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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Intervista alla scrittrice Francesca Capelli

di Mario Coviello

Lunedì 9 maggio 2011, nella bibliomediateca dell’Istituto Comprensivo di Bella, è stata premiata la vincitrice, per la sezione narrativa 12-16 anni, del Premio Nazionale di letteratura  per l’infanzia e l’adolescenza “Città di Bella” la scrittrice Francesca Capelli per il romanzo “ L’estate che uno diventa grande” Sinnos editrice.

Il romanzo racconta la storia di Saverio che fa un viaggio in Argentina con il padre e conosce il dramma dei desaparecidos, dei neonati venduti. Il romanzo è stato il più votato tra cinque romanzi finalisti da una giuria di 80 ragazzi delle scuole medie e superiori della provincia di Potenza.
 
Ho letto che sei giornalista, traduttrice, divulgatrice, scrittrice di libri per i ragazzi; nelle tue foto su internet sei solare e accogliente. Quale tra  tutti i mestieri che fai ti appassiona maggiormente e perché ?

In questo momento quello di scrittrice, forse, ma è davvero difficile fare classifiche perché le tre professioni rappresentano altrettanti aspetti di una stessa attività: la scrittura. E sono strettamente legate. Sono giornalista da oltre 20 anni, è stato il mio primo incontro con la scrittura da professionista e il mio primo amore. E’ un lavoro che ancora oggi faccio con passione, inoltre spesso mi fornisce la materia prima, gli spunti per le mie storie.
Traduco romanzi per ragazzi da francese, inglese e spagnolo e anche questo è un lavoro che mi piace molto. Non mi sento per niente sminuita a dare una voce italiana ad altri scrittori, a scegliere le parole per loro (come ha detto una volta un bambino, una definizione che trovo azzeccatissima). Sono la traduttrice italiana di Anne-Laure Bondoux (“Le lacrime dell’assassino”, “La vita come viene”, “Figlio della Fortuna”, tutti pubblicati da San Paolo) e questo mi fa sentire molto onorata. Tradurre, inoltre, è un ottimo esercizio che ha molto migliorato il mio stile di autrice. Perché mi obbliga a cercare il termine giusto senza accontentarmi del primo che mi viene in mente, a essere il più precisa possibile per restituire senso, addirittura per costruire frasi che abbiamo lo stesso ritmo e la stessa musicalità dell’originale.
 
Hai pubblicato molto sull'ambiente, la biodiversità, e sul consumo consapevole di acqua, energia, sulla raccolta differenziata. Hai una gatta che è la vera padrona della tua casa e gli animali sono protagonisti dei tuoi libri come in " Il grande cane nella città fantasma".Con i tuoi laboratori giri l'Italia per educare al consumo consapevole e a non sprecare.
 Cosa è per te la natura, come possiamo consegnare alle future generazioni un mondo " pulito"?.

A tutti piace fare una passeggiata in montagna o fare il bagno in un mare  cristallino. Ma il nostro rapporto con l’ambiente non può essere solo di tipo bucolico. Quello che è necessario capire – e che cerco di spiegare ai ragazzi – è l’interdipendenza tra i fenomeni e comportamenti. Buttare in mare un mozzicone di sigaretta significa aver creato un rifiuto che ci metterà anni a decomporsi e nel farlo rilascerà sostanze tossiche. Lasciare avanzi di cibo in un parco naturale inserisce nella catena alimentare degli animali che lo mangeranno un elemento estraneo che andrà a turbare un equilibrio. Insomma, certi comportamenti non si fanno non perché “non sta bene” (non solo, almeno), ma perché danneggiano l’ambiente e questo avrò ricadute negative per tutti.
 
Nel tuo penultimo libro hai raccontato della tua esperienza all'Aquila dopo il recente terremoto. Bella, la cittadina della Basilicata che ti premia ,è uno dei comuni dichiarati disastrati a seguito del sima del 23 novembre 1980.
Perchè hai voluto scrivere un libro sul terremoto?

Il libro è nato dopo alcuni soggiorni all’Aquila, all’indomani del terremoto, grazie al festival Minimondi che organizzò nelle tendopoli e nelle scuole incontri con autori per ragazzi, spettacoli e laboratori. Fui colpita dal numero di cani che avevano perduto i loro padroni e vagavano tra le macerie in cerca della compagnia dell’uomo. Uno in particolare mi commosse e decisi di inventare una storia per lui, una storia che forse è la sua storia o forse no, ma non è questo l’importante. Volevo anche restituire un’emozione ai bambini dell’Aquila che di emozioni me ne avevano regalate tante. E soprattutto volevo scrivere qualcosa sul terremoto non con il linguaggio realistico della cronaca, ma con quello simbolico della fiaba.

Nei tuoi libri e laboratori affronti il tema della malattia e della morte, ti occupi della vita dei ragazzi malati in ospedale e hai scritto per iniziative di Telethon.
Perchè si deve raccontare la morte e la malattia ai ragazzi ?

Io credo che ai ragazzi si possa e si deve raccontare tutto, l’importante farlo nel modo giusto. Si tratta di realtà con cui ognuno di noi prima o poi deve fare i conti. La sofferenza di un bambino ci sembra insopportabile e ingiusta, e lo è. Ma non è ignorandola che possiamo aiutare quel bambino. Dobbiamo essere noi adulti ad avere una funzione contenitiva, a guardare in faccia il dolore e a restituirlo “digerito” e “raccontabile” ai più piccoli.
Nel caso del libro “Mi prendo cura di te”, che parla dei diritti dei bambini in ospedale, cerco di raccontare l’ospedale come luogo amico, nel quale può capitare di dover andare (ma molti bambini vivono questa esperienza non in prima persona, ma attraverso la malattia di un amico). Voglio fare emergere il diritto del bambino a non essere un numero ma una persona, ad avere accanto chi ama, a vedere rispettato il suo senso del pudore, la sua integrità fisica, il suo diritto a sapere come sta, quali cure gli stanno facendo e perché.

Hai anche raccontato l'assemblea legislativa dell'Emilia Romagna.
Come è possibile educare le giovani generazioni ad essere cittadini partecipi e consapevoli?

Innanzitutto con l’esempio, con comportamenti che rispettino la legalità e che tengano conto di quel “noi” che è la società. Genitori che si mostrano interessati alla vita collettiva e politica non possono che allevare futuri cittadini consapevoli e attivi. Io credo che sia importante spiegare ai ragazzi che anche loro sono cittadini a tutti gli effetti, anche se ancora non votano. Però un giorno lo faranno e devono considerare l’attesa una specie di allentamento per il giorno in cui saranno maggiorenni ed esprimeranno il loro parere sul modello di società che vogliono.

Uno dei tuoi libri più simpatici e divertenti che riprendi nei tuoi laboratori per le scuole è " Veruska non vuole fare la modella che racconta di una bambina che ha troppe "otte", guanciotte,gambotte sederotte e che si oppone con tutte le sue forze alla mamma e alle sorelle che la vogliono magrissima e modella. In televisione si trasmette in questi giorni " Plastik", i modelli femminili e maschili che i media propongono sono tutti rifatti,ricostruiti, di plastica.
Secondo te come è possibile educare i ragazzi e le ragazze ad essere normali, a non seguire il mito della magrezza aq tutti i costi, del seno taglia quinta?

Cominciando fin dall’infanzia a trattarli da bambini e non da piccoli adulti. Basta guardare certi servizi fotografici di moda per bambini per farsi venire i brividi... Bambine con la schiena scoperta e in posa sexy, maschietti con lo sguardo già carico di provocazioni sessuali... Messi in posa per imitare i modelli adulti... E poi, far passare la bellezza come sinonimo di salute e rispetto del proprio corpo. In questo senso, non è sano un corpo obeso ma nemmeno un fisico anoressico. Infine, valorizzare ogni bambino per quello che è e per quello che sa fare meglio e non per come appare.
Con gli adolescenti invece si possono fare discorsi più specifici: per esempio far capire che una taglia 38 con una quinta di reggiseno non è bellezza, ma deformità, qualcosa che in natura non esiste, non è previsto. Io poi quando incontro i ragazzi cerco di mettermi in gioco, racconto anche le mie esperienze, le mie insicurezze di quando ero adolescente (come tutti peraltro). Sapere che altri prima di loro hanno provato le stesse angosce, lo stesso senso di inadeguatezza li rassicura molto e li fa aprire.  

Nel libro " L'estate che  uno diventa grande" racconti di Saverio che in Argentina scopre il dolore degli scomparsi di Plaza De Majo.
 C' è una ragione particolare che ti ha spinto a farlo ?
Il mio grande amore per l’Argentina e per la città di Buenos Aires e l’incontro, negli anni, con una serie di persone che mi hanno fatto conoscere gli orrori della dittatura. Dico sempre che nella vita di ogni scrittore c’è un libro che, per la forza dirompente della storia, sarebbe stato scritto in ogni caso, anche se l’autore avesse fatto il fornaio, l’insegnante, il muratore o l’oculista. Nel mio caso è “L’estate che uno diventa grande”. E mi rendo conto che la vicenda interessa i ragazzi anche se riguarda un altro paese e un’altra epoca (per gli adolescenti qualcosa avvenuto 30 anni prima è praticamente la preistoria!)

Ho letto  in una tua intervista  che scrivi grazie alla tua maestra che a sette anni ti mandò a leggere un tuo tema dai ragazzi di quinta. Perchè scrivi?

Scrivo per la speranza, il desiderio e il piacere di essere letta. E’ questo che muove uno scrittore, altrimenti basterebbe tenere un diario segreto. Io non ho messaggi o insegnamenti da trasmettere a nessuno, scrivo storie che spero divertano, commuovano e “tengano” i lettori fino all’ultima pagina. Scrivere è il mio mestiere, il più bello del mondo secondo me. Soprattutto, è l’unico che so fare.

Ed infine chiedo a te che giri l'Italia con i tuoi libri e incontri tanti ragazzi e insegnanti : Come sono i giovani di oggi, in cosa credono e come i docenti possono, nonostante tutto, aiutarli a non perdere la speranza nel futuro?.

Ancora una volta, credo che sia l’esempio il modo migliore. Mostrare che noi adulti non abbiamo perduto la speranza di costruire un mondo migliore e che contiamo su di loro per farlo. I miei incontri in giro per l’Italia mi regalano molte sorprese. Una delle più belle, recente, riguarda una gruppo di studenti di una scuola superiore che fin dall’inizio si sono mostrati molto oppositivi, per niente interessati non solo al mio libro, ma in generale alla lettura, al fatto di trovarsi in quel luogo a parlare di romanzi. Ebbene, malgrado la fatica e le continue provocazioni, non ho ceduto, non ho alzato il livello del conflitto (avrei “vinto” io, ovviamente, ma non l’avrei certo considerato un trionfo, ma una sconfitta). Ho risposto a tutte le domande, anche le più antipatiche... Dopo un’ora e mezza mi sentivo svuotata... Ebbene, ho saputo che, il giorno dopo, molti di loro sono andati a comprare “L’estate che uno diventa grande” nella libreria del paese... Segno che qualche seme gettato germoglia sempre. Ecco, queste sono le soddisfazioni impagabili del mio lavoro. E credo che un insegnante dovrebbe ricordarsene quando alla mattina va a scuola a fare lezione, chiedendosi che ha ancora un senso tutta quella fatica. Se fa la differenza anche per un solo ragazzo credo che ne abbia eccome.

Milano, 8 maggio 2011


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