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Leggere Proust
(Come in silenzio)

di Antonio Stanca

Di solito la lettura di un romanzo viene interrotta e poi ripresa, certe volte non succede. Dipende dall’ampiezza dell’opera, dall’umore del lettore, da come o quanto si sente coinvolto o da altri fenomeni legati al tipo di scrittura e a chi legge. Nel caso di una lettura interrotta non è mai difficile, quando si riprende, ricollegarsi, ritrovarsi con ciò che s’è letto prima anche se è passato molto tempo. Avviene, invece, quando s’interrompe la lettura di un’opera come la famosa “Recherche” dello scrittore francese Marcel Proust  (1871-1922) d’incontrare difficoltà a reinserirsi nella situazione lasciata e di poterlo fare soltanto dopo aver riletto qualche pagina immediatamente precedente alle nuove. Nonostante ogni intenzione diversa da parte del lettore di Proust il fenomeno si ripete. Perché?

Quella di Proust è una narrazione interminabile, oltre tremila pagine, e quasi priva di eventi sorprendenti, d’improvvisi colpi di scena, di rivelazioni sensazionali. Il suo è un procedere inesauribile, un divagare senza fine tra i meandri dell’anima umana, tra gli sconfinati spazi che una straordinaria sensibilità gli dischiude ad ogni momento. E’ un avanzare instancabile, senza soste, in tutte le direzioni della vita interiore: basta una parola, uno sguardo, un gesto di uno dei suoi numerosi personaggi perché egli intraprenda percorsi che si allontaneranno dall’evento contingente per ritornarvi dopo molto tempo e scrittura, dopo aver svelato mondi che nessuno sospettava esistessero. Proust vuole chiarire qualsiasi frangente della vita, ricondurlo alla ragione, alla verità più autentica, quella interiore, anche se più remota e più lontana da raggiungere. Niente rimane, nella sua prosa, d’inspiegato, di misterioso, niente viene affidato al caso perché tutto ha i suoi motivi, vecchi e nuovi,  concreti e astratti, reali e ideali, materiali e morali, di essere e valere. E lo scrittore si muove alla ricerca di questi, di tutti i motivi celati dietro le apparenze, dietro le vite viventi e vissute. Il suo è un viaggio alla scoperta di tutte le verità, al suo passaggio non solo le persone ma anche le cose acquistano un’anima, una voce che può essere diversa secondo il tipo di contatto, di rapporto con chi è stato loro vicino, secondo quanto hanno per lui rappresentato o significato. E’ un universo intero che la “Recherche” anima, mette in moto: in essa ripercorrendo la propria vita Proust ricostruisce la vita di tutto quanto, persone e cose, vi ha fatto parte, di tutta l’umanità a lui precedente e contemporanea. Nell’opera trova confessione ogni aspetto della natura umana, la “Recherche” è la storia dell’uomo nella sua più completa totalità, è un recupero di quanto sembrava definitivamente “perduto”, il passato, ed una prova di come esso giaccia nel fondo di ogni anima, sia parte di questa e serva riscoprirlo poiché verità inalterabile tra le incessanti trasformazioni apportate dal tempo. Il passato, il “tempo perduto”, diventano,  con Proust, certezze interiori che, insieme alle altre, costituiscono i motivi della sua letteratura, una filosofia diventa arte. A far ottenere allo scrittore questo risultato concorre anche lo stile “dolce” e “lento” della sua scrittura, il suo trascorrere tra tanta vita, passata e presente, senza mai urtare, scomporsi. Né poteva essere diversamente: se il tempo da lui scoperto era interiore, se le ragioni, le verità raggiunte risiedevano nel silenzio dell’anima, soltanto in silenzio potevano essere riportate. Quante volte lo scrittore giungerà a dire che per alcuni casi non servono le parole perché nessuna di esse saprebbe esprimerli meglio del silenzio!

Leggere Proust significa sapersi immettere in tale flusso nascosto, sommesso, che, pur attraversando spazi infiniti, rimane sempre uguale, conserva sempre il ritmo regolare di un movimento invisibile, sotterraneo. Proust è entrato nei sotterranei della vita e li ha illuminati di una luce “dolce” e “lenta”: la scoperta delle verità segrete, il bisogno di dirle non ha alterato il modo e così la narrazione della vita dell’aristocrazia parigina tra ‘800 e ‘900, dei suoi salotti, di una società che comincia ad usare il telefono e l’automobile, ha acquistato, tramite la scrittura di Proust, la possibilità di valere per sempre, è riuscita sorprendentemente moderna, è diventata un “capolavoro estetico”. E’ questa scrittura a non permettere al lettore di ritrovarsi quando la riprende perché manca di riferimenti particolari, avanza sempre allo stesso modo, quello imperturbato di un fiume sommerso, sicché dell’opera proustiana non rimangono, a chi legge, i contenuti ma i suoni delle infinite parole usate dall’autore, le cadenze del suo interminabile periodare, la loro modulazione.


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