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Oltre l’evidenza
(Il segno dell’arte)

di Antonio Stanca

Di umili origini e costumi il pittore Leonzio Mangione è morto il 2 Febbraio scorso all’età di ottant’anni dopo un’esistenza quanto mai riservata come generalmente avviene a chi vive di se stesso, del proprio genio in un ambiente privo delle corrispondenze o relazioni che gli sarebbero necessarie. Nato nell’estrema periferia dell’Italia meridionale, a Soleto in provincia di Lecce, egli, dopo la scuola elementare, aveva frequentato l’Istituto d’arte del vicino centro di Galatina ed in seguito l’Accademia di Napoli. Rientrato nei propri posti aveva svolto per quasi mezzo secolo l’attività di docente presso Istituti d’arte e solo per pochi anni si era allontanato perché nominato preside prima a Gargnano e poi a Locri.

Questa la sua vita trascorsa fin dalla prima giovinezza anche e soprattutto all’insegna dell’arte, dell’impegno ideale, morale da essa richiesto, dello spirito d’osservazione che lo accompagna, dello stato d’inquietudine che ne consegue. "… tempi eroici …" amava egli dire agli amici quando ricordava che per anni aveva frequentato l’Istituto d’arte di Galatina, comune distante alcuni chilometri dal suo di residenza, recandosi e facendovi ritorno ogni giorno a piedi. Di quell’entusiasmo, di quell’ardore giovanile in lui non erano mai scomparsi i segni se anche negli ultimi tempi lo si scopriva sempre disposto a sapere, pronto ad iniziare, perennemente preso dall’attività pittorica durata fino a giorni prima della morte. Essa gli aveva procurato numerosi riconoscimenti in molte mostre nazionali e straniere nonché l’attenzione dei critici a conferma della sua validità ed originalità.

Fin dagli inizi i suoi quadri esprimono una ricerca che li distingue dal contesto neoimpressionistico, nel quale solitamente si fanno rientrare, essendo molto personali gli effetti di colore e luce che l’artista riesce ad ottenere, molto suggestive le atmosfere che ne scaturiscono. Da queste si viene immediatamente attirati, in queste ci si sente subito coinvolti perché suscitano sensazioni, pensieri nei quali è facile ritrovarsi, riconoscersi, esprimono stati d’animo, evocano ricordi, sogni, mostrano situazioni, suggeriscono idee che le fanno sentire vicine, proprie di chi guarda. Si tratti di paesaggi, figure,oggetti, volti non è mai possibile delimitarli, circoscriverli, collocarli in uno spazio o tempo determinato dal momento che i loro contorni sono sempre sfumati, indefiniti, alludono sempre a qualcosa d’altro, di diverso, tendono, fanno pensare a ciò che non si vede, che manca e, tuttavia, esiste. Questa tensione verso quanto rimane invisibile, sconosciuto, verso presenze arcane, misteriose, questa capacità di riuscire così intenso, magico è il denominatore comune dell’intera produzione figurativa del Mangione, quello che fa del suo un processo destinato a non avere mai una soluzione o conclusione.

Indole rivoluzionaria, quella del pittore, che già al primo manifestarsi si mostra libera dalle convenzioni o imitazioni o conformismi che caratterizzano ogni periferia, animo proteso continuamente verso ciò che sta oltre i limiti dell’evidenza, di là dall’uomo, dalla vita. Ogni quadro crea un ambiente, un’atmosfera, contiene un messaggio, si collega con quanto avviene segretamente in ognuno di noi, diviene un momento o luogo dello spirito. Col Mangione l’emozione, la sensazione mosse dalla rappresentazione sono più importanti di questa. Avviene così che il significato dei suoi lavori si estenda, che essi promuovano una partecipazione sentimentale, una comunicazione interiore, che diventino di tutti. Per come sono eseguiti e per quanto coinvolgono i suoi motivi da finiti si traducono in infiniti, da particolari in universali: è il segno inconfondibile dell’arte, quello che la distingue ovunque ed ogni volta si verifichi. Se, infatti, anche in tempi di grosse trasformazioni come i nostri, d’incalzanti modifiche nel sistema di vita individuale e collettivo, se anche quando i concetti tradizionali di cultura, di arte hanno subito variazioni, accolto nuovi criteri si verificano casi come quelli del Mangione significa che principi quali il carattere trascendente del fatto artistico sono ancora immutati, che non si spiegano con tempi o luoghi specifici ma soprattutto con l’uomo e fino alla sua esistenza dureranno.


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