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Francesco Aliperti, L’Opicia preromama e romana, Ler Editrice, Marigliano (NA), 2005.

di Salvatore Lucchese

Da un punto di vista culturale, i processi inerenti la globalizzazione implicano l’omogeneizzazione dei linguaggi, dei comportamenti e degli stili di vita. In altri termini, si assiste ad una progressiva perdita di memoria delle proprie radici e delle proprie tradizioni a vantaggio di una cultura globale sempre più sinonimo di macdonaldizzazione.

Tuttavia, negli ultimi anni si sta assistendo anche al fenomeno della glocalizzazione, ossia alla rivalutazione sociale, economica, politica e culturale delle diverse identità territoriali, che, inserite nella rete dei rapporti internazionali, vengono valorizzate e promosse al fine di realizzare un processo di unificazione che salvaguardi le identità peculiari.

E’ all’interno di questo nuovo clima culturale che bisogna calare e valutare la rinascita dei numerosi studi di storia locale, che rispondono sempre di più all’esigenza sociale di riappropriarsi delle proprie identità in relazione alle altre comunità presenti a livello locale, nazionale e globale.

A prescindere dall’esecrabile e criticabile uso ideologico e mistificatorio della memoria storica, la rinascita di rigorosi studi di storia locale non può fare altro che arricchire il patrimonio culturale delle diverse comunità, rendendole maggiormente consapevoli delle proprie origini storiche e delle relazioni avute con le altre comunità nel corso dei secoli.

Ed è proprio questo il merito del poderoso studio di Francesco Aliperti – docente di storia dell’arte, cultore di storia locale e saggista – L’Opicia preromana e romana, edito da Ler Editrice.

Il testo riprende il nome originario con il quale anticamente si designava grosso modo l’attuale territorio della Campania antistante l’area del monte Somma-Vesuvio, con il chiaro intento di porre fine ad una grave lacuna storiografica che ne caratterizza le ricerche di storia locale.

Alla curiosità legittima – precisa l’autore – di saper il perché di queste pagine, allorché la bibliografia risulta già satura di trattati sull’argomento, la risposta emerge spontanea ed altrettanto legittima: perchè mai nessuno storico prima d’ora ha avvertito la necessità di veicolare verso i cultori di storia locale gli argomenti in esse contenuti, secondo un’organica logica finora inedita: ossia, esporre con una visione globale la storia che riguarda il solo territorio abitato, ab immemori, dagli Osci, dai suoi albori fino al massimo splendore dell’età imperiale, aggiornata secondo le recenti conoscenze sopragiunte (Ivi, p. 9).

Proprio questa impostazione e questo intento originale che caratterizzano il testo, giustificano la ripresa del termine originario di Opicia, coniato dai greci e riscontrato per la prima volta nelle opere di Tucidide. In tal modo, l’autore intende recuperare la memoria storica di una vasta zona dell’attuale Campania e rendere gli attuali abitanti consapevoli delle loro radici.

Attraverso un lungo exursus storico che parte dall’età paleolitica per giungere all’eruzione pliniana, sono ricostruite e narrate con stile asciutto e rigoroso le principali vicende economiche, politiche, militari e culturali dell’Opicia, decritta puntualmente anche da un punto di vista fisico ed idrografico.

Ne emerge un’immagine dell’attuale Campania come territorio di antichi insediamenti e profonde radici culturali, abitato da vari popoli italici, greci ed etruschi che intessevano tra loro ora cruenti rapporti conflittuali ora pacifiche relazioni politiche, economiche e culturali.

La scorrevole narrazione e la puntuale bibliografia che lo arricchisce fanno dell’Opicia preromana e romana un prezioso testo di riferimento non solo per i cultori di storia locale, ma anche per i docenti-ricercatori interessanti a trarre spunti per la progettazione di percorsi didattici tesi a fare apprendere attivisticamente e costruttivisticamente ai propri allievi le radici del loro territorio.

 


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