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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Federico Repetto

 

MEDIA, POTERE E DEMOCRAZIA

 

Materiali di storia e sociologia dei media per il triennio superiore

 

Introduzione

 

         I testi qui elencati sono materiali preparatori, o rimasti inediti, ma comunque elaborati in vista della pubblicazione del mio libro

 

Opinione pubblica, media e potere nel Novecento


Materiali e proposte di lavoro interdisciplinari

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 Loescher 2004

 

 

 

-                    concepito soprattutto per le ricerche multidisciplinari  dell’esame di maturità che privilegino la storia del 900 come luogo d’incontro tra diverse discipline.

 

o                   Per non violare il copyright dell’editore, le parti che corrispondono a punti precisi dell’opera pubblicata appaiono in una versione abbastanza diversa.

 

o                   Il lettore ha a sua disposizione dei capitoli di esposizione manualistica di alcuni importanti aspetti della storia e della sociologia dei media e dell’opinione pubblica, nonché alcuni documenti d’epoca. Le schede poi riprendono e sistematizzano i temi dei capitoli approfondendoli: sono scritte in forma più schematica e anche più difficile, ma possono essere saltate nella lettura senza perderne il filo.

Nell’ultima parte si suggeriscono agli studenti e agli insegnanti ricerche ed esercitazioni sui temi del libro, con bibliografia e sitografia.

Per chi volesse farsi un’idea rapida della storia dei media nel mondo occidentale, rimando alla pagina https://www.edscuola.it/archivio/ped/media.pdf (testo abbastanza impegnativo, con ampia bibliografia). Per chi volesse una storia rapida e divertente (scritta da Dario Fo)della tv in Italia dopo il 1980 (e dell’incostituzionalità delle tv Mediaset), rimando a

http://www.tvglobal.org/modules.php?name=News&file=article&sid=47.

Appena possibile mettea disposizione su questo sito nuovi capitoli di testo sui media del totalitarismo, insieme a nuovi documenti (discorsi propagandistici e articoli di giornale dell’epoca fascista e nazista), e vari materiali sulla strategia comunicativa nonviolenta di Gandhi e su Internet e l’idea di “open source”.

 

 

 

 

 

 

Indice del materiale on line

 

Parte Prima. Introduzione.L’opinione pubblica liberale e il suo funzionamento

 

1.           Agli studenti. Chi ha paura dei media?

 

1.1. Prigionieri del Grande Fratello?

1.2. La politica come spettacolo e la vita privata come spettacolo

 

2. Le origini dell’opinione pubblica libera nel Sette-Ottocento

 

SCHEDA DI APPROFONDIMENTO: il sistema dell’informazione, dell’opinione pubblica e della stampa nei primi stati liberali tra 700 e 800

 

Documento: discorso di Robesoierre alla Convenzione su opinione pubblica e democrazia

 

3. . Opinione pubblica e progresso del sapere: libera concorrenza tra merci, partiti ed idee

 

3.1. Il mercato come modello di competizione pacifica per il progresso

 

4. Concorrenza imperfetta o oligopolio nel mondo della carta stampata

 

5. . Differenze tra giornali americani e giornali europei a cavallo di 800 e 900

 

SCHEDA DI APPROFONDIMENTO: l'opinione pubblica democratica tra fine 800 e inizio '900

 

 

Parte seconda. Intellettuali, cittadini e opinione pubblica oggi: nuove difficoltà per la democrazia

 

6. Intellettuali e democrazia

 

7. Intellettuali “alti” e intellettuali “bassi” (=gli “opinion leaders da osteria”)

 

8.La critica della tradizione e la tradizione della critica nella democrazia

 

9. Chi ci educa a essere uomini liberi e razionali?

 

10.La politica centrata sul denaro e sui media e il declino degli opinion leader da osteria

 

SCHEDA DI APPROFONDIMENTO: l'era della tv

 

11. Internet può contribuire a rilanciare la democrazia liberale?

 

Documento: il “Piano di Rinascita Democratica” della Loggia massonica P2.

 

Parte terza: guerra e informazione oggi

 

12. Il ritorno della guerra

 

13. Verso nuovi “media di guerra”? Il news management

 

14. Il news management e l’attentato alle Torri gemelle

 

Documento: Intervista di Marc Ferro sul significato simbolico dell’attentato alle Torri Gemelle.

           

 

Parte quarta: Ricerche ed esercitazioni.

1.      I media e noi: il sistema dei media. 2.Esercitazioni in classe e on line.

 

 

 

Parte quinta: bibliografia e sitografia ragionate.

 

 

 

 

 

 

Indice del testo di Loescher

 

 

Opinione pubblica, media e potere nel Novecento

Materiali e proposte di lavoro interdisciplinari

 

                                      L'opinione pubblica libera e i suoi meccanismi1

 

                                                Le origini dell'opinione pubblica libera ..................................... 2

                                                1 L'opinione pubblica è la stampa o il popolo? ............................... 3

                                               

Dal sistema liberale a quello democratico ................................. 6

                                                2 Antidogmatismo e democrazia liberale ......................................... 7

 

                                                Temi chiave: concorrenza e guerra ............... . ....................... 10

 

                                                La stampa come industria .... . ...........  ......... . ....................... 14

 3 I cartelli delle agenzie stampa ......................... . ....................... 15

 

                                                La stampa in America e in Europa ................ . ........ . ............ 16

                                                4 Il giornalismo militante in Italia ........................ . . ...... .............. 17

                                               

BIBLIOGRAFIA RAGIONATA ............................................................. . .................. 18

 

                                      L'età del cinema e della radio ............................. 19

                                               

L'esplosione dei media tra Ottocento e Novecento ................ 20

                                                5 il cinema, battistrada dei nuovi media ........................................ 21

 

 IMPERIALISMO GUERRA, RIVOLUZIONE

 

                                                Imperialismo e libera comunicazione ...................................... 24

                                                  6 Lo stampa americano «creo»lo guerra di Cubo ........ . ............ 25

 

                                                La propaganda nella prima guerra mondiale .......................... 28

                                                7 Lo propaganda dell'esercito in Italia .......................................... 29

 

                                                La rivoluzione russa ....................................... . ....................... 30

                                                8 I bolscevichi e il cinema d'avanguardia . .......... . ....................... 31

 

                                                                    TOTALITARISMO

 

                                              Media e totalitarismo: il concetto ...................  ........................ 32

                                               9 Hitler: come il Capo comunico con i suoi gregari ........................ 33

 

                                               Fascismo, nazismo e stalinismo ...................... ......................... 36

                                           10  Il Duce e la pubblicità capitalistica .............................................. 37

 

                                                Il mito dei Capo: Mussoliní  .... . .......................... ... .............. 38

                                               11. Il mito dei Duce sui «Corriere della Sera» ......... . ................... 39

 

                                               Divinizzazione dei Capo e riti spettacolari ………………….40

                                                                      12  Hitler si rivolge direttamente al popolo ................................ 41

 

                                                La politica mediatica fascista e nazista ...... ............................ 44

                                                13 Cinema nazista e «uomini nuovi ariani» .................................... 45

                                                               

                                               Limiti dei media nazifascisti .…………….……....................... ..48

                                           14 Il declino dei mito di Hitler ........….............…………………..49

 

                                               Stalin, un capo carismatico burocrate . ..........…….....……..... 50

                                              15 Ivan il Terribile ..…………………………………………....... 51

 

                                                                       IL MONDO LIBERO

 

                                               Hollywood: la fabbrica dei sogni ........………………………….54

                                            16 Hollywood negli anni Venti e Trenta …..……………………..55

 

                                               La radio negli USA e nell'Europa libera ..….................………..58

                                               17 Radio e democrazie negli anni Venti‑Trenta ………………….59

 

                                               Il dibattito sull'industria culturale .……………………………62

                                           18 I supereroi prodotto dell'industria culturale …………………..63

 

                                               La «caccia alle streghe» nei media .….…………………………66

                                           19 Paperone, il capitalista buono …………………………………67

 

                                               Nonviolenza e opinione pubblica ………………………..……..68

                                            20 Gandhi, il comunicatore nonviolento .. . ………..…………… 69

 

                                                                         BIBLIOGRAFIA RAGIONATA.......... ………………………………………………………..………70

 

 

                                         L'era della televisione.. ...…. .......................…………71

 

                                                                        ORIGINI E SVILUPPO DELLA TELEVISIONE

 

                                                  La «paleo‑Tv» in Europa e in Italia . .………………………..72

                                              21 Fenomenologia di Mike Buongiorno………….……………73

                                                 

                                                  La neotelevisione. ................. ……………,…………………...76

                                              22 La TV americana e tedesca prima dei 1970 ……..…..………..77

 

                                                 Rivoluzione dei media e Stato sociale .…..……..…………….80

                                                 23 Mercificazione nella pubblicità

                                                                        

                                                                         LE TEORIE MASSMEDIOLOGICHE

 

                                                                        La neo‑Tv produce il suo pubblico ……….…..………..………82

                                            24 Pubblicità e consumismo ........... ..........……..……………………..83

                                                                      

                                                                       Curriculum TV contro famiglia e scuola?….………..……..……84

 

Teorie sugli effetti dei media ………………..………………….86

 

L'AVVENTO DELLA  NE0‑TV  IN  ITALIA

 

I media ai tempi della contestazione…..………………………88                

25 I media dei movimento studentesco… ………………………89

 

Duelli nel Far West televisivo….……..………………………..92

                                              26 La P2: il Piano di rinascita democratica……………………..93

 

                                                  Dal Far West al duopolio RAI ‑ Fininvest ….………..……….94

                                                  27. La recente legislazione italiana sulla TV ……..……..………..95

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                                                                  POLITICA E TV NEGLI ANNI OTTANTA

        

                                                                                   «Riflusso» e cultura neotelevisiva ………..…………………..…98

                                             28 Colossi mediali e politica negli Stati Uniti ........…..………..….99

 

                                                La politica spettacolo ……………..……….……………………102

 

                                                Media, politica e affari ...................…………………………..…104

 

                                                                                   I MEDIA NELL'EUROPA ORIENTALE

              

                                                                                  I media occidentali possano la cortina di ferro ….……………106

                                                29 Azione nonviolenta e «vita nella verità » ….…………………107

                                                      

                                                 Una rivoluzione nonviolenta …………………………………..110                          ................................................................... 110

                                                 30 Da Gorbacev a Paperon De' Paperoni ........…………………..111

 

                                                                                     BIBLIOGRAFIA RAGIONATA …………..…………………………….……………………………………..114                                                                     ..................................................................... . ...................... . .................................................................. 114

                                                                                  

                                                                                     L'era dell'informazione ....……………………………115

 

LA SOCIETÀ DELL'lNFORMAZIONE

 

Globalizzazione e TLC ………………………………………..116

 

Globalizzazione, crisi della new economy, guerra …………118

 

Gli esclusi da Internet: il digital divide ……………………124

31 Internet e la globalizzazione dei movimenti …..………….125

 

La società di oggi tra informazione e spettacolo ….………128

32 Cooperazione open source su Internet……………………..129

 

 

GUERRA E INFORMAZIONE

 

La democrazia mediatica va alla guerra …………………132

33 Dalla guerra in diretta alla guerra in studio ……………...133

 

Verso nuovi «media di guerra»?……………..……………136

34 La «guerra dell'informazione»……………………………137

 

L'evento mediatico dell'attacco alle Twin Towers ……... 140

35 Il messaggio terroristico dell'1 1 settembre …..………….141

 

BIBLIOGRAFIA RAGIONATA ………………………………………………………………..…….…144

 

Percorsi di ricerca interdisciplinari multimediali                       ........................... 145

 

1.  «Per cambiare la TV»: un'iniziativa civica, p. 147  ‑  2. Impiego di Internet per interagire con l'opinione pubblica, p. 148  -   3. Riflettere sulla pubblicità, p. 149   ‑  4. Riflettere sui media attraverso i cineforum, p. 149 ‑  5.  Confrontare giornali, periodici e telegiornali, p. 151  ‑  6. Capire i media e produrre video a scuola, p. 151

 

 


Federico Repetto

 

MEDIA, POTERE E DEMOCRAZIA

 

Parte terza: guerra e informazione oggi

 

12. Il ritorno della guerra

 

 

All’inizio del secondo millennio i governanti democratici hanno brindato all’idea illuministica secondo cui il progresso tecnico-scientifico ed economico porta con sé quello sociale e politico. La guerra fredda contro il cosiddetto “impero del male” comunista era  terminata da un decennio e niente sembrava opporsi al progresso delle società democratiche (che oltretutto avevano un’invincibile forza militare) mentre era in corso l’apparentemente inarrestabile sviluppo della new economy cioè di tutte quelle attività economiche che sono in qualche modo connesse con lo sviluppo delle telecomunicazioni, della rete Internet e dell’informatica.

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Proprio tra il 2000 e il 2001 la bolla della new economy si sgonfia. E subito dopo si consuma la tragedia delle Torri Gemelle. Il linguaggio degli opinion makers, dei politici e dei media cambia. Il primo punto nell’agenda dell’opinione pubblica diventa: dobbiamo fare la guerra contro i nemici della democrazia. Prima di questo evento erano molto deboli le voci nella nostra classe dirigente che chiedevano una riforma dei mercati finanziari e del Fondo Monetario Internazionale -, le istituzioni globali che, imponendo la politica neoliberista di sviluppo, avevano rese più poveri sia i ceti poveri del mondo ricco e più poveri i popoli poveri del mondo povero. Adesso queste voci diventano flebili.

La guerra, come si è già detto, nuoce alla democrazia: durante il primo conflitto mondiale la propaganda bellica proprio nella liberale Inghilterra aveva assunto toni fanatici e inventato grossolane bugie; così la guerra fredda, nei suoi momenti peggiori, aveva prodotto negli USA l’intolleranza del maccartismo (la cosiddetta “caccia alle streghe” anticomunista che era costata la prigione a diversi militanti sindacali e, politici d’opposizione, la carriera a molti giornalisti, intellettuali e uomini di spettacolo e il posto di lavoro a migliaia e migliaia di persone). Il conflitto del Vietnam degli anni sessanta-settanta sembrava aver segnato una svolta. I grandi media, con le tv in prima fila, avevano giocato un ruolo di primo piano nel renderlo impopolare e nel ritiro degli americani da quel paese: le immagini del marine che da fuoco alle capanne di paglia di un villaggio con il suo accendino e quella del capo della polizia sudvietnamita che giustizia senza processo con un colpo di pistola alla nuca un prigioniero filocomunista hanno portato nelle case di milioni di americani gli orrori della guerra come mai prima di allora.

 In realtà, come hanno osservato i massmediologi Bruce Cumings e Rossella Savarese, i grandi media non si erano opposti frontalmente al governo, perché anche quest’ultimo era diviso: McNamara, segretario alla difesa,  era molto perplesso riguardo all’ampliarsi dell’impegno militare, caldeggiato invece dal generale Westmoreland. Oltre a  questa incertezza di una parte dell’establishment militare e politico, colta dai media, aveva giocato anche la concorrenza: i giornalisti puntavano a raccogliere le indagini più sensazionali ed emotive, diffuse in tempi molto brevi dalle reti televisive, prima che le autorità potessero intervenire per “sconsigliarne” la diffusione. Inoltre la cosiddetta offensiva del Tet dei ribelli comunisti, che erano penetrati improvvisamente dentro la città di Saigon, fino ad invadere la stessa ambasciata americana, aveva, almeno per un breve periodo, reso impossibile ogni controllo militare sui giornalisti (ben controllati invece quando erano al seguito delle truppe).

In tutti i casi dopo quella guerra non è stato più concesso ai giornalisti di muoversi troppo liberamente in zona di operazioni. Negli episodi bellici in cui gli USA sono stati coinvolti in seguito, Reagan e Bush Senior sono quasi sempre riusciti ad evitarne la presenza troppo ravvicinata: così è stato in occasione dello sbarco nella repubblica caraibica di Grenada, il cui governo è stato deposto d’autorità dagli USA, e delle operazioni dei marines a Panama nell’89 per proteggere gli interessi americani riguardo al canale.

Nella prima guerra del Golfo del 1991, scoppiata per scacciare gli irakeni che avevano occupato il Kuwait, inoltre, i giornalisti ufficialmente accreditatia erano stati praticamente confinati in aree non troppo vicine al fronte e ricevevano le notizie attraverso l’ufficio stampa (organizzato dagli USA) dell’alto comando alleato. L’esercito americano forniva  immagini spettacolari riprese da telecamere piazzate sui missili inviati contro i bersagli irakeni, tutti –secondo le fonti ufficiali- rigorosamente militari. Le “bombe intelligenti” teleguidate, si diceva,  avrebbero distrutto infallibilmente il bersaglio, e solo quello. In seguito si è saputo che le bombe intelligenti non superavano il 7% del totale, e comunque i morti civili furono migliaia e migliaia. Inoltre allora, quando tutti i riflettori dei media erano puntati sullandamento della guerra, non si seppero fatti importantissimi che i giornalisti più seri scoprirono in seguito e che, finito il clamore dell’evento, non ebbero più una audience adeguata: per esempio, le truppe americane e alleate avevano sepolti vivi sotto la sabbia i soldati dei bunker costruiti in Kuwait dagli irakeni; decine di migliaia di soldati irakeni ormai in fuga dal Kuwait con ogni mezzo (tra cui normali pullman) erano stati praticamente carbonizzati da bombe speciali (veri ordigni di distruzione di massa) mentre nella zona permaneva una forte radioattività; inoltre si era fatto ampio uso di proiettili all’uranio impoverito con effetti devastanti sull’ambiente (rischio di cancro per anni e anni per la popolazione residente).

Il grande linguista Noam Chomski, che ha dedicato la sua vita a denunciare la manipolazione delle notizie da parte delle autorità e dei grandi media americani, sostiene che questi ultimi ormai  accettano acriticamente la versione governativa delle notizie e si adattano  alle restrizioni imposte dalle autorità, a causa dell’intreccio di interessi che li legano ad esse.

In realtà anche negli USA non mancano giornalisti e mezzi d’informazione coraggiosi e anticonformisti, e comunque la notizia controcorrente ha un suo valore commerciale. Ma lo stile sensazionalistico dei media e la velocità dell’informazione soffocano le notizie “lente” (trovate spesso dopo lunghe indagini) ma che vanno in profondità,  rispetto a quelle “in tempo reale” e condite con immagini spettacolari (celermente fornite dagli uffici stampa dell’esercito). Notizie lente sono per esempio quelle sul tipo di armi usate dagli americani in Irak e sul permanere della radioattività (vedi sopra) Altra notizia lenta, probabilmente sconosciuta ai più: dopo il massacro di migliaia di irakeni in fuga, la reazione militare americana si è arrestata ad un tratto (come racconta P. J. Luizard, La questione irakena, Feltrinelli 2003), risparmiando la Guardia Repubblicana dei fedelissimi di Saddam Hussein, proprio mentre l’esercito regolare stava ammutinandosi e stava scoppiando una rivolta degli sciiti nel sud del paese (gli sciiti irakeni erano sospettati di volersi alleare o federare con l’Iran khomeinista, ostile agli USA). In tal modo la Guardia Repubblicana riprese il controllo della situazione e Saddam rimase in sella.

Queste successive rivelazioni non riescono a raggiungere veramente il grande pubblico perché richiedono conoscenze  - (chi sono gli sciiti?), - attenzione e pazienza - sono frutto di indagini di lungo periodo e non sono associate a fatti sensazionali - e infine riflessione, senso critico e capacità di approfondimento  - (per quali scopi non dichiarati il governo americano si è comportato in modo non coerente con i propri principi? oltre a temere un’espansione dell’Iran, poteva avere qualche interesse alla permanenza di Saddam al potere, come per esempio i vantaggi derivanti all’indebolimento permanente dell’Irak, isolato e bandito dalla comunità internazionale, in balia delle imposizioni americane sull’esportazione del petrolio? (su tutto ciò si veda il libro citato di Luizard)

 

13. Verso nuovi “media di guerra”? Il news management.

 

Se il grande pubblico è all’oscuro su temi importantissimi, non si può dire  che dalla collaborazione tra gli uffici-stampa dei principali governi occidentali e i grandi media globali nasca una censura completa o una trama di pure invenzioni. Si tratta piuttosto di news management, cioè di una orchestrazione della diffusione delle notizie, per cui quelle che devono giustificare l’azione dei governi vengono lanciate al momento giusto, creando la necessaria attenzione, in modo  che possano colpire il grande pubblico, mentre quelle sgradite vengono celate, o sommerse da rumori di disturbo, o minimizzate, o smentite (magari per essere ammesse più tardi, in sordina).

Non è dunque propriamente in questione la libertà di stampa e di informazione tranne in alcuni casi limite – ma la correttezza della concorrenza nella diffusione delle notizie. In caso di guerra, ma ormai spesso anche in altre circostanze, la nostra libertà di stampa assomiglia alla libertà di parola che c’è in discoteca. Tutti possono parlare liberamente, ma si sente solo la musica e  ciò che dice il disk jokey.

 

 

Il news management è stato ampiamente usato dal governo americano e da altri governi occidentali in occasione delle crudelissime guerre nella ex-Jugoslavia. Allora i riflettori erano puntati sulle atrocità, peraltro reali, dei serbi, accuratamente spettacolarizzate, mentre spesso erano minimizzate quelle dei croati. E’ difficile dubitare che Milosevic (pur eletto presidente della Serbia in una competizione pluripartitica) sia responsabile di gravi crimini contro croati, bosniaci e kosovari, ma la sensibilità per questi crimini manifestata dal governo americano (solitamente insensibile a quelli di Pinochet o del governo  pakistano o turco o algerino) seta qualche meraviglia. Essa non potrebbe avere a che fare anche  con i buoni rapporti degli USA e dellamica Germania con la Croazia,  e con la rivalità con la Russia ortodossa (non più comunista, ma  pur sempre la seconda superpotenza), alleata della Serbia egualmente ortodossa?.

Invece l’azione di resistenza passiva dei kosovari contro il governo serbo, guidata dal leader nonviolento islamico Rugova è stata piuttosto trascurata. Essa forse non era molto spettacolare  e si è svolta per un periodo troppo lungo, per cui ha quasi cessato di fare notizia. La resistenza armata dei ribelli dell’UCK (finanziati dalla CIA) ha avuto invece  non solo un discreto rilievo mediatico,  ma anche un notevole peso politico, visto che Rugova era disponibile a continuare le trattative con Milosevic e l’UCK le boicottava, e poi la NATO (l’Alleanza Atlantica egemonizzata dagli USA) ha finito per interromperle. Inoltre la copertura della guerra del Kosovo da parte delle grandi tv per lo più non ha evidenziato la corresponsabilità della stessa Alleanza Atlantica nella fuga in massa dei kosovari, né le vittime kosovare fatte dagli stessi bombardamenti NATO, e ha minimizzato le vittime civili serbe e i danni ecologici disastrosi causati alla Serbia  - e ai vicini paesi danubiani, neutrali - dalle devastanti bombe “intelligenti”. Né si può dire che l’opinione pubblica popolare sia informata del fatto che nell’UCK ci sono numerosi combattenti integralisti islamici provenienti dall’esperienza della feroce guerriglia contro il governo comunista afgano, nella quale la CIA aveva collaborato attivamente con Bin Laden e la sua organizzazione. Infine, in Italia, paese che ha dato il suo sostegno alla NATO nel conflitto contro la Serbia, nessun commentatore ha rievocato il massacro di circa seicentomila serbi durante la seconda guerra mondiale ad opera dei croati, quando la Croazia, sotto re Aimone di Savoia, era un protettorato italo-tedesco - circostanza che non ci autorizzava certo a erigerci a giudici imparziali).

 

14. Il news management e l’attentato alle Torri gemelle.

 

E’ stato l’attentato alle Torri Gemelle del settembre 2001 a modificare ulteriormente l’impiego del news management  da parte del governo americano. In sostanza il news management, gestito da apposite agenzie specializzate, per conto dei governi, dei partiti più ricchi e organizzati o delle grandi imprese private globali, è una tecnica per presentare all’opinione pubblica alcune informazioni in modo che abbiano particolare risalto. Tali informazioni saranno poi commentate da opinionisti legate a centri di studi politicamente orientati (detti “think tanks” negli Stati Uniti). I giornalisti della stampa indipendente sono invogliati a collaborare con questa gestione complessiva perché vengono forniti loro “pacchetti” di informazioni già confezionate dalle agenzie di news management, perché ottengono dal loro governo accesso a certe zone “calde” (però sotto sorveglianza delle autorità), perché ottengono facilitazioni e possono essere ufficialmente accreditati presso certi governi amici se sostengono l’interpretazione delle notizie data dal  governo, perché, dove le immagini dirette riprese dagli operatori indipendenti sono vietate o impossibili, possono ottenere quelle ufficiali, ecc.

L’attentato alle Twin Towers del settembre 2001, dunque, ha fatto  passare il news management del governo americano dal modello che si potrebbe chiamare della segretezza e spettacolarità, in cui i giornalisti sono tenuti lontani dal teatro delle operazioni e  il conflitto è spettacolarizzato soprattutto attraverso le immagini di mezzi bellici ad alta tecnologia, a quello della guerra dell’informazione, in cui vengono organizzate campagne di disinformazione da parte di agenzie specializzate e campagne d’odio da parte di media partigiani (su questi concetti vedi Franca Roncarolo, La guerra tra informazione e propaganda, in AA.VV, Guerre globali, Carocci, Roma 2003, pp.229-242, citate anche nel mio testo su Opinione pubblica, media e potere nel Novecento).

La “guerra al terrorismo” e a agli “Stati canaglia” è già di per sé un concetto piuttosto ambiguo, in cui guerra tra Stati, guerra civile e operazioni di polizia per la repressione della criminalità vengono mescolate. Gli USA, tra l’altro, si riservano di negare  lo status di prigionieri di guerra alle persone catturate nelle operazioni. Esse però non godono neppure dello status proprio dei criminali comuni, ma sono poste fuori dalla giurisdizione dei tribunali ordinari e lasciate alle decisioni arbitrarie dell’esercito e di tribunali speciali.

Inoltre, in questo contesto giuridico anomalo, i decreti antiterrorismo considerano il sabotaggio telematico e la pirateria su internet “cyberterrorismo” (con pene fino all’ergastolo, sotto la competenza dei tribunali d’eccezione). Di questo clima, a quanto sembra, stanno approfittando le aziende produttrici di software e di cd (musicali, in particolare) per chiedere, in nome della mobilitazione contro il cyberterrorismo, leggi che proteggano il copyright e permettano loro l’intrusione via internet  nei computer dei privati per cancellare file copiati senza permesso (come riferisce Riccardo Orioles in Carlo Gubitosa, L’informazione alternativa, EMI, Bologna, 2002).

 

Sia il comportamento del governo che quello delle imprese in questione ricordano il vecchio maccartismo. Riteniamo che l’azione nonviolenta acquisisca un particolare senso in questo clima, in cui  le regole democratiche continuano ad essere affermate in linea di principio, ma abbastanza spesso sono violate in linea di fatto. Se consideriamo il comportamento di Gandhi, di Martin Luther King e di Vaclav Havel, possiamo comprendere la capacità di comunicazione che può avere tale azione. Sfidando l’autorità ma accettando le conseguenze penali della violazione della legge, questi personaggi ne hanno mostrato le contraddizioni. Hanno approfittato di ogni possibilità  lasciata dai media ufficiali per diffondere le loro idee e per mostrare tali contraddizioni.

 Per quanto possa avere difficoltà a rendersi visibile sugli odierni media globali, l’azione nonviolenta  ha dalla sua parte la forza della ragione basata sul consenso e sull’esempio, ed è capace di propagarsi coi mezzi più disparati, dal dialogo faccia a faccia alla posta elettronica. A questo proposito si potrebbe osservare che la prima fase dell’intifada palestinese, disarmata, ha attirato le simpatie dell’opinione pubblica internazionale, in particolare europea, e ha mosso anche importanti settori dell’opinione pubblica israeliana, contribuendo alla trattativa col Fronte di Liberazione della Palestina e alla nascita dell’Autorità Palestinese, cose del tutto impensabili ai tempi delle azioni di guerriglia di Al Fatah o di terrorismo del FDLP e degli altri gruppi estremisti palestinesi laici. Però il ritorno dei palestinesi al terrorismo (questa volta sotto le bandiere dell’integralismo islamico) indica che le vie della protesta incruenta di per sé non garantiscono il successo. Se la simpatia dell’opinione pubblica non si trasforma in concreta sostegno politico ed economico, chi è in stato di disperazione assoluta passerà facilmente dalla lotta disarmata  a quella armata.

 

Chi ha progettato l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 probabilmente aveva un’idea chiara sia del funzionamento del sistema dei media, sia dell’importanza e del significato dei simboli che tale attentato avrebbe comunicato all’opinione pubblica mondiale. L’impatto del primo aereo contro una delle torri, in una città come New York, sede di innumerevoli tv, garantiva in pratica che quello del secondo sarebbe stato ripreso e trasmesso in diretta. Inoltre lo World Trade Center era il simbolo del potere economico del capitalismo americano e occidentale, nonché di quello ebraico internazionale.

            Per gran parte (anche se certo non per la totalità) della nostra opinione pubblica, tale potere è qualcosa di positivo o comunque di accettabile. Ma le cose cambiano per i paesi che hanno subito la colonizzazione occidentale – in sostanza tutti tranne Cina, Giappone, Arabia Saudita, Iran, Turchia e pochi altri –, per quelli che, dopo la decolonizzazione, hanno avuto governi autoritari  sostenuti da qualche potenza occidentale e infine per quelli (tutti o quasi) che subiscono i contraccolpi della nostra potenza economica, per la presenza delle nostre multinazionali nel loro paese o per la disoccupazione causata dalla concorrenza delle nostre merci. Quanto al capitale ebraico internazionale, esso costituisce una lobby potente all’interno della politica americana, che influisce in senso pro-israeliano. Si tenga presente che per l’integralismo islamico lo Stato d’Israele non è solo l’oppressore del popolo palestinese, ma anche l’illegittimo padrone dei  luoghi santi di Gerusalemme.

L’occidente, tanto potente nella trasmissione tecnica mediale dei simboli, sembra talora insensibile al loro significato culturale. In effetti aveva costituito un’offesa per l’integralismo islamico già la presenza, durante la  prima guerra del Golfo del 1991, di truppe occidentali in Arabia Saudita – benché debitamente autorizzata dal paese ospite. Tale autorizzazione non poteva rimediare al senso di profanazione di chi vede nell’Arabia Saudita il cuore dell’Islam, in cui sorge la città santa della Mecca. E la seconda guerra del Golfo del 2003 ha visto addirittura l’ingresso delle truppe americane nelle città sante irakene degli sciiti - difese non solo dall’esercito di Saddam, ma dalla stessa popolazione islamica sciita e oggi centri di ribellione e di guerriglia.

 

In sintesi, nel mondo contemporaneo si intrecciano e si sovrappongono   una serie di contraddizioni: quella tra i paesi industrializzati (Stati Uniti, Canada, Australia, Europa occidentale, Giappone)  e dei paesi di nuova industrializzazione (Taiwan, Corea del sud, Singapore, ecc.)  da una parte e il resto del mondo dall’altra; quella tra gli inclusi e gli esclusi dalla società dell’informazione (cioè adeguatamente collegati o no alle telecomunicazioni e in particolare a Internet) e, infine, quella tra quanti sono gratificati dalla nuova cultura globale americano - occidentale diffusa dai media e quanti si sentono invasi o offesi da essa: contraddizioni economiche, tecnologiche e culturali.

Per quanto riguarda il campo della cultura e dei media, la nostra opinione pubblica dovrebbe cominciare un processo di riflessione sul modo in cui i popoli appartenenti ad altre civiltà ci percepiscono. La prima guerra del Golfo, che a  noi sembra senz’altro legittima – in difesa del Kuwait contro l’aggressione irakena, su mandato dell’ONU - nel migliore dei casi viene recepita così:

gli USA e i loro alleati hanno ragione, ma usano l’ONU per ottenere qualcosa che serve a loro – il petrolio, mentre  moltissimi altri gravi casi di ingiustizia sono da loro protetti, o avallati, o ignorati (dal sostegno alla guerriglia degli integralisti islamici in Afghanistan e in Cecenia e a regimi dittatoriali come il Guatemala,  dall’avvallo alla dura oppressione dei Curdi da parte della Turchia e oggi degli “assassini mirati” di leader palestinesi e della spoliazione del popolo palestinese delle sue risorse vitali compiuta da Sharon, all’indifferenza di fronte ai massacri in Uganda, Ruanda e Burundi, nonché a Timor est, ecc.).

La seconda guerra del Golfo, che ha suscitato forti perplessità e proteste nella stessa opinione pubblica occidentale, sarà presumibilmente percepita, nel migliore dei casi, in questo modo: gli Stati Uniti, la superpotenza imperiale, si fanno giustizia da sé, senza l’ONU, e autorizzano così moralmente chiunque altro, potendo, a fare altrettanto. Altri (nemmeno i più ostili) penseranno poi che gli USA perseguono i loro interessi petroliferi, senza tener conto né della giustizia né delle Nazioni Unite. Più importante sarebbe capire quale sia la percezione di chi è aggredito e invaso militarmente o si sente offeso nella sua identità culturale e religiosa.

Questo compito di comprensione ha certamente bisogno di esperti e di mediatori culturali. Ma spetta anche a noi cittadini relativamente istruiti e informati delle democrazie occidentali. La sopravvivenza della nostra opinione pubblica libera  dipende anche dalla nostra capacità di evitare altri conflitti armati ed episodi di terrorismo globale che ci portino alla militarizzazione progressiva della democrazia. Se si vuole costringere i fautori della guerra senza limiti a mutare rotta, se si vogliono trovare soluzioni diverse da quelle dello scontro armato e del terrorismo, è necessario capire le ragioni degli altri, i loro interessi vitali, le alternative tragiche a cui sono di fronte e i loro valori irrinunciabili. Tale comprensione è indispensabile per un effettivo dialogo  interculturale, per compromessi accettabili e per una convivenza sostenibile.

Paradossalmente i terroristi che hanno realizzato l’attentato alle Torri Gemelle hanno saputo capire ed interpretare le ragioni dei disperati,  islamici e non, molto meglio delle potenti agenzie di news management. Il loro messaggio è tanto più potente e pericoloso in quanto esso si muove esclusivamente sul terreno simbolico. Gli attentatori suicidi non avevano evidentemente nessun interesse personale, se non la fede nell’aldilà e la convinzione fanatica di essere nel giusto.  Non solo, ma gli attentatori non hanno richiesto nulla a nessuno, non hanno avanzato nessuna precisa rivendicazione. Piuttosto si sono posti, in modo certo blasfemo, come esecutori della giustizia divina, così come loro la intendono. I commentatori occidentali hanno trascurato spesso questi aspetti, ignorando o cercando di sminuire quel ruolo di eroi e di profeti che essi hanno effettivamente assunto, ci piaccia o no,  di fronte a milioni e milioni di persone (e non solo islamici).

In un secondo momento lo stesso governo americano ha finito per ricalcare, sul piano simbolico,  il modello religioso e profetico degli stessi attentatori: la missione di guerra in Afghanistan è stata chiamata in un primo momento “Giustizia Infinita”.  Questo nome, anch’esso blasfemo, è stato in un secondo momento cambiato. Tuttavia i toni adottati dal governo americano sono spesso quelli di un conflitto religioso tra il Bene (noi) e il Male (i nostri nemici). Questo tipo di linguaggio, sempre indebitamente religioso,  impedisce la comunicazione. Non parliamo della comunicazione impossibile con chi promuove il terrorismo delle Torri Gemelli, che nega ogni dialogo con i suoi stessi atti, ma di quello con i popoli oppressi e, in genere, con gli ex-colonizzati.  Per capire le  ragioni degli altri non ci si può porre come gli unici possessori della ragione e della verità, ma riconoscere che essa è raggiungibile solo attraverso uno sforzo comune.

 

 


 

 

 

 

 

Documento

 

Marc Ferro

Il messaggio dell’attentato dell’11 settembre

 

Intervista al grande storico francese Marc Ferro dopo l’attentato alle Torri Gemelle.

….L'immagine non è precisamente l'obiettivo dell'azione dei terroristi?

Non si tratta solamente di colpire l'immaginazione. Il terrorismo del resto esisteva prima che ci fossero immagini di quel genere, come quando gli armeni attaccavano la banca ottomana all'inizio del secolo. Lo scopo del terrorismo, in effetti, è prima di tutto di colpire dei luoghi simbolici.

Lei non crede che i terroristi abbiano pensato alla televisione? Quest'immagine simbolica degli aerei che percuotono dei grattacieli resterà; nel mondo mussulmano, alla televisione o in cassette, essa mostrerà senza sosta che è possibile colpire il Grande Satana al cuore…

E' certo  che quest'immagine non ha equivalenti. E' un po' come la croce uncinata che esplode sulla porta di Brandeburgo nel 1945 - quest'immagine resta per sempre. Ed è la prima volta che la rivoluzione islamica dispone di immagini che attestano la disfatta del nemico principale o, almeno, del fatto che esso è stato colpito gravemente. Ma c'è un'altra immagine più inquietante: è quella dei primi americani intervistati subito dopo l'attentato. Non solo sono colpiti dal fatto che il loro paese non è invulnerabile, ma non capiscono assolutamente da dove può provenire il risentimento degli islamisti e degli arabi nei loro confronti. Questo mostra l'incapacità degli americani di misurare quello che avviene dall'altra parte, al contrario per esempio dei palestinesi e degli israeliani che si conoscono a memoria e che sanno bene che l'altro non vuol cedere su nulla. C'è un'innocenza dell'americano medio il quale si pone dal punto di vista della virtù, mentre anche gli Stati Uniti hanno ucciso degli innocenti. Se gli americani sono così stupefatti è perché i loro media informano poco sull'estero, Certo, l'establishment è spesso molto informato, ma questo che significa? Quando ero a Chicago, sentivo questa frase alla televisione: "News of the other States...[notizie dagli altri Stati]" Erano le notizie dall'Oklahoma o dal Montana, non dall'estero[1].

Nella reazione della società americana, che peso da al fatto che gli Stati Uniti siano un paese profondamente religioso?

Gli americani sono stati certamente meno in imbarazzo di fronte a dei fondamentalisti musulmani che a dei comunisti atei. Tanto più che hanno sempre pensato di incarnare il Bene: contro Hitler, era il bene contro il Male, contro Stalin era il Bene contro il Male, e così è oggi.

Per gli islamisti, lei dice, sono le prime immagini della vittoria. Ma il fatto che gli americani non abbiano mostrato il minimo cadavere non significa che l'America non accetta di mostrare l'immagine della disfatta?

Durante i conflitti, non si mostrano mai i propri morti, ma quelli dell'avversario[2]. Gli americani vogliono limitare l'immagine del trauma che hanno subito, della disfatta, dell'affronto e della mortificazione. Durante la guerra del 14-18 non si vede mai un francese morire… La stessa cosa durante la seconda guerra mondiale, in cui ben pochi cinegiornali tedeschi o russi mostrano morti del proprio campo. Vecchia tradizione occidentale, che risale alle Crociate, perché, nell'iconografia dell'epoca, i crociati non morivano mai, erano trapassati dai colpi, ma i loro corpi restavano intatti finché non li si raccoglieva. Nella tradizione cristiana, grazie al miracolo della fede, noi non moriamo, sono gli altri… Si può notare che il solo paese che non ha avuto paura di mostrare i suoi morti durante la seconda guerra mondiale è il Giappone.

Ma, per gli americani, c'è stato il Vietnam e la guerra in diretta tutte le sere alla televisione…

La svolta in effetti è stato il Vietnam, dal momento in cui il giornalismo, scritto e televisivo, ha giocato un ruolo di contro-potere  effettivo, autonomo, e che la vittoria dei media è stata effettiva.

Lei che ha molto  lavorato sul cinema, non è stato colpito dal lato hollywoodiano di quello che è successo?

Ricordatevi dell'apparizione dei film-catastrofe come  L'inferno di cristallo. Allora era  l'inconscio d'una società che immaginava il peggio in modo diverso che nella lotta contro l'URSS. Ma ciò non ha avuto conseguenze sulla CIA o l'FBI: hanno visto i film e ne hanno concluso che era solo cinema...

Nella storia, la parola terrore appare senza dubbio per la prima volta durante la Rivoluzione francese…

C'è certamente una convergenza tra i due: il terrorismo ha come scopo di installare il terrore, ma il Terrore è un regime. Certo, a proposito del Comitato di salute Pubblica, si parlava effettivamente di "terroristi", ma si trattava di tutt'altra cosa. Il Terrore viene dall'alto. E' una pratica di Stato, una forma di controllo sulla società, mentre il terrorismo viene dal basso, dalla società. Evidentemente, questo non è sempre chiaro. Quando Stalin fa assassinare Trotski, si tratta  di terrore o di terrorismo[3]?

… Il terrorismo attuale non sembra più perseguire gli stessi obiettivi…

E' diverso. Certo, colpisce l'America ai fasti della sua grandezza economica e strategica. Ma nessuno ne ha rivendicato l'azione. Non siamo più nella logica d'un terrorismo con obiettivi nazionali, come quello dei palestinesi.

Ci sono dei precedenti di azioni terroristiche non rivendicate?

Sì, ma unicamente per ragioni tattiche, perché non bisognava svelare una rete. Ma qui, questo silenzio è nuovo, perché i terroristi non cercano, rivendicando l'azione, di creare una situazione che ci obbligherebbe a negoziare con loro. Se essi non rivendicano, è per significare che non ci sono negoziati possibili.

D'altra parte, più essi si danno un'identità, più si rendono vulnerabili e meno sono in grado di portare avanti la loro lotta. …

Più che la non-rivendicazione, l'elemento del tutto nuovo sono i kamikaze. C'è stato qualche kamikaze in Palestina, ma erano dei kamikaze - la parola non mi piace, ma la userò - "primari". Erano dei disperati, della gente che aveva vissuto in campi di rifugiati, certo interamente pilotati da delle organizzazioni. Ma, qui, sono degli uomini formati, istruiti, il cui avvenire nella società poteva essere diverso, potevano avere una carriera. Sono animati da un misticismo e una fede che ha pochi esempi nella storia.

Marc Ferro, Intervista di  Jean-Dominique Merchet e  Marc Semo, Libération,  sabato 22 e domenica 23 settembre 2001.

 


 

[1] Anche nei programmi federali della scuola media superiore c’è solo la storia degli Stati Uniti, non quella del resto del mondo. Nemmeno la geografia  sembra essere il  forte degli americani, se si pensa per esempio che una volta Reagan, lodando la bellezza delle isole Italiane, ricordò la Sicilia, la Sardegna e.. . Creta.

[2] In effetti dopo la guerra del Vietnam, in cui il massacro dei civili vietnamiti suscitò lo sdegno di molti americani, il governo ha evitato costantemente, come si è nel documento 36, anche di mostrare i  morti dell’avversario, giungendo a minimizzare in modo assai poco credibile le perdite civili, chiamandole con l’eufemismo di  “effetti collaterali” delle “bombe intelligenti”.

[3] L’assassinio di Trotski non è stato perpetrato dalla polizia politica russa (e in questo caso si tratterebbe sicuramente di Terrore di Stato), bensì da un sostenitore di Stalin che si è spacciato per trotskista e ha potuto così accedere all’interno della villa fortificata dell’esule in Messico.

 


Federico Repetto

 

MEDIA, POTERE E DEMOCRAZIA

 

Agli studenti: chi ha paura dei media?

 

1.1. Prigionieri del Grande Fratello?

 

Nel mondo contemporaneo è ricorrente l’allarme, lanciato tipicamente dalle persone di una certa età e di cultura letterario-umanistica piuttosto che tecnico-scientifica, per il pericolo rappresentato dal potere dei media: chi li controlla, si teme, potrebbe dominare l’intera società. Due celebri romanzi (entrambi diventati film),  1984 di Orwell e Fahrenheit 451 di Bradbury, hanno descritto l’incubo di società dominate attraverso la televisione da un potere totalitario, nelle quali la cultura scritta, la poesia e la discussione filosofica sono banditi attraverso il terrore poliziesco.  

Il Grande Fratello è un  nome conosciuto oggi dai giovani per il notissimo tormentone televisivo. Ma nel libro di Orwell, scritto nel 1947, indica l’invisibile dittatore dell’Inghilterra del 1984, che non compare mai in pubblico, ma che sembra guardare tutti continuamente dalla tv e dai manifesti. Ed effettivamente sorveglia tutti (lui o i suoi servizi segreti) attraverso i singoli televisori, che funzionano anche come telecamere, realizzando così un controllo totale sulla vita privata. Questo dominio della tv è poi caratterizzato dalla manipolazione delle notizie e dalla continua alterazione del passato: dando per scontato che la gente, affascinata dal fluire delle notizie sul teleschermo, non sia in grado di accorgersene o di reagire, i servizi d’informazione dello Stato riscrivono in continuazione la storia passata, anche quella recentissima, sulla base delle necessità di agitazione politica del momento, in modo che l’azione del governo sia costantemente giustificata.

Il continuo fluire delle notizie in tv in 1984  cancella la memoria storica, che solo i libri e in genere gli scritti possono restituire. Per questo la libera lettura è mal vista sotto la dittatura del Grande Fratello. Ma in Farenheit 351 leggere,  non solo di storia e di politica, ma qualunque tipo di libro, è addirittura proibito, perché il rapporto con il passato, l’esercizio della fantasia  e la riflessione autonoma sono visti come un pericolo per il potere e per la sua ideologia esclusiva.

 

1.2. La politica come spettacolo e la vita privata come spettacolo

 

 Più vicini alla nostra realtà, e proprio per questo più inquietanti, sono i film Quinto Potere di Sidney Lumet, e The Truman Show di Peter Weir.  Il primo, realizzato e ambientato negli Stati Uniti negli anni Settanta, descrive la trasformazione dei telegiornali di una grande catena televisiva americana in notiziari-spettacolo favolosi e demagogici, che, assecondando i bisogni e i desideri della gente comune, riescono a suggestionarla e, alla lunga, a controllarne il comportamento. Il ricorso all’astrologia e ai pregiudizi, l’esagerazione e la semplificazione nelle notizie televisive che appaiono in questo film degli anni settanta non sono poi molto lontani dalla realtà dei nostri odierni tg.

 Il secondo, realizzato anch’esso negli USA, ma alla fine degli anni novanta, e ambientato nel nostro immediato futuro, narra la storia di un giovane fatto crescere, a sua insaputa, in un villaggio abitato solo da attori, che interpretano la parte dei suoi parenti, amici, conoscenti, ecc.; la  vita reale di Truman è trasmessa dalle tv di tutto il mondo in un interminabile serial, ed è naturalmente manipolata secondo le esigenze della regia e i desideri del pubblico. L’allusione è evidentemente ai reality show, il cui pubblico sembra morbosamente interessato ai fatti privati degli altri, a conoscere la verità in diretta, senza comprendere che la presenza della tv è di per un elemento di manipolazione e deformazione della realtà.

In questi ultimi due film viene prospettata una particolare forma di dominio totale sull’uomo, che non ricorre ad alcuna forma di costrizione, ma che lo condiziona proprio assecondandone passioni e  desideri e, inoltre, nascondendogli le informazioni necessarie perché possa decidere autonomamente. Mentre le prime due storie si riferiscono a società future totalitarie, dominate da un partito unico e dalla sua polizia segreta,  nelle seconde sono semplicemente i proprietari i manager e i registi delle grandi tv  che, attraverso i media, esercitano  un dominio di tipo nuovo.

Infine, film come Oltre il giardino, La seconda guerra civile americana e Sesso e potere ci presentano le conseguenze estreme e paradossali di una  realtà in atto – la mescolanza tra il potere politico e il potere mediatico. Qui presidenti americani democraticamente eletti, nella loro smania di mantenere con qualunque mezzo e a qualunque costo il favore degli elettori, cercano di nascondere all’opinione pubblica la realtà effettiva della situazione interna o estera con una serie di messaggi persuasivi o di spettacolari “effetti speciali” e portano il paese verso politiche economiche insostenibili o verso guerre sanguinose. Contemporaneamente, gli esperti di sondaggi e di immagine pubblica, come pure i manager dei media, esercitano un potere illegittimo sulla politica e sul destino di tutti i cittadini: i presidenti, prima ancora che con i membri del loro governo o con i membri del parlamento, si consigliano con i loro esperti, che sono i registi dello spettacolo della politica.

Un effetto paradossale degli ultimi film citati  è probabilmente quello di far pensare a molti spettatori: tutto questo è possibile solo in parte,  poiché io, almeno, non sono così incauto da bere qualunque fandonia. E anche l’intenzione dei registi non era certo quella di lanciare maledizioni e profezie catastrofiche, ma di provocare una reazione che rendesse impossibile l’avverarsi delle loro fiction.

 

Parte Prima. L’opinione pubblica liberale e il suo funzionamento

 

2. Le origini dell’opinione pubblica liberale nel Sette-Ottocento

 

Se vogliamo valutare la portata reale di questi scenari fantastici, dobbiamo ricorrere alla storia e allo studio sociologico del rapporto tra media e potere.

Il sistema politico rappresentativo parlamentare di tipo liberale ha avuto fin dai suoi inizi un rapporto molto stretto con i media – all’inizio naturalmente con i media della carta stampata.  I primi Stati in cui il Parlamento ha effettivamente esercitato un potere sovrano e i cui sudditi hanno potuto godere in qualche modo dei diritti di tipo liberale furono l’Inghilterra del Settecento (dopo la Glorious Revolution del 1689), gli USA dopo la guerra d’indipendenza del 1776-1784, la Francia subito dopo la Dichiarazione dei Diritti del 1789 e poi di nuovo a partire dal 1830 e, in seguito, diversi importanti Stati dell’Europa occidentale e centrale. In essi, mentre cresceva il peso dei parlamenti - eletti inizialmente da una ristretta élite di benestanti - cresceva anche la libertà per l’opinione pubblica, la cui voce principale erano i periodici e i primi quotidiani.

La stampa poteva così rendere conto al suo pubblico dell’azione amministrativa e della politica estera dei governi, eletti dai parlamenti, dell’opera legislativa della stessa maggioranza parlamentare e delle proposte alternative dell’opposizione. Così il ristretto gruppo  degli elettori (votavano solo i più ricchi) poteva scegliere con conoscenza di causa se dare ancora il suo voto allo stesso candidato o a un esponente dello schieramento avverso. La competizione elettorale tra i candidati e tra  i partiti procedeva in parallelo con la concorrenza economica tra i vari giornali e i vari periodici. Le diverse posizioni politiche potevano scontrarsi sui giornali, dove trovavano spazio adeguato.  

Certo, le carte erano in parte truccate: c’erano anche giornali (o singoli giornalisti) finanziati dal governo, e restrizioni di vario genere alla libertà di stampa. Ma aprire una nuova azienda giornalistica non richiedeva un capitale iniziale particolarmente alto, data la semplicità dei mezzi tecnici allora necessari. Chi avesse avuto idee originali e avesse saputo esprimerle in modo convincente avrebbe potuto aprire con una certa facilità una nuova testata e sperare di ottenere un proprio spazio nel mercato, anche se naturalmente tutti i giornali avevano una tiratura piuttosto limitata. I lettori, appartenenti  normalmente all’élite colta (non sempre però abbastanza ricca per votare) spesso scrivevano al giornale con competenza di causa e la discussione innescata dalla stampa proseguiva nei salotti e nei circoli culturali, e aveva la sua eco in Parlamento.

 

Come ha mostrato magistralmente il filosofo e sociologo Jürgen Habermas, nel moderno sistema parlamentare rappresentativo l’opinione pubblica svolge una funzione essenziale. In tale sistema, in cui il rappresentante ha una delega totale da parte dei rappresentati, che non possono vincolarne in nessun modo l’azione né chiederne  la decadenza prima del periodo fissato dalla legge, è difficile dire che il corpo degli elettori sia veramente sovrano: di fatto è sovrana piuttosto l’assemblea dei suoi rappresentanti, almeno per tutto il periodo in cui essa è in carica. Non era così invece nella città-stato di Atene, lo Stato modello della democrazia antica, in cui il vero organo sovrano era l’assemblea dei cittadini ateniesi, che votavano di persona  - senza bisogno di rappresentanza - sulle principali questioni pubbliche e si rivolgevano direttamente ai magistrati da loro eletti (per esempio, in Atene, gli “strateghi”)  per chiedere conto delle loro azioni. Nel mondo moderno, invece, la stampa periodica ha assunto la funzione di mettere in rapporto con il governo e col parlamento il corpo degli elettori e la parte colta della società.  La delega -formalmente senza limiti - dei parlamentari è di fatto limitata dalla pressione dell’opinione pubblica, che, da un lato, fa riferimento all’interesse pubblico, a valori culturali e morali comuni, a considerazioni oggettive di economia e di diritto, per criticare il loro operato e, dall’altro, incalza i rappresentanti che si allontanano troppo dalla volontà dei rappresentati con la minaccia più o meno lontana della non-rielezione. O, qualche volta, con minacciose manifestazioni di piazza.

Certo, l’opinione pubblica dei colti e dei ricchi, l’opinione pubblica intellettuale borghese,  non può dire di essere per sua natura il vero rappresentante della volontà generale del popolo e dell’interesse pubblico. Tuttavia la discussione senza fine che in essa si svolge, se non può stabilire verità e valori definitivi, può almeno avviare un processo di avvicinamento ad essi. Essa può scartare progressivamente le tesi palesemente false o contrarie al senso di giustizia. Attraverso un procedimento indefinito per prova ed errore l’opinione pubblica moderna sembra tendere – all’infinito – verso la verità e verso l’interesse universale. Ma perché ci si possa avvicinare ancora di più all’universale, tutti i soggetti dovrebbe poter partecipare attivamente alla discussione e, perché le loro opinioni non contino solo in teoria, dovrebbero poter votare.


 

SCHEDA DI APPROFONDIMENTO: il sistema dell’informazione, dell’opinione pubblica e della stampa nei primi stati liberali tra 700 e 800

1.       CARATTERISTICHE  TECNICHE DEL MEDIUM PREVALENTE (= RIVISTE E QUOTIDIANI)

= I quotidiani sono nati in Inghilterra all'inizio del 700 (mentre i periodici sono più antichi), si sono diffusi inizialmente nella sola città di Londra (non esiste ancora il treno per trasportarli e, se la notizia diventa vecchia, i quotidiani non hanno motivo di essere preferiti ai periodici)  e sono destinati alla lettura privata e alla lettura - discussione pubblica in circoli e ritrovi.

 =Giornalista e lettore sono entrambi semicompetenti (cioè forniti di una cultura generale, consci dei propri limiti e capaci di trovare persone veramente competenti con cui approfondire il discorso): il giornalista si differenzia dal lettore soprattutto perché ha più diretto accesso alle notizie e al mondo dei veri competenti (scienziati, politici, esploratori, etc.) e perché eccelle nell'arte della parola scritta (che però non ha l'impatto emotivo che l'oratore aveva sulla plebe ai tempi della democrazia antica: lo scritto lascia al lettore ampia possibilità di riflettere e rielaborare).

  2. CARATTERISTICHE SOCIALI DEL MEDIUM

 =La discussione dell'opinione pubblica illuminata nel 700 e nell'800 fa rinascere, almeno in certi ambiti limitati (borghesi e intellettuali) e con nuove modalità, la comunicazione senza fini immediati di lucro  della antica città Stato. Essa però non avviene nello spazio pubblico-politico dell'agorà (la piazza, centro politico della città), ma negli spazi pubblici appartenenti a privati propri della società civile moderna: salotti, circoli, caffè, e nello spazio ideale delle "lettere al giornale".

 =Vengono discussi i problemi etici UNIVERSALI che riguardano, in linea di principio, tutti gli individui privati (costume, famiglia, amore, senso della vita ecc.) e i problemi ECONOMICI E POLITICI, ma dal punto di vista degli interessi dei lettori borghesi.

 =Nel nuovo spazio pubblico dei giornali e delle riviste, c'è EGUAGLIANZA di principio tra i soggetti che fanno "uso pubblico della ragione" (secondo l'espressione dell'illuminista Kant, che vede nella libera discussione razionale tra eguali un segno del "passaggio alla maggiore età" di un numero crescente di esseri umani, non più bisognosi della tutela dell'autorità per pensare).

  3. POSIZIONE DEL POTERE RISPETTO AI MEDIA DELLA CARTA STAMPATA

= I primi PARLAMENTI e GOVERNI semiliberali e liberali (il modello è la monarchia parlamentare inglese dopo il 1689) sono di solito, rispetto al messaggio trasmesso dai media, nella posizione di “riceventi: attraverso l'opinione pubblica ricevono le richieste e le critiche delle élite degli elettori. In linea di massima la stampa è libera, concorrenziale e a basso costo, per cui è sufficiente un capitale abbastanza modesto per aprire un nuovo giornale e affermare nuove idee. Inoltre con un pubblico semicompetente (cioè cosciente dei propri limiti ma capace di approfondimento) le manipolazioni politiche della stampa sono poco efficaci. Benché esistano anche giornali controllati dal potere politico, esso di solito non riesce a influenzare l'intero sistema dei  media, che trasmette le sue decisioni e comunicazioni al pubblico, ma ne da il resoconto critico che i redattori indipendenti hanno elaborato.

 4. POSIZIONE DEI CITTADINI

 L'élite dei cittadini - elettori è, per quanto riguarda i messaggi trasmessi dai media, nella posizione dell’”emittente - almeno per certi aspetti (le lettere ai giornali e il successo commerciale dei periodici e giornali che piacciono ai cittadini sono i mezzi con cui il pubblico manda messaggi al governo). E' anche vero che il suo messaggio principale alla più ristretta élite al potere è l'elezione periodica dei RAPPRESENTANTI in Parlamento, mentre nella democrazia antica il popolo delle città Stato prendeva DIRETTAMENTE in assemblea le decisioni sulle più importanti questioni specifiche. Certo, però, la stampa (in cui i cittadini colti sono emittenti, come si è appena detto) può cercare di influenzare i rappresentanti anche sulle singole questioni, manifestando ad essi l'opinione dei propri giornalisti e dei propri lettori (lettere ai giornali, successo dei periodici che esprimono determinate critiche). Tale opinione pubblica è relativamente influente su di loro perché potrebbe determinare la loro sconfitta nelle successive elezioni o mettere in pericolo l’ordine pubblico.

 5. FUNZIONE SOCIALE DEL MESSAGGIO

I messaggi dell'opinione pubblica provengono principalmente dai ceti ricchi e colti, che si propongono come difensori degli interessi UNIVERSALI degli INDIVIDUI, che parlano cioè a nome di tutti gli altri individui. Essi però di fatto difendono con razionalità i loro interessi economici e il loro stile di vita (individualismo economico acquisitivo – cioè volto al profitto - tipico degli imprenditori e in genere dei borghesi). Tuttavia, questa presa della parola a nome anche di chi non può avere voce è potenzialmente un esempio anche per gli altri strati della popolazione, che difenderanno in seguito i loro interessi, usando i mezzi espressivi più semplici che sono alla loro portata: la manifestazione, lo sciopero, la petizione, ecc.

 6. RICADUTE SOCIALI

= Nelle masse si diffondono, grazie all'esempio delle élite colte, la CRITICA all'autorità e l'etica acquisitiva e mercantile, ma le rivendicazioni verso i padroni e le autorità per migliori condizioni di vita saranno più efficaci tanto più esse sapranno muoversi in modo solidale, piuttosto che individualistico. Mentre nelle prime monarchie liberali vota un'infima percentuale di cittadini, formata dai più ricchi, la critica politica attraverso la stampa da un lato da voce anche a molti che non hanno diritto al voto (intellettuali di origine povera, piccoli borghesi e artigiani istruiti), manifestando i conflitti, rendendo possibile la mediazione e impedendo la radicalizzazione dello scontro sociale. Essa al contempo però rende palese l'iniquità dell'esclusione dal voto di quelle persone semicompetenti e informate più povere che pure scrivono sui giornali o che li leggono.

= La  concezione dell'eguaglianza dei soggetti razionali, promossa dalla diffusione dell'opinione pubblica libera, tenderà dunque a trasformarsi in egualitarismo politico, economico e sociale, spingendo - tra l'altro - in direzione del suffragio universale.


 

3. Opinione pubblica e progresso del sapere: libera concorrenza tra merci, partiti ed idee

 

3.1. Il mercato come modello di competizione pacifica per il progresso

 

Karl Popper, che ha studiato i benefici effetti della competizione tra diverse ipotesi nel campo della ricerca scientifica, ha anche rilevato l’analogia che esiste tra la libera concorrenza tra le idee e la libera concorrenza tra le merci. Quest’ultima  porta, nella società moderna, alla selezione progressiva delle merci considerate migliori dal pubblico pagante e, insieme, delle tecniche meno costose per produrle. Il mercato infatti premia chi produce ai costi più bassi le merci più richieste (da chi è in grado di pagare) e incoraggia così quei capitalisti che  tentano di abbassare i costi di produzione con innovazioni tecniche. Incoraggia dunque lo sviluppo economico in generale.

Una simile competizione pacifica, secondo Popper, si svolge anche nel mondo della politica e della cultura.  Nell’arena della politica la concorrenza è tra uomini –alla carica di rappresentante o deputato,  tra correnti politiche o partiti -per ottenere la maggioranza parlamentare necessaria ad eleggere il governo- e tra idee e programmi di governo -sui quali si dibatte sui giornali e tra il pubblico durante la campagna elettorale e durante l’intera legislatura (cioè il periodo in cui un parlamento è in carica). Inoltre la lotta pacifica, a colpi di argomentazioni razionali, che si svolge nell’ambito della cultura tra le diverse idee e concezioni del mondo, si collega in parte con la lotta politica, e comunque influisce con le scelte degli stili di vita da parte dei cittadini.

 

E’ dunque evidente che, nei primi grandi Stati liberali del mondo occidentale, caratterizzati da un territorio molto esteso e da una struttura economica e sociale complessa, non era possibile la “democrazia degli antichi”, cioè la discussione “faccia a faccia” tra i cittadini liberi dell’assemblea (democrazia diretta). In essi era però venuta formandosi la “democrazia dei moderni”: era il parlamento (in cui si svolge la discussione “faccia a faccia”) ad eleggerne il governo (potere esecutivo) e a controllarne l’operato, ma  il parlamento doveva poi in qualche modo confrontarsi, attraverso i media, con l’opinione pubblica libera dei cittadini colti e ben informati, che in parte coincidevano con l’elettorato dei benestanti e che, in ogni modo, esercitavano una qualche forma di controllo, di proposta e di pressione, o addirittura una qualche potenziale minaccia (manifestazioni, non-collaborazione, rifiuto di obbedire, ecc.).

Questa è la “democrazia dei moderni” o “democrazia liberale”. O, per meglio dire, il “regime parlamentare liberale”, visto che votano solo i possidenti. “Democrazia liberale” è, invece, un regime parlamentare liberale in cui ci sia il diritto di voto per tutti. Può sembrare che sarebbe bastato il regime parlamentare liberale avesse concesso il voto a tutti perché tutti entrassero nel mercato politico e si realizzasse la perfetta democrazia dei moderni.

 

 

3.2. La competizione politica e culturale

 

Tuttavia l’analogia tra la competizione tra programmi politici (e tra culture) assomiglia solo fino ad un certo punto alla competizione di mercato. In primo luogo il mercato prende in considerazione solo la domanda pagante: un bisogno può essere essenziale dal punto di vista umano e morale - per esempio produrre libri di scuola adeguati per analfabet i- ma la produzione si  svilupperà nel settore in questione solo se avrà un adeguato incentivo economico, che, in un caso come questo, difficilmente verrà dal mondo dell’economia – sarà necessario p.es. che lo Stato istituisca delle scuole elementari gratuite. In secondo luogo lo sviluppo tecnico ed economico si produrrà anche se la gente (pagante) comprerà oggetti socialmente dannosi o pericolosi (superalcolici, automobili inquinanti, armi) e se si lascerà sedurre dalla pubblicità a comprare oggetti inadeguati ai suoi bisogni, o inutili e destinati a non essere consumati.

Il corrispettivo, nella competizione politica o culturale, dell’impossibilità di ottenere sul mercato quanto ci è strettamente indispensabile a causa della nostra mancanza di denaro è l’impossibilità di ottenere informazioni adeguate. Essa dipende dall’ignoranza, dalla scarsità di denaro rispetto al costo dell’informazione e dalla scarsità di tempo e di disponibilità mentale per informarsi – p.es. dopo una giornata di lavoro massacrante. Il corrispettivo della  pubblicità invece è il ricorso a forme di propaganda seducente e martellante, che pongono in secondo piano l’argomentazione razionale, o alla manipolazione della notizia. Il diritto all’istruzione e, più tardi, il diritto all’informazione sono quindi stati rivendicati come condizioni necessarie per una compiuta democrazia liberale.

Come si vede, quindi, l’analogia tra opinione pubblica e mercato ha diversi limiti e comporta certi svantaggi per alcuni cittadini. Tuttavia, anche i vantaggi sono in parte vanificati dall’evoluzione del mercato stesso tra l’Otto e il Novecento. Si tratta del passaggio da un regime di concorrenza perfetta (almeno secondo le pretese dei liberisti) a un regime di concorrenza sempre più marcatamente e palesemente imperfetta. Analizziamo la questione.

I fautori radicali della libera iniziativa (liberisti) hanno a lungo combattuto per eliminare i molteplici vincoli che lo Stato, dal mercantilismo protezionista dell’assolutismo seicentesco allo Welfare State del Novecento, ha imposto al mercato  concorrenziale e agli imprenditori, nonché per far cessare il suo intervento diretto  nell’economia attraverso aziende in tutto o in parte di proprietà pubblica. In alcuni periodi, come a metà dell’ottocento e, di nuovo, negli ultimi vent’anni, tale politica economica liberista ha avuto anche un certo successo, almeno in un certo numero di Stati. Ma, anche quando i fattori esterni (i pubblici poteri) hanno ridotto al minimo la loro influenza sul libero gioco dell’iniziativa privata, non si può dire che essa si sia trovata permanentemente in condizioni di concorrenza perfetta.

Con questo termine si intende una situazione ideale in cui i singoli agenti di mercato (venditori o compratori) vendono o comprano su di una scala così ridotta da non essere in grado, con una singola serie di transazioni di compra-vendita, di influenzare l’andamento generale dei prezzi. Se per esempio una certa acciaieria, in seguito  alla diminuzione dei costi di produzione dell’acciaio nelle sue officine grazie a qualche innovazione tecnica, è in grado di diminuire il suo prezzo, potrà probabilmente sottrarre clienti a certi suoi concorrenti, ma non potrà far diminuire immediatamente i prezzi dell’acciaio in generale. Perché questo avvenga sarà necessaria che moltissimi altri produttori adottino l’innovazione che ha permesso la diminuzione dei costi e, uno dopo l’altro, diminuiscano il prezzo. Coloro che non hanno capitali sufficienti per rinnovare i macchinari a questo punto perderanno clienti in gran numero, e dovranno anche loro diminuire i prezzi e perdere così il loro profitto. O si indebiteranno con le banche per comprare i nuovi macchinari, o addirittura dovranno chiudere.

Come si vede, il vantaggio della concorrenza perfetta (nella misura in cui può esistere davvero) è quello di mettere le aziende in condizioni eque nella loro competizione e di permettere che vinca il migliore, o, per dirla in termini di selezione darwiniana, che sopravviva il più adatto.

 

4. Concorrenza imperfetta o oligopolio nel mondo della carta stampata

 

Col tempo, è la concorrenza stessa che, anche senza l’intervento di fattori esterni al mercato, fa subentrare alla sua forma perfetta quella “imperfetta” o “oligopolistica”: quando la selezione avrà eliminato un numero di aziende molto grande, le aziende superstiti saranno enormemente cresciute di scala e saranno in un numero così ridotto da rendere possibili delle trattative dirette tra loro per mantenere elevati i prezzi a danno degli acquirenti (accordi di “cartello”). L’entrata sulla scena di nuovi concorrenti sarà inoltre resa difficile, se non impossibile, dall’ingente ammontare del capitale iniziale necessario: l’innovazione tecnologica rende infatti inevitabile l’acquisto di un’attrezzatura particolarmente costosa  per poter reggere alla concorrenza delle aziende già esistenti, le quali tra l’altro hanno la possibilità di accordarsi per diminuire temporaneamente i prezzi in modo da rendere insostenibile la situazione del nuovo arrivato (con la possibilità di alzarli di nuovo dopo averlo eliminato).

     Oltre ai cartelli, a un certo livello di sviluppo della produzione industriale capitalistica,  nascono trust orizzontali e verticali: i primi sono aziende di un determinato settore produttivo o commerciale (per esempio, la produzione dell’acciaio) di dimensioni tali da poter influenzare i prezzi di mercato con l’immissione di enormi quantitativi di merce, i secondi sono società che possiedono aziende in tutte le fasi di un determinato ciclo merceologico (per esempio, miniere di ferro e di carbone, acciaierie e industrie metalmeccaniche per la produzione di armi) e che, quindi, sono poco influenzate dalle eventuali  variazioni dei prezzi delle merci intermedie che servono loro per la produzione del prodotto finale e possono perciò praticare prezzi fuori mercato.

Per fare un caso più interessante ai nostri fini, possiamo immaginare un  capitalista o una società per azioni che possieda: 1)boschi e aziende produttrici di legname, 2)cartiere (che utilizzano il suo legname), 3)case editrici e giornali. Oppure. 1)agenzie di stampa, 2)agenzie di distribuzione della pubblicità, 3)giornali (che traggono le notizie dalle agenzie di stampa e ottengono profitto dalle inserzioni pubblicitarie), 4)agenzie di distribuzione dei giornali.

In particolare, alla fine dell’Ottocento in tutto il mondo capitalistico si erano ampiamente diffusi cartelli e trust in una serie di settori produttivi molto importanti. Lo stesso fenomeno era avvenuto anche nel settore dei giornali e dei periodici: nel corso dell’Ottocento la rotativa azionata ad energia meccanica aveva sostituito il tornio a mano e il dispositivo del linotype aveva  reso la composizione dei caratteri di stampa notevolmente più veloce. Questo rendeva sempre più elevato il capitale iniziale necessario per aprire un nuovo quotidiano. Ma anche altri complessi fenomeni avrebbero contribuito alla diminuzione della concorrenza.

   In effetti, alla fine dell’Ottocento si fanno sentire in molti paesi avanzati (non però ancora in Italia) gli effetti dell’alfabetizzazione di massa e dell’aumento (peraltro molto lento e graduale) dei salari. Inoltre il lavoro di grandi masse di operai in grandi stabilimenti industriali, l’urbanizzazione, l’accesso al voto di nuovi ceti e, negli USA, in Germania, Svizzera e Francia, il suffragio universale, così come la nascita dei nuovi partiti popolari di massa e lo sviluppo dei sindacati rendono partecipe della vita pubblica  una crescente quantità di persone. Per tutti questi motivi si allarga enormemente il pubblico potenziale dei periodici.

   L’evoluzione politica e sociale sembra semplicemente allargare la possibilità di vendere i giornali, senza effetti di diminuzione della concorrenza: al massimo saranno avvantaggiati quelli che avranno il miglior sistema di distribuzione. Tuttavia lo sviluppo tecnico lavora in un senso molto diverso. In particolare, il formato del quotidiano acquista una nuova attrattiva perché, dopo la diffusione del telegrafo (a partire dalla metà del secolo) e del telefono (negli ultimi decenni) le notizie arrivano istantaneamente dai paesi più lontani, stimolando nei lettori come mai prima la sensazione di essere cittadini del mondo, coinvolti nei fatti di tutto il globo - sensazione alimentata anche dalla proliferazione delle linee ferroviarie e dalla diffusione della navigazione a vapore. E questo comporta nuove spese per inviare corrispondenti all’estero o per comprare notizie dalle agenzie.

   Si noti che la storia dei mezzi di comunicazione intesi come veicoli di messaggi (telegrafo, telefono, ecc.) è intrinsecamente collegata con la storia dei mezzi di comunicazione intesi come mezzi di trasporto. E non solo per la sensazione che da a persone lontane  di appartenere ad uno stesso mondo. Se i quotidiani nel Settecento venivano diffusi in giornata solo nella città di stampa (Londra, la Parigi rivoluzionaria dell’1789, Boston, ecc.), alla fine dell’Ottocento essi arrivano in giornata o nella giornata seguente da Londra, Parigi, Boston in gran parte dell’Inghilterra, della Francia o del New England. Questo allarga il pubblico, aumenta i profitti, ma, di nuovo, anche il capitale necessario per organizzare  la distribuzione.

 

5. . Differenze tra giornali americani e giornali europei a cavallo di 800 e 900

 

Da tutti questi fatti è facile capire che anche il settore dei grandi quotidiani d’informazione  si stava trasformando tra fine Ottocento e inizio Novecento in senso oligopolistico.

Il paese in cui questa tendenza è più accentuata sono gli Stati Uniti, il cui mercato è più ampio e dinamico e in cui, anche per la tradizione democratica ed egualitaria, le masse accedono senza inibizioni alla cultura e le imprese giornalistiche non hanno paura di sporcarsi le mani rivolgendosi ad un pubblico popolare. Il mercato è dominato da poche grandi società che possiedono intere catene di giornali diffuse a livello nazionale, molti dei quali tendono al sensazionalismo e alla semplificazione per raggiungere un più vasto pubblico. E’ proprio nelle pagine domenicali di questi giornali, i cui lettori non hanno una eccessiva familiarità con la lettura, che nascono le prime storie a fumetti. Egualmente l’ampiezza dell’audience li rende appetibili per la prima pubblicità in grande stile, che permette loro di realizzare buoni profitti pur tenendo basso il prezzo di vendita. Essi prendono il nome di “giornali gialli” dal Monello giallo (Yellow Kid), il primo famoso personaggio dei fumetti.

Naturalmente,  non scompaiono i tradizionali quotidiani per i ceti ricchi e colti – che contengono informazioni rigorose e che fanno uso di argomentazioni razionali piuttosto che fare appello alle emozioni: hanno un mercato più limitato, ma possono permettersi di far pagare un prezzo più alto. Perché anche i quotidiani non hanno popolari di solito non hanno lo stesso taglio “serio” - in definitiva, utile per il cittadino? Il fatto di dover usare un linguaggio più semplice e dare un volume minore di notizie ad un pubblico che ha poca familiarità con il linguaggio colto e poche conoscenze scientifiche, non implica di per sé il ricorso al sensazionalismo o la manipolazione della realtà.

Senza pretendere di spiegare un fenomeno così complesso, è significativo fatto che il giornale giallo” si rivolga ad un pubblico che ha affrontato una pesante giornata di lavoro e che si getta su di esso non solo come una fonte di informazioni utili e di opinioni argomentate, ma come una fonte di svago e di rilassamento. Inoltre un giornale “serio” con intenti didattici non sembra essere la cornice più adatta per la pubblicità (una voce importante del bilancio) che fa appello soprattutto alle sensazioni, alla credulità, alla disinformazione della gente (le inserzioni di questo periodo brulicano di pozioni miracolose e di marchingegni ultramoderni (presumibilmente truffaldini) e di fenomeni da baraccone di ogni tipo.

Giornali del genere si sviluppano, più timidamente, anche in Europa. Qui però, più che in America, sono presenti i giornali legati ai partiti popolari, soprattutto operai, o alla Chiesa cattolica, nei quali i costi di distribuzione sono affrontati, piuttosto che grazie alla pubblicità, grazie alla diffusione attraverso le sedi dei partiti stessi e dei sindacati, o attraverso le parrocchie, o attraverso il lavoro gratuito di volontari.

Se questi giornali nascono appositamente per propagandare un’idea e per dare un’informazione orientata in base ad essa, nemmeno le grandi catene giornalistiche private americane hanno una posizione neutrale: dotate di un immenso potere di informazione e di orientamento politico e culturale, spesso trattano da pari a pari con i protagonisti della politica e delle competizioni elettorali, vendendo il proprio appoggio, o condizionando l’agenda politica (cioè la scala di priorità nelle discussioni politiche pubbliche) e imponendo i problemi per loro rilevanti e, se possibile, le soluzioni a loro gradite.

In conclusione, se lo paragoniamo con il mondo del primo giornalismo pionieristico dell’età liberale, in cui talora sopravvivevano varie forma di censura e in cui non mancavano giornali sovvenzionati dai governi o giornalisti prezzolati, e sopratutto in cui il pubblico era limitato ad un’élite, il giornalismo di massa non si rivela così libero e democratico come potevamo aspettarci. Qui non solo l’informazione e la comunicazione sono in qualche misura inquinati dal sensazionalismo e mescolati alla pubblicità, ma essi costituiscono un potenziale capace di influenzare, senza parere, l’opinione pubblica, posto in mano a ristretti gruppi privati, che possono lavorare a favore di interessi particolari, tanto economici quanto politici.

 

SCHEDA DI APPROFONDIMENTO: l'opinione pubblica democratica tra fine 800 e inizio '900

 

In questa fase, nel contesto della società industriale, la società tende a polarizzarsi in due blocchi sociali dagli interessi contrapposti: classe operaia da una parte e ceti  medi e ceti possidenti - egemonizzati dall'alta borghesia – dall’altra. Contemporaneamente il diritto di voto si allarga (fino al suffragio universale) e si formano nuove tradizioni di solidarietà nei ceti popolari e nel mondo sindacale.

Oltre a questi fattori politici e culturali, l'industrializzazione, lo sviluppo dell'accumulazione capitalistica e la straordinaria crescita del sapere tecnico – scientifico interagiranno potentemente con lo sviluppo dei media.

 

1. CARATTERISTICHE TECNICHE DEL MEDIUM

= I GIORNALI POPOLARI A BUON MERCATO si diffondono in seguito all'invenzione della rotativa (che diminuisce i costi unitari dei giornali e aumenta straordinariamente la velocità di stampa), e all'aumento della scolarità, che dilata la clientela potenziale - in concomitanza con l'invenzione e la diffusione di telegrafo, fotografia, telefono, grammofono e cinema.

 =La lettura - discussione dei giornali si svolge ora anche nello spazio pubblico popolare.

 =Il giornalista è, come nel precedente periodo liberale, semicompetente, ma il nuovo lettore medio, di origine popolare, è assai poco competente o sostanzialmente incompetente, anche in relazione all'aumento della complessità delle informazioni e della società stessa.

  =Nei giornali popolari cresce  l'aspetto emotivo, a scapito di quello razionale, tra l'altro con

-          la diffusione della pubblicità

-          la diffusione del romanzo d'appendice

-          l'aumento dell'importanza della cronaca sensazionalistica

-          la nascita del giornale di partito (con lo sviluppo dei moderni partiti di massa)

  =L'alto costo dei giornali (per i macchinari e per la quantità di servizi che ci si aspetta da essi) favorisce la concentrazione delle testate (più giornali appartengono ad una stessa proprietà o corporation), in un regime di concorrenza imperfetta o oligopolio. Aprire un nuovo giornale richiede ormai un notevole sforzo economico ed è sempre più difficile per un nuovo soggetto entrare nell'agone concorrenziale giornalistico.

 

 2. CARATTERISTICHE SOCIALI DEL MEDIUM

=Soprattutto in alcune situazioni urbane, si sviluppa una cultura popolare autonoma, legata anche a movimenti solidaristici, cooperativi, sindacali, politici ecc., in  centri di discussione popolare, con l'intervento di "intellettuali di massa" semicompetenti (maestri di scuola, sindacalisti, lavoratori autodidatti, militanti politici, ecc.). Perciò i giornali e i periodici, la cui proprietà è riservata ai gruppi editoriali capitalistici (oligopoli) o ai partiti politici o alla Chiesa, in determinate occasioni vengono utilizzati e assimilati dal pubblico popolare attraverso una fruizione collettiva.

= Lo spazio pubblico della discussione nel livello popolare della società civile sono le osterie e i ritrovi popolari (spazio pubblico appartenente a privati), ma anche le organizzazioni di massa (spazio di nuove associazioni urbane che sostituiscono le comunità tradizionali contadine: sedi di partiti e sindacati, “case del popolo,”  circoli aziendali, parrocchie, oratori, ecc.)

 =Legati a movimenti e organizzazioni di massa, questi ambienti sono portatori, rispetto ai circoli delle élite, di uno specifico modello di universalità (solidarietà di classe), sviluppatosi nelle lotte sociali del mondo industriale.

 

 3. POSIZIONE DEL POTERE

= Approfittando della potenza dei nuovi canali di comunicazione, i vertici dei diversi poteri si sono organizzati per EMETTERE messaggi. Ai proclami e ai comunicati del potere pubblico, alle encicliche e alle pastorali dei vertici religiosi vanno aggiunti i messaggi propagandistici o il condizionamento politico dell'informazione operato anche dagli altri vertici (i grandi oligopoli industriali proprietari di media, le grandi catene di giornali, partiti, sindacati, organizzazioni padronali, attraverso i loro organi di stampa, ufficiali o ufficiosi).

 = I vertici dei diversi poteri, come RICEVENTI, hanno un contatto solo indiretto e aleatorio con il pubblico, cioè:

 1) attraverso la  "corrispondenza dei lettori" dei grandi media e l'oscillazione degli acquisti dei giornali che esprimono questa o quella opinione,

 2) attraverso la piramide burocratica delle organizzazioni di massa, che in qualche modo fa salire per via gerarchica verso il vertice le opinioni della base.

=Date le imperfezioni di questi canali e, per adesso, in assenza di sondaggi, saranno gli scioperi, le agitazioni politiche e i risultati elettorali che informeranno i vertici degli effettivi umori della base.

 

 4.POSIZIONE DEI CITTADINI

  =Il pubblico popolare è RICEVENTE, ma (come si è visto al punto 2) spesso interpreta le notizie e i messaggi del potere grazie al commento degli "intellettuali di massa". Come EMITTENTE, esso ha una limitata possibilità di esprimersi. Come si è detto, si tratta delle lettere al giornale (strumento trascurabile, in un pubblico appena alfabetizzato), del voto (strumento ben più importante, che però comporta una delega ai rappresentanti e non permette di entrare nel merito delle singole decisioni) e dei comportamenti sociali di massa: manifestazioni, scioperi, scelte di mercato per questo o quel prodotto, ecc. (forme di comunicazione indiretta)

 

 5. FUNZIONE SOCIALE DEL MESSAGGIO

= Anziché discussione politica razionale o discussione critica sui costumi, nei giornali troviamo spesso propaganda o cronaca sensazionalistica (che risponde ad un bisogno di svago o di fuga dalla propria realtà quotidiana da parte del lavoratore nel tempo libero).

= I giornali  popolari commerciali di grande tiratura vengono assumendo, per quanto riguarda i loro lettori di massa, una funzione di intrattenimento o di integrazione nei valori sociali dominanti. Sono comunque veicolo delle informazioni sulle novità continue del costume e della moda e sul progresso tecnico sempre più rapido.

 

 6. RICADUTE SOCIALI

=Nonostante la diffusione della stampa, per secoli le comunità contadine erano state toccate solo marginalmente dalle trasformazioni della società  indotte dallo sviluppo tecnico, economico e mediale. In quest'ultimo periodo storico invece le emigrazioni contadine di massa (come quella degli abitanti del mezzogiorno d'Italia), l'urbanizzazione, la crescita della scolarità e infine anche la diffusione del giornale e dei periodici popolari (le ultime due molto meno forti in Italia che altrove) hanno definitivamente cambiato il volto delle società occidentali.

=Poiché i vertici, le organizzazioni di massa e le comunità urbane o rurali hanno ormai come denominatore comune il linguaggio dello scambio monetario e del denaro, la soluzione tipica dei problemi sociali che esce dai dibattiti dell'opinione pubblica occidentale di questo periodo storico è economico - quantitativa: l'espansione dell’economia o del territorio statale attraverso conquiste imperialistiche  è spesso la risposta delle élite dominanti  alle domande di benessere della classe operaia e dei ceti bassi.  Tali guerre creano nuove opportunità economiche per il paese conquistatore e, tra l’altro, posti di lavoro per i vincitori nell’amministrazione del paese conquistato.

  = Ma le guerre imperialistiche moderne, sostenute da una cultura nazionalistica e talora perfino razzista, sono alla fine dell'Ottocento essenzialmente COLONIALI,  contro paesi deboli e privi di un'opinione pubblica democratica. Eventuali conflitti con altri paesi forti perché tecnicamente avanzati comporterebbero la leva in massa dei cittadini e un numero di morti che l'opinione pubblica interna di uno Stato liberaldemocratico non sarebbe disposta a tollerare. Inoltre la reciproca conoscenza e somiglianza  tra le opinioni pubbliche delle diverse nazioni  liberali o semiliberali dell'occidente contribuisce ad attenuare il potenziale di conflitto (non si può dire per esempio che l’opinione pubblica inglese e quella tedesca nutrano forti sentimenti di ostilità all’inizio del secolo ventesimo).

 = In un caso decisivo questo meccanismo non ha funzionato: esaurita (nel primo decennio del secolo XX) la possibilità di colonizzare nuovi paesi deboli e arretrati, nell'incalzare di una grave crisi economica, esso non è bastato ad evitare la prima guerra mondiale (combattuta in gran parte tra paesi industriali avanzati, dotati di un'opinione pubblica libera). Tale guerra a sua volta ha portato alla nascita, in alcuni particolari Stati, del totalitarismo.


 

Documento

 

Maximilien Robespierre. Discorso sul governo rappresentativo. (Il popolo può sorvegliare l’operato dei suoi rappresentanti assistendo in massa alle sedute parlamentari).

 

Robespierre e gli altri democratici seguaci di Rousseau che parteciparono alla Rivoluzione francese credevano, come il loro defunto maestro, che la forma più autentica di democrazia fosse quella antica, cioè la democrazia diretta. Ma si trovavano ad operare in un sistema moderno rappresentativo: gli Stati Generali – per quanto istituzione dell’Ancien Régime, erano un sistema di rappresentanza. Essi  si proclamarono Assemblea Costituente e la maggioranza moderata elaborò una Costituzione sul modello inglese, che prevedeva un parlamento (detto Assemblea Legislativa) eletto solo dai cittadini dotati di un certo livello di ricchezza. Le correnti politiche democratiche riuscirono a imporre un nuovo parlamento, la Convenzione, eletto a suffragio universale maschile. Ma si trattava pur sempre di un sistema di rappresentanza. 

Robespierre, in questo discorso del 10 maggio 1793 alla Convenzione (Sul governo rappresentativo, Manifestolibri 1995), cerca di prospettare un sistema costituzionale più vicino all’ideale della democrazia diretta, proponendo che le assemblee primarie dei cittadini, che eleggono i rappresentanti, possano anche revocarli nel corso del mandato e che possano essere sottoposti al “giudizio solenne dei loro elettori” al termine del mandato (nel caso che essi abbiano perso la fiducia del popolo non potranno più ricoprire alcuna carica pubblica). L’altra garanzia per il popolo è la massima possibile pubblicità degli atti politici. Ma Robespierre non pensa ai giornali, che guarda invece con sospetto, considerandoli strumenti nelle mani delle diverse parti politiche (essi sono da lui considerati utili solo per far conoscere ovunque il testo dei rendiconti che i membri del governo sono tenuti a sottoporre ai cittadini).

Come si vedrà, egli immagina che si possa fare in modo che il popolo sovrano assista in massa alle sedute parlamentari. Questa idea singolare poteva riguardare in realtà solo il popolo di Parigi e delle regioni vicine  (prima del treno, attraversare la Francia richiedeva non giorni, ma settimane). La si capisce meglio se si tiene conto che Robespierre e i giacobini si erano più volte giovati dell’appoggio del popolo parigino in armi per condizionare le decisioni del parlamento. C’è un’altra possibilità che scaturisce dal pensiero di Rousseau e che  qui non è presa in considerazione, ma che sarà ripresa dagli anarchici dell’Ottocento: è la federazione tra piccoli Stati retti dalla democrazia diretta. La via di Robespierre, come è noto, sarà quella paradossale di una dittatura imposta per salvare la democrazia.

 

La Costituzione deve sforzarsi soprattutto di sottomettere i funzionari pubblici a una pesante responsabilità ponendoli alle effettive dipendenze, non già degli, individui, ma del popolo sovrano.

Colui che è indipendente dagli uomini, si rende ben presto indipendente dai suoi doveri. L'impunità la madre e la salvaguardia del crimine, e il popolo sarà, sempre asservito se non viene più temuto.

Vi sono due specie di responsabilità: l'una, e si può chiamare morale, l'altra fisica.

La prima consiste principalmente nella pubblicità.

Ma è sufficiente, forse, che la Costituzione assicuri la pubblicità delle operazioni del governo? No certo: bisogna darle, ancora, tutta l'estensione di cui essa è suscettibile.

L'intera nazione ha il diritto di conoscere la condotta dei suoi mandatari [=rappresentanti]. E occorrerebbe, se fosse possibile, che l'assemblea dei delegati del  popolo deliberasse in presenza dell'intero popolo. Il luogo delle sedute del corpo legislativo dovrebbe essere un edificio vasto e maestoso, aperto a  dodicimila spettatori. Così, sotto gli occhi di un così gran numero di testimoni, né la corruzione, né l'intrigo, né la perfidia, oserebbero mostrarsi; e sarebbe consultata la sola volontà generale; sarebbe ascoltata solo la voce della ragione e dell'interesse pubblico. Invece, l'ammissione di poche centinaia di spettatori, incassati in un locale stretto e incomodo offre forse una pubblicità proporzionale all'immensità della nazione, soprattutto quando una folla di rappresentanti mercenari [si riferisce ai giornalisti] atterriscono il corpo legislativo per intercettare o per alterare la verità con resoconti infedeli, che essi diffondono in tutta la Repubblica?

…Ritengo che la Costituzione non debba limitarsi a ordinare che le sedute del corpo legislativo e delle autorità costituite siano pubbliche, ma che essa non debba disdegnare, inoltre, di occuparsi dei mezzi per assicurargli la più grande pubblicità possibile; che essa debba interdire ai mandatari il potere di influire ‑ in qualsiasi maniera - sulla composizione dell'uditorio e di restringere arbitrariamente l'estensione del luogo che deve accogliere il popolo. Essa deve provvedere inoltre a che la legislatura risieda nel seno di una immensa popolazione e deliberi sotto gli occhi della più grande moltitudine di cittadini possibile.

Il principio della responsabilità morale esige inoltre che i membri del governo redigano ‑ ad epoche determinate e abbastanza ravvicinate tra loro - dei rendiconti esatti e circostanziati della loro gestione; che questi rendiconti siano divulgati per mezzo della stampa e sottoposti alla censura di t i cittadini; che siano inviati, quindi, a tutti i dipartimenti, a tutte le amministrazioni e a tutti i comuni.

In appoggio alla responsabilità morale, occorre spiegare la responsabilità fisica, la quale è, in ultima analisi, la più sicura guardiana della libertà: e consiste nella punizione dei funzionari pubblici  prevaricatori.

Un popolo, i cui mandatari non sono obbligati a dare a nessuno il rendiconto della loro gestione non si può dire che abbia una Costituzione; poiché infatti dipenderà soltanto da costoro tradirlo impunemente o lasciarlo tradire dagli altri.

E se è questo il senso che si attribuisce al governo rappresentativo confesso che impiegherò tutti gli anatemi pronunciati contro di esso da Jean‑Jacques Rousseau.

 

In conclusione, Robespierre non considera veramente democratico lo Stato rappresentativo basato sul modello inglese, con piena delega dei poteri ai rappresentanti da parte del popolo, perché costoro tenderanno fatalmente ad agire prima di tutto nel proprio interesse e in quello delle lobby di ricchi che possono influenzarli; egli  vede il rimedio nella partecipazione e nel controllo popolari diretti, ma non ne definisce con precisione le forme (i dodicimila sugli “spalti” del parlamento-stadio dovrebbero fare il tifo per l’una o l’altra tesi? minacciare  i politici che sembrano tradire la volontà popolare? O solo testimoniare sull’azione dei politici in attesa della prossime elezioni?)

In pratica, i politici giacobini hanno cercato il contatto diretto con il popolo mobilitato per l’interesse pubblico (o meglio, con una parte del popolo armata e decisa, mobilitata per quello che in quel momento essa considera l’interesse pubblico): tale contatto ha costituito la giustificazione della loro dittatura rivoluzionaria. Qualcosa del genere si ripeterà in altre dittature rivoluzionarie, come quella del partito bolscevico subito dopo l’ottobre 1917, e infine nei regimi totalitari del secolo XX. Ma mentre Robespierre diffida semplicemente della stampa, molti regimi del secolo XX organizzeranno la stampa e gli altri media dall’alto, per mobilitare il popolo e “guidare” la partecipazione popolare.


Federico Repetto

 

MEDIA, POTERE E DEMOCRAZIA

 

Parte seconda. Intellettuali, cittadini e opinione pubblica oggi: nuove difficoltà per la democrazia

 

6. Intellettuali e democrazia

 

La difesa delle regole della democrazia liberale è nell’interesse di tutti i cittadini, ma, nella società contemporanea, gli intellettuali, che hanno il privilegio di avere una particolare cultura e autorità hanno, a mio avviso, una responsabilità particolare.

Il temine “intellettuale” nacque nella Francia dell’affaire Dreyfus, negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento,  quando gran parte  della comunità degli uomini di lettere, degli artisti e degli scienziati insorse a favore dell’ufficiale ebreo Dreyfus accusato di spionaggio a favore della Germania. In questa occasione i professionisti della cultura sentirono il dovere, di fronte alla parzialità della giustizia, al silenzio della politica e al conformismo generale, di levare la loro voce in difesa della verità, che è uno dei valori fondanti della democrazia liberale. Il “j’accuse”, impegno personale diretto in un caso sociale e giudiziario, fu lanciato proprio da Emile Zola, il grande romanziere che si occupò di tematiche sociali. Come ha teorizzato più tardi Julien Benda, è proprio il distacco dagli interessi mondani, la fedeltà ai valori puri della verità, della giustizia e della bellezza, che spinge l’intellettuale, nelle situazioni estreme, ad entrare nell’agone dell’opinione pubblica, e a impegnarsi nella difesa dei principi fondamentali. Chi ha il ruolo istituzionale di tale difesa, in condizioni normali, sono gli uomini politici dei partiti “liberali”, intendendo con questo termine tutti quei partiti, di destra e di sinistra, che accettano i metodi della democrazia procedurale e dello Stato di Diritto. Ma quando costoro sono indifferenti o corrotti, spetta agli intellettuali ricordar loro i loro compiti ed invitare i cittadini a reagire, o eventualmente farsi portavoce dei cittadini, che hanno meno capacità e possibilità di esprimersi degli intellettuali. O anche  opporsi al conformismo o all’intolleranza dei cittadini stessi.

Gli intellettuali, tuttavia, hanno spesso tradito questo loro ruolo di ruota di scorta della democrazia, come ha sottolineato Julien Benda nel suo famoso saggio polemico  Il tradimento dei chierici (con “chierici” egli intende appunto gli intellettuali). Il tradimento di cui parla l’autore è soprattutto quello degli intellettuali che hanno lasciato il metodo dell’argomentazione razionale e del distacco critico nei confronti di qualunque dottrina e sono diventati propagandisti dell’imperialismo nazionalista e guerrafondaio, del fascismo e del bolscevismo. La prima guerra mondiale è il momento in cui questo tradimento – e insieme l’abbrutimento dell’opinione pubblica occidentale - si manifestano per la prima volta in modo massiccio dopo la lenta affermazione del sistema dell’opinione pubblica  nel corso dell’Ottocento. Durante la prima guerra mondiale quasi tutti gli intellettuali si impegnano a favore dell’interesse nazionale-imperiale, tradendo gli ideali umanisti e pacifisti. Essa da inizio al periodo della cosiddetta “guerra civile europea”, in cui ideologie contrapposte – il nazifascismo da una parte e lo stalinismo dall’altra - si scontreranno sanguinosamente e il fanatismo molto spesso sostituirà le argomentazioni razionali nell’opinione pubblica europea, mentre molti intellettuali prenderanno posizione a favore dell’una o dell’altra ideologia.

 

7. Intellettuali “alti” e intellettuali “bassi” (=gli “opinion leaders da osteria”)

 

La forza sociale degli intellettuali sta naturalmente nella loro capacità di entrare in relazione con l’opinione pubblica. Gli intellettuali si sono espressi attraverso la libera stampa da quando essa esiste. Grosso modo, a partire da quei quotidiani liberali dell’Inghilterra del Settecento di cui abbiamo parlato in precedenza, ai tempi della concorrenza (quasi) perfetta tra i giornali. Come si è visto, nella fase democratica dello Stato moderno, quando il suffragio si diffonde, la concorrenza tra le testate giornalistiche e quindi tra le idee diventa limitata, imperfetta, a causa delle “grandi organizzazioni” moderne (trust giornalistici privati e giornali di partito), mentre il nuovo pubblico di massa, di recente alfabetizzazione, ha minori capacità critiche.

Tuttavia non mancano certo forze di critica e di opposizione sociale nella democrazia contemporanea di massa: le organizzazioni sindacali, di categoria, locali, etniche, femministe, ecc., e in genere tutte quelle organizzazioni che nascono dall’iniziativa propositiva dei cittadini associati nella società civile nei confronti dello Stato.

Lazarsfeld, uno dei pionieri della ricerca sulle comunicazioni, fece uno studio sugli opinion leaders di base – quel tipo di persone che conoscono bene i messaggi dei media e, più informati e più pieni di iniziativa degli altri, influenzano l’opinione della gente comune attraverso il rapporto diretto, faccia a faccia. E questo non principalmente per un qualche  interesse economico, ma spesso per un bisogno di comunicazione e per la soddisfazione di esercitare un ruolo comunitario. Lazarsfeld studia diversi casi, sia quello dei  quei cittadini più attivi degli altri che guidano la discussione tra la gente in vista delle elezioni, sia, per esempio, quello delle donne che hanno la leadership nella diffusione delle nuove mode. Egli constata che gli opinion leader di base erano in grado di contrastare l’influenza dei media dell’epoca (anni quaranta).

A noi qui  interessano in particolare quegli intellettuali di base che hanno una capacità di informazione autonoma sugli eventi politici e che mediano le notizie ufficiali in modo critico alla gente comune, dal parroco al farmacista, dal veterinario di campagna all’autodidatta accanito lettore di giornali, dal sindacalista di base  al militante  di un qualche partito (che non ambisca a fare carriera politica), dall’insegnante allo studente universitario.

Nella travagliata storia della democrazia talora gli opinion leader di base sono stati coinvolti in movimenti diretti dall’alto e anche in regimi totalitari. Ma è difficile pensare che, nei lunghi periodi di regime democratico, questi intellettuali da osteria, da parrocchia e da “casa del popolo” non abbiano avuto una importante funzione di filtro tra i media, espressione dei vertici del potere  sociale, e il grande pubblico.

Quali possono essere le radici della fiducia negli opinion leader “da osteria”? L’accettazione della loro interpretazione delle informazioni da parte della gente comune del loro ambiente è  per certi versi una scelta legata ad una comune appartenenza identitaria o ideologica (la gente per esempio dice: credo loro perché sono del mio paese, della mia parrocchia, del mio partito, del mio sindacato, ecc.) , e questo è un aspetto talora deteriore. Ma è anche una scelta legata ad una comune mentalità razionalistica: l’opinion leader è visto come uno che ha una seria competenza, sa calcolare gli interessi, ha una visione d’insieme, e si dedica con passione al sapere e al bene pubblico. Ed è infine una scelta di saggezza (sapere di non essere competenti e affidarsi a chi sa) che però presuppone l’autorevolezza degli opinion leader stessi. Si tratta dell’autorità intellettuale di uomini liberi su altri uomini liberi, un’autorità liberamente attribuita da chi vi si sottomette, non originaria, tradizionale e data per scontata da sempre, come quella del clero medievale. Essa nasce dalla credibilità dell’interlocutore in un rapporto faccia a faccia, in un rapporto in cui l’uomo comune può esercitare la sua saggezza pratica (“di questo mi posso fidare”).

 

8.La critica della tradizione e la tradizione della critica nella democrazia

 

     Abbiamo visto che gli intellettuali, “alti” o “bassi” che siano, e l’opinione pubblica libera sono impegnati in un processo continuo di discussione e ridiscussione, in sostanza in una critica continua del conformismo e della tradizione. Ma la critica della tradizione, per nascere, per continuare e per riprodursi, ha bisogno di una tradizione della critica. Karl Popper, parlando delle società democratiche, ha detto appunto che in esse opera una tradizione critica e autocritica, una tradizione aperta, la cui regola  è quella che ogni idea preconcetta può essere messa in discussione. Ma ogni tradizione ha bisogno di una comunità che la perpetui, così come Socrate aveva bisogno del gruppo dei suoi discepoli che continuassero a dialogare anche dopo la sua morte. Anche il razionalismo individualistico, che promuove l’autonomia dell’individuo, ha bisogno di un contesto comunitario capace di far nascere uomini liberi, autonomi e responsabili: essi, almeno in massa e su base stabile, non si generano da soli, non nascono dal nulla.

      A partire da un momento dato, ogni generazione di uomini liberi ha fatto nascere e formato un’altra generazione di uomini liberi: noi abbiamo imparato a diventare liberi subendo il comando paterno e materno. E se non avessimo subìto l’autorità genitoriale, non  avremmo appreso ad essere autonomi.

L’autorità paterna, la tradizione  critica e l’esistenza dei grandi intellettuali e degli opinion leader di base sono tutti prodotti nell’ambito della società civile, quell’ambito della vita sociale che non è non direttamente amministrato dallo Stato, nel quale cui le persone si incontrano in pubblico da uomini liberi, e si scambiano liberamente idee, collaborazione e merci. Uno Stato veramente liberale e democratico non può lasciare che la società civile e gli ambiti comunitari e familiari siano corrosi da fattori disgreganti ed esauriscano la loro capacità formativa, e deve aiutarli a conservarla. Per fare ciò, esso deve favorire tutti i processi che portano alla formazione dei soggetti autonomi razionali, capaci di discorso e di dialogo, come la famiglia  e la scuola.

Per questa formazione non è indispensabile un qualche modello tradizionale e indiscutibile  di famiglia, ma possono essere utili tutta una gamma di comunità: le famiglie tradizionali e non-tradizionali, le associazioni culturali, religiose, ricreative ecc. della società civile e, infine, le istituzioni scolastiche - anche quelle pubbliche, che, data la libertà di stampa, di insegnamento e di discussione che vige in esse, sono di fatto in una certa misura organi della società civile.

 

9. Chi ci educa a essere uomini liberi e razionali?

 

La teoria liberale e libertaria più radicale è passata talvolta dalla critica delle comunità oppressive – il clan, la famiglia patriarcale, l’ambiente chiuso di paese,ecc. - alla critica di qualunque forma di autorità interna alla società civile. A qualche pensatore radicale è sembrato quasi che l’individuo razionale autonomo potesse nascere dal nulla, generarsi da solo, fare a meno della famiglia e in genere della comunità. La generazione del 68 e, in modo meno appariscente, anche quelle successive  si sono ribellate contro l’istituzione familiare senza poterle sostituire nulla di equivalente. Tale istituzione è stata contemporaneamente indebolita dalla diffusione del lavoro femminile, che in un primo tempo si è presentata come la soddisfazione di una rivendicazione delle donne, ma negli ultimi dieci-vent’anni è diventata, per i ceti più bassi, una necessità economica a causa della diminuzione del potere d’acquisto dei salari. Benché il fenomeno sia forse più rilevante negli Stati Uniti che nel nostro paese, il tempo dedicato dai genitori ai figli nel suo complesso è diminuito contemporaneamente per l’aumento della giornata lavorativa e dei tempi di spostamento.

Ma l’autorevolezza dei genitori, degli insegnanti e degli opinion leader di base era già stata minata, almeno negli U.S.A., dallo sviluppo della tv e di altri media. Secondo lo straordinario saggio di Joshua Meyrovitz Oltre il senso del luogo, la contestazione nelle scuole americane negli anni sessanta e il femminismo del periodo successivo hanno un nesso significativo con la diffusione capillare e rapidissima della tv negli USA nel periodo tra la fine della guerra e la metà degli anni cinquanta, che ha aperto una nuova “finestra” nelle mura della casa delle famiglie dei ceti medi, svelando i retroscena della vita degli adulti e dei mariti, i quali persero allora quell’autorevolezza che derivava loro dal quasi monopolio dei rapporti con lo spazio esterno.

Non dobbiamo però pensare che gli effetti della tv dipendano essenzialmente dalla sua potenza tecnica, che le permette di “portare il mondo in casa”. La tv americana – o meglio le tv americane – sono nate come aziende private,  mentre in Italia fino al 1980 circa l’etere era dominato dalla RAI. Un canale privato, che vive solo di pubblicità, deve dunque far scegliere i suoi programmi a tutti costi dal telespettatore. Perciò il programma, almeno secondo il modello americano, deve essere suddiviso in "unità di attenzione" di otto-dieci minuti, dopo i quali deve compiersi un qualche cambiamento di scena e spostamento d'interesse: questo fatto è stato notato già da tempo dagli insegnanti americani, che non riescono a ottenere l'attenzione continua delle classi per periodi più lunghi. La tv –dicevamo- deve gratificare costantemente il suo "studente": essa è subito premio a se stessa, attraverso il piacere di nuove sensazioni, mentre la scuola, per ottenere attenzione, deve esercitare una costrizione o promettere gratificazioni lontane nel tempo – dopo il diploma  (su questo paragone tra scuola e tv consiglio la lettura di Ecologia dei media di Neil Postman, Armando, 1991).

 Questa facilità alla gratificazione, unita talora all'illusione di onnicompetenza del telespettatore, a cui si parla di tutto, e all'illusione dell'onnipotenza della tecnica, intesa come una sorta di magia, in certe condizioni può contribuire a creare un individuo acritico, superstizioso, suggestionabile. La tv è molto più forte dell'autorità tradizionale degli adulti e in genere degli uomini in carne ed ossa. Di essi non c'è più bisogno, dato che tutti possono vedere-sapere tutto senza sforzo.

Questo medium  basato sulla potenza dell’immagine non erode soltanto il prestigio dei genitori e degli insegnanti, ma tende ad erodere anche il prestigio degli opinion-leaders di base, che guidano la discussione razionale e la lettura del giornale nei tradizionali centri d'incontro comunitario, l’osteria, il caffè, il negozio del barbiere, l’oratorio, ecc. Negli ambienti popolari capita sempre più di frequente che si discuta su "ciò che ha detto ieri la televisione": l'opinion-leader di base, la persona che nel gruppo ha più confidenza con il mondo della parola scritta, non conta più molto quando tutti possono accedere facilmente alla fonte della verità sotto forma di immagine. L'immagine in realtà, presa da sola, non è propriamente un’informazione, ma lo è solo se commentata da un discorso che situi ciò che appare sullo schermo nello spazio e nel tempo e lo renda comprensibile descrivendo il contesto in cui avviene. Tuttavia, in tv, è, al contrario, la parola che cambia senso quando l’immagine attira prepotentemente l’attenzione dello spettatore: una notizia o una pubblicità sono immerse in un’atmosfera diversa e finiscono così per essere intesa in un senso diverso a seconda di chi lo speaker – una ragazza procace e sorridente o un vecchio signore dall’aria noiosa.

L’immagine dunque – in quanto tale - non è né vera né falsa, né giusta né ingiusta, ma suscita reazioni emotive immediate. Il bambino educato prevalentemente da una "bambinaia a immagini" probabilmente è particolarmente sensibile a ciò che è concreto, immediato, emozionale, legato alla persona, e non è invece spinto all'acquisizione della capacità di astrarre, o di assumere una distanza critica rispetto ai propri desideri e sentimenti.

 Da questo non si deve dedurre che, come in qualcuno dei film citati nella nostra Introduzione, i politici acquistino, attraverso le loro apparizioni in tv, un’autorità illimitata. Al contrario, secondo Meyrowitz, la frequente apparizione sul piccolo schermo dà una dimensione quotidiana ai leader politici e ne abbassa la statura (li riduce a familiari “mezzi busti”).

Infine, sotto lo Stato neoliberista odierno, il cui imperativo è la diminuzione delle spese, il sistema  scolastico pubblico (inclusi gli asili nido) è in declino e l’assistenza alle comunità e alle famiglie è ridotta ai minimi termini. Questo costringe sempre più i genitori lavoratori a lasciare i figli da soli di fronte alla tv, mentre la scuola, che anche a causa della tv ha sempre meno autorità, ha sempre meno soldi.  La risposta alla perdita di autorità  e di capacità formativa della società civile e della famiglia, con la conseguenze diffusione di giovani poco capaci di fare buon uso della libertà, è la stigmatizzazione e la repressione poliziesca degli individui non ben formati, dei devianti – negli Stati Uniti è aumentato negli ultimi dieci anni in modo spaventoso il numero dei carcerati.

 

10. La politica centrata sul denaro e sui media e il declino degli opinion leader da osteria

 

     La società postindustriale ha progressivamente eroso il senso di appartenenza delle masse alla classe operaia, per cui le campagne elettorali dei partiti di sinistra e in genere  dei partiti popolari usufruiscono sempre meno dell’apporto gratuito dei militanti di base. Lo Stato Sociale degli anni sessanta settanta del resto aveva già da tempo messo sotto il controllo dei politici somme ingenti, che permettevano loro di fare progressivamente a meno dei militanti, diminuendone l’influenza politica. Le spese delle campagne elettorali, per un trend generale che riguarda anche la necessità di farsi propaganda in tv, sono venute aumentando progressivamente negli ultimi decenni, rafforzando il potere del denaro all’interno del mondo della politica.

 Tuttavia il declino della militanza nei partiti operai e negli altri partiti popolari e l’aumento della propaganda attraverso i media potrebbero non sembrare fenomeni preoccupanti  per la democrazia, a causa della scolarizzazione di massa e dell’aumento generale della cultura, oltre che della presenza degli “opinion leader da osteria”. In realtà l’allungamento degli anni di istruzione è controbilanciato, come già sappiamo, dal suo peggioramento qualitativo e dall’effetto destrutturante della abitudine alla tv sul lavoro scolastico, che richiede uno sforzo prolungato e un’attenzione rigorosa al senso delle parole. Quanto agli opinion leader da osteria, essi, non meno degli insegnanti e dei genitori, vedono la loro autorevolezza diminuire a causa del discorso in prima persona che la tv rivolge al suo utente. Il rapporto “diretto” (in realtà mediato dall’emittente) tra leader e elettore rende poco attraente la discussione da osteria tra elettori e leader di base.

 In conclusione, l’elettore medio della democrazia occidentale oggi non solo non sa valutare criticamente l’informazione, ma spesso non è nemmeno conscio dei propri limiti, e non si accorge  di aver  bisogno degli opinion leader da osteria: l’informazione televisiva appare come autoevidente, lo schermo rende presente a noi la realtà, per cui non sentiamo il bisogno di intermediari. D’altra parte  il leader tv non assomiglia al grande leader popolare di una volta – l’uomo che parla dall’alto del palco: il leader televisivo non è un condottiero, un duce, un patriarca  o un padre, ma uno “zio” (come disse una volta Umberto Eco di Berlusconi) e ha un’autorevolezza limitata e provvisoria, o piuttosto una capacità seduttiva. Per cui di solito un leader politico televisivo non è avvertito come un pericolo per l’autonomia del telespettatore e non desta delle forti reazioni e delle opposizioni di principio.


 

SCHEDA: l'era della tv

 

Si intende qui con “era della tv” quella in cui le TV private a colori diventano il medium dominante (rispetto alla tv pubblica e in bianco e nero, alla radio, al cinema, ai giornali, dominanti nei periodi precedenti) nel contesto della società post-industriale, affermatasi in occidente all'incirca a partire dagli anni 80 del XX secolo (ma anche prima negli U.S.A.) attraverso un processo di trasformazione progressiva della società industriale, protrattosi, con qualche modifica,  fino ad ora.

In tale contesto viene meno progressivamente la bipolarizzazione sociale tipica della società industriale (classe operaia da una parte – borghesia e ceti medi dall’altra). Ciò in parte a causa  dell'innalzamento dello status di una frazione della classe operaia, in parte a causa della disindustrializzazione e della diminuzione percentuale del lavoro di fabbrica a favore di quello dei servizi, e si disgrega gradualmente la tradizione solidaristica operaia (con i suoi scioperi sostenuti dalle collette, il suo associazionismo sindacale, ecc.). Gli interessi della cosiddetta "classe di maggioranza" post-industriale (la classe di quanti sono abbastanza agiati e hanno un reddito garantito)  sono relativamente omogenei e necessitano assai meno di azione collettiva. Uno strato detto degli “esclusi” occupa i livelli più bassi del lavoro dipendente: si tratta di quanti sono esclusi perché stranieri dai moderni diritti di cittadinanza (in particolare dal diritto all’assistenza) e di quanti non hanno un lavoro sicuro.

Inizialmente l’impiego in tutta la “classe di maggioranza” era considerato garantito, al punto che per loro era diminuito il bisogno dell’azione solidaristica, mentre alcuni preferivano la diminuzione delle tasse all’assistenza dello Stato. Ma col tempo i membri della parte più bassa della classe di maggioranza, pur mantenendo un reddito relativamente elevato, corrono sempre più il rischio di perdere il posto di lavoro a causa della rapidissima trasformazione tecnologica e delle crisi borsistiche, e di cadere nella precarietà e nello strato degli esclusi.

 

 

 1. CARATTERISTICHE TECNICHE  DEL MEDIUM

 

 MESSAGGIO-IMMAGINE:

=Nella società postindustriale, al processo formativo delle giovani generazioni contribuisce sempre più la ricezione televisiva (flusso continuo di immagini, accompagnato di solito anche dalla musica) rispetto all'apprendimento scritto (sequenza discontinua delle lettere scritte sulla carta stampata – che richiede attenzione).

=Il telespettatore spesso si lascia trasportare dal flusso del video, che spesso coinvolge e subordina a sé la parola dell'audio, che, pur potendo fornire informazioni precise e argomentazioni razionali, spesso si presenta come messaggio suggestivo, come parte del fluire seducente delle immagini. L'apprendimento scritto (ormai garantito a tutti in occidente dall'insegnamento pubblico gratuito fino all'adolescenza) richiede invece al lettore un continuo lavoro di  analisi e di astrazione. 

=La ricezione televisiva, con le sue immagini in movimento, fa lavorare soprattutto l'emisfero destro del cervello, che mette in gioco l'emotività, l'apprendimento scolastico soprattutto l'emisfero sinistro, che mette in gioco le capacità analitiche e astrattive.

 = Nonostante la relativamente bassa probabilità che hanno di cogliere i messaggi razionali trasmessi attraverso il medium televisivo, i RICEVENTI spesso hanno l'impressione di essere competenti su tutto: l'immagine teletrasmessa è EVIDENTE, rende presente il mondo, non sembra richiedere alcuna interpretazione.

= Viceversa in un messaggio l'elemento più ricco di informazione è la parola. E'  la parola che decide quando un immagine o un suono registrato hanno un valore informativo o sono semplice fiction. Le immagini non sono vere o false in quanto tali; lo è solo il commento parlato o scritto che le situa nel tempo e nello spazio ("lo scontro armato cui state assistendo è avvenuto a XY nel giorno wz").

= In sostanza, se il medium televisivo e audiovisivo ha una straordinaria capacità di comunicazione emotiva ed estetica, ha molto meno capacità di informazione di quanto le immagini in diretta farebbero pensare. Esso ha straordinarie potenzialità informative per chi già conosce criticamente un argomento, attraverso i vecchi canali dell'apprendimento parlato e scritto, ma può suscitare un'indebita sensazione di onniscienza a chi si accosta ad esso solo per suo tramite.

=In prospettiva, almeno secondo alcune analisi pessimistiche, c'è il rischio che venga meno progressivamente la dimensione della SAGGEZZA (conoscenza dei propri limiti e affidamento parziale al parere dei competenti presenti nella propria comunità locale): sembra che, in certe condizioni, ci sia un progressivo indebolimento dell'Io, del soggetto razionale critico e autonomo, e della tradizione  a favore di un Io ridotto a flusso di immagini senza  centro o direzione e di rapporti labili tra gli individui. Invece che alla competenza degli uomini in carne ed ossa, presenti nel rapporto faccia a faccia, molti tendono ad  affidarsi alla competenza della TV.

 

 2. CARATTERISTICHE SOCIALI DEL MEDIUM

 

=Le caratteristiche di suggestione, di immediatezza e di pervasività del medium televisivo probabilmente dipendono sia  dalle sue caratteristiche tecniche (flusso continuo di immagini e di suoni) sia dai meccanismi economico - sociali che lo hanno messo in atto. La tv attuale è prevalentemente finanziata con la pubblicità ed è quindi, in sostanza, un'impresa che "produce" un pubblico che "venderà" agli inserzionisti pubblicitari.

=Per procurarsi il pubblico la tv deve essere accattivante ed emozionante e non deve richiedere un particolare sforzo di attenzione. Per procurarsi e insieme per formare un pubblico adatto alla ricezione dei  messaggi pubblicitari, sembra logico pensare che i programmi - contenitore della tv e i programmi di intrattenimento (entertainment) debbano condividere con la pubblicità la propensione al consumo e la fiducia nell'impresa privata moderna, che produce merci industriali di massa (p. es. Okey, il prezzo è giusto).

= Secondo alcune analisi, la società attuale può essere definita società dello spettacolo, e in essa ci sarebbe una tendenziale disgregazione delle comunità di discussione popolare a favore della dimensione della folla solitaria (gli individui vivono in una società di massa in cui i legami sociali sono deboli) e un indebolimento progressivo dell'influenza degli "intellettuali di massa", la cui autorevolezza è minata dalla onniscienza del mezzo televisivo.

 = La TV cercherebbe invece di produrre una dimensione pseudo-comunitaria, "mimando" la comunità umana: applausi e risate registrate, trasmissioni in diretta che imitano  riunioni comunitarie (e magari sostituiscono le riunioni comunitarie cui il telespettatore partecipa più raramente), addirittura creazioni di comunità artificiali che esistono solo in funzione della tv (come nel caso del Grande fratello). Inoltre le mode e gli eventi televisivi oggi pervadono lo spazio della chiacchiera privata (la gente parla molto spesso di quanto si dice e si fa in TV: il medium occupa la realtà).

 

 3. POSIZIONE DEL POTERE

 

 = In condizioni di scarsa concorrenza tra i mezzi di comunicazione, di oligopolio, il potere di EMITTENZA acquista progressivamente peso rispetto agli altri, a causa anche della disgregazione delle organizzazioni politico-sociali di massa nella relativamente omogenea classe di maggioranza: venendo meno progressivamente l'intermediazione di tali organizzazioni e degli intellettuali di base con il grande pubblico, i diversi poteri possono raggiungerlo principalmente attraverso il canale dell'emittenza televisiva.

 = Il sistema mediale è in grado di scatenare campagne di mobilitazione dell'attenzione su temi specifici, di sostituire slogan a slogan, moda a moda - condizionare l'agenda setting del pubblico, cioè l'ordine di importanza  dei problemi. (Tutto questo, si badi bene, non significa affatto che i media possono determinare meccanicamente le opinioni del pubblico, ma semplicemente che possano influenzare molti dei presupposti sulla base dei quali gli individui si formano privatamente le loro opinioni).

 

 = Contestualmente, per tenere desta l'attenzione delle masse, la politica tende a ridursi a spettacolo, a contesa sportiva, e a "personalizzarsi". Ciò gli è imposto dalla forma della comunicazione televisiva, che riduce ai minimi  termini le astrazioni e le argomentazioni e trasforma tutti i problemi in qualcosa di concreto, di particolare, di visibile (stare dalla parte di quella persona, fidarsi di qualcuno, il quale nella pseudocomunità televisiva finisce per esser concepito quasi come una propria conoscenza diretta, come un amico potente). Da ciò anche il fenomeno del divismo politico.

 

= Nonostante il senso illusorio di comunità che può dare, la tv è un mezzo essenzialmente EMITTENTE,  a senso unico. Il potere, per poter RICEVERE i messaggi intenzionali dei cittadini ha a disposizione pochi canali diretti (la posta dei lettori, le telefonate alle tv, l'indice di ascolto di determinate trasmissioni).

=Più efficace è invece il sondaggio (fatto sulla base dell'opinione di una piccolissima minoranza, selezionata scientificamente), che permette di conoscere con un buon margine di approssimazione ciò che pensano i cittadini nel loro complesso. Non è propriamente un mezzo di comunicazione, ma è un mezzo di indagine nelle mani delle élite politiche ed economiche che supplisce la mancanza di comunicazione diretta. I nostri rappresentanti sono così informati sull'opinione delle masse non solo in occasione di grandi manifestazioni, scioperi ed elezioni (cioè quando è forse troppo tardi), ma in modo costante. Così l'industriale non viene a conoscenza della domanda reale che c'è per un certo nuovo prodotto solo quando lo immette sul mercato, ma può pianificarne la produzione sulla base di previsioni in qualche misura attendibili.

 

 4. POSIZIONE DEI CITTADINI

 

 = La massa dei RICEVENTI, essenzialmente passiva, ha spesso l'impressione di partecipare alla vita sociale, grazie all'accesso ai media, e alle trasmissioni e agli spettacoli interattivi (partecipazione telefonica).

 = Ha anche l'impressione di essere adeguatamente informata, grazie alle notizie-immagine in tempo reale, e competente, grazie alla banalizzazione dei messaggi o alla sua sostituzione con pseudomessaggi-immagine (al posto del dato statistico o della descrizione rigorosa delle circostanze di un fatto, ci si accontenta spesso della zoomata su di un dettaglio emotivamente stimolante, che ci da l'impressione di "essere proprio lì") .

= Essi spesso hanno la sensazione di poter capire i massimi problemi della politica perché i loro rappresentanti si rivolgono direttamente a loro in tv con un linguaggio accessibile (di solito, proprio per questo, semplificando sostanzialmente i problemi). Tendono così a non rendersi conto di aver bisogno di ulteriori informazioni scritte, o del confronto faccia a faccia con semi - competenti e competenti, per valutare criticamente il messaggio dei politici.

 

 5. FUNZIONE SOCIALE DEL MESSAGGIO

 

 =Il messaggio pubblicitario ha lo scopo esplicito di propagandare un certo particolare prodotto, ma normalmente dovrebbe anche essere coerente con lo scopo generale implicito di ottenere la disponibilità delle masse al consumo.

= Il messaggio complessivo (costituito dal "palinsesto") dei media che vivono di pubblicità - se vuole essere un contenitore adeguato per le inserzioni paganti - deve cercare di essere conforme all'idea del consumo di prodotti commerciali ad alta tecnologia come soluzione dei principali problemi umani, e all'idea della necessità della competizione economica tra individui. Sembra tra l’altro che la fiducia nella potenza della tecnologia e la volontà di esibire di fronte agli altri il consumo di un prodotto di qualità siano fattori che spingono a preferire il prodotto di marca al prodotto anonimo.

= Il sistema dei media contiene di fatto ampie informazioni sul degrado ambientale causato dallo sviluppo industriale e sulle condizioni disperate di una parte del Sud del mondo. Data la scarsa considerazione della classe di maggioranza per questi problemi, ci si può chiedere dunque se il  messaggio complessivo della tv (che sembra soprattutto comunicare fiducia nell'alta tecnologia, che produce le merci da reclamizzare) non abbia come risultato la sottovalutazione dei limiti e delle contraddizioni dello sviluppo globale.

 

6. RICADUTE SOCIALI DEL MEDIUM

 

I RISCHI DELLA TV. La modernizzazione culturale fin dall'inizio – stampa liberale - si presenta come critica progressiva indefinita della tradizione e dei suoi valori, come indefinita sostituzione del "vecchio" col "nuovo". Ma, mentre all'inizio la modernizzazione si presentava come messa in questione dei valori precedenti da parte della ragione e loro sostituzione con nuovi valori, tende poi a diventare sostituzione pura e semplice di slogan con slogan, di immagine con immagine e di moda con moda, anche per l'eccessiva rapidità del flusso comunicativo, che impedisce la fissazione di lungo periodo di nuovi valori ed opinioni. Questa difficoltà alla fissazione e alla stabilizzazione di qualunque certezza e autorità, come anche  il declino del valore stesso della ragione in quanto facoltà argomentativa e discorsiva, sembrerebbero dunque essere tendenze importanti della fase odierna.

Il rischio dunque è quello di un progressivo indebolimento nelle masse delle qualità che hanno reso possibile finora la liberaldemocrazia e che hanno anche permesso di porre un limite alla distruzione capitalistica e consumistica dell'ambiente. Sarebbe dunque in pericolo la riproduzione di quella capacità minima di argomentazione e di astrazione, e di quella dose di saggezza e buon senso per cui riconosciamo la nostra incompetenza, ma sappiamo scegliere, nel nostro contesto comunitario, tra gli "intellettuali di massa"  i competenti (le "autorità") cui affidarci.

Queste tendenze, se sono effettivamente importanti (le abbiamo  espresse più volte in forma ipotetica), hanno certamente molte altre cause oltre allo sviluppo dell'audience tv. Nella società americana e, in misura minore in quella italiana, stanno aumentando l'analfabetismo di ritorno, le famiglie con un solo genitore (oggi addirittura maggioritarie tra i neri americani poveri), la percentuale di popolazione al di sotto della soglia di povertà, i problemi di solitudine e di alienazione urbana, ecc. Tutti questi  fenomeni possono essere anch'essi causa, in qualche modo, dell'ipotizzata tendenza  al degrado della capacità di dialogo democratico e di formazione autonoma di un'opinione razionale. I vari fattori interagiscono tra di loro nei modi più vari. Per esempio, l'analfabetismo  di ritorno, che negli U.S.A. dipende a sua volta da cause molteplici (diminuzione della spesa pubblica, difficoltà del sistema scolastico in quanto tale, perdita di autorità di genitori e insegnanti, ecc.)  può essere messo in relazione anche con l'influenza della tv (per i motivi che sappiamo). Ma è vero anche l'opposto: l'analfabetismo di ritorno, quale che siano le sue cause, rende impossibile la lettura di libri e giornali e spinge verso la tv, ecc.


 

11. Internet può contribuire a rilanciare la democrazia liberale?

 

La sindrome per cui politica-capitale-tv  costituiscono tendenzialmente un unico blocco costituisce una minaccia alla moderna liberaldemocrazia,  basata su di una pluralità di poteri politici, economici e sociali, che si dovrebbero equilibrare e controllare tra loro per evitare l’affermazione di un potere troppo forte. Questa minaccia, come si è detto, spesso non è avvertita, come non è avvertito il lento degrado delle capacità razionali e critiche dei cittadini.

Anche il discorso razionale e critico dei grandi intellettuali corre alcuni pericoli: le regole del campo giornalistico (in cui il successo è basato oggi sulle regole della notorietà e dell’audience di massa) rischiano di affermarsi anche nel campo scientifico, tradizionalmente  basato sulla competenza e sull’autorevolezza di tipo professionale. Il finanziamento alla ricerca scientifica dipende spesso dal  prestigio intellettuale di chi la deve svolgere, ma tale prestigio dipende sempre più dalle sue apparizioni sui media e dalle sue capacità di divulgazione giornalistica e di seduzione mediatica (come ha affermato Pierre Bourdieu in Sulla televisione, Feltrinelli).

D’altro canto, la demolizione progressiva dello Stato Sociale e l’indebolimento del sistema pubblico di istruzione rende più problematica la formazione degli opinion leader di base, e colpisce economicamente in particolare gli insegnanti e i lavoratori intellettuali non direttamente collegati al sistema produttivo e mediatico. In un mondo in cui l’autorità dipende in gran parte dai segni del successo esteriore, questo contribuisce ad esautorarli e a demoralizzarli (in Italia, poi, credo che si possa parlare di un pregiudizio negativo di molti media di massa nei confronti degli insegnanti).

Tuttavia, nell’ultimo periodo, la diffusione della rete Internet ha indubbiamente contribuito alla nascita delle nuove comunità virtuali, di nuove forme di informazione e di comunicazione razionale e, in ultima analisi, di nuove opportunità per la  democrazia, instaurando quel dialogo attivo tra soggetto e soggetto, che ai tempi dell’egemonia della tv, era possibile soprattutto nel mondo chiuso delle associazioni, dei salotti  o delle osterie. Essa è stata anche il veicolo dell’organizzazione di nuovi movimento di massa, in cui i cittadini hanno ripreso l’iniziativa. I primi in ordine di popolarità sono i cosiddetti movimenti no-global (che più correttamente dovrebbero essere chiamati movimenti di globalizzazione alternativa o altermondialisti), che si oppongono alla politica economica neo-liberista dei governi occidentali. In Italia i cosiddetti movimenti dei girotondi sono riusciti a mobilitare in tempi

 Tuttavia Internet non costituisce – presa da sola –  una liberazione  tecnologica, ma resta un fenomeno ambivalente. Essa potenzia ulteriormente le capacità di quanti hanno già una formazione critica e razionale, e crea nuove opportunità di espansione dell’immaginazione e dei rapporti umani per una  élite, seppur abbastanza vasta. Al grande pubblico che ora si affaccia al mondo multicolore del web (le generazioni già formate dalla tv), Internet si presenta già colonizzata dalla pubblicità. Né per ora è riuscita a scalzare la tv nei ceti popolari, che spesso usano la rete come un potenziamento dello zapping di evasione, o come una fonte di videogiochi e gadget di ogni tipo.  

Ma mentre questo nuovo potenziale alleato del dialogo democratico comincia a fare le sue prove, nuove minacce – ancora più gravi – derivano oggi dalla militarizzazione della democrazia in seguito ai fatti dell’11 settembre 2001. La limitazione delle garanzie democratiche e la sorveglianza statale sul sistema informativo attuata negli USA dopo gli attentati sembra destinata a far scuola anche altrove.

 

 

 

 

 

 


 

Documento

 

Licio Gelli. Piano di rinascita democratica 

 

La vicenda della loggia massonica segreta P2 di Licio Gelli sembra intrecciarsi con quella dei grandi media italiani tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80. La vera natura di questa organizzazione segreta è molto difficile da determinare.  Ad essa erano iscritti importanti esponenti dei partiti di maggioranza (DC, PLI, PRI, PSDI e PSI), dell’MSI (il partito neofascista diventato poi Alleanza Nazionale), di polizia, esercito e magistratura, e del mondo dell’industria, della finanza e dei media. E’ difficile determinare quale fosse il ruolo reale dei singoli iscritti, anche perché Licio Gelli, a quanto sembra, amava vantarsi delle sue conoscenze e collezionava contatti a vario titolo in diversi ambienti. Nel suo elenco della P2 figuravano nomi di personaggi assai diversi come Michele Sindona, affarista in rapporto con la mafia, morto assassinato, Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, protagonista di uno scandalo finanziario e morto in circostanze misteriose, Gustavo Selva, DC, giornalista RAI, Vittorio Emanuele di Savoia, figlio dell’ultimo re d’Italia, il generale Vito Miceli, esponente del partito neofascista MSI e già dirigente dei servizi segreti, Luigi Longo, segretario nazionale del PSDI, Enrico Manca, ministro del PSI, poi presidente della RAI, l’editore e proprietario di tv Angelo Rizzoli, e, infine, Silvio Berlusconi, anch’egli già allora proprietario di una rete tv.

  La loggia segreta era un ambiente ideale per scambiarsi informazioni riservate, brigare per gli appalti e intessere alleanze nascoste tra diversi poteri dello stato e della società, a scopo di lucro e/o a scopo di influenza politica. Inoltre Gelli riteneva che, dopo la grande offensiva sindacale successiva al ‘69, la destra economica e politica avrebbe potuto ridimensionare  l’influenza dei sindacati e delle varie correnti della sinistra controllando i principali media con un’azione da coordinarsi segretamente all’interno della loggia stessa. Una Commissione Parlamentare d’inchiesta smascherò e sciolse la Loggia, considerata pericolosa per le istituzioni democratiche, e Gelli fu condannato a dodici anni di prigione.

Il coinvolgimento nell’affare P2 del management della Rizzoli e anche della sua star Maurizio Costanzo, gli interventi della magistratura  contro le trasmissioni illegalmente estese a livello nazionale e le difficoltà finanziarie dell’azienda portarono alla chiusura della rete tv PIN di Rizzoli.

 

Il «Piano di Rinascita democratica» della loggia P2  è agli atti dei lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia Massonica negli 'Allegati alla relazione", serie 11, volume terzo, tomo VII ‑ Bis, Roma, 1985

Io l’ho tratto da Tutto sulla P2, supplemento al n° 17 -1994- di Avvenimenti, p.1-7.

 

PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA  - PREMESSA

1) L'aggettivo democratico sta a significare che sono esclusi dal presente piano ogni movente od intenzione anche occulta di rovesciamento del sistema. [1]

2) il piano tende invece a rivitalizzare il sistema attraverso la sollecitazione di tutti gli istituti che la Costituzione prevede e disciplina, dagli organi dello Stato ai partiti politici, alla stampa, ai sindacati, ai cittadini elettori.

[…]

4) Va anche rilevato, per chiarezza, che i programmi a medio e lungo termine prevedono alcuni ritocchi alla Costituzione successivi al restauro delle istituzioni fondamentali.

OBIETTIVI

1) Nell'ordine vanno indicati:

a) i partiti politici democratici, dal PSI al PRI, dal PSDI alla DC al PLI (con riserva di verificare la Destra Nazionale)

b) la stampa, escludendo ogni operazione editoriale, che va sollecitata al livello di giornalisti[2] attraverso una selezione che tocchi soprattutto: Corriere della Sera, Giorno, Giornale, Stampa, Resto dei Carlino, Messaggero, Tempo, Roma, Mattino, Gazzetta dei Mezzogiorno, Giornale di Sicilia per i quotidiani; e per i periodici: Europeo, Espresso, Panorama, Epoca, Oggi, Gente, Famiglia Cristiana. La RAI‑TV va dimenticata;

c) i sindacati […]

d) il Governo […]

e) la magistratura […]

f) il Parlamento […]

2) Partiti politici, stampa e sindacati costituiscono oggetto di sollecitazioni possibili sul piano della manovra di tipo economicofinanziario[3]. La disponibilità di cifre non superiori a 30 o 40 miliardi sembra sufficiente a permettere ad uomini di buona  fede e ben selezionati di conquistare le posizioni chiave necessarie al loro controllo.

Governo, Magistratura e Parlamento rappresentano invece obiettivi successivi, accedibili soltanto dopo il buon esito della prima operazione […]

3) Primario obiettivo e indispensabile presupposto dell'operazione è la costituzione di un club (di natura rotariana per l'eterogeneità dei componenti) ove siano rappresentati, ai migliori livelli, operatori, imprenditoriali e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati nonché pochissimi e selezionati uomini politici, che non superi  il numero di 30 o 40 unità[4].

Gli uomini che ne fanno parte debbono essere omogenei per modo di sentire, disinteresse[5], onestà e rigore morale, tali cioè da costituire un vero e proprio comitato di garanti rispetto ai politici che si assumeranno l'onere dell'attuazione dei piano e nei confronti delle forze amiche nazionali e straniere che lo vorranno appoggiare. Importante è stabilire subito un collegamento valido con la massoneria internazionale.

PROCEDIMENTI

1) Nei confronti dei mondo politico occorre:

a) selezionare gli uomini ‑ anzitutto ‑ ai quali può essere affidato il compito di promuovere la rivitalizzazione di ciascuna rispettiva parte politica (Per il PSI, ad esempio, Mancini, Mariani e Craxi; per il PRI: Visentini e Bandiera; per il PSDI: Orlandi e Amidei; per la DC: Andreotti, Piccoli, Forlani, Gullotti e Bisagiia; per il PLI: Cottone e Quilleri; per la Destra Nazionale (eventualmente): Covelli);

b) in secondo luogo valutare se le attuali formazioni politiche sono in grado di avere ancora la necessaria credibilità esterna per ridiventare validi strumenti di azione politica;

c) in caso di risposta affermativa, affidare ai prescelti gli strumenti finanziari sufficienti con i dovuti controlli ‑ a permettere loro di acquisire il predominio nei rispettivi partiti;

d) in caso di risposta negativa usare gli strumenti finanziari stessi per l'immediata nascita di due movimenti: l'uno, sulla sinistra (a cavallo fra PSI‑PSDI‑PRI‑Liberali di sinistra e DC di sinistra), e l'altro sulla destra (a cavallo fra DC conservatori, liberali, e democratici della Destra Nazionale). […]

2) Nei confronti della stampa (o, meglio, dei giornalisti) l'impiego degli strumenti finanziari non può, in questa fase, essere previsto nominatim. Occorrerà redigere un elenco di almeno 2 o 3 elementi, per ciascun quotidiano o periodico in modo tale che nessuno sappia dell'altro. L'azione dovrà essere condotta a macchia d'olio o, meglio, a catena, da non più di 3 o 4 elementi che conoscono l'ambiente[6].

Ai giornalisti acquisiti dovrà essere affidato il compito di "simpatizzare" per gli esponenti politici come sopra prescelti in entrambe le ipotesi alternative 1c  e 1d.  In un secondo tempo occorrerà: a) acquisire alcuni settimanali di battaglia; b) coordinare tutta la stampa provinciale e locale attraverso una agenzia centralizzata; e) coordinare molte TV via cavo con l'agenzia per la stampa locale; d) dissolvere la RAI‑TV in nome della libertà di antenna ex art. 21 Costit[7].

3) Per quanto concerne i sindacati la scelta prioritaria è fra la sollecitazione alla rottura, seguendo cioè le linee già esistenti dei gruppi minoritari della CISL ‑ e maggioritari dell'UlL, per poi agevolare la fusione con gli autonomi, acquisire con strumenti finanziari di pari entità i più disponibili fra gli attuali confederati allo scopo di rovesciare i rapporti di forza all'interno dell'attuale trimurti[8]. […]

d) Altro punto chiave è l’immediata costituzione di una agenzia ­per il coordinamento della stampa locale (da acquisire con operazioni successive nel tempo) e della tv via cavo da impiantare a catena in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del paese.

 

 

 


 

[1]  Questa affermazione rassicurante (che non ha però convinto la Commissione Parlamentare) non esclude che l’azione della P2 fosse svolta a snaturare, senza bisogno di un colpo di Stato, il nostro sistema liberaldemocratico.  Insospettisce il fatto che un progetto di rinascita della democrazia rimanga segreto: il senso di un’opinione pubblica libera sta ovviamente nella sua pubblicità. Ma, a parte il suo carattere di segretezza,  il documento indica più in là molto chiaramente l’intenzione di controllare dall’alto l’opinione delle masse, corrempendo anche i giornalisti con gli “strumenti finanziari” di cui si parla a più riprese.

[2] “Escludendo ogni operazione editoriale” significa forse che gli aderenti al piano non hanno bisogno di acquisire case editrici ma possono limitarsi a “sollecitare” (con gli “strumenti finanziari”) i singoli giornalisti.

[3] Anche se il linguaggio resta abbastanza evasivo, la “sollecitazione” non puo’ essere altro che una bustarella, nonostante la “buona fede” delle persone da sollecitare, di cui si parla subito dopo.

[4] Si direbbe che siano i politici che non debbano superare il numero delle trenta-quaranta unità e non il gruppo nel su complesso, a giudicare dal numero degli iscritti alla loggia P2.

[5] Il disinteresse non esclude che giornalisti e uomini politici siano “sollecitati” con “strumenti finanziari”. Questo fa supporre che gli industriali possano essere sollecitati con la possibiltà di appalti o di prestiti agevolati da parte delle banche controllate dallo Stato. Del resto di affari del genere si occupano Gelli e Sindona, anche con collegamenti mafiosi.

[6] Queste modalità di azione – segretezza e corruzione – pongono evidentemente il “piano per la rinascita della democrazia” fuori dalla democrazia che intenderebbe difendere.

[7] L’art. 21 della Costituzione dice in effetti: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. La Corte Costituzionale, in diverse sentenze, ha ribadito sia la liceità del monopolio statale dell’etere a livello nazionale, sia l’obbligo per la RAI di garantire nel suo servizio il pluralismo delle opinioni. Ma non ha considerato necessario “dissolvere la RAI-TV” come propone Gelli.

[8] La “trimurti” sarebbe la confederazione sindacale unitaria CGIL-CISL-UIL, che allora aveva una notevole forza contrattuale e poteva condizionare anche l’azione del governo. Gelli magari pensava che l’indebolimento dei sindacati stesse a cuore agli industriali “disinteressati” che invitava alla Loggia P2.

 


Federico Repetto

 

MEDIA, POTERE E DEMOCRAZIA

 

 

BIBLIOGRAFIA RAGIONATA

(riferita ai temi trattati in Opinione pubblica, media e potere di Loescher - se ne veda l’Indice nell’Introduzione)

 

Prima parte . L'opinione pubblica libera e i suoi meccanismi

DA DOVE PARTIRE:

Massimo Baldini, Storia della comunicazione, Newton Compton, Tascabili Economici Newton, Roma, 1995, pp. 96. In modo chiaro ed essenziale affronta l’intera storia delle forme sociali di comunicazione.

Peppino Ortoleva, Mediastoria. Comunicazione e cambiamento sociale nel mondo contemporaneo, Nuova Pratiche editrice, Milano, 1997. Libro molto più lungo e complesso del precedente. Tuttavia  il principiante può utilizzare i capitoli II, IV e V, che in una settantina di pagine raccontano la storia dei media dalla seconda metà dell’800 ad oggi.

TESTI BASE:

Jacques Ellul, Storia della propaganda, E.S.I., Napoli, 1983, p.132 (testo introduttivo).

Armand Mattelart, La comunicazione globale, Editori riuniti, Roma, 1998, pp.144. Riguarda essenzialmente il secolo XX, ma i primi capitoli si riferiscono anche all’800.

Jean-Noël Jeanneney, Storia dei media, Editori Riuniti, Roma, 1996, p.330. Testo relativamente lungo, ma chiaro e di carattere introduttivo. Particolarmente interessante per il tema “media e potere” e per il tema dell’informazione politica. In sostanza si occupa dei secoli XVIII, XIX e XX.

Asa Briggs – Peter Burke. Storia sociale dei media. Da Gutenberg a Internet. Il Mulino, Bologna, 2002, pp. 464. Come indica il titolo, copre una gamma di interessi e un arco temporale più ampi del precedente, ma è di meno facile consultazione e qualche volta dispersivo.

Paolo Murialdi, Storia del giornalismo italiano, Gutenberg 2000 editore, Torino 1986, pp. 286. Testo chiaro e accessibile. Riguarda tanto il giornalismo della carta stampata, quanto quello radiofonico e televisivo.

Paolo Murialdi, Come si legge un giornale, Laterza, Roma 1975, buon manuale, ancora utile oggi.

Paolo Mancini, Manuale di comunicazione pubblica, Laterza, Bari, 1996, pp. 284. Testo sistematico, scritto verosimilmente per gli studenti universitari del primo anno, ma accessibile agli studenti medi superiori un po’ volenterosi.

Melvin Defleur, Sandra Ball - Rokeach, Teorie delle comunicazioni di massa, Il Mulino, Bologna,1995. Si tratta di un vero e proprio manuale di sociologia della comunicazione, che contiene anche excursus di storia dei media, con particolare attenzione agli U.S.A. Difficoltà paragonabile a quella del precedente.

TESTI DI APPROFONDIMENTO:

AA.VV. Nascita dell’opinione pubblica in Inghilterra,  “Quaderni storici”, n° 42, settembre-dicembre 1979, Il Mulino. Numero monografico in gran parte dedicato ad articoli su aspetti specifici delle origini storiche dell’opinione pubblica nel 700 inglese.

Patrice Flichy, Storia della comunicazione moderna. Sfera pubblica e dimensione privata. Baskerville, Bologna, 1994, pp. 300. Testo curioso ed originale, si occupa dell’interazione tra la storia della società e del costume e quella della tecnica.

Jürgen Habermas, Storia e critica dell'opinione pubblica, Laterza, Bari, 1971. Saggio storico - sociologico - filosofico di notevole profondità sullo sviluppo dell'opinione pubblica dall'origine dei giornali in Inghilterra alla prima metà del Novecento; testo ormai riconosciuto come classico, ma anche di notevole difficoltà, soprattutto per chi non ha una preparazione filosofica.

 

 

 

Seconda parte. L'età del cinema e della radio

 

TESTI BASE:

Gli stessi della prima  SEZIONE. Inoltre:

Georges Sadoul, Storia del cinema mondiale, Feltrinelli, Milano, 1972¹ (e successive edizioni). Testo ampio, ma di non difficile consultazione. Esso riassume puntualmente i soggetti dei film più importanti e allo stesso modo presenta produttori e registi. Ma ha parti di carattere sintetico sullo stato dell’industria cinematografica in un determinato tempo e luogo e sul clima culturale. E’ articolato in due volumi: 1. Dalle origini alla fine della II guerra mondiale. 2. Dalla fine della guerra mondiale ai giorni nostri (aggiornato al 1972 sotto la direzione di Goffredo Fofi).

Gianni Rondolino, Storia del cinema, UTET, Torino, 1977, 3 voll. mentre il testo di Sadoul, la cui prima versione è del 1947, appartiene al periodo pioneristico, Rondolino lavora sulla base di un’ampia storiografia cinematografica. Ampia la documentazione iconografica.

Fernaldo Di Giammatteo, Storia del cinema, Marsilio, Venezia, 1998. Per un aggiornamento.

Marc Ferro, Cinema e storia,   Feltrinelli, Milano, 1980. Ferro, condirettore delle Annales di Parigi, una delle più importanti riviste di storia a livello mondiale, mostra qui come i film possano costituire sia una fonte documentaria della storia, sia un’interpretazione storiografica, sia un evento storico. Particolarmente interessanti le parti sul nazismo e sull’URSS.

G.P. Brunetta, Storia del cinema italiano, Editori riuniti, Roma, 1993.

Franco Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia, Marsilio, Venezia, 1999. Storia ampia e  sistematica, che sviluppa opere precedenti dello stesso autore.

Edgar Morin, L’industria culturale. Saggio sulla cultura di massa, Il Mulino, Bologna, 1963. Saggio abbastanza accessibile sulle trasformazioni dei media, del costume, dei consumi, della mentalità nel mondo occidentale, a partire dalla diffusione della cultura di massa hollywoodiana  fino al primo affacciarsi della tv.

Umberto Eco, Apocalittici ed integrati. Comunicazioni di massa e teorie delle comunicazioni di massa, Bompiani, Milano 2001. p. 390. Raccolta di scritti occasionali sulla cultura di massa, diventati poi classici.

Manfredo Guerrera, Storia del fumetto. Autori e personaggi dalle origini a noi, Newton Compton, Tascabili Economici Newton, Roma, 1995, pp.96.

Roberto Giammanco, Il sortilegio a fumetti, Arnoldo Mondadori, Milano, 1965.   

TESTI DI APPROFONDIMENTO:

Philip Cannistraro, La fabbrica del consenso. Fascismo e mass-media, Prefazione di Renzo de felice, Laterza, Roma-Bari 1975, p. 497. Opera classica sull’argomento - voluminosa, ma non difficile da consultare.

G.P. Brunetta, Cinema italiano tra le due guerre. Fascismo e politica cinematografica, Mursia, Milano, 1975, p.160.

Franco Monteleone, La radio italiana nel periodo fascista: studio e documenti. 1922-1945, Marsilio, Venezia, 1976, p.394. A quanto ci risulta, la più ampia e sistematica storia della radio nel periodo fascista

Alberto Monticone, Il fascismo al microfono. Radio e politica in italia (1924-1945), Edizioni Studium, Roma, 1978. Ampia antologia di documenti commentati su questo tema specifico.

Gianni Isola, L’ha scritto la radio. Storia e testi della radio durante il fascismo (1924-1944), Bruno Mondadori, Milano, 1998 (documenti commentati su svariati temi; testo molto maneggevole).

Ian Kershaw. Il mito di Hitler. Immagine e realtà nel Terzo Reich, Bollati Boringhieri, Torino, 1998. Non parla molto dell’uso nazista dei media, ma cerca di valutarne l’effetto attraverso i rapporti sia delle cellule socialdemocratiche clandestine sia della Gestapo.

David Stewart Hull, Il cinema del Terzo Reich : studio sul cinema tedesco degli anni 1933-1945 , Cinque Lune, Roma, 1972, p. 345. Testo difficile da reperire.

Siegfried Kracauer, Dal Gabinetto del dottor Caligaris a Hitler, Mondadori, Milano, 1977. Una storia psicologica del cinema tedesco: orrore, angoscia, bisogno di autorità nei film del periodo che precede il nazismo.

Umberto Barbaro, il cinema tedesco, Roma, editori Riuniti, 1973.

 

 

 

Terza Sezione L'era della televisione

 

TESTI BASE:

Gli stessi delle SEZIONI 1 e 2. Inoltre :

Enciclopedia della televisione, Garzanti, a c. di Aldo Grasso, Milano 1996 (la tv, i suoi spettacoli, le sue informazioni e i suoi personaggi  da tutti i punti di vista; utili le appendici: Storia del “mezzo televisivo”: dalle origini alla tv interattiva; La televisione nel mondo; La televisione italiana: cronaca di un cinquantennio; il quadro legislativo italiano)

Peppino Ortoleva, Mass media. Nascita e industrializzazione, GIUNTI, Firenze, 1995 - poi ristampato (testo rivolto esplicitamente agli studenti, ampiamente illustrato)

Vanni Codeluppi, Pubblicità, Zanichelli, Bologna 2000 (divulgativo, ampiamente illustrato)

Anna Oliverio Ferraris, TV per un figlio,  Laterza 1995 (p.200; testo di pedagogia televisiva; chiaro e accessibile, è schierato contro l’abuso di tv)

OPERE DI APPROFONDIMENTO:

Giampaolo Caprettini, e altri, La scatola parlante, EDITORI RIUNITI, 1996 (contiene una interessante descrizione dei principali "generi" televisivi).

Franco Monteleone, Storia della radiotelevisione in Italia, 1922-1992, Marsilio, Venezia, 1992 (la prima grande opera sistematica su questo tema, di circa 540 pp.)

Aldo Grasso, Storia della televisione italiana, Garzanti, Milano, 2000. (esauriente -973 pp.- ed aggiornato).

Omar Calabrese e Ugo Volli, I telegiornali : istruzioni per l'uso, Roma, Laterza, 1995 - 261 p.

AA.VV., a cura di Sara Bentivegna, Comunicare politica nel sistema dei media, COSTA & NOLAN, 1996 (testo scientifico abbastanza impegnativo, ma composto di saggi brevi; interessanti le analisi sulle elezioni di molti paesi occidentali, tra cui l'Italia; c’è anche un saggio di M. McCombs, che ha dimostrato l'incidenza della tv sull'agenda setting  degli elettori, cioè sulla loro percezione dei problemi rilevanti).

Lawrence K. Grossman, La repubblica elettronica, EDITORI RIUNITI 1997 (su media e politica negli Stati Uniti nell'età della tv; testo di non particolare difficoltà)

Anna Chimenti, Informazione e televisione. La libertà vigilata, Laterza, Roma – Bari, 2000 (storia sistematica dei problemi politico-costituzionali legati alla tv in Italia; 139 pp. di testo più bibliografia; richiede qualche nozione di diritto).

Giuseppe Fiori, Il venditore. Storia di Silvio Berlusconi e della Finivest, Garzanti, Milano 1995 (libro polemico ma documentato, collega sistematicamente la storia della politica italiana con quella della tv)

Luca Ricolfi, Quanti voti ha spostato la tv, “Il Mulino”, n°6, 1994, pp.1031-1044 (analisi scientifica delle prime elezioni vinte da Berlusconi)

Silvia Testa, Barbara Loera, Luca Ricolfi, Sorpasso? Il ruolo della televisione nelle elezioni politiche del 2002, “Comunicazione politica”, vol.III, n°1, primavera 2002, pp.101-115 (gli ultimi due paragrafi, riassuntivi, sono particolarmente accessibili)

Joshua Meyrowitz, Oltre il senso del luogo. Come i media elettronici influenzano il comportamento sociale, Baskerville, Bologna, 1995 (saggio autorevole; assai lungo e impegnativo - 561 pagine, più la bibliografia - ma abbastanza chiaro e sistematico: l'introduzione, oltre a riassumerne le tesi, aiuta il lettore a selezionare le parti che gli interessano)

Pierre Bourdieu, Sulla televisione, Feltrinelli, Milano, 1997 (saggio polemico sul dilagare dello stile televisivo anche nei campi della cultura e della scienza)

Neil Postman, Ecologia dei media. L'insegnamento come attività conservatrice, A. Armando editore, 1991 (un classico della critica dei media; una difesa della civiltà della scrittura contro le trasformazioni  troppo rapide e incontrollate dell'era elettronica; è scritto in un linguaggio abbastanza accessibile; la parte essenziale, di cui raccomando la lettura, sono le prime 75-80 pagine)

Mauro Wolf, Gli effetti sociali dei media, Bompiani 1992 (202 p. più bibliografia; tratta degli effetti dei media sugli utenti, da ultimo per quanto riguarda la tv; espone sistematicamente le più importanti teorie su questo soggetto; complesso ma abbastanza chiaro)

 

 

Quarta sezione.  L'era dell'informazione

TESTI BASE:

Gli stessi delle SEZIONI 1 , 2 e 3. Inoltre :

Alberto Berretti, Vittorio Zambardino, Internet. Avviso ai naviganti, Donzelli, Roma1995 (buona presentazione storica, sociale e tecnica di Internet, in sole 109 pp; speriamo che gli autori la aggiornino)

Franco Carlini, Internet, Pinocchio e il gendarme. Le prospettive della democrazia in rete, Manifestolibri, 1996 (pp.229+ bibliografia e glossario; espone abbastanza dettagliatamente la storia di Internet e analizza il rapporto media-democrazia da un punto di vista vicino a quello di Habermas).

Id., Divergenze digitali. Conflitti, soggetti e tecnologie della terza Internet, manifestolibri, Roma2002 (aggiornamento sul mondo di Internet in chiave maggiormente divulgativa; p.190 + bibliografia ragionata).

Carlo Gubitosa, L’informazione alternativa. Dal sogno del villaggio globale al rischio del villaggio globalizzato, Editrice Missionaria Italiana, Bologna 2002 (104 pp + bibliografia e glossario; opera polemica, ma abbastanza facile, aggiornata e documentata).

INTERNET E IL SUO MONDO:

Howard Rheingold, Comunità virtuali, Sperling & Kupfer, Milano 1994 (ormai classico).

Tim Berners-Lee, L’architettura del nuovo web, Feltrinelli, Milano 2001 (intervista a uno dei padri dello web, difensore della libertà su internet).

Pekka Himanen, L’etica hacker, Feltrinelli, Milano, 2001 (sullo spirito libertario e cooperativo degli hacker, esperti indipendenti di informatica e telematica, fautori della libera circolazione del software, spesso identificati dai media direttamente con i cracker – doppiatori abusivi di software – e con i pirati informatici in genere; in inglese si trova anche nel sito www.hackerethic.org )

A. Di Corinto, T. Tozzi, Hacktivism, la libertà nelle maglie della rete, manifestolibri, Roma 2002 (esposizione delle idee degli hacker sociali; si può scaricare gratis dal sito www.hackerart.org/storia/hacktivism.htm - il software viene dato in uso gratuito sulla base dei principi del copyleft, esposti nel documento I sistemi di cooperazione open source su Internet).

ECONOMIA E SOCIETA’ NELL’ERA DI INTERNET

AA.VV., Globalizzazione dei mercati e orizzonti del capitalismo (a c. di M. Arcelli), Laterza, Roma-Bari, 1997 (presentazione a più voci del nuovo ciclo economico degli anni 90 mentre è ancora in corso; utili i dati e le tabelle contenuti nel capitolo I “megatrends” della globalizzazione, di M.Arcelli, da p.153 a p.171)

Dan Schiller, Capitalismo digitale. Il mercato globale in rete, EGEA, Milano, 2000 (opera critica).

Manuel Castells, Galassia Internet, Feltrinelli 2002 (di circa 260 pagine; opera di sintesi - parla delle trasformazioni che Internet ha indotto nella società, nell’economia e nella cultura e delle trasformazioni che Internet stessa ha subito per gli usi che ne sono stati fatti; opera di alto livello teorico)

Lo stesso Castells è autore di tre mastodontiche e complesse opere sulla “società dell’informazione”;

-La nascita della società in rete,  EGEA, Milano 2002 (su economia, società, cultura, assetto urbanistico della società mondiale dell’informazione)

-Il potere dell'identità, EGEA, Milano 2003 (sui movimenti sociali in difesa delle identità locali nella società globale)

-End of Millenium, Blackwell, Oxford 2000, 2a edizione (i diversi Stati nazionali di fronte alle innovazioni della società in rete; ultimo volume della trilogia sulla società dell’informazione, in corso di traduzione)

MEDIA E GUERRA

Bruce Cummings, Guerra e televisione, Baskerville, Bologna 1993 (Corea, Vietnam, guerra del Golfo, pp.374 abbastanza facile)

Rossella Savarese, Guerre intelligenti. Stampa, radio, tv informatica: la comunicazione politica dalla Crimea al Golfo Persico, Franco angeli, Milano 1992 (pp.212 + bibliografia; abbastanza facile)

D. Morrison, Ph. Taylor, S. Ramachandaran, Media, guerre e pace,1996 Edizioni Gruppo Abele Torino (abbastanza breve e comprensibile)


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