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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
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Centocinquanta ANNI DI STORIA e non solo…

di CARLO DE NITTI

E’ storiograficamente acquisito che la nascita dello Stato italiano unitario è ben lontana dalla favola bella che l’iconografia agiografica risorgimentale ha tramandato per parecchi anni. In particolare, non ancora tempo di smettere di indagare sulle omissioni, sulle falsificazioni avvenute agli albori della Stato unitario, come ci attesta la letteratura prima ancora che la storiografia, come fa Lino Patruno in questo suo ultimo lavoro Fuoco del Sud, edito da Rubbettino.

A partire dai plebisciti di annessione del Regno delle due Sicilie al Regno di Sardegna, come ci ha raccontato Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne Il Gattopardo. Chi non ricorda l’amichevole e riservata confessione che don Ciccio Tumeo fa al Principe Fabrizio Corbera Principe di Salina intorno al suo voto a favore dei Borboni non emerso allo spoglio delle seicentododici schede tutte favorevoli all’annessione del piccolo comune di Donnafugata al Regno ‘savoiardo’, come lo chiama con disprezzo don Ciccio medesimo?

Così è difficile credere alla definizione del brigantaggio postunitario esclusivamente come una lotta filoborbonica per il ritorno al potere dei ‘buoni’ della dinastia deposta dalla spedizione dei Mille contro i ‘cattivi’ i Piemontesi propugnatori del neonato Stato unitario. Domanda: come si presenta al Sud l’arrivo dei Piemontesi e delle loro leggi?

Anche in questo caso letteratura aiuta la comprensione dei giovani: esempio tipico di un piccolo villaggio meridionale e dei suoi abitanti è il primo grande romanzo dell’Italia unita, I Malavoglia di Giovanni Verga. Non è qui, ovviamente, il caso di ricostruire l’ideologia verghiana né di sposarla ma di partire dal romanzo per conoscere la fenomenologia dei rapporti tra sudditi e re, inteso come sinonimo di Stato.

Nel villaggio di Acitrezza (CT), la famiglia protagonista entra in contatto con lo Stato o per pagare le tasse o quando ‘Ntoni, il primo dei cinque nipoti del patriarca, viene chiamato in continente a prestare il servizio militare per la leva di mare: “perché il Re faceva così, che i ragazzi se li pigliava per la leva quando erano atti a buscarsi il pane; ma sinché erano di peso alla famiglia, avevano a tirarli su per soldati”(Capitolo I).

Peraltro, in paese chi sono gli unici forestieri se non i rappresentati dello Stato e, quindi, della legge: don Silvestro, il segretario comunale, e don Michele, il brigadiere delle guardie doganali, che avrà un ruolo di rilievo nella parte finale del romanzo a causa dell’infatuazione per lui di Lia ‘Malavoglia’, la minore dei nipoti, che abbandona il paese.

Ancora: Luca, il secondo figlio di Bastianazzo ‘Malavoglia’, muore nella battaglia navale di Lissa ed alla famiglia nulla viene comunicato: “Un giorno dopo cominciò a correre la voce che nel mare verso Trieste ci era stato un combattimento tra i bastimenti nostri e quelli dei nemici […]  Nel paese grosso il povero vecchio si sentiva perso peggio che a trovarsi in mare di notte, e senza sapere dove drizzare il timone. Infine gli fecero la carità di dirgli che andasse dal capitano del porto, giacché le notizie doveva saperle lui. Colà, dopo averlo rimandato per un pezzo da Erode a Pilato, si misero a sfogliare certi libracci e a cercare col dito sulla lista dei morti. Allorché arrivarono ad un nome, la Longa che non aveva ben udito, perché le fischiavano gli orecchi, e ascoltava bianca come quelle cartacce, sdrucciolò pian piano per terra, mezzo morta.  - Son più di quaranta giorni, - conchiuse l'impiegato, chiudendo il registro. Fu a Lissa; che non lo sapevate ancora?” (Capitolo IX)

Il neonato Stato italiano si presenta al sud come gendarme, in qualunque caso non è percepito dalla gente, così come dai protagonisti del romanzo, se non come una forza estranea,  enorme nella sua mole, le cui esigenze ed i cui fini sono contrapposti a quelli individuali. Come non pensare, allora alla novella Libertà. Dalle illusioni dello “sciorinarono dal campanile un fazzoletto a tre colori, suonarono le campane a stormo, e cominciarono a gridare in piazza: - Viva la libertà!” alle delusioni dell’epilogo: “Il carbonaio, mentre tornavano a mettergli le manette, balbettava: - Dove mi conducete? - In galera? - O perché? Non mi è toccato neppure un palmo di terra! Se avevano detto che c'era la libertà!...”

Anche i personaggi danarosi percepiscono anch’essi lo Stato come estraneo, soprattutto come gabelliere, basti pensare all’altro grande romanzo verista Mastro-don Gesualdo ed alla celeberrima novella La roba ed al suo protagonista, Mazzarò.

Allora vogliamo pensare ai briganti come dei paladini dei Borboni o come persone che lottano per un futuro migliore per sé e per i propri figli, come ha cantato e scritto molto acutamente Eugenio Bennato, opportunamente citato da Patruno (p. 17) o come hanno scritto autorevoli storici, a cominciare da Gaetano Salvemini (1873 - 1957).

Riflettere sulle modalità della nascita dello stato unitario – ovvero sulla piemontesizzazione dell’Italia – con l’estensione frettolosa di leggi pensate per un piccolo regno a tutta la penisola, a cominciare da quella legge che porta il nome del conte Gabrio Casati (1798 - 1873), che istituiva la scuola pubblica ed obbligatoria per due anni così largamente disattesa in un Sud pieno di analfabeti è il modo migliore di accostarsi alla lettura di Fuoco del sud,, un volume molto ben documentato e costruito che compie un’analitica ricognizione dei movimenti politici che accompagnarono la nascita dell’Italia unita e che, con loro, si chiede e non solo in modo accademico: che fare oggi per il Sud?


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