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Più il cinema della letteratura
(Perché avviene?)

di Antonio Stanca


Il regista Peter Mullan ed una scena dal film "The Magdalene Sisters"

Una storia vera, un documento che l’attesta, un atto che la denuncia: questo è "The Magdalene Sisters", il secondo film del quarantaseienne regista e attore scozzese Peter Mullan, vincitore del Leone d’oro per il miglior film nell’appena conclusa 59a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

E’ una vicenda ambientata nell’ Irlanda del 1964 in uno dei conventi gestiti allora, in Irlanda e in Scozia, dalle suore della Misericordia e nei quali venivano rinchiuse le ragazze che si riteneva fossero contravvenute alle regole del buon costume. Da tali luoghi era difficile che uscissero vive a causa delle gravissime pene, materiali e morali, che dovevano sopportare ed anche se sopravvivevano erano per sempre segnate presso l’ opinione pubblica. Nel film sono quattro le ragazze rinchiuse, due perché divenute madri senza essersi sposate, una perché violentata e l’altra a causa dell’eccessiva bellezza e del pericolo che si pensava questa potesse costituire per lei e per gli altri. Oltre alle torture fisiche che subiranno e che saranno determinate dalla maggiore o minore gravità del loro caso, insieme alle altre recluse saranno private di qualsiasi diritto e costrette a lavorare ogni giorno e per tutto il giorno nelle lavanderie del convento. Non meno gravi saranno i danni morali inflitti loro dalle suore che non mancheranno di offenderle, umiliarle in circostanze pur minime.

Il film ha sorpreso e attirato il pubblico perché ha richiamato la sua attenzione sull’esistenza di ambienti e situazioni simili in epoca moderna (le Case Magdalene sono esistite fino al 1996) quando, cioè, in ogni parte del mondo civile la donna viveva pienamente e da molto le sue conquiste in ambito privato e pubblico, si era liberata dal tradizionale stato di soggezione e perché ha segnalato le responsabilità della Chiesa dei nostri tempi che per altri versi si mostra emancipata, progredita. Mullan ha voluto svelare un caso di oltraggio, farne un problema, rivendicare dei diritti e c’è riuscito visto che il suo lavoro è stato premiato e tanta stampa si sta interessando ad esso. Più che di attori, d’ interpretazione, di sceneggiatura si parla della storia rappresentata e meritato viene ritenuto dalla critica il riconoscimento da parte dei giudici di Venezia.

L’ evento induce a pensare come nell’ambito cinematografico sia più facile rispetto a quello letterario far convergere le opinioni su un’opera, raggiungere una posizione unanime riguardo al giudizio e conservarlo inalterato. Nella letteratura contemporanea molte, infatti, sono le esitazioni prima di riconoscere il valore di un prodotto e nemmeno quando lo si è fatto si finisce di discutere. Sarà perché i tipi, i modi, i generi di scrittura sono ormai divenuti tanti da non poter permettere una valutazione unica, definitiva, che soddisfi tutte le esigenze emerse coi tempi. Ma anche del cinema dei nostri giorni non si finisce mai di sapere a causa dei molti contenuti e delle forme che vorrebbero esprimerli.

Perché, dunque, mentre per un film il giudizio è immediato, esteso, indiscutibile, per un romanzo è lento, limitato e mai sicuro?

E’ il modo espressivo che cambia: l’immagine giunge prima della pagina scritta, il gesto, lo sguardo, le parole dell’attore convincono più dei righi di una narrazione. Sono forme di comunicazione meno impegnative, più libere, più vicine e, perciò, sentite come più vere, più autentiche di quelle scritte. Si aggiunga che i film dalla rapida accettazione e diffusione sono generalmente prodotti da registi giovani o agli esordi e risultano, perciò, privi di artifici, più chiari, più definiti nei significati rispetto ad una narrazione moderna dove è difficile che l’autore, pur giovane, rinunci ad essere elaborato nel contenuto o nella forma o in entrambi fino a riuscire complicato per un pubblico già poco disposto alla lettura e ad affidarsi alle sue capacità d’intuizione, comprensione, interpretazione. Da qui le interminabili discussioni essendo diverso il livello di preparazione tra i lettori, marcata la linea che divide la critica dal pubblico, i lettori colti da quelli comuni, il pubblico maschile dal femminile, l’adulto dal giovane, il nazionale dallo straniero. Per un film, invece, il giudizio è più certo, più stabile anche perché avviene che nel suo lavoro l’autore, il regista, tenga conto di tale varietà del pubblico e cerchi di eliminare il problema o almeno ridurlo rinunciando a molto di se stesso, alle proprie inclinazioni per far posto a quanto crede possa essere atteso dagli spettatori. Non film d’autore perché impegnati in problematiche specifiche e rivolti ad un certo pubblico sono quelli che risultano prontamente e largamente apprezzati ma film di registi esordienti, alle prime prove, che mancano di sofisticazioni e, in genere, contengono una scoperta, una rivelazione, un recupero di situazioni, valori, principi, bisogni essenzialmente umani e facilmente estendibili.

Il film di Mullan, il bisogno di verità, giustizia che distingue il contenuto, la naturalezza del procedimento, sono un esempio di tale fenomeno. Non completamente escluse da esso, tuttavia, vanno considerate la letteratura o altre forme espressive dell’intelletto umano: si pensi che un’opera come "Va’ dove ti porta il cuore" dell’allora giovanissima Susanna Tamaro è stato un successo ancora oggi condiviso. Questo ad ulteriore conferma che a raggiungere un livello di comunicazione alto e permanente sono opere dove concorrono circostanze quali la spontaneità dell’autore, l’autenticità dei contenuti, la semplicità della forma. Per il cinema questo si verifica più facilmente e più spesso perché, s’è detto, tra i registi ci sono di meno contagiati dall’artificio rispetto agli scrittori, perché più convincente della lettura è la visione, più incline a guardare che a leggere il pubblico.


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