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Colloqui linguistici - Marzo 2007
a cura di Nunzia latini

A colloquio con il professor Paolo Balboni.

Ad un convegno di Roma dell'Anils di qualche anno fa, girò la voce dell'annullamento dello stesso a causa del prof.: non c'era nessun annullamento e il convegno ebbe un gran successo come al solito.

Un professore che sempre di più si occupa di questo nostro idioma, masticato male dalle nuove generazioni, meglio dagli stranieri di livello B, appreso volutamente da chi ama i ricchissimi aspetti culturali. Su web possiamo trovare la sua ricca biografia e la sua disponibilità a stare tra di noi è già realtà. Mentre aspettiamo le vostre domande a stranieri@edscuola.eu,  gliene facciamo alcune noi:

La prima è: quanto possiamo essere stimolati, avvicinati e incuriositi, da una società sempre più multiculturale, a voler apprendere e conoscere lingue e culture diverse?

A Venezia c'è un vecchio proverbio, le cui parole chiave (per i non veneziani) sono "viazàr = viaggiare", "descanta = sveglia, fa aprire gli occhi" e "mona = stupido, sciocco, tonto":

Viazar descanta, ma chi parte mona torna mona

Non è la differenza in quanto tale che ci "descanta", non è la globalizzazione che ci apre gli occhi sugli altri: è l'intelligenza del viaggiare, dell'affrontare la globalizzazione, di guardare ai diversi che troviamo in giro per il mondo e che troviamo in casa nostra.
La prima necessità per chi vuole aprire gli occhi è quella di aprire la bocca, di parlare - magari male, arrangiandosi, ma con disponibilità.
Disponibilità a far fatica, disponibilità a parlare le lingue facendo fatica, disponibilità a ridere dei propri errori, a sorridere di quelli degli altri, a non lasciarsi abbattere dalla mancanza di una parola, dal non capire tutto. Le si affrontino in questo modo le lingue! Non si torna e non si è "mona".
Quanto all'insegnamento delle lingue, oggi ce le presentano con strumenti per essere meno "mona", anziché presentarcele come complessi sistemi formali di lessemi ed unità di combinazione.

La seconda: che ruolo ha la lingua italiana nel mondo?

Un ruolo percepito ed un ruolo reale.
Il ruolo percepito dagli umanisti italiani e stranieri che insegnano italiano è quello della grande lingua di cultura - Dante, Petrarca, Michelangelo, ecc. Questa percezione spiega la chiusura di tanti dipartimenti di italiano nel mondo.
Ma i corsi di italiano escono dai dipartimenti tradizionali e rientrano nei centri linguistici dove la cultura italiana è rappresentata dalla raffinatezza di Armani e Giugiaro, di Valentino e Pininfarina, dove il teatro musicale (ignorato nelle storie della letteratura e della cultura italiana) continua ad essere riempito, in ogni cartellone, dai nomi di Verdi, Puccini, Mascagni; dove non si ignora la cultura scientifica italiana: Galileo, Malpighi, Galvani, Volta, Torricelli, Meucci, Marconi, Fermi sono assenti dalla percezione degli umanisti, ma sono ben presenti, con i loro seguaci di oggi, in slogan come quello della Ferrari alla fine dell'ennesimo campionato di Formula 1 vinto: "fantasia tedesca su tecnologia italiana". L'esportazione di tecnologia di alto livello di componentistica, è un dato di fatto sulle cui ali vola l'italiano, lingua di molte iniziative commerciali ed attività industriali, lingua del fare, non solo di ciò che fu fatto secoli fa.
E su queste onde l'italiano cresce, smette di essere la lingua etnica degli immigrati e diventa una delle lingue necessarie per la globalizzazione, che in generale procede in inglese ma poi nelle singole aziende e nei singoli comparti di import-export deve esprimersi nelle lingue dei paesi di provenienza delle aziende, delle merci, dei tecnici.

La terza: che rapporto è quello dei nostri giovani con le lingue straniere?

Ottimo, con le lingue straniere; pessimo, con le lingue straniere nella scuola.
Non è colpa degli insegnanti, o almeno non tutta colpa loro; è colpa di una cultura dell'approssimazione, dell'arrangiarsi: se è vero che per capire il mondo basta arrangiarsi in qualche modo e girare, svegliandosi e senza tornare "mona", è anche vero che per interagire con il mondo non basta l'approssimazione, serve una competenza comunicativa sia efficace sia corretta - e la correttezza costa, la precisione e la ricchezza lessicali costano. Quindi a scuola gli studenti hanno un brutto rapporto con il prof. che pretende le cose faticose.
Se comunque per l'inglese c'è un'accettazione rassegnata della fatica, per le altre lingue la situazione è drammatica, proprio perchè in una logica di risparmio di ogni fatica ci si accontenta dell'inglese senza capire che il di più, il valore aggiungo nel mondo globalizzato non è sapere l’inglese, che devono sapere tutti, ma un'altra lingua, magari due, tre...

Una domanda veloce e diretta (magari formalmente non curatissima ma è l'una di notte e oramai ho speso tutto per oggi...). Sono laureata in lingua cinese e insegno italiano L2 nelle scuole italiane, scuola primaria e scuola secondaria, a bambini e ragazzini di varie nazionalità... sono praticamente un autodidatta anche se negli ultimi due anni ho cercato di supportare il mio lavoro con "la scienza" e ora mi sto diplomando al laboratorio Itals (Master Itals).
Come si fa ad entrare nel mondo della ricerca per quanto riguarda l'insegnamento dell'italiano L2 o Ls a bambini?. Ho letto che Lei fa ricerca di questo tipo.

Entrare nel mondo della ricerca (sull'italiano L2 come sulla biochimica) richiede:
- adesione ad un gruppo di ricerca: un dottorato, un dipartimento, uno dei vari centri che operano nel settore, la redazione di una rivista e così via - non mancano le occasioni di fare ricerca, se si arriva con un progetto di ricerca. Un progetto è una cosa articolata, con obiettivi, metodologie, ecc.
Se si considerano queste due realtà, entrare nel mondo della ricerca è possibile: ho circa una sessantina di laureati, masterini, dottorandi, dottori di ricerca che collaborano al mio centro di ricerca; altri ce ne sono nelle due università per stranieri e nei vari master italiani (veda la ADMIS in http://www.insegnare-italiano.it) sul tema; abbiamo in http://www.itals.it un bollettino aperto alle collaborazioni, c'è nello stesso sito la BIG (in basso a sinistra) che accetta abstract di chi fa ricerca e studia... come vede, c'è solo l'imbarazzo della scelta.
L'unica cosa che non funziona è andare in un centro di ricerca e dire "voglio fare ricerca: fatemi lavorare"; si deve dire "ho queste idee, queste curiosità, ho fatto questo progettino: secondo voi, può essere la base per
una ricerca?" E di solito, se il progetto vale e se il tema non è già stato oggetto di ricerca, le porte si aprono.

Come si può sviluppare nella pratica la competenza sociolinguistica degli alunni?

La competenza sociolinguistica non è, come si crede spesso, qualcosa che viene dopo, a completare un percorso: è prioritaria in un paese dove, come nel nostro, in molte regioni convivono e si alternano, spesso nella stessa
frase, italiano e dialetti.
Come può un povero straniero distinguere l'input, dato in due lingue compresenti, se non viene dapprima informato, nella sua stessa lingua, dal mediatore culturale o dal facilitatore linguistico, che in quella zona si
parlano due lingue e non una?
Per il resto, l'unica componente sociolinguistica essenziale dopo una primo livello di italbase (usiamo questa espressione per le BICS di Cummins, Basic Interpersonal Communication Skills) è l'opposizione formale informale nel rivolgersi alle persone classificandole in base al ruolo.
Certo, non è lo Spirito Santo a insegnare sociolinguistica spontaneamente allo straniero, e non possiamo neppure facilmente insegnarla noi: possiamo insegnare ad osservare e capire quali elementi appartengono a italiano e
dialetto e, poi, come si articolano le varietà in italiano e in dialetto, focalizzando l'attenzione dello studente sia su alcuni aspetti (ad esempio il pronome formale "lei" in italiano e quello "voi" in molti dialetti e, quindi, in molte varietà di italiano regionale), sia sulla sociolinguistica awareness, quella consapevolezza sociolinguistica su cui molto ha scritto Matteo Santipolo.

Riscoprire il volto umano apre spazi di interazione con lo sconosciuto che ci vive accanto per giungere ad una condivisione prima insospettata. La nuova scoperta dell'essere insieme in questa società così "strana"
può allora generare gioia, calore, amore e divenire una proposta educativa di ampio respiro. Non e' facile questo ottimismo soprattutto nella scuola superiore. Lei ha scritto in questo senso sul valore interculturale. Cosa tenere in mente per avere alti questi principi, nella quotidiana difficolta'?

La vita scolastica, per noi insegnanti, fa parte della vita
quotidiana: non c'è iato tra quel che siamo a scuola e a casa, con amici, al supermercato, in spiaggia. Un atteggiamento di gentilezza, l'attenzione a quel che facciamo per evitare che vada gratuitamente contro gli altri, la consapevolezza che tutti hanno momenti di defaillance, che una battuta fa bene a tutti: sono cose che non cambiano da scuola a vita quotidiana. E' una forma mentis, non una scelta didattica. Non intendo "porgere l'altra guancia", una passiva e rassegnata accettazione di quel che succede intorno. Intendo un atteggiamento che rifiuta lo scontro continuo, l'imposizione continua delle proprie idee, il considerare sistematicamente gli altri come inferiori. In classe, come nella vita quotidiana, ciò può aiutarci a lavorare e vivere sereni - o quanto meno agitati, inutilmente agitati - di quanto spesso avvenga.

Spesso sento parlare e trovo spesso testi autentici negli strumenti didattici. Io non trovo motivi per il quale, in un libro si debba apprendere su qualcosa di diverso se non il testo di autori consapevoli di cio' che scrivono. Tutto il resto, gli studenti lo possono trovare sulle riviste.
Questi testi saranno anche per una comunicativa autentica ma non sono testi creati per scopi glottodidattici e alcune volte mi trovo a dover spiegare qualcosa oltre il programma che mi fa perdere tempo. Conosco il QCER, il Quadro che ci spinge verso la comunicazione e la pratica linguistica ma credo che ci siano momenti didattici e momenti di conversazione libera o riflessione libera su scritti diversi. Grazie della sua riflessione.

I materiali autentici sono utili ma non possono avere l'esclusiva. e poi c'è autenticità:
- pragmatica: un testo autentico, che aveva un suo fine pragmatico quando è stato creato, è ancora autentico quando viene usato in classe, analizzato, ecc?
- psicologica: il testo era autentico per le persone che l'hanno usato, o è ancora per uno studente straniero?
- glottodidattica: un testo di livello C1 o C2, da madrelingua autentici, è ancora autentico se usato con un B1?

 


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