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L’arte dell’infanzia
(Tra passato e presente)

di Antonio Stanca

La recente ristampa, per i tipi dell’Adelphi, di "Tragedia dell’infanzia" (223 pagine, 22.000 lire) di Alberto Savinio (1891-1952), cioè Andrea de Chirico fratello minore di Giorgio e come questi pittore oltre che scrittore, critico letterario, drammaturgo, musicista, ha sorpreso certa critica quasi si trattasse di un’opera strana e inspiegabile.

Il romanzo, scritto nel 1919 e pubblicato nel 1937, narra del piccolo Savinio, dei suoi pensieri, azioni, aspirazioni, dei tempi trascorsi, tra fine ‘800 e inizio ‘900, nel centro marittimo della Tessaglia, Volos, o in altre località della Grecia, dove era nato e si era formato.

Nella seconda parte, in appendice, viene presentato per la prima volta dell’ampio materiale ritrovato tra le carte dell’autore e da questi allora approntato per due nuovi progetti, " La torre distrutta" e "Sul dorso del Centauro". Grazie ai confronti, richiami, collegamenti operati dalla curatrice, Paola Italia, si ha modo di sapere quali parti di questo materiale non sono state mai pubblicate, quali e come sono state utilizzate in "Tragedia dell’infanzia" o in altre opere del momento o posteriori come "L’infanzia di Nivasio Dolcemare".

Cosa, dunque, ad alcuni critici riesce difficile spiegare nel Savinio di "Tragedia dell’infanzia"? Dove la stranezza?

I problemi sarebbero di contenuto e di forma: in un’opera di carattere autobiografico l’autore non nomina mai il fratello maggiore col quale viveva né una sorella morta prima che egli nascesse, non segue un ordine di tempo né di luogo e si mostra in uno stile lontano da ogni regola di composizione.

In effetti è come assistere ad una serie d’illuminazioni che si svolgono autonomamente secondo un processo riferibile soltanto all’interiorità di chi scrive. I luoghi, gli eventi, i personaggi partecipano di un movimento interminabile e sempre pronto ad assumere diverso orientamento o modo o tono, ad associarsi a diverse situazioni o sensazioni od emozioni, a colorarsi di diversa tinta o luce pur perseguendo un solo proposito, mostrare l’infanzia come "l’età della tragedia" poiché la più vicina a quel passato dal quale proveniamo e, perciò, la più condizionata da esso, la più impedita dall’eredità delle sue regole pur essendo la fase della vita più libera da vincoli interiori ed esteriori. Pertanto ogni frangente della breve narrazione, fatta in prima persona dal bambino protagonista, è percorso dalla smania di rifiutare quanto esiste intorno o vicino a chi parla e fuggire lontano, trasferirsi in mondi diversi, in una condizione finalmente e definitivamente libera dagli ostacoli materiali e morali costituitisi col tempo e l’unica adatta ad un bambino, alle necessità della sua mente e del suo corpo. Tutto, la malattia infantile da cui si parte, le figure dei genitori, del medico Saltas, del barcaiolo Merico, del cuoco Diamandi, della bella violinista, il teatro Lanarà, il monte Pelio, gli elementi classici e mitologici spesso ricorrenti, ogni aspetto dell’opera, vero o finto, acquista valore di simbolo, diviene parte di una leggenda, svolge una funzione preparatoria a quella liberazione del corpo e dello spirito, a quell’annullamento di ogni legame con la vita che, dopo tanti progetti e rimandi e pur se in maniera sognata e momentanea, avverrà alla fine per il bambino con l’aiuto della sua dea e nelle profondità delle acque marine.

Un ricordo che diviene una favola, un sogno, si può dire di quest’opera del Savinio, un’infanzia che si trasforma nella sua favola, nel suo sogno e per questo non poteva esserci posto se non per lui ed occorreva uno stile capace di rendere tanto e tale movimento e conseguire effetti così particolari. Si tenga inoltre conto che nel 1919, al momento dell’opera, Savinio ha ventotto anni, è stato a Monaco ed a Parigi dove, a contatto con le avanguardie, ha perfezionato la sua preparazione musicale e fondato il movimento del "sincerismo" che si proponeva una musica non armonica, ha scritto opere in francese e in italiano dalle quali risaltava la sua predilezione per l’assurdo, l’onirico, il grottesco insieme all’interesse per il mondo classico e mitologico, è rientrato in Italia e dalle pagine di riviste prestigiose quali "Valori Plastici" e "Ronda" sta proponendo un recupero, in arte, della tradizione da lui identificata con la pittura metafisica del fratello, di Carrà, Morandi, De Pisis, Raimondi ed altri artisti. E soprattutto si consideri che nelle stesse riviste Savinio sta teorizzando una "poetica della memoria", una letteratura, cioè, che attinga al passato, ai suoi momenti poiché unici, inalterabili, eterni e, perciò, veramente artistici rispetto ai presenti sempre sfuggenti e cangianti, con i quali, tuttavia, cercherà di combinare quelli procedendo verso una sintesi di passato e presente, tradizione e innovazione, arte e tecnica che sarà distintiva della sua intera e varia produzione. Si dedurrà che "Tragedia dell’infanzia" non solo risente, nei suoi temi e modi, di ogni passo di questo percorso ed in particolare delle ultime acquisizioni, ma che l’opera vale anche come manifesto programmatico, come esempio di una maniera che da allora sarà di ogni espressione del’inesauribile attività saviniana e nella quale si potrà riconoscere insieme all’autore un’intera epoca.


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