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Come si perde un’identità
(Il successo delle periferie)

 

In una delle sue ultime "Bustine di Minerva", apparse nel settimanale "L’Espresso", Umberto Eco prevede tre importanti fenomeni per il Duemila. Il primo consisterebbe nella sempre maggiore riduzione delle nascite e nell’affermazione della famiglia con figlio unico o senza figli, il secondo nella perdita, per gli stati, della loro identità nazionale e linguistica poiché sommerse l’una dallo stragrande sviluppo commerciale ed economico che alcune città raggiungerebbero e che le collegherebbe tra loro, pur se lontane e straniere, fino a formare "arcipelaghi di città unite" sostitutivi degli stati, l’altra dalla diffusione, in ogni nazione, delle varie lingue del mondo a scapito di quella nazionale. Terzo fenomeno, previsto da Eco, sarebbe "la fine dell’etica" e, cioè, la perdita circa i modelli di vita, pensiero, azione di ogni riferimento alla tradizione e l’accettazione dei nuovi esempi proposti dai mass – media e privi di qualità morali o valori spirituali. In tale contesto ed a proposito della perdita dell’identità linguistica lo studioso pensa che la scuola rimarrebbe il luogo e il modo più adatto per salvare la lingua di ogni stato dalla prevista confusione con le lingue straniere. Trascura, pertanto, di osservare che se questa possibilità può valere per altre nazioni per l’Italia è molto discutibile. Da anni, infatti, la scuola italiana ha subito, anche per opera di precise normative quali quelle che l’hanno resa autonoma come un qualsiasi altro ente, trasformazioni tali da farla sentire non più una parte del tutto ma un’istituzione unica e determinante nei suoi interessi interni ed esterni, da disporla verso il territorio, dove si trova ad operare, in modo da accogliere e rivalutare quanto fa parte di questo comprese le sue tradizioni culturali e linguistiche e la loro continuazione fino alle più recenti espressioni narrative, poetiche, teatrali, pittoriche, di costume ed altre. E siccome attualmente in Italia non c’è città o paese, per quanto piccolo sia, che non conti un certo numero di autori di prosa, poesia, teatro, pittura di contenuto ed espressione locali, di rifacitori di storie e cronache del posto, di promotori di stampe giornalistiche o d’altro sempre interessati a quanto è avvenuto nel tempo o avviene ora in zona, la scuola non potrà sfuggire all’assalto di "tanta cultura" anche perché, si è detto, verso di essa è ormai decisamente orientata. Succederà, perciò, che non la distinguerà dall’altra di livello ed impegno più ampi nel contenuto e più nazionali, più italiani nella forma, non la riterrà una delle tante espressioni del dilagante bisogno di protagonismo, non la spiegherà come necessità di soddisfare le esigenze immediate, contingenti di certi autori e di certo pubblico, non la considererà, quindi, marginale rispetto all’altra ma si sentirà tanto animata da essa, tanto confermata nella sua funzione di recupero del territorio da giungere ad attribuirle un’importanza eccessiva e, potrà succedere, da preferirla a quella. Ne soffrirà anche la lingua, l’italiano, che quella cultura esprime poiché confusa tra le tante altre dei tanti altri territori ed insieme ad essa tutto ciò che le appartiene, che con essa e per essa è avvenuto, che ad essa è legato e, cioè, ogni elemento che ha contribuito a formare la letteratura, l’arte del nostro popolo, il suo comune patrimonio di pensieri, sentimenti, la sua coscienza, la sua possibilità di riconoscersi sempre e ovunque, la sua identità. Neanche a scuola si tenderà, dunque, verso la centralità od unicità come necessario in particolare per l’Italia se si tiene conto che soltanto così si sarebbero potute superare le molteplici tradizioni culturali e linguistiche che, insieme alle divisioni storiche, geografiche, politiche, economiche, sociali, hanno travagliato il passato della nostra nazione, delle sue regioni e province e delle quali ancora risentiamo. Recuperando, invece, i vari territori, rivalutando le periferie, facendone dei centri, la scuola italiana rimarcherà il vecchio frazionamento e questo ridurrà il valore e la funzione di prodotti culturali, letterari, artistici di ampia aspirazione ed estensione, di contenuto non limitato di forma autenticamente nazionale quali quelli di autori od artisti nell’unico e più vero senso possibile.

Una letteratura, un’arte, una lingua, una cultura minori limiteranno quella maggiore, ne confonderanno i segni: tra le previsioni non ci potevano essere di peggiori poiché ai futuri nemici esterni della nostra identità linguistica, di cui parla Eco, sono da aggiungere altri interni già presenti ed operanti!

Antonio Stanca

Espresso Sud – Maggio 2000


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