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Dall’Olanda l’arte di Antonio Stanca
Come in altre opere di ambientazione indonesiana anche ne “L’anello della chiave” la Haasse si propone di ricostruire la storia di un personaggio rimasto oscuro, misterioso e attraverso essa quella dei posti che lo hanno visto. E come negli altri anche in questo romanzo l’operazione non riuscirà del tutto e parte del mistero rimarrà inesplorata mostrando come la scrittrice creda nella forza del destino, nell’azione di presenze occulte, nella vita dello spirito e sia convinta che di essa non tutto si possa sapere. Ne “L’anello della chiave” un giornalista chiede alla protagonista-autrice, qui in veste di storica dell’arte di nome Herma Warner, notizie circa una donna che come lei, da bambina e da ragazza, è vissuta nelle Indie Olandesi, come lei era di origine olandese anche se l’aveva scoperta registrata col nome polacco di Mila Wychinska. Gli risulta che negli anni Sessanta e Settanta ha svolto un’importante azione politica in difesa della popolazione indonesiana affinché di questa fossero riconosciuti i diritti civili e rispettato l’ambiente naturale. Vorrebbe sapere di più poiché gli è stata affidata un’inchiesta su personaggi occidentali che hanno operato nell’Asia meridionale a favore dei diritti dell’uomo e dell’ambiente. La Warner gli dirà che si tratta di una sua amica d’infanzia e adolescenza, che il suo vero nome era Dee Mijers, che a Batavia (Giacarta) sono vissute insieme per anni, hanno frequentato la stessa scuola, studiato insieme. E mentre lo informa dell’amica del cuore, delle strane scoperte che il suo carattere particolare le riserverà, dirà pure di quanto avveniva a Batavia, della sua e di altre famiglie della città, della loro vita privata e pubblica, dell’isola di Giava e dell’intera Indonesia dei suoi e dei tempi passati. Per compiere un’operazione così vasta niente le verrà in soccorso poiché smarrita è la chiave del baule dove ha conservato lettere, fotografie ed altri documenti del passato suo e della sua terra d’origine. Dovrà affidarsi a ricordi personali e a quanto fin da bambina le è giunto da racconti di familiari o di altre persone. Un libro di ricordi, quindi, “L’anello della chiave” e questo contribuirà ad accrescere il tono da favola, l’atmosfera magica, che contraddistinguono molta narrativa della Haasse e la collocano tra i maggiori autori del nostro tempo, tra quelli che ancora credono nell’arte come espressione dello spirito, come fenomeno che trascende la realtà per assumere un valore, una funzione ideale, per trasformarsi in un messaggio esteso, senza limiti. Ad essa tendono e per essa s’impegnano. A ottantaquattro anni la Haasse è riuscita di nuovo, di nuovo ha sentito il bisogno di trasmettere, di comunicare delle verità superiori come nelle altre sue opere e come pochi autori ormai. Ha ottenuto tanto pur con un mezzo semplice quale la sua scrittura ed anche se i disegni, i fregi “dell’anello della chiave”, che finalmente è stata trovata, hanno rivelato di contenere una citazione di un antico autore persiano che ammonisce chi, come lei, tanto crede nell’idea, nello spirito: “…tutto ciò che hai visto o sentito un giorno, tutto ciò che hai creduto di sapere non è più quello ma altro…”. |
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