Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

L’eccezione e la regola

di Antonio Stanca

 

Amélie Nothomb è tra le maggiori scrittrici viventi in lingua francese. È molto letta, molto tradotta ed ha ricevuto numerosi riconoscimenti. È di origine belga, ha quarantacinque anni, ogni anno pubblica un romanzo ed è autrice anche di racconti e novelle oltre che di teatro. Alcune sue narrazioni hanno avuto una trasposizione cinematografica.

È nata nel 1967 a Kobe, in Giappone, dove il padre, che apparteneva ad un’antica e nobile famiglia belga, svolgeva attività diplomatica. Per questo è stato impegnato in diversi posti dell’Asia e dell’America nei quali si è trasferito con la famiglia. L’infanzia, l’adolescenza, la formazione di Amélie sono avvenute, quindi, in città diverse e soltanto l’Università è stata da lei frequentata in Belgio, a Bruxelles, quando la famiglia vi fece ritorno. Laureatasi in filologia classica, a ventun’anni è tornata in Giappone per migliorare la conoscenza della lingua giapponese che aveva appreso fin dalla scuola elementare. Ma dopo un’esperienza deludente rientra in Belgio e vive tra Bruxelles e Parigi dedicandosi alla sua attività di scrittrice. Esordisce a venticinque anni, nel 1992, col romanzo Igiene di un assassino, dove narra di una giornalista che rivela gli aspetti insoliti della vita di un Premio Nobel, obeso e misogino. La sua sarebbe dovuta essere un’intervista  ma diventa un vero e proprio scontro.

Molte altre narrazioni produrrà la Nothomb nelle quali  risalteranno i temi ricorrenti nella sua opera letteraria, cioè la scelta di una vita condotta in solitudine, le conseguenze di una simile condizione a livello fisico e mentale, l’ossessione di alcuni pensieri, l’accettazione dell’obesità, la caduta in situazioni, vicende lontane dalle regole senza, però, smarrire la possibilità di una valutazione secondo principi eternamente validi. Sono i contenuti della scrittura della Nothomb e sono espressi con un linguaggio molto colto, chiaro, acuto anche se rapido, incisivo e capace di essere spietato, crudele sia nell’osservazione dell’interiorità sia nella rappresentazione degli esterni. Infine un certo tono umoristico giunge a completare il ritratto di una scrittrice sicura dei mezzi espressivi e convinta dei temi. Una serie di casi eccezionali sono le sue narrazioni  ma sono esposti in maniera da riuscire veri, reali e da poter essere valutati secondo le regole di sempre. Antica e nuova è la narrativa della Nothomb, nuova nello stile, nei contenuti, antica nella morale.

Così avviene nel recente Una forma di vita, romanzo pubblicato a Febbraio del 2011 dalla casa editrice Voland di Roma, presso la quale sono comparse in Italia le altre opere della scrittrice. La versione originale risale al 2010 e la traduzione è di Monica Capuani. È il diciottesimo romanzo della Nothomb e le è stato suggerito dalla notizia di un giornale circa la condizione dei soldati americani attualmente impegnati nella guerra in Iraq. Questi, a volte, trovano nel cibo uno sfogo, una maniera per liberarsi, anche se per poco tempo, dalla tensione alla quale sono continuamente esposti a causa dei combattimenti e della consapevolezza dell’assurdità di una guerra che si è prolungata oltre ogni previsione e che non accenna a finire. Al cibo si abbandonano fino ad ingrassare in maniera sproporzionata, a diventare obesi e irriconoscibili. Melvin Mapple, uno di loro, scrive da Baghdad ad Amélie Nothomb che sta a Parigi e svolge un’intensa attività di corrispondenza. La scrittrice risponde al soldato ed inizia tra loro uno scambio epistolare che dura alcuni mesi e cessa improvvisamente perché Melvin smette di scrivere. Preoccupata Amélie cerca di rintracciarlo tramite Internet e scopre che Melvin si era servito del fratello, militare in Iraq, per farle giungere le sue lettere e che lui stava a Baltimora presso i genitori. Era tornato a casa a trent’anni dopo una serie d’insuccessi e qui aveva cominciato a vivere davanti al computer fino a fare della navigazione su Internet l’unica occupazione. Solo, quindi, era rimasto per tanto tempo ed obeso era diventato a causa di un’alimentazione priva di ogni regola e della mancanza assoluta di movimento. Era quella la sua «forma di vita» e l’aveva comunicata alla scrittrice tramite le lettere perché voleva essere capito e aiutato. Le aveva detto di essere un soldato che combatteva in Iraq perché aveva voluto attribuire ad una causa esterna, inevitabile, la sua condizione ed i pensieri che ne erano conseguiti quali quelli di considerare l’obesità non un errore, un vizio, una colpa ma una scelta, un merito, un’opera da lui voluta e del cui valore si era convinto fino a cercare dei riconoscimenti: «Mi sento un artista riconosciuto, ormai. In quanto tale, non provo alcun imbarazzo all’idea di mostrarle la mia foto. Se non fosse così, mi sarei vergognato troppo che lei scoprisse il mio aspetto. Adesso mi dico che è arte, e allora ne vado orgoglioso».

Amélie, pur tra esitazioni, gli riserverà sempre comprensione, partecipazione e solo alla fine emergerà in lei la coscienza dell’impossibilità di una situazione simile, solo alla fine la regola vincerà sull’eccezione.

Un romanzo, in parte autobiografico, ha tratto la Nothomb da una notizia, uno scambio epistolare ha trasformato in una narrazione, un’esperienza singolare ha inserito nel vasto movimento della vita. Ha mostrato, come nelle altre opere, la sua disposizione ad accogliere quanto d’insolito avviene, ad avere una visione più ampia  e mantenere inalterati gli elementi di giudizio.

Non si saprebbe dire se il successo della scrittrice è da attribuire all’originalità delle situazioni presentate o al recupero di una misura che viene dalla tradizione, se a quanto di nuovo c’è nelle sue opere o a quanto di vecchio giunge a controllarlo, se al presente o al passato. Ad entrambi sarebbe giusto attribuirlo perché entrambi agiscono, valgono, sono degni dell’interesse e dell’attenzione che suscitano presso i lettori.


La pagina
- Educazione&Scuola©