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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Tecnologie e Didattica: sfide per il futuro

 

Il Programma di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche 1997/2000 sembra ormai cosa lontana per i vertici del Ministero dell’Istruzione che hanno già varato, a due anni dalla sua conclusione, almeno due importanti atti successivi finalizzati rispettivamente al cablaggio degli edifici scolastici e alla realizzazione di un piano di formazione informatica  articolato e differenziato per i docenti italiani di ogni ordine e grado.[1]

Tra disfattismi, idiosincrasie ed esagerati entusiasmi, sembra il momento opportuno per formulare un bilancio dei risultati raggiunti dal più ambizioso e generoso dei programmi ministeriali varati negli ultimi anni.

A che punto sono i nostri docenti con la competenza informatica da mettere al servizio dell’attività didattica, quanto e come software ed hardware sono usati nelle aule, quanto e cosa  le  scuole italiane hanno da invidiare alle colleghe europee in materia di dotazioni tecnologiche?

L’Italia sta ancora attraversando la seconda fase del processo di integrazione delle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) nella didattica: si può affermare che abbia positivamente superato la prima soglia relativa alla dotazione tecnologica delle scuole, anche se qualche adeguamento resta ancora da compiere, come quello di potenziare la presenza di apparecchiature nella scuola primaria, che ha dimostrato e sta dimostrando elevata professionalità e maturità nell’uso delle tecnologie, unitamente ad una solida cultura progettuale. Si tratta senza dubbio di elementi che le forniscono le “carte in regola” per poter svolgere un ruolo decisivo, non solo nell’insegnamento delle abilità di base necessarie all’uso di alcuni strumenti informatici, ma nello sfruttamento di ambienti di apprendimento che consentono lo sviluppo di abilità superiori.

Dai documenti programmatici del nostro paese resta inoltre escluso, purtroppo, ogni riferimento specifico al settore dell’educazione pre-primaria, che merita invece di essere riconsiderato a pieno diritto per il ruolo importantissimo ed innovativo che la multimedialità può svolgervi. [2]

Questa occasione non può essere perduta e per questo è opportuno che anche le scuole materne siano attrezzate e dispongano di spazi necessari per consentire un uso creativo e frequente del computer.[3]

Anche nel settore dell’istruzione secondaria superiore i Licei  appaiono come le scuole meno dotate e necessitano dunque di una maggiore considerazione per quanto riguarda gli investimenti finanziari.

La seconda fase del processo di integrazione delle nuove tecnologie nel sistema educativo, in linea con il Piano d’Azione Europeo del 24 Maggio 2000, intende soprattutto potenziare l’accesso alle risorse presenti in rete telematica e favorirne la fruibilità mediante collegamenti  con larghezze di banda sufficienti e funzionali agli usi didattici, creare reti di Istituto per migliorare l’organizzazione interna, anche dal punto di vista gestionale ed amministrativo e non solo sotto l’aspetto didattico.

Accanto a queste priorità si pone anche l’esigenza di aggiornare le attrezzature multimediali esistenti e potenziare la presenza delle postazioni di lavoro, destinate anche alle crescenti esigenze di formazione a distanza dei docenti, specie nelle scuole meno equipaggiate.

Nella dotazione tecnologica la scuola italiana si sta avviando dunque a raggiungere gli standard europei, e non sembra particolarmente svantaggiata.

Ciò che manca al nostro sistema educativo  è invece una solida cultura sull’uso pedagogico delle risorse informatiche e multimediali.

Occorre vincere la resistenza dei docenti intervenendo su due diversi fronti che sono  strettamente interdipendenti:

ü      la valorizzazione della professionalità docente e in particolare delle eccellenze,

ü      la sistematicità e la qualità della formazione iniziale e in servizio.

Il primo elemento incide sulla motivazione degli insegnanti a riqualificare la loro professionalità e l’obiettivo va perseguito con tutti gli strumenti a disposizione, dagli incentivi economici, agli avanzamenti di carriera, a forme di valutazione periodica della professionalità, all’investimento sul reclutamento di  personale non docente che possa  aiutare gli insegnanti a “sburocratizzare” il loro lavoro investendo maggiori energie  nella progettualità didattica, fino all’istituzione di figure referenti per le nuove tecnologie che siano poste in condizione di esercitare realmente una determinante funzione di supporto nei confronti dei colleghi in formazione e nei confronti dell’intero sistema.

Il secondo fattore è evidentemente quello decisivo per la possibilità che le tecnologie siano realmente utilizzate in modo proficuo nei processi didattici, nella varietà di forme e di modi in cui queste possono produrre valore aggiunto al processo di insegnamento/apprendimento, ed è anche fattore determinante affinché possa maturare nei docenti una nuova concezione del proprio ruolo.

Un ruolo che deve adeguarsi alla complessità della nostra epoca, alla diversa posizione che la scuola occupa rispetto a vent’anni fa nella società, alla presenza innegabile di molteplici forme di accesso all’informazione, di una pluralità di media e di forme di conoscenza, alla necessità di comprendere che i bisogni degli allievi sono oggi più che mai eterogenei e diversificati, per non rischiare che il docente si riduca ad una pura presenza formale , priva di una funzione non solo reale, ma realmente indispensabile ai giovani della “società dell’informazione”.

Dunque vi è la imprescindibile necessità di introdurre le TIC nel curriculum formativo degli insegnanti di ogni ordine e grado scolastico, diversificando magari, sull’esempio dei paesi europei più illuminati, le tipologie di formazione,  a partire da una alfabetizzazione obbligatoria, ove non presente, (che in futuro non sarà più necessaria in quanto si auspica che essa sia acquisita già nella scuola dell’obbligo da tutti i futuri cittadini), passando attraverso una formazione specifica relativa alla conoscenza e all’uso di software educativo, anche questa obbligatoria,  fino ad una formazione specialistica opzionale che potrebbe essere riservata alle figure di sistema, ai tutor e ai formatori.[4]

Inutile forse specificare che un simile percorso di formazione, avendo carattere di sistematicità, oltre a fornire garanzie di qualità, debba prevedere anche forme di valutazione e di certificazione delle competenze acquisite, sul modello del sistema inglese.

Se la qualità della formazione iniziale sarà più facilmente garantita dalle istituzioni competenti, attualmente le Scuole di Specializzazione all’Insegnamento Secondario (SSIS), che fanno capo alle Università, e le Facoltà di Scienze della Formazione Primaria, mentre necessita di essere fortemente potenziata  la qualità della formazione in servizio, per la quale occorre creare un sistema integrato e coordinato di enti ed istituzioni competenti accreditati, avvalendosi anche, secondo l’esempio di altri paesi europei, di partnership con industrie private.

Il sistema attuale, nel quale gli Enti e le Istituzioni che erogano formazione in servizio agli insegnanti operano troppo spesso in modo scoordinato ed occasionale e senza fornire adeguate garanzie di efficienza e qualità didattica, senza rilasciare altro che attestazioni relative al numero di ore di frequenza e prive di riferimento a prove di verifica finali o competenze acquisite,  risulta assolutamente inadeguato alle esigenze del nostro sistema scolastico, in ogni campo, ma in particolare in quello delle nuove tecnologie.

L’occasione offerta dalla Circolare n. 152/2001 di cablare internamente gli edifici che ospitano le istituzioni scolastiche è da considerarsi molto preziosa e  ci si augura non debba essere sciupata  da una gestione poco accorta. Molte scuole, infatti, grazie a questo ulteriore finanziamento, avranno la possibilità di essere cablate addirittura a livello massimo, con accessi alla rete consentiti in tutti i locali dell’istituto; ciò significa che in ogni aula, con disponibilità di stazioni multimediali portatili, potrà essere effettuato, secondo le esigenze didattiche, un collegamento alla rete telematica senza la necessità di doversi spostare nelle aule laboratorio.  Questo significherà anche che si ridurranno gli alibi dei docenti volti ad evitare l’uso della  telematica nella didattica, che saranno incoraggiate tutte le forme di scambio e di condivisione di materiali prodotti ed esperienze didattiche effettuate, che si moltiplicheranno le occasioni di entrare a far parte di progetti didattici gestiti a distanza, con tutti i vantaggi pedagogici che sono già stati evidenziati.

Tutto ciò a patto che le scuole abbiano l’intelligenza di effettuare la scelta dell’Intranet di istituto e ed operino in modo che questo servizio faciliti, non solo gli atti e i processi amministrativi, ma i servizi didattici, il raccordo fra scuola e famiglie, una maggiore partecipazione degli alunni e dei loro genitori alla gestione di un patrimonio di conoscenze e di cultura che deve essere considerato di tutti coloro che hanno contribuito a costruirlo.

Cablare significa anche investire tutte le scuole di una responsabilità nuova, riconosciuta ormai imprescindibile a livello europeo: significa apertura alla cittadinanza, trasformazione in centri di servizi polivalenti che  devono essere in grado di garantire un facile accesso ad Internet a tutti coloro che non ne dispongono nelle proprie abitazioni.

Ma a questo punto dovrà esserci un necessario ripensamento anche riguardo alla composizione degli organici scolastici:  si rendono sempre più necessarie quelle figure di sistema che, esonerate in tutto o in parte dai compiti di insegnamento, dovranno avere l’onere  di gestire la mutata fisionomia delle scuole, altrimenti non si riesce a prevedere a chi possano essere demandati ruoli di strategica importanza.

Un altro aspetto che sembra ancora carente nella scuola italiana è la dimensione europea dell’insegnamento, e conviene farne cenno in questa sede proprio perché essa è enormemente facilitata dalle nuove tecnologie e dai collegamenti telematici; occorre una maggiore diffusione delle informazioni, per promuovere la conoscenza di ciò che esiste e dei programmi futuri, delle risorse presenti in rete e del materiale didattico prodotto da numerose scuole europee e reperibile in rete attraverso i portali e i siti citati nella parte iniziale del capitolo.

Essenziale risulta inoltre ridurre le distanze che ci separano dalla maggior parte dei paesi europei per quanto riguarda l’inclusione nei programmi di studio delle TIC.

Il mancato possesso delle abilità di base nell’uso delle tecnologie informatiche rappresenta oggi una  grave forma di analfabetismo che non può essere avvallata dal sistema educativo, in quanto comporta rischi sociali molto pesanti, connessi all’ormai celebre “digital divide”, il divario digitale, e non garantisce le pari opportunità educative.

Occorre pertanto prevedere l’inclusione delle TIC nei programmi scolastici, sia come disciplina autonoma, ad esempio nella scuola primaria e in tutta la secondaria inferiore, come anche in alcuni settori  specialistici della secondaria superiore, sia  rendendone obbligatorio l’uso come strumenti trasversali a tutte le discipline, in tutti i gradi scolastici.

Questi sembrano i punti deboli fondamentali del nostro paese al confronto con i sistemi educativi europei eccellenti e ai quali l’Italia deve riferirsi per trarre vantaggio e spunto dal benchmarking europeo.

 Certamente ad un’analisi approfondita molti altri  sono i suggerimenti che l’Italia potrebbe trarre dai paesi all’avanguardia, ma appare certo che ogni intervento che non affronti alla radice le problematiche illustrate potrà sortire soltanto un effetto placebo, lasciando immutata la situazione di fondo e aperto il gap digitale

 

Aprire i laboratori e portare davvero il computer in classe

Un dato che salta all’occhio nei rapporti di monitoraggio del Programma di Sviluppo è lo scarsissimo ricorso, da parte delle scuole finanziate, all’acquisto di computer portatili e, diversamente da quanto potrebbe apparire, si tratta di un elemento importante, in quanto spia di una certa filosofia d’uso delle tecnologie a scuola.

La configurazione tradizionale del laboratorio informatico è di gran lunga la più diffusa: è stata adottata dal 70% degli istituti , mentre il 25% delle scuole ha scelto la configurazione delle aule con alcune stazioni multimediali e, ahimè, soltanto il 5% ha optato per il collocamento di un PC in ogni aula.

La cosa è assolutamente comprensibile dato il costo delle apparecchiature e la cronica povertà di risorse in cui versa la scuola, tuttavia è altrettanto chiaro che le tecnologie, tenute in tal modo, relegate in spazi poco accessibili, iperprotetti, confinate ad un utilizzo rigido e prevalentemente destinato ai gruppi–classe, sotto la sorveglianza del personale tecnico e sotto la supervisione strettissima degli insegnanti, hanno scarsa utilità e minimo può essere il loro impatto sull’apprendimento e il loro uso trasversale alle discipline.

Tuttavia è evidente che la scelta di configurazioni più flessibili presuppone una cultura che probabilmente costa ancora fatica alla scuola: tutte queste soluzioni devono essere sorrette da un sistema organizzativo di istituto in cui esistano chiare regole di utilizzo delle apparecchiature, ma al tempo stesso gli studenti percepiscano di poter usare gli spazi attrezzati, li sentano come servizi destinati a loro, avvertano di poterne fare un uso anche creativo, individuale, per approfondire lo studio delle discipline attraverso la ricerca di informazioni, l’uso di ambienti di apprendimento, e per la creazione di prodotti originali, frutto della personale rielaborazione. 

Una simile cultura potrà essere anche uno strumento per ridurre gradualmente la frattura, sempre più profonda, fra una scuola che impone e un extra – scuola che libera, fra una realtà scolastica in cui il computer viene usato per la lezione, e quindi annoia, e un ambiente esterno in cui il computer equivale a gioco, divertimento, evasione.

 Gli studenti devono appropriarsi degli spazi della scuola, imparare a viverli come ambienti  della propria casa, sentirsi al sicuro nella scuola e sentirla come un luogo piacevole di soggiorno, ricco di opportunità e di occasioni di incontro con i propri compagni e con i propri insegnanti.  Per molte delle nostre scuole questa suona come una rivoluzione profonda, una realtà in cui progressivamente si allenti la rigidità del gruppo classe e gli studenti comincino a muoversi più liberamente e a gestire in parte gli strumenti al loro servizio, fa paura alla maggior parte dei dirigenti, ma è in scuole simili che i volti degli studenti cambiano, si illuminano, la motivazione ad apprendere e a migliorarsi sale,  aumenta l’opportunità di comprendere le proprie potenzialità e l’intelligenza per la quale si è più versati. 

 

Formare i docenti

E’ chiaro che ogni tecnologia introdotta nella scuola rischia di restare improduttiva o di trasformarsi addirittura in uno strumento dannoso per l’attività didattica  se non vi è, da parte dei docenti, in primo luogo la consapevolezza pedagogica del valore aggiunto che l’uso della multimedialità può apportare nello specifico del processo di insegnamento-apprendimento, in secondo luogo l’abilità tecnica necessaria nell’uso di queste tecnologie. Per questo l’argomento formazione si rivela cruciale a questo proposito.

I docenti italiani sono  attualmente non molto diversi dai loro colleghi europei: un po’ impacciati nell’uso delle nuove tecnologie, non sempre pronti a coglierne la portata innovativa per la didattica, dotati di scarse capacità progettuali nell’integrarle nella prassi quotidiana, tuttavia sono una  categoria in rapida evoluzione, se si pensa che nel primo anno di attività del Programma di Sviluppo i rapporti di monitoraggio fotografavano una realtà addirittura allarmante.  La maggior parte dei docenti non possedeva neppure nozioni elementari sull’uso delle nuove tecnologie, quasi l’80% di essi non aveva idea di come effettuare una connessione alla rete telematica o di come poter usare la posta elettronica. Oggi le cose, per lo meno dal punto di vista tecnico, di familiarità con la macchina, sono cambiate: i docenti si sono formati molto in materia di informatica e multimedialità, in gran parte grazie ai corsi organizzati nell’ambito dello stesso Programma di Sviluppo, in parte grazie all’impulso che essi hanno impresso alla nascita di nuove occasioni di apprendimento per i docenti in questo settore, promosse negli  ambiti più diversi.  I test effettuati sugli insegnanti formati nell’ambito del Programma hanno evidenziato non certo miracoli, ma miglioramenti notevoli e soprattutto il desiderio, suscitato in molti di essi dai corsi di formazione, di approfondire, di progredire.

Certo la formazione dei docenti nel nostro paese è un argomento spinoso, una pratica che meriterebbe ampie revisioni, ma occorre tener conto del fatto che il varo della C.M. 53 del 21/5/02, relativa al piano  di formazione informatica in servizio, articolato proprio in tre differenti livelli, manifesta la consapevolezza da parte del MIUR della necessità di dotare i docenti degli strumenti in grado di condurli ad una didattica realmente innovativa e soprattutto ad un uso delle tecnologie che sappia cogliere le grandi potenzialità che esse possono offrire al processo di insegnamento/apprendimento.

Tuttavia le modalità  attuative del piano appena varato non sembrano ancora tener conto delle reali esigenze di formazione, dal momento che i Corsi relativi al Modulo A, per la formazione di base, sono stati indirizzati ad un numero troppo limitato di docenti per scuola

Il percorso intrapreso da paesi come la Francia, la Danimarca[5], la Germania, la Finlandia e anche la Spagna  è stato volto ad  individuare in ogni scuola un docente in possesso, o di un titolo specialistico in materia di TIC, o  delle competenze necessarie per svolgere la funzione di referente in TIC; a tale figura è stato affidato, oltre al compito di promuovere l’integrazione delle tecnologie nella prassi didattica, anche la funzione di organizzare interventi di formazione in servizio rivolti ai colleghi meno esperti, di esercitare stimoli e fornire spunti pratici per applicazioni didattiche concrete.

E’ evidente che  il maggiore successo in questi casi si è osservato laddove ai docenti referenti è stato concesso il tempo adeguato da dedicare ad un compito così impegnativo, e ciò significa essere esonerati dall’insegnamento, o almeno beneficiare di una opportuna riduzione dell’orario didattico. A questi docenti, infatti, deve essere fornito anche un adeguato sostegno in termini  di aggiornamento e formazione continua, attività che richiedono impiego di tempo e di energie, che non potranno evidentemente essere spese nel lavoro di insegnamento.

E’ bene puntualizzare questo, in quanto si ha ragione di credere che una simile soluzione sia in programma anche per il nostro paese, con l’intenzione di creare una sorta  di “figura – obiettivo” per le tecnologie didattiche[6], affinché non si ripeta l’errore che è già stato compiuto. I compiti e le responsabilità cui queste figure di sistema devono far fronte, specie nelle scuole meno dotate di supporti organizzativi e di risorse finanziarie, sono davvero ingenti; per quella che è la cultura della classe docente italiana, non abituata alla differenziazione dei compiti e  alla distribuzione delle responsabilità e, meno che mai,  incline ad una diversificazione delle carriere,  i docenti cui sono affidate simili funzioni devono vincere anche le resistenze  e  le diffidenze dei loro colleghi, sopportando carichi emotivi pesanti. In una simile situazione, si ha ragione di credere che l’esperienza non del tutto positiva delle “funzioni-obiettivo”compiuta negli ultimi tre anni (ovviamente non in termini dei risultati prodotti, ma della forte demotivazione che si sta osservando negli insegnanti e che si esplica nella diffusa riluttanza ad assumere incarichi del genere) sia da attribuire anche al fatto che i docenti investiti dall’incarico  non abbiano avuto a disposizione il tempo e le energie necessarie per assolvere ai loro compiti, dovendo svolgerli in condizioni di serio disagio.

Il Dipartimento dell’Educazione Britannico sta mettendo a punto delle opportune forme per incentivare i docenti eccellenti, che abbiano investito energie nello sviluppo della loro professionalità, anche attraverso la strutturazione di percorsi di carriera, e questa è senza ombra di dubbio una misura fondamentale, necessaria in un sistema educativo che desideri essere all’avanguardia.

La riflessione coinvolge inevitabilmente il nostro paese, nel quale, a livello di sistema educativo, non si è mai seriamente investito in risorse umane e attualmente non esistono adeguati meccanismi in grado di potenziare la motivazione dei docenti in servizio allo sviluppo e al miglioramento della qualità della loro professionalità.

Oltre a non aver mai potuto beneficiare di un sistema di differenziazione dei profili professionali, sempre osteggiato dalla stessa classe docente alla quale è risultato comodo appiattirsi su un livello medio di professionalità, date anche le retribuzioni previste, e dalle organizzazioni sindacali di categoria, il docente italiano, lungi dall’essere supportato dall’esterno nel suo lavoro è andato progressivamente incontro ad un maggiore appesantimento dei suoi ’aspetti burocratici che hanno sottratto tempo ed energie alla funzione docente.

Sono sparite nel tempo anche le esigue incentivazioni previste per l’attività di aggiornamento, compreso il modesto punteggio aggiuntivo che si poteva conseguire con la frequenza di un certo numero di corsi organizzati dall’Istituzione preposta alla formazione dei docenti. Nelle graduatorie di Istituto, ma anche in molti dei pubblici concorsi cui i docenti possono accedere, il dato che continua ad avere maggior peso nel curriculum è sempre l’anzianità di servizio, congiunta all’anzianità anagrafica, conformemente ad un’antica e ormai risibile concezione, secondo la quale l’esperienza maturata nell’insegnamento equivale ad una garanzia di qualità professionale, concezione ancor più discutibile in un sistema in cui non sono state mai previste forme di valutazione della professionalità.[7]

In un perverso circolo vizioso, il dato è strettamente collegato al progressivo calo di riconoscimento sociale,  di cui soffre oggi drammaticamente la professionalità docente, e che a sua volta genera demotivazione, scoramento e crisi di identità sociale nel docente italiano.

L’esempio principale che i paesi europei che possono definirsi all’avanguardia ci forniscono, al di là e prima ancora del vantaggio tecnologico, è proprio quello relativo alla valorizzazione delle risorse umane, senza la quale non è neppur pensabile completare con successo l’impegnativo processo di integrazione delle nuove tecnologie nella didattica, processo che non può avere futuro in un sistema come quello attuale in cui, pur esistendo proposte formative di qualità sempre più elevata, la formazione continua del docente italiano è affidata alla buona volontà e all’arbitrio dei singoli.

La formazione nel campo delle nuove tecnologie va allora resa obbligatoria, almeno in quelle che si possono definire le competenze di base per un loro uso pedagogico, sia nella formazione iniziale che in quella in servizio, e la formazione specialistica e opzionale deve essere, in ogni caso, congruamente riconosciuta a livello di curriculum professionale e a livello di incentivi economici.

E’ oggi il momento di reimpostare la rotta, mutando le priorità, che fino ad ora sono state quelle di implementare le attrezzature, e per il futuro devono invece puntare alla consapevolezza del loro potenziale pedagogico da parte dei docenti, e ad una capacità di uso consapevole e selettivo nella pratica didattica, in quanto le risorse tecnologiche, quando non sono accompagnate da una elevata qualità dell’insegnamento, da sole non possono sortire alcun effetto nel migliorare l’apprendimento e le abilità metacognitive  degli studenti.

Accanto al personale tecnico, con la funzione di offrire sostegno ai docenti nel loro uso delle tecnologie, il docente referente formato nel percorso B, dovrebbe assumere anche il ruolo di responsabile della formazione in materia di nuove tecnologie, con compiti anche  di coordinamento e supervisione dei progetti e delle attività didattiche supportate dalle tecnologie informatiche[8].

Tale figura  rispecchia un  ruolo professionale che già esiste da tempo nelle aziende e che si è gradualmente esteso anche alle pubbliche amministrazioni.

I suoi compiti sono fondamentali in ogni realtà organizzativa che intenda stare al passo con l’innovazione, in quanto non possono esistere  mutamenti o evoluzioni non supportati da opportune fasi di formazione e di motivazione dei lavoratori ai nuovi compiti che dovranno assumere.

In perfetta linea con l’autonomia scolastica, ogni scuola potrebbe gestire autonomamente la propria formazione di istituto, rispondente alle specifiche esigenze e comunque  coerentemente a linee di indirizzo fissate a livello nazionale; il responsabile della formazione avrebbe il compito di fissare obiettivi, di formulare contratti formativi con il personale, di valutare, come in ogni azienda che si rispetti, gli esiti della formazione per fissare obiettivi futuri in un processo di continua crescita del capitale umano.

Il responsabile della formazione si configura, nella nostra ipotesi, come un docente-ricercatore, il cui costante contatto con il mondo della ricerca e dell’innovazione, con le università del territorio, con i centri di  ricerca didattica, con gli IRRE (Istituti Regionali di Ricerca Educativa) garantisca la sua adeguatezza  in qualità di coordinatore anche dei progetti didattici  che richiedono l’uso delle nuove tecnologie.

Una scuola che intenda infatti attuare un uso consapevole e finalizzato delle tecnologie, e non semplicemente rispondere ad una moda, non può mancare di fissare obiettivi chiari e misurabili e di verificarne il raggiungimento, al fine di valutare l’efficacia dei propri percorsi formativi soprattutto nei termini di una facilitazione o di una maggiore produttività dell’apprendimento da parte degli studenti[9]. In questo è evidente che il docente dovrebbe essere accompagnato e supportato da commissioni di ricerca appositamente costituite.

Diffondere capillarmente una cultura e una pratica dei processi valutativi nel mondo della scuola è anche una questione etica, dal momento che i  programmi di sviluppo tecnologico richiedono investimenti consistenti di denaro pubblico e sarebbe giusto far conoscere alla comunità nazionale  il bilancio di simili investimenti.

Il sistema attualmente in uso in Italia, che consiste nella pratica dei cosiddetti monitoraggi, pare interessante soltanto a livello statistico, mentre in realtà le valutazioni che dovrebbero essere condotte a fronte di massicci programmi come il PSTD 1997/2000, rientrano nel campo di una vera e propria ricerca orientata alle decisioni e dovrebbero comprendere strumenti più complessi e sofisticati, compresi sistemi di valutazione degli apprendimenti.

Ciò che interessa alla comunità è non tanto la ratio studenti/computer o il numero di collegamenti ad Internet nelle scuole italiane, quanto conoscere se e come, l’introduzione delle tecnologie informatiche, nel modo in cui è stata gestita, abbia prodotto un miglioramento degli apprendimenti, della motivazione e dell’autostima degli studenti, o un mutamento dell’organizzazione scolastica in direzione di una maggiore efficienza. Sembrano questi gli indicatori più efficaci, anche se non così semplici da mettere a punto, per valutare  concretamente il rapporto costi/benefici.  Il mondo della ricerca scientifica è chiamato così a collaborare strettamente con la scuola,  nella cornice di una cultura nuova, secondo il modello inglese o americano, e il mondo politico, da parte sua, ad assumere decisioni supportate dai risultati della ricerca.

Accanto a questa priorità, inoltre, i paesi più avanzati pongono quella degli investimenti nel campo della ricerca e sviluppo delle applicazioni e dei contenuti didattici disponibili . L’innovatività e il successo dei paesi scandinavi, come è noto, e sulla stessa linea si colloca anche l’esperienza del Regno Unito, risiedono proprio nella centralità che la ricerca e  il parere degli scienziati assumono ogni qual volta si tratta di definire le linee politiche in materia di nuove tecnologie, mentre nel nostro paese questo riconoscimento del ruolo guida della ricerca  manca totalmente o è confinato ai progetti pilota.[10]

 

Perché il computer in classe.
Ovvero per un uso costruttivo delle nuove tecnologie 

Nella nostra società l’alunno giunge spesso ad un contatto assai precoce con lo strumento informatico in contesti esterni a quello scolastico. Oggi quasi ogni famiglia dispone di un Personal Computer  cui il bambino spesso si accosta,  dapprima osservando i propri genitori operare con esso, poi servendosene come strumento di gioco, essendo ormai estremamente diffusa la moda dei video-games.  Molti di noi, osservando i propri figli anche in tenera età, armeggiare con una facilità che in parte ci sorprende, in parte suscita in noi una piccola dose di invidia, avvertita non senza un pizzico di colpevolezza, con il mouse, con il joystick,  e  superare con nonchalance complessi giuochi di abilità, non hanno potuto fare a meno di accorgersi che il computer e il bambino vanno in genere molto d’accordo, che l’uso del computer è sorprendentemente naturale per il bambino piccolo, tanto che l’affermazione di Roberto Maragliano del bambino come “essere multimediale”, non ci è mai sembrata così vera. 

Potrebbe dunque risultare spontaneo ai profani domandarsi perché il computer a scuola, che bisogno ci sia di introdurlo anche lì se si è appena detto che i bambini sono già bravissimi ad usarlo a tre anni, che lo usano regolarmente nelle proprie abitazioni, con i propri amici e con i propri fratelli, che in sostanza giungono a scuola conoscendolo già molto bene e spessissimo di gran lunga molto meglio dei loro insegnanti.

E’ proprio a questo punto della questione che deve innestarsi la nostra riflessione sull’utilità e sull’importanza della presenza del computer come strumento didattico.

Anche se molti studenti, ma non tutti[11], sapranno già usare il computer nella scuola elementare avendo già avuto contatto con esso in contesti extra scolastici, l’importanza di un suo uso didattico sarà pur sempre fondamentale per una serie di ragioni.  L’uso del computer che può essere promosso nel contesto di attività didattiche attentamente pianificate da insegnanti esperti e consapevoli, non potrà mai essere lo stesso che gli alunni attuano a casa con finalità ludiche o di evasione, e per fortuna, viene spontaneo aggiungere.

Se è vero infatti che anche l’uso a scopi ludici del computer comporta certi tipi di apprendimento, pur importantissimi[12], esso è collegato ad alcuni rischi che la scuola potrà agevolmente concorrere ad evitare.  Si fa riferimento a rischi da sovraccarico cognitivo (Informations Overload), da disorientamento, ed altri, dei quali la letteratura neuropsichiatrica e non, ha già abbondantemente discusso[13].

Tali rischi possono essere evitati soltanto grazie alla presenza dell’insegnante, che è indispensabile figura di riferimento per inserire in una cornice di senso l’attività che bambini e ragazzi svolgono con il computer. Solo un insegnante consapevole, in qualità di “adulto significativo”, che avrà saputo perfettamente integrare l’attività informatica con la programmazione curricolare e che avrà dunque ben chiari gli obiettivi che intende con essa perseguire, potrà evitare che il computer si trasformi per il bambino o per l’adolescente in esperienza ossessiva ed isolante. Soltanto se  i bambini saranno indirizzati a servirsi attivamente del computer potranno evitare di “subirlo”, come un serbatoio da cui attingere passivamente.

 La presenza del computer in classe o  in aule multimediali per produrre elaborati individuali o di gruppo, per condurre ricerche, per affrontare simulazioni o, più in generale, per apprendere, può contribuire ad assottigliare il divario tra scuola ed extra scuola, può introdurre una dimensione di piacevolezza nell’esperienza di apprendimento, che è gratificante e motivante, soprattutto per gli alunni in difficoltà, come efficacemente hanno dimostrato le numerose ricerche sull’uso dello strumento informatico con i discenti in situazione di handicap[14].

Fare in modo che la presenza del computer a scuola incoraggi il suo uso in qualità di strumento di lavoro, è inoltre un aspetto importante della questione che non può e non deve essere sottovalutato. Gli alunni potranno, grazie ad esso, imparare a gestire meglio il loro lavoro, mettere a punto strumenti, quali archivi o data base, fogli elettronici, schede,  che renderanno più efficace la loro attività di studio e, al tempo stesso, potenzieranno la dimensione metacognitiva dell’apprendimento.

Quanto ai  collegamenti Internet, abbiamo motivo di credere che questi siano attualmente sfruttati prevalentemente per la ricerca di informazioni e pochissimo per la comunicazione, per la costituzione di classi virtuali, per il lavoro in gruppi di apprendimento.  I dati del questionario conclusivo di monitoraggio, somministrato ai docenti coinvolti nel progetto 1.b nel 2000,  rivelano che più del 79% dei docenti non effettua mai collegamenti con altre classi o con altri colleghi, mentre il  69% non fa mai uso della posta elettronica.

Questi dati ci consentono di affermare che le nostre scuole sono ancora agli albori nell’utilizzo delle tecnologie e che il potenziale didattico della rete delle reti, ad esempio, è soltanto sfruttato al minimo; ne è privilegiato un uso ricettivo, passivo, come grande contenitore di informazioni, mentre gli studi dimostrano che uno dei più significativi contributi che il web può offrire agli studenti risiede proprio in quelle forme di apprendimento costruttivo e collaborativo che si verificano nell’ambito dei  gruppi virtuali.

Tale linea di pensiero è seguita da eminenti studiosi delle reti come De Kerckove, il quale sostiene che uno dei principali vantaggi offerti da una didattica che utilizzi i collegamenti on-line, consiste proprio nella possibilità di creare comunità virtuali di persone che cooperino al raggiungimento di uno stesso obiettivo, senza soffrire di vincoli spaziali o temporali e dando vita ad un processo di pensiero collettivo che, pur essendo molto simile al processo mentale individuale, ha il grande vantaggio di essere prodotto da una sorta di “super-mente” che scaturisce dalla partecipazione di un grande numero di pensieri individuali.

Il ruolo del confronto fra diverse prospettive nel processo di apprendimento è ben messo in luce anche da Cunningham, secondo il quale “la crescita concettuale deriva dalla condivisione di prospettive differenti e dal simultaneo cambiamento delle nostre rappresentazioni interne in risposta a quelle prospettive”.[15]

Lo scambio interpersonale,favorito e promosso in grande misura da una didattica che privilegi la dimensione di apprendimento collaborativo e di peer learning del collegamento in rete, è  inoltre particolarmente adatto a tradurre nella pratica didattica i principi del costruttivismo[16].

Sono state condotte esperienze assai felici in questo ambito, come quella dei Learning Circles di Riel, che dimostrano non solo l’efficacia dell’interattività che si sviluppa in questi circoli, ma anche l’influenza che simili modalità di apprendimento hanno sui rapporti interpersonali, in particolare sul rapporto fra allievi e docente che migliora e si arricchisce.[17]

Quanto affermato non intende tuttavia disconoscere l’importanza della rete come grande serbatoio di informazione cui poter attingere nel corso delle attività didattiche, ma anche qui il terreno è scivoloso e richiede ancora una volta un appello alla consapevolezza pedagogica dei docenti.

La ricerca di informazioni in rete non può essere condotta con improvvisazione ed estemporaneità, mentre necessita di un’attenta pianificazione e dell’acquisizione di opportune strategie di interrogazione delle banche dati. Diversamente il rischio che gli studenti corrono è quello di imbattersi in una quantità incontrollata di informazioni, molte delle quali non utili o non pertinenti.

Il docente dovrà essere allora un abile nocchiero di questa moderna forma di navigazione, possedere conoscenze sui meccanismi di funzionamento delle banche dati e dei motori di ricerca e trasmetterle agli allievi, insegnare loro come si procede in maniera consapevole in un processo di ricerca che abbia come obiettivo l’acquisizione di informazioni coerenti ed utili in rapporto al lavoro che è chiamato a svolgere.   Dovrebbero essere previsti ad esempio moduli multidisciplinari finalizzati all’acquisizione di queste abilità fondamentali (Information Literacy) all’interno dei quali uno spazio importante potrebbe essere dedicato alla conoscenza e alla sperimentazione del metodo SEWCOM che promuove, prima della ricerca vera e propria, una fase di riflessione metacognitiva sull’oggetto della ricerca stessa,  da svolgere con gli alunni preferibilmente in gruppo. Il metodo si avvale dell’ausilio delle mappe concettuali, dello studio del lessico,  degli operatori booleiani ed ha fin’ora evidenziato interessanti effetti sul terreno della ricerca sperimentale, come la considerevole riduzione del tempo da dedicare all’interrogazione dei motori e la maggior pregnanza dei risultati reperiti.[18]

 

Alessandra Rucci

Docente di Materie Letterarie e Latino presso il Liceo Galileo Galilei di Ancona
Docente di Didattica della Geografia e di Laboratorio della Relazione Educativa presso la Scuola Interuniversitaria di Specializzazione all’insegnamento Secondario (SSIS) delle Marche
Laureata in Scienze dell’Educazione presso la Libera Università degli Studi di Urbino con una tesi di ricerca  in Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento dal titolo: “Il programma di sviluppo delle tecnologie didattiche 19997/2000. L’innovazione nella scuola italiana tra presente e futuro”, Giugno 2002.

 



[1] Circolare Ministeriale n. 152 del 18 ottobre 2001 e Circolare Ministeriale n. 53 del 21 maggio 2002.

[2] Ovviamente il settore pre-primario è posto sotto l’amministrazione delle Direzioni Didattiche o degli Istituti Comprensivi, quindi non si intende parlare di una totale dimenticanza dei documenti in questione, quanto della assoluta necessità di sottolineare il ruolo fondamentale di questo segmento scolastico che, restando escluso dall’obbligo, rischia di essere relegato ai margini di questo processo.

[3] Sull’argomento si potrebbe citare una vastissima bibliografia, ma basterà ricordare alcuni riferimenti fondamentali:

H. GARDNER, Formae Mentis, Milano, 1987,

R. MARAGLIANO, La nuova didattica multimediale, Roma, 1996

R. MARAGLIANO, Lo spazio multimediale è un modello di filosofia, in Telema, 12, 1998

G. MARTINI, Ipertesto. Note per una grammatica del linguaggio ipertestuale e ipermediale, Atti dello Stage Nazionale del Movimento di Cooperazione Educativa “Pensare, giocare, comunicare con ipertesti”, Carpi, 1-3 aprile, 1993,

S. PAPERT, I bambini e il computer, Milano, 1994,

I. TANONI, L’immagine bambina, Perugia, 1997

L. VITALI, Il videogioco della scrittura, Roma, 1993

[4] Gli interventi di formazione potrebbero essere affiancati da programmi che prevedano o la cessione in comodato di PC  ai docenti che ne sono sprovvisti,  oppure forme di finanziamento a tasso agevolato o prive di interessi per l’acquisto degli apparecchi, sulla base degli esempi della Danimarca, della Svezia, della Finlandia, del Regno Unito. A questo proposito è opportuno ricordare che esistono già delle convenzioni che il Ministero ha stipulato con alcune aziende produttrici o distributrici di hardware e software, che offrono ai docenti possibilità di acquisto agevolato; tali convenzioni non sono però state opportunamente pubblicizzate nelle scuole e molti docenti ne ignorano ancora l’esistenza. In ogni caso esse andrebbero ulteriormente estese.

[5] In Danimarca il progetto KOM-IT, iniziato nel 1997, ha interessato il settore dell’istruzione professionale. In ogni scuola è stato formato un team di docenti  referenti in TIC che hanno avuto il compito di sviluppare almeno quattro progetti didattici finalizzati anche alla creazione di reti fra diversi istituti. Cfr. il documento ICT in Education Policy, già citato, pg. 11.

[6] Si tratterebbe del docente formato attraverso il Percorso B previsto dalla C.M. 53 del 21/5/02.

[7] Ci si riferisce ad esempio anche all’assurdo criterio in base al quale, per un docente di ruolo inserito nella graduatoria dell’ Istituto presso il quale è titolare di cattedra, non hanno valore aggiunto né il punteggio con il quale ha conseguito il Diploma di Laurea, né quello con il quale ha conseguito l’abilitazione all’insegnamento, e  alla perversità del criterio in base al quale, ad esempio, il conseguimento di un titolo culturale aggiuntivo, come un secondo Diploma di Laurea, oltre a non essere valutato in base alla votazione ottenuta, è equiparato ad un titolo inferiore come il Diploma di Specializzazione Post Lauream biennale. E se volessimo ulteriormente approfondire, che ne è dell’esperienza in qualità di figura – obiettivo, visto che questa non prevede alcun riconoscimento in graduatoria, nonostante comporti un elevato carico di responsabilità e di lavoro aggiuntivo, a fronte di una indennità economica assolutamente iniqua? Che dire ancora delle condizioni di precarietà nelle quali molti docenti, anche di ruolo già da anni, a causa della normativa sulla mobilità dei soprannumerari e della mancata applicazione estensiva degli organici funzionali, sono costretti a  svolgere il loro lavoro con l’incubo di essere assegnati a sedi sempre diverse e spesso lontane dai luoghi di residenza?

[8] Per quanto riguarda l’apertura delle scuole alla cittadinanza, in qualità di biblioteche multimediali o punti di accesso gratuiti ad Internet, pare indispensabile prevedere anche la disponibilità di personale addetto a tali servizi in orario extra-scolastico. Si potrebbe pensare a questo proposito a figure diverse dai docenti, come personale reclutato dagli Enti Locali e in servizio per attività di formazione professionale degli adulti o di consulenza (si pensi agli addetti agli attuali “sportelli” informativi ormai presenti presso tutti gli enti locali), ovviamente in possesso di specifici requisiti per l’uso delle tecnologie telematiche, o, forse più opportunamente, ad operatori delle biblioteche comunali. Un’altra possibile soluzione potrebbe essere quella di appaltare il servizio a cooperative specializzate in questo genere di servizi.

[9] Uno spunto di grande interesse è rappresentato dalla Guida ai processi di valutazione pubblicata negli Stati Uniti nel 1998, ad uso degli insegnanti.  Cfr. AMERICAN INSTITUTE OF RESEARCH, An Educator’s Guide to evaluating the use of technology in the schools and classrooms, Washington, 1998. Si tratta di uno strumento di supporto per gli educatori che ha lo scopo di aiutarli appunto nei processi di valutazione dell’uso didattico delle tecnologie informatiche, sulla base di pochi, ma significativi indicatori applicabili anche da chi non ha grande esperienza nel campo della ricerca decisionale, come i docenti.

[10] Si citano a questo proposito i principali Enti di ricerca: IT Kommissionen per la Svezia, il Learning Lab per la Danimarca, la BECTA per il Regno Unito, il  Work Group for Digital study Resources per la Norvegia, il National Board of Education per la Finlandia.

[11] E’ più che mai opportuno non trascurare il rischio del cosiddetto digital divide, ovvero il possibile gap che può formarsi tra chi ha accesso alla tecnologia e chi invece, per ragioni legate essenzialmente ad uno svantaggio socio-culturale, ne resta escluso, divenendo un potenziale “analfabeta della società dell’informazione”. L’unica istituzione che può contrapporsi efficacemente all’innescarsi di questo fenomeno è proprio la scuola, che deve dotare tutti dei nuovi alfabeti digitali.

[12] Cfr. A. CAROTENUTO, Apprendere la telematica resti un gioco e una scoperta, in “Telema”, 24, 2001: “…il computer, inteso come gioco, come sfida ludica, fornisce un prezioso apporto al formarsi dei processi logici di ordine superiore: astrazione, categorizzazione, analisi e così via. Usare il computer è la maniera migliore per entrare in confidenza diretta, pratica, con i processi mentali. Perché dopotutto l’elaboratore elettronico è una macchina  che simula il funzionamento del nostro cervello.”

[13] E’ noto che lo scenario attuale vede schierate due opposte tendenze di pensiero, una portata a demonizzare gli strumenti tecnologici, caratterizzata da un forte allarmismo per i possibili rischi in cui i bambini e gli adolescenti potrebbero incorrere con il loro uso, l’altra contraddistinta invece da un forte entusiasmo  per gli effetti benefici che sarebbero connessi all’uso delle tecnologie informatiche. Fra gli esponenti più autorevoli dell’ultima corrente citiamo  ROBERTO MARAGLIANO, Esseri Multimediali, op. cit.; Nuovo Manuale di Didattica Multimediale, Roma-Bari, 1998;AOLO BENVENUTI, Come usare il Computer con bambini e ragazzi, Torino, 1999;RANCESCO ANTINUCCI, Computer per un figlio. Giocare, Apprendere, Creare, Roma-Bari, 1999. Al di là degli entusiasmi, pur se per molti versi legittimi, nessun accorto fautore dell’uso delle nuove tecnologie potrebbe negare i loro possibili effetti negativi, tanto che  autorevoli esperti in materia, come Antonio Calvani e David Menghnagi li sottolineano in varie occasioni. Cfr: A. CALVANI, Tre questioni da affrontare, in “Telema”, 24, 2001: “Non ha più molto senso ormai stare a disquisire in astratto sugli aspetti positivi o negativi che i nuovi media possono comportare: c’è ragionevole concordanza sul fatto che essi implicano sia gli uni che gli altri…Si tratta piuttosto di pronunciarci su come possiamo intervenire per fare in modo che le valenze positive prevalgano su quelle negative…”; e D MENGHNAGI, in http://www.Repubblica.it , settembre 2001, Bambini nella rete, intervista a cura di Luciana Sica: “Purtroppo non c’è ancora nessuna cultura della salute legata all’uso del computer, che può aggredire la retina e affaticare gravemente gli occhi, così come un eccesso di mobilizzazione della mano può produrre dolori articolari, infiammazioni. Sono queste questioni serie, tanto più se parliamo dei piccoli…”. Si ricorda inoltre che negli Stati Uniti, in Arkansas una legge limita addirittura l’uso dei computer a cinque ore al giorno per salvaguardare la salute dei cittadini.

[14] Si veda a proposito: L. GIACCO, C. RICCI, Computer e Handicap: una ricerca-intervento, in C. RICCI, G. TIBERTI, R. PANCIOTTI, Handicap e Scuola. Dal sostegno all’allievo al sostegno alla classe; C. RICCI, Didattica sostenuta da computer nell’insegnamento all’allievo con handicap psicofisico, in “HD Giornale Italiano di Psicologia e Pedagogia dell’Handicap e delle Disabilità di Apprendimento”, vol. 78, 1995.

[15] D.J. CUNNINGHAM, Assessing Construction and Constructing Assessments: a Dialogue. In “Educational Technology”, 1991, vol. 31, n. 5.

[16] Cfr. L.S. VYGOTSKY, Mind in Society:  The Development of Higher Psychological Processes, 1978, Harvard University Press, Cambridge, Massachussets; R. T.JOHNSON, D.V. JOHNSON, Cooperative Learning and Achievement, in S. Sharan, Cooperative Learning: Theory and Research, 1991, Praeger, New York; W. DAMON, Peer Education: The Untapped Potential, in “Journal of Applied Developmental Psycology”, 1984, vol. 5, pp. 331-343.

[17] M. RIEL, J. LEVIN, Building Electronic Communities : success and Failure in Computer Working., in “Instructional Science”, 1990, vol. 19, pp. 145- 169. M. RIEL, A Functional Analysis of Educational Telecomputing: A Case of Study of Learning Circles. In “Interactive Learning Environments”, 1992, vol. 2, n. 1, pp. 15-29; M. RIEL, I Circoli di Apprendimento, in “TD Tecnologie Didattiche”, 1993, vol. 1, n.2.

[18] Si veda a proposito C. PETRUCCO, Costruire mappe per cercare in rete: il metodo Sewcom, in TD-Tecnologie Didattiche, n. 25, 2002, reperibile anche in rete: https://www.edscuola.it/archivio/software/sewcom.html .


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