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Brennan in Italia
(Qualità di stile)

 di Antonio Stanca

Una storia d’anime quella narrata ne “La visitatrice”, ora  pubblicato da Rizzoli, da Maeve Brennan  nata a Dublino nel 1917 e morta in America nel 1993. Qui si era trasferita, ancora adolescente, per seguire il padre a Washington, dove sarebbe stato il primo ambasciatore della nuova  repubblica irlandese. Dopo qualche anno la Brennan avrebbe lasciato il padre  per vivere da sola, avrebbe cominciato a scrivere recensioni prima su “Harper’s  Bazar” e poi su “New Yorker”, il suo primo racconto sarebbe apparso nel 1950, il secondo nel 1952 su “New Yorker”  e qui avrebbe continuato a pubblicare racconti durante i trent’anni di collaborazione. Diverrà nota per le sue narrazioni brevi e queste saranno raccolte in due volumi, i soli  pubblicati con la Brennan in vita nel 1969 e nel 1972. Per il resto si tratterà di opere postume tra le quali rientra “La visitatrice”. Risale a metà degli anni ’40, è stato ritrovato e pubblicato in America nel 2000. E’ il racconto più lungo, precede gli altri nel tempo ed è la prima sua opera comparsa in Italia.

Irregolare negli studi, inquieta nel carattere, bella, elegante, la Brennan morì in solitudine dopo un matrimonio fallito e, negli ultimi anni, una vita errabonda e gravi stati di depressione. In precedenza aveva attirato l’attenzione di lettori e critici con i suoi racconti che, pur rientrando nel genere allora diffuso del romanzo psicologico, si erano subito distinti per la capacità dell’autrice di cogliere i particolari di ogni situazione rappresentata e di animarli al punto da renderli parte di essa, dei suoi personaggi. Ne consegue un movimento reso in maniera eccellente da uno stile rapido, scorrevole, essenziale che giunge ad immagini tanto suggestive da risultare spesso poetico. Gli esiti migliori sono stati ottenuti dalla Brennan nei racconti ambientati a Dublino e questo de “La visitatrice” può essere considerato un capolavoro. Nello spazio di cento pagine la scrittrice propone una vicenda che avvince il lettore fin dall’inizio poiché si muove in continuazione tra luce ed ombra, tra quanto detto e quanto da dire, tra confessione e segreto. Anche l’ambiente vive di quest’atmosfera sospesa, misteriosa e suscita, in chi legge, il desiderio, il bisogno di scoprirla, chiarirla in tutte le sue parti.

Anastasia, giovane ventenne, da Parigi, dove era vissuta con la madre fino alla morte di questa, torna a Dublino nella casa della nonna paterna. Anche il padre è morto dopo essere stato abbandonato dalla moglie e dalla figlia. Presso la nonna Anastasia è venuta a cercare l’affetto , l’amore, dei quali ha bisogno dopo la perdita dei genitori. Pensa di rimanervi per sempre ed, invece, trova un’accoglienza ostile e limitata a poco tempo. La nonna è ancora e sarà sempre risentita verso la nuora e la nipote che accusa di aver abbandonato il proprio figlio, di averlo fatto morire e non sopporta l’idea di avere accanto Anastasia.

Il racconto è la storia di queste anime perse tra pensieri e sentimenti che si sveleranno gradualmente e fino alla fine non smetteranno di sorprendere. Alla loro storia si aggiungerà quella di un’amica di famiglia, la signorina Kilbride, anche lei vittima di situazioni esterne e contrarie ai suoi voleri. Ammirevole è il modo col quale la scrittrice si muove attenta, rapida tra tanta interiorità, come riesca a renderla interessante senza mai esaurirla completamente. Anche l’ambiente esterno, stanze, mobili, oggetti, strade, piante, luci, ombre, suoni, diviene un elemento necessario del suo narrare, un aspetto vivente della vicenda, collegato con i protagonisti di questa, con i moti del loro animo, i risvolti del loro pensiero. Tutto vive, tutto si muove, tutto agisce nella Brennan senza che la narrazione si complichi mai, senza che mai si sovrappongano immagini o significati. Questo il suo merito maggiore, riuscire semplice, scorrevole pur nella complessità, muoversi tra interminabili incomprensioni, incomunicabilità ed essere chiara, far apparire logico, necessario anche l’assurdo.


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