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Brando, la morte come riscoperta

di Antonio Stanca

A ottant’anni è morto Marlon Brando, attore cinematografico statunitense nato a Omaha nel Nebraska e interprete di molti film. Aveva studiato recitazione a New York ed era comparso sulle scene a Broadway nel 1944. Al cinema era approdato con “Uomini” (1950) e dopo altri film d’inizio si può dire definito il personaggio che lo renderà celebre, quello del “ribelle”, del “duro”, attraversato da dubbi e capace di esprimersi in breve, con poco si tratti di parole, gesti, espressioni, movimenti del volto o del corpo. Questa sarebbe stata la figura ricorrente in film divenuti famosi quali “Viva Zapata”, “Un tram che si chiama desiderio” (entrambi del 1952), “Giulio Cesare” (1953), “Fronte del porto” (1954), “La contessa di Hong Kong” (1967), “Il padrino” (1972), “Ultimo tango a Parigi” (1973). Brando diverrà tanto noto per le sue interpretazioni da essere considerato unico, indiscutibile, da rappresentare un mito. Gli riusciva naturale fare l’attore poiché più che recitare viveva la sua parte: era difficile distinguere tra l’uomo e il personaggio, tra la sua vita e i suoi film. Non era un ruolo il suo sullo schermo ma la sua maniera d’essere.

Negli ultimi lavori era stato l’interprete stanco, confuso, di vicende che risentivano della crisi di valori comportata dai tempi moderni, del malcostume che aveva invaso ogni ambiente compreso quello del cinema. Si era, quindi, ritirato dalle scene anche perché la vita gli aveva riservato non pochi problemi e tra questi, vecchio e malato, aveva trascorso gli ultimi anni. La morte è giunta venerdì 2 luglio e la notizia ha attirato molta parte dell’opinione pubblica perché Brando rappresentava un cinema che oggi non c’è più, un’epoca completamente diversa dall’attuale. Sapere che è morto è stato come riscoprire, riportare alla conoscenza, sottrarre al silenzio non solo la sua vita ed opera, il valore del suo cinema ma anche i suoi tempi ed ambienti con gli altri loro valori. E, naturalmente, si è arrivati al confronto con i nostri tempi ed ambienti, ad un paragone che, come sempre, s’è concluso a danno di questi poiché ritenuti alterati, guastati rispetto ai precedenti nonostante siano separati da poco tempo. E’ segno di una diffusa condizione di nostalgia, di un generale vagheggiamento del passato e sono sufficienti occasioni del genere a farlo riemergere, a far pensare ai suoi principi e sistemi ormai irrimediabilmente perduti.

Con la morte di Brando, di un rappresentante, cioè, del grande cinema passato, è successo come quando oggi muoiono autori od artisti d’altro genere ma della stessa epoca: ci si accorge che della vita, dei valori di un tempo c’era ancora un testimone e la notizia suscita interesse poiché muove a pensare, recuperare, rivalutare. Ma fa anche constatare che oltre a pochi superstiti niente c’è più di quel tempo e che quando essi saranno finiti mancherà pure l’occasione per rimpiangerli insieme alle loro cose.

Sarà grave ma avverrà!


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