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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Il realismo di Carver

 di Antonio Stanca

 

“E hai ottenuto quello che
volevi da questa vita, nonostante tutto?
Sì.
E cos’è che volevi?
Sentirmi chiamare amato, sentirmi
amato sulla terra.”

Con queste parole di una poesia dell’americano Raymond Carver la sua seconda moglie, Tess Callagher, concludeva un discorso tenuto a Novembre del 1988 per commemorare l’autore che era morto il 2 Agosto di quell’anno.

Carver era stato poeta, scrittore e saggista ma soprattutto alle sue opere di narrativa è rimasta legata la sua fama, ai suoi tanti racconti iniziati da quando era studente e continuati durante la sua attività di docente e fino alla morte che era giunta prematuramente.

Nato nel 1938 a Clatskanie, Oregon, sarebbe morto nel 1988 a Port Angeles, Washington, distrutto dal cancro. Solo cinquant’anni è vissuto ma instancabile è stata la sua attività. L’uomo e l’autore si sono mossi senza soste e sempre alla ricerca di quanto in una certa vita mancava, della comunicazione, cioè, dello scambio, dell’aiuto, dell’unione che avrebbero potuto risolvere i problemi dei nuovi poveri americani degli anni ’60 e ’70, di quell’umanità che in America era rimasta esclusa dal gigantesco processo d’industrializzazione, di quella vita di periferia che, pur se sconosciuta, avveniva.

Di origini povere, Carver da ragazzo aveva condiviso i bisogni della famiglia, l’aveva seguita nei suoi trasferimenti, aveva lavorato insieme al padre e poi da solo in diversi posti e per svolgere diversi mestieri. Sposatosi con la giovanissima Maryann Burk avrà due figli da lei ma poi si separerà. Sarebbe avvenuto nel 1978 e in seguito Carver si sarebbe messo con Tess Callagher che avrebbe sposato poco prima di morire dopo un lungo periodo di vita e di lavoro in comune. Intanto aveva finito i suoi studi, era divenuto docente universitario come la Callagher dopo una vita trascorsa in luoghi diversi, in città diverse perché sempre assillato da bisogni economici. Molto tempo era durata questa situazione e in quel tempo Carver aveva prodotto tante opere. Continuava ora a scrivere alternandosi come sempre tra la produzione in versi e quella in prosa e mentre giungevano numerosi i riconoscimenti per il suo lavoro. Tre sarebbero state le principali raccolte di poesie e tre quelle di racconti ma tanto altro egli avrebbe scritto in maniera isolata e ad un certo punto avrebbe sottoposto ad un’operazione di revisione i racconti precedenti. Lo farà a partire dal 1983 quando il suo stile cambierà e ad esso vorrà riportare quanto scritto prima. Fu l’anno in cui comparve la terza raccolta di racconti intitolata “Cattedrale” che recentemente è stata ristampata dalla casa editrice Minimum Fax, Roma 2010, pp. 219, € 9,00. Contiene dodici racconti scritti in maniera più articolata rispetto ai primi, costruiti con maggiore ricchezza di particolari. Il loro realismo è più ampio, più comprensivo di quella vita che intendono accogliere e rappresentare. Uno scrittore realista è, appunto, Carver, di un realismo che gli era derivato dagli autori che avevano fatto parte della sua formazione quali Fitzgerald, Hemingway, Gardner, Lish ma che egli aveva interpretato a suo modo, ridotto ai suoi termini sì da riuscire decisamente nuovo, da essere considerato “un maestro della narrativa breve”, “il capostipite del minimalismo letterario americano”. Rispetto al romanzo il racconto rimase il suo genere preferito ed anche se Carver modificherà la sua scrittura, anche se non vorrà definirsi uno scrittore minimalista invariata rimarrà la sua tendenza a ridurre la narrazione, a procedere per fatti essenziali, per frasi brevi, ad omettere alcune parti, a lasciare sospesa la vicenda. Nuovo sarà per questa forma e nuovo per i contenuti che attingerà dalla vita di ogni giorno, quella vissuta da persone che hanno problemi di sussistenza, di lavoro, di rapporti coniugali, di figli, che si muovono tra le case, le strade, i locali pubblici dei sobborghi americani, che spesso si abbandonano all’alcool, alla violenza, che non riescono a sollevarsi dalla loro condizione poiché i bisogni sono tanti da rendere difficile, irrealizzabile ogni aspirazione. Non c’è, in Carver, coppia che non sia in crisi, casa che non sia malridotta, situazione che non sia incerta: è la regola di quella vita che egli rappresenta e che è l’unica per quelle persone. La sua non è l’America dei ricchi, dei potenti, del progresso ma l’altra dei poveri, dei diseredati, degli ammalati, degli incompresi, di quanti sono rimasti indietro, esclusi dall’avanzata, dallo sviluppo che stava vivendo una nazione tra le più ricche del mondo.

Di questa gente, di questi problemi, di questa vita dicono i dodici racconti compresi in “Cattedrale”. Le storie da essi contenute sono sempre difficili e sempre senza soluzione rimangono. Carver le narra con un linguaggio che aderisce tanto ad esse da renderle concrete, tangibili, da trasformarle in documenti, in atti di denuncia. Non uno scrittore ma un portatore della voce di chi rappresenta sembra il Carver di questi racconti, un banditore che richiama all’aiuto del quale avrebbe bisogno quella gente e che è convinto che solo dalla comprensione, dall’amore possa provenire.


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