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Dal Verga ai nuovi barbari

di Antonio Stanca

Nel 1880, quando lo scrittore siciliano Giovanni Verga (1840-1922) scriveva, nella novella “Fantasticheria”, di spiegare alla sua immaginaria e raffinata    accompagnatrice, che si meravigliava delle condizioni arretrate della povera gente di Sicilia, che anche quelle erano degne di nota, meritavano di essere scritte dal momento che celavano importanti principi e valori di ordine morale, erano espressione di una “religione” della famiglia, della casa, nessuno avrebbe potuto immaginare che oggi, a più di cent’anni di distanza, la situazione si sarebbe ripetuta anche se su scala più ampia e con aspetti diversi. Molta stampa, molta televisione dedica, ai nostri giorni, notevole spazio a quelle aree della terra, Europa orientale, Asia, Africa che non hanno partecipato degli sviluppi, dei progressi raggiunti dalle altre poiché diverse erano le loro condizioni politiche, economiche, sociali e soltanto ora, quando sono cadute tante barriere, finite tante divisioni, quando si parla di globalizzazione, si è iniziato a dire di esse, a scoprirle nella loro vita e storia, nella loro diversità rispetto al mondo da sempre conosciuto, nella loro verità.

Naturalmente rispetto a quello del Verga questo è un fenomeno più esteso e più complesso: come allora anche adesso c’è la volontà di evidenziare una vita diversa e rispettabile ma a differenza di quella siciliana quest’altra umanità fa della sua condizione il proprio simbolo, la antepone alle altre fino a giungere a confrontarla con esse, ad agire contro di esse, a far loro violenza, guerra. Per Verga il problema si risolveva in ambito culturale, letterario, la sua era una società di esclusi, di “vinti”, che attraverso l’opera acquistava quella voce che non aveva mai avuto nonostante fosse depositaria di pensieri, sentimenti validi ed importanti. Per le società, le plebi che si stanno scoprendo ora il problema non è intellettuale bensì concreto, esse non accettano la condizione di escluse ma vogliono acquisire quanto loro è mancato per secoli, rivendicare i diritti negati. I vecchi emarginati non avevano coscienza del proprio stato i nuovi ce l’hanno, quelli accettavano di essere “vinti” questi vogliono vincere, affermarsi ed affermare gli spiriti, gli ideali che li muovono e che provengono soprattutto da fedi diverse dalla cattolica, da religioni che invitano all’azione, allo scontro, al sacrificio anche della vita per poter riuscire. Da qui il lunghissimo, interminabile elenco di attentati terroristici dei quali si ha notizia, le violenze, le guerre senza fine alle quali si assiste. Il moderno e contemporaneo sembra un mondo ripiombato nel Medioevo ed ancor prima, nella barbarie di allora.

Da un lato un progresso scientifico, uno sviluppo tecnologico sempre più sorprendenti ed incalzanti dall’altro la distruzione, la morte, da una parte nuovi dall’altra antichi perché, appunto, ci sono ancora nel mondo luoghi, ambienti, abitanti antichi presso i quali valgono i sistemi di una volta, cioè il confronto armato, l’attacco di sorpresa, la malvagità, la strage  e sono giustificati dalla fede.

Se a questi si aggiungono altri aspetti della modernità quali gli spostamenti d’ intere popolazioni, il riemergere dei fondamentalismi religiosi, le vittime del freddo, della miseria, della fame, si arriva a pensare come nel Terzo Millennio sembra davvero d’essere tornati indietro e non di poco.


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