della materia. Gli autori inferiscono che gli esperti di un determinato dominio di conoscenza possiedano termini molto più specifici e di conseguenza ne usino di meno nell’interrogazione.

 5 I due processi: il lessico e le strategie

Dalle considerazioni che abbiamo fatto precedente-mente riguardo l'Information Literacy, emerge la necessità di adottare un metodo visuale/metacognitivo che permetta di cercare, valutare ed integrare la conoscenza scoperta nel Web (vedi anche Canas et al., 2001). Come abbiamo cercato di dimostrare, la ricerca dell'informazione coinvolge due processi strettamente legati tra loro:

1. apprendere riguardo il lessico del dominio semantico in questione e

2. apprendere le migliori strategie per localizzare l'informazione stessa


Il metodo proposto cerca di integrare appunto entrambi i processi ed stato battezzato SEWCOM Search the Web with Concept Maps ed utilizza l'approccio metacognitivo-visuale delle mappe concettuali. Il metodo può essere usato sia in modo collaborativo che stand-alone e nasce da osservazioni e sperimentazioni preliminari effettuate sia con adulti che con ragazzi delle ultime classi della scuola superiore.

Ci vuole un metodo metacognitivo per
cercare, valutare ed integrare la conoscenza nel Web:
SEWCOM

I quattro passi del metodo

I quattro passi del metodo (1)

1. Brainstorming e contestuale creazione di una mappa concettuale con parole correlate all’argomento che si vuole cercare on-line.


La frequenza d'uso nella lingua ed il fatto che siano state usata di recente, sono due importanti fattori che influenzano il recupero e l'immagazzinamento delle parole nel lessico mentale (Gairns & Redman, 1986). Se si lavora con un gruppo di persone (per es. in classe o in una riunione) la mappa beneficerà di un lessico senz'altro più ampio visto che ciascuno potrà proporre la propria lista di parole ma anche visionare quelle proposte da altri che non necessariamente saranno le stesse, incrementando così il proprio lessico specifico sugli argomenti in esame.

I quattro passi del metodo (2)


2. Ri-strutturazione topologica della mappa sulla base delle aree semantiche indivi-duate e uso dei motori di ricerca con le parole chiave di ciascuna area.

Nella fase 2, i concetti che vengono ritenuti fortemente correlati sono raggruppati assieme e viene loro attribuito un "box" (quadrato, cerchio, rettangolo, ecc..) ed un colore specifici. Questo approccio da un lato si rifà direttamente alla teoria della Gestalt per quanto riguarda il raggruppamento (grouping) (Moore, Fitz 1993) di stimoli visivi secondo i fattori di:

Prossimità (oggetti vicini tra loro sono percepiti come un gruppo )
Similarità (oggetti dalla forma simile sono percepiti come un gruppo)

e dall'altro sulle numerose ricerche di psicologia cognitiva sul semantic priming (Rhodes, 1993) (Plaut, 2000) e sull' effetto contesto (Lavigne, 2000) secondo le quali viene favorita la percezione e il riconoscimento di parole contigue appartenenti ad un contesto semanticamente omogeneo (es. forchetta-coltello-cucchiaio).


Vi sono inoltre forti prove sperimentali (Meara, 1978) per cui parole semanticamente correlate sembra siano collocate in modo contiguo nello spazio del nostro lessico mentale, per cui la visione di un certo termine tende a far affiorare alla mente tutto un insieme di altre parole strettamente correlate ad esso.

Nel corso degli anni sono stati sviluppati molti metodi per rappresentare il potenziale semantico/associativo delle parole, il primo è stato il differenziale semantico di Osgood in cui il test, nella sua versione originale, è costituito da un insieme di scale di aggettivi bipolari graduate in intensità per esprimere il proprio giudizio rispetto ad un concetto dato. Il significato specifico che tale concetto ha per il soggetto viene identificato quantitativamente come un punto preciso nello spazio semantico multidimen-sionale. La parola "dittatore" ad esempio può essere giudicata in più scale: buono/cattivo, altruisti-co/egoistico o caldo/freddo, ecc. Il punteggio medio ottenuto sulle varie scale definisce le coordinate della parola nello spazio semantico. Parole semanticamente vicine probabilmente otterranno punteggi simili e verranno collocate spazialmente vicine. Il problema di questo approccio è la sua arbitrarietà nello scegliere il tipo di scale e il loro numero.

Recentemente è stato messo a punto un metodo statistico, il Latent Semantic Analysis (LSA), per costruire spazi semantici che non dipendono dal giudizio interattivo del soggetto, ma da una analisi automatica del testo. (Landauer & Dumais, 1997). L’assunto della LSA è che parole simili occorrono in contesti simili. Ad esempio in una parte di testo dove si parla di “gatti” è probabile che questo menzioni anche “topi” o “cani”. Questa conoscenza sulla prossimità delle parole può essere usata per assumere che “gatti” e “topi” sono in qualche modo correlati semanticamente. Il risultato dell’analisi è uno spazio multidimensionale in cui parole che appaiono in contesti simili sono collocate in aree spaziali contigue.

I quattro passi del metodo (3)

3. Lettura e valutazione dei documenti trovati e scoperta di nuovi termini da aggiungere alla mappa

Eventuale nuova ricerca on-line per filtrare e focalizzare meglio il tema usando i nuovi termini (lessico) come key-words.
In questa fase vengono letti e valutati i documenti e se scelti, vengono individuati i termini significativi al loro interno e inseriti nella mappa. La mappa ora visualizza le connessioni fra i documenti, ma a differenza di quanto farebbe un ipertesto, mostra anche la relazione che c'è fra questi.

Il processo di identificazione nei documenti trovati di termini significativi, non è un processo facile. Molti studi confermano la difficoltà di selezione e la esclusività implicita nelle scelte (Bates, 1986) che possono essere diverse non solo per differenti persone ma anche per la stessa persona e lo stesso documento in tempi diversi (Furnas, 1987).

Un termine può avere differenti significati in diversi contesti, così come un concetto può essere rappresentato con molti termini. Per tentare di risolvere questo tipo di problemi i bibliotecari di solito usano i cosiddetti thesauri, ovvero dei vocabolari controllati che definiscono le modalità d'uso del termine e soprattutto le sue relazioni con altri termini (ad es. i sinonimi). in uno specifico dominio di conoscenza. I curatori del progetto WordNet, del Cognitive Science Laboratory presso la Princeton University, stanno lavorando in particolare sulla similarità semantica tra parole ed il contesto in cui ricorrono (Miller & Charles 1991)

I quattro passi del metodo (4)

4. Ri-strutturazione creativa della mappa e quindi della nuova conoscenza acquisita, con l’evidenziazione delle interrelazioni fra concetti appartenenti ad aree semantiche differenti.

I risultati dei motori di ricerca spesso mostrano come un concetto/parola sia presente in maniera trasversale in molti domini di conoscenza differenti (contesti). Riconoscere questa trasversalità significa riuscire a collegare questi domini per costruire rappresentazioni concettuali alternative che serviranno a vedere un problema o un concetto con occhi nuovi.

L'uso delle mappe favorisce l'esposizione cognitiva multipla agli elementi lessicali ed incoraggia i collegamenti fra i termini nei vari contesti. A questo punto l'effetto è duplice: da un lato si integra la nuova conoscenza, acquisita dall'esame dei documenti considerati pertinenti e dall'altro si ottiene un conseguente incremento del lessico specifico sull'argomento.

Infatti l'apprendimento di nuovo lessico viene migliorato (Stahl, 1999) specialmente se esiste una esposizione a nuovi item lessicali presenti in contesti diversi, come ad esempio lo sono i documenti recuperati dal Web (Grabe & Stoller, 1997). Alcuni ricercatori hanno stabilito che basta leggere una decina di volte un nuovo termine in vari contesti per comprenderne l'uso tipico e possederne una competenza lessicale adeguata (Coady 1997, Paribakht and Wesche, 1997).

Altre ricerche hanno confermato che l'apprendimento significativo di nuovi termini avviene soprattutto quando si fanno connessioni fra le nuove parole e parole familiari di cui si sa già il significato ed i contesti d'uso.

Quindi un approccio come quello delle mappe concettuali può facilitare la comprensione dei nuovi termini e le loro relazioni in rapporto alla conoscenza già posseduta, soprattutto per la loro efficacia nel ridurre i tempi di acquisizione. Infatti la ricerca ha dimostrato che apprendere parole in contesti significativi impliciti può essere un processo abbastanza lungo(Stahl, 1999).

Esempi di applicazione

4 Lo studio esplorativo e la sperimentazione preliminare del metodo SEWCOM


Abbiamo sperimentato il metodo SEWCOM durante una serie di seminari su Internet per la Didattica, svolti nel 1999 e nel 2000 con circa 200 persone (direttori didattici del Veneto, Friuli e Sardegna e scon tudenti di scuola secondaria superiore del Veneto). Il tentativo era di verificare su adulti e ragazzi se, e in che misura, una riflessione metacognitiva, supportata da una mappa concettuale, potesse efficacemente migliorare l’efficacia della ricerca on-line.

L’argomento scelto era volutamente generico e intendeva simulare una ricerca scolastica fatta da uno studente su Galileo, il celebre scienziato del '600. È stato utilizzato un computer connesso ad Internet ed un proiettore in modo che tutti potessero assistere alla sessione di ricerca e partecipare alla creazione e ri-strutturazione interattiva della mappa concettuale. La scelta del software da utilizzare per lavorare con le mappe è caduta su “Inspiration” (www.inspiration.com) per le sue caratteristiche di semplicità ed immediatezza.

La "dissonanza cognitiva" di Galileo

All’inizio veniva chiesto ad un volontario di cercare informazioni generiche su Galileo: in quasi il 90% dei casi questi digitava come parola chiave solo questo termine, ottenendo un gran numero di documenti, molti dei quali per nulla pertinenti. Infatti, fra i risultati si riconoscevano riferimenti alla sonda Galileo della NASA, alle lenti della ditta omonima, ad innumerevoli Istituti ed Enti così chiamati in onore allo scienziato (compreso l'aeroporto di Pisa), ecc. Perciò, dopo un primo momento di sconforto, da parte di tutti i partecipanti veniva riconosciuta la necessità di cercare di ridurre il flusso informativo eliminando i riferimenti a documenti ritenuti non pertinenti e di mettere a punto una strategia efficace sperimentando delle riflessioni metacognitive sull’argomento.
Si è notato a questo proposito un forte effetto di dissonanza cognitiva (Festinger, 1978), (Corsini, 1994) dovuto probabilmente alla sorpresa di trovare documenti con vari gradi semantici di correlazione al topic della ricerca. Per gradi relativamente alti di correlazione, la dissonanza veniva velocemente risolta, (ad esempio nel caso d’alcuni documenti che riportavano il “progetto Galileo” della NASA si è scoperto che è stato battezzato così perché si tratta di una sonda inviata per studiare Giove ed i suoi satelliti e di cui Galileo fu scopritore). Per documenti con gradi di correlazione piuttosto bassi (ad. es. il “Galileo - Giornale di Scienza e Problemi Globali”) la dissonanza persisteva, anzi, a volte non veniva nemmeno notata a livello cosciente e il riferimento al documento veniva scartato subito senza che ci fosse alcun tentativo d’indagine supplementare (per es. cliccando sul link e visionando il documento stesso).



L’importanza di esplicitare le conoscenze precedenti
Proprio per limitare gli effetti di dissonanza cognitiva si è scelto di riformulare l’interrogazione iniziando con uno “brainstorming”, facendo ricorso alle conoscenze pregresse che ciascun partecipante possedeva dell’argomento. (Jonassen & Gabrowski, 1993). Nel nostro caso si trattava di far associare al concetto di “Galileo” quanti più termini significativi possibile e di visualizzarne le interrelazioni attraverso la mappa concettuale. A volte i termini erano parole singole come “cannocchiale”, o “abiura”, altre volte invece gruppi di parole come “rivoluzione copernicana” “caduta dei gravi” o intere frasi che descrivono compiutamente un concetto come: “la terra che gira intorno al sole”, oppure “l'inventore del metodo scientifico”. Mentre era in corso il brainstorming veniva creata la mappa situando come concetto centrale il termine “Galileo” e come concetti correlati gli altri termini proposti dai partecipanti (vedi fig.)
Mentre è probabile che due persone (nel nostro caso l'autore del documento e chi cerca) condividano in linee generali lo stesso insieme di concetti su di un determinato argomento, è altamente improbabile che la esprimano con le stesse parole. Non esiste per ogni specifico concetto un lessico univoco e standardizzato a cui chiunque possa riferirsi. Bates infatti (Bates, 1986) scrive:
“the probability of two persons using the same term in describing the same thing is less than 20%”.
Nella ricerca in rete emergono costantemente infatti problemi legati all'omografia, alla polisemia, alla sinonimia. Un approccio interessante da utilizzare nelle prossime sperimentazioni potrebbe in questo senso venire dall'utilizzo di software come quello del già citato progetto Wordnet.

Esempi di applicazione

La ristrutturazione della mappa in aggregati semantici

Il passo successivo prevedeva la ristrutturazione spaziale dei concetti nella mappa, così da creare delle aree semantiche specifiche da cui poi scegliere i termini da includere di volta in volta nella stringa di ricerca e focalizzare meglio ciascun tema. Ad esempio molto spesso emergeva l’area semantica “religione” ovvero i rapporti di Galileo con la Chiesa (keywords: “Inquisizione”, “Papa”, “Sacre Scritture”) oppure l’area riguardante l’“astronomia” (keywords: “Sole”, “Terra”, “Giove”, “cannocchiale”). I riquadri entro i quali sono racchiuse le parole sono stati a questo punto ridisegnati in modo differente, variando la loro forma e con colori diversi, proprio per migliorare la visibilità della mappa e rafforzare la percezione distinta delle varie aree, realizzando così una sorta di categorizzazione visuale.
Alcuni motori di ricerca come ad es. Northern Light, hanno cercato di offrire all'utente oltre alla normale lista di risultati, anche un elenco di categorie generato automaticamente, in cui vengono raggruppati i risultati. Questo tipo di classificazione automatica però, lascia molto a desiderare soprattutto per l'impossibilità dell'utente di scegliere egli stesso il tipo di classificazione.


Esempi di applicazione - 3

L’iterazione del processo di ricerca e la creazione di un lessico specifico
Dopo il lancio delle nuove ricerche con i termini inclusi nelle varie aree semantiche si costatava la drastica riduzione dei documenti trovati: per cui ad esempio si passa dai circa 240.000 riferimenti con solo il termine “Galileo” ai 319 di “Galileo AND Inquisizione” o ai soli 7 di “Galileo AND Abiura”.
A questo proposito, nel corso di questa seconda parte del processo di ricerca è emersa la stretta correlazione tra il possedere un lessico specifico del dominio di conoscenza che si sta indagando e l’abilità di “restringere” la ricerca on-line. Infatti, il termine “abiura” non emergeva molto di frequente, essendo un termine poco usato nel linguaggio corrente e fortemente legato a contesti particolari.

Nella fase finale sono state inserite anche delle immagini in corrispondenza dei nodi per rendere la mappa più accattivante e sottolineare la “scoperta” di nuovi termini/concetti come ad esempio quelli sul "pendolo di Foucault" (vedi fig. 6) o quello sulla "perfezione degli oggetti celesti" (dogma della chiesa messo in crisi dalle osservazioni attraverso il cannocchiale). Questi termini/concetti sono stati individuati nei vari documenti recuperati con i motori di ricerca e ritenendoli importanti, è stato inserito il loro indirizzo (link) per potervi accedere semplicemente con un click del mouse L’immediatezza nel recupero dei documenti infatti, è un fattore determinante per l’ergonomia cognitiva nella fruizione della mappa stessa.

I nuovi termini/concetti devono ora “giustificare” la loro presenza tramite dei link ai nodi nella rete concettuale pre-esistente: ciò permette una ristrutturazione creativa della mappa, che genera spesso nuova conoscenza. È interessante notare come questa sia di tipo trasversale a più domini specifici e come dall’interazione tra essi possano scaturire nuove idee: ad esempio la dimostrazione della rotazione terrestre senza l'uso di strumenti d’osservazione ottica utilizzando solamente un pendolo. Oppure la percezione dell'importanza degli studi sul pendolo per la misurazione del tempo o ancora infine, quale importanza abbia rivestito nella storia occidentale il rapporto tra scienza/religione. La trasversalità dei saperi è così evidenziata visualmente in modo efficace e naturale e favorisce una progettazione didattica attenta agli approcci multidisciplinari.

L’effetto serendipity come side-effect nell’utilizzo dei motori di ricerca
L'accesso alle fonti informative attraverso una costruzione metacognitiva multi- e inter-disciplinare come quella offerta dalle mappe concettuali e dal metodo SEWCOM, permette di trasformare in una preziosa risorsa quello che viene percepito invece come un ostacolo. Può capitare infatti di imbattersi in quella che gli anglosassoni definiscono come «serendipity». Il senso è chiaro: navigando nella rete a volte capita di trovare fortuitamente preziosi documenti che non immaginavamo esistessero e che non avremmo mai trovato seguendo una linea di ragionamento a noi usuale e che prevedeva un uso di termini ristretto ad una specifica categoria.
La sfida dell'immediato futuro sarà probabilmente quella di scoprire nuovi modi di organizzare la conoscenza al di là di rigide classificazioni gerarchiche e di considerare la ricerca dell’informazione come parte del processo di apprendimento, (Kuhlthau, 1996) in cui chi apprende si sforza attivamente di costruire conoscenza e significato.

Esempi di applicazione - Bibliografia

Bibliografia


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