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Allende e il romanzo oggi
(Tra favola e impegno)

di Antonio Stanca

Per settimane in testa alle classifiche di vendita è stato "La città delle Bestie" (ed. Feltrinelli), l’ultimo romanzo di Isabel Allende, giornalista e scrittrice cilena, nata nel 1942 e vivente negli Stati Uniti dopo permanenze in Cile e Venezuela. Da tempo ella si è fatta conoscere dal pubblico anche europeo per le sue narrazioni impegnate a proporre vicende, personaggi propri dei suoi luoghi d’origine, dell’America latina ed in particolare dell’entroterra di questa, di ambienti, cioè, rimasti lontani dal processo d’industrializzazione che ha investito l’Occidente, ancora scarsamente frequentati e intatti negli aspetti naturali, negli usi e costumi degli abitanti. Le storie narrate dall’Allende hanno suscitato la curiosità ed attirato l’attenzione dei lettori di ogni paese perché hanno permesso loro di conoscere luoghi, sistemi di vita individuale e collettiva, completamente ignorati, molto suggestivi e facili da cogliere date la semplicità della rappresentazione e la scorrevolezza dello stile. In tal modo la scrittrice s’è inserita in quella corrente letteraria comparsa negli ultimi decenni del Novecento e rappresentata da autori del Terzo Mondo quali García Márquez, Alvaro Mutis, Manuel Scorza, Mario Vargas Llosa, Antonio Skármeta, Luis Sepúlveda, Osvaldo Soriano nell’America meridionale e caraibica, Nagib Mahfuz, Doris Lessing, Nadine Gordimer, Wole Soyinka, Chinua Achebe, Ben Jelloun in Africa, Salman Rushdie, Amitav Shosh, Vidiadhur Naipaul in Asia. La produzione di questi, soprattutto narrativa, ha rappresentato un fenomeno importante sia all’interno dei confini nazionali dove, tramite il genere romanzo, ha modificato una tradizione letteraria giunta fino a loro come espressione soltanto orale o poetica o semplice narrazione di miti e leggende, sia all’esterno dove ha ridato vigore ad un genere letterario che languiva per aver esaurito le potenzialità ed era alla ricerca di quanto potesse liberarlo dagli artifici, dalle sofisticazioni che ne avevano fatto una creazione soltanto mentale. Perciò le opere di tali autori oltre a costituire, col tempo, una corrente letteraria ed artistica ben definita e dare ai propri paesi una moderna identità culturale, hanno riportato all’estero un successo di pubblico e di critica sempre più esteso. Ne sono conferma i Nobel per la letteratura assegnati a Márquez (1982), Mahfuz (1988), Gordimer (1991) e Naipaul (2001).

Alle complicate e astratte elaborazioni contenute da tanta narrativa occidentale questi scrittori contrapponevano immagini vere, autentiche di ambienti, situazioni, condizioni umane e sociali, pensieri, azioni, sentimenti e avvincevano il lettore per la naturalezza del contenuto e la semplicità della forma. Temi e modi nuovi, facili, coinvolgenti venivano proposti ad un pubblico che si era allontanato dalla lettura divenutagli difficile, incomprensibile perché di autori in crisi.

In tale contesto si collocano la produzione narrativa di Isabel Allende e il successo che dal primo romanzo, "La casa degli spiriti" (1982), l’ha accompagnata fino a quest’ultimo. "La città delle Bestie" fa parte di una trilogia programmata dalla scrittrice e intitolata "Le avventure dell’aquila e del giaguaro". Anche la seconda delle opere progettate, "Il regno del drago d’oro", è stata completata ed è imminente la sua pubblicazione, Intenzione dell’Allende è rivolgersi, con questo ciclo di romanzi, ai più giovani, agli adolescenti, produrre favole che indichino loro la via per ottenere una corretta e sana formazione interiore in tempi occupati per intero, specie riguardo ai giovani, dall’esterno, dalla materia, dagli infiniti mezzi e oggetti da questa procurati loro. Ne "La città delle Bestie" è Alex il ragazzo che la scrittrice presenta e dal quale fa intraprendere il lungo cammino che lo porterà a maturarsi, a divenire adulto. Lo fa partecipe di una spedizione nel centro della foresta amazzonica, in un ambiente vegetale, animale, umano altamente esotico e carico d’infiniti segreti, lo espone a interminabili avventure e gravi pericoli materiali e morali, lo rende protagonista quasi unico dell’impresa, fa dipendere da lui le sue sorti ed infine lo restituisce, più cresciuto, più completo, al mondo al quale lo aveva sottratto.

L’intento didattico, l’andamento fiabesco perseguiti dalla scrittrice in questa fase dell’attività non l’hanno, tuttavia, allontanata dai temi centrali della sua ispirazione comparsi nelle opere precedenti. Come in esse anche ne "La città delle Bestie" sono rinvenibili il senso della vita quale destino da compiersi, dell’esistenza umana quale una delle espressioni della natura collegata, comunicante, interagente con ogni altra, la fiducia nell’energia dello spirito, nella sua capacità di comunicare con l’invisibile, l’irreale, la certezza di un rapporto continuo, di uno scambio ininterrotto tra terra e cielo, vita e morte, umano e divino, la constatazione del conflitto tra spirito e materia, sentimento e ragione, amore e odio, virtù e vizio, bene e male e il perseguimento di una soluzione ad opera di forze anche diverse dalle umane. Tutto questo viene alla scrittrice dalla sua terra e, trasferito nella narrazione, contribuisce a fare della realtà rappresentata un fenomeno mai completamente definito perché sempre sospeso tra evidenza e trascendenza, un mistero, una magia, un incanto, nei quali si muovono, agiscono elementi di natura diversa, di posizione lontana, di effetto alterno. Una realtà mobile è quella dell’Allende perché sensibile a molti richiami.

Così avviene pure ne "La città delle Bestie" ed anche qui accanto al "realismo magico" si può scoprire la nota che, più di tutte, distingue l’autrice, il suo impegno, cioè, a valorizzare la figura, la funzione della donna, a condannare la religione istituzionalizzata in nome di una sentita, vissuta, praticata, a respingere la militarizzazione, la violenza, a difendere il territorio, la natura dai soprusi perpetrati in nome della civiltà, del progresso.

Nonostante tutto "La città delle Bestie" rimane una favola perché come in una favola quanto presentato viene ridotto alla dimensione del ragazzo che la vive, come in una favola risultano omesse molte regole di costruzione e procedimento essendo tutto proiettato verso l’esito finale.


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