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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Schmitt, oltre le regole

di Antonio Stanca

 

È stato recentemente ristampato dalle Edizioni E/O di Roma il romanzo Ulisse da Baghdad dello scrittore francese Eric-Emmanuel Schmitt, la traduzione è di Alberto Bracci Testasecca, la versione originale risale al 2008.

Schmitt ha cinquantuno anni, è nato nel 1960 a Sainte-Foy-lès-Lion, ha studiato musica al Conservatorio di Lione e filosofia all’École Normale Superieure de la rue d’Ulm. Ha insegnato filosofia all’Università di Chambéry ma il suo interesse principale è quello di scrivere teatro, romanzi, saggi, d’impegnarsi come operatore teatrale e cinematografico. Ha esordito nel 1991 nel teatro con La notte di Valognes, poi nel 1993 è venuta la commedia Il visitatore che ha avuto molto successo e notevoli riconoscimenti. Del 1997 è Il libertino, il suo lavoro teatrale più elaborato, e dal 1998 al 2003 ha scritto per il teatro il “Ciclo dell’invisibile” che comprende tre opere relative a temi e problemi delle tre grandi religioni monoteiste. Riduzioni teatrali hanno avuto suoi romanzi quali Il Vangelo secondo Pilato del 1995 e film sono stati tratti dalla sua narrativa e dal suo teatro. A tali riduzioni spesso ha collaborato l’autore.

Molto impegnato si è mostrato Schmitt, molto convinto delle sue idee, dei suoi programmi. Originali sono risultati questi dal momento che si propongono di sorprendere, di riuscire nuovi, insoliti pur riguardo ad avvenimenti, personaggi da sempre riconosciuti, condivisi poiché appartenuti alla storia, alla cultura del passato a volte remoto. Sorprende, infatti, ne Il Vangelo secondo Pilato, la moglie del governatore quando al marito, che ha perso ogni certezza davanti alla figura misteriosa del Cristo, dice per rincuorarlo: «Dubitare e credere sono la stessa cosa, Pilato. Solo l’indifferenza è atea». E sorprende pure, ne Il libertino, Diderot che all’amico Rousseau dichiara: «Mi fa rabbia essermi impegolato con questa maledetta filosofia che la mia mente non può rifiutare di assecondare e il mio cuore di smentire».

Con Schmitt molti luoghi comuni finiscono di essere tali, molte convenzioni finiscono di valere, molte verità smettono di essere scontate poiché altro scopre l’autore, ad altri, nuovi pensieri lo conduce l’attento esame che fa degli eventi e dei loro protagonisti. È questo il tratto distintivo della scrittura di Schmitt sia narrativa sia teatrale, il tratto che fa riscuotere successo ai suoi lavori e fa rappresentare il suo teatro in tante città d’Europa.

Psicologico ma anche filosofico, religioso è il genere delle sue opere poiché spesso riprendono, trasformano, rinnovano quanto della filosofia, della religione ha fatto parte per secoli, poiché ideali rimangono le nuove verità alle quali pervengono. Così avviene anche nelle cosiddette favole di Schmitt, in quelle sue narrazioni, cioè, percorse da visioni improvvise, immagini rivelatrici, chiare nel  contenuto, facili nel linguaggio. Di esse Schmitt si mostra capace, sicuro, in esse esibisce una tale ricchezza di mezzi espressivi da lasciare ammirato il lettore, da tenerlo legato per l’intero percorso dell’opera. Pure Ulisse da Baghdad può essere considerata una favola nella quale lo scrittore narra del giovane Saad che fugge dalla capitale irachena perché gravissime sono le condizioni della sua famiglia, pericoloso è l’ambiente anche dopo la caduta di Saddam Hussein, tra la paura, la violenza, la morte si sta in continuazione, nella povertà, nella miseria si vive. Saad ha perso la sua ragazza, suo padre ed altri familiari, non vede nessun futuro e inizia senza soldi e accompagnato dallo spirito del padre defunto quel viaggio che dovrebbe condurlo a Londra dove crede, anche per alcune letture fatte da ragazzo, che gli sarà possibile vivere meglio, realizzarsi ed aiutare la famiglia. Il viaggio diventerà interminabile: dall’Iraq all’Arabia Saudita, all’Egitto, alla Libia, alla Sicilia, alla Svizzera, alla Francia, all’Inghilterra, per terra e per mare dovrà andare Saad e con mezzi di fortuna, a molti pericoli sarà esposto, privazioni di ogni genere dovrà sopportare, gravi diventeranno le sue condizioni di salute per la fame, la sete, il caldo, il freddo, gli spaventi, i dolori, gli sforzi, la fatica, le veglie e più grave di tutto sarà scoprire Londra diversa da quella immaginata perché come altri posti essa è in rovina, anche le sue strade, le sue case, la sua gente sono esposte a continui pericoli. Non smetterà, tuttavia, di sperare, non rinuncerà a quell’idea di una vita migliore che lo aveva sostenuto durante il lungo e tormentato viaggio. Lo farà pur contravvenendo ai ripetuti consigli di quell’ombra paterna che gli era stata sempre accanto, che nelle circostanze più difficili gli era comparsa invitandolo a desistere, a rinunciare. Col rapporto tra Saad e l’ombra, con i pensieri, i discorsi del figlio e quelli del padre morto Schmitt costruirà la sua favola, dal confronto tra le aspirazioni del primo e le rinunce del secondo ricaverà un esempio del più antico confronto tra idea e realtà, da esso assurgerà a nuove rivelazioni, a nuove verità. Un altro luogo comune lo scrittore aveva rinnovato, un’altra volta aveva mostrato quanto il pensiero ha raggiunto, quanto è andato oltre le regole.

Ovunque, pure nelle opere meno impegnate, Schmitt vuole sorprendere. E’ la sua maniera!


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