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Ad un secolo di distanza

di Antonio Stanca

Che tra fine ‘800 e primo ‘900, in Europa, siano avvenute importanti rivelazioni riguardo alla vita dell’uomo, alla sua interiorità, che si sia chiarito come avviene in noi un’attività inconscia che determina tanti nostri pensieri ed azioni, che oltre alle realtà evidenti, alle verità credute ci siano altre, che la psicanalisi da supposizione, congettura sia diventata scienza, è stato un evento decisivo. Ed ancora decisivo è stato che di tali rivelazioni, prima che avessero larga diffusione, che giungessero alle masse, abbiano risentito la cultura e l’arte. Nella letteratura, nella pittura, nella musica, nel teatro del tempo evidenti sono i segnali del fenomeno: la memoria, il ricordo, il sogno diventano temi molto frequentati dagli autori che saranno detti “decadenti”.

Alla ricerca e rappresentazione di ciò che avviene nell’uomo essi erano mossi anche dalla contemporanea situazione che si andava creando nella società, dall’affermazione, cioè, di quei valori contingenti, materiali che avveniva per lo sviluppo della scienza, della tecnica e per la crescente industrializzazione. Di fronte ad una vita, un mondo che diventano sempre più concreti, si allontanano sempre più dall’idea, dallo spirito, l’artista si rifugia in se stesso, nel proprio io,  che intanto, la psicanalisi dice , è più ricco di quanto credeva, ha più cose da scoprire. Sarà questa ricerca, questa scoperta la linea comune a tutta la produzione “decadente”, da qualunque autore provenga ed ovunque si verifichi. Sarà l’ultima volta in cui l’arte s’identificherà per tutti i suoi autori con lo spirito, con l’idea, si terrà lontana dalla materia, dalla realtà, vorrà trascenderle. Un’aristocrazia dello spirito si può dire dei  “decadenti” sia per la sublimazione dei contenuti e delle forme espressive alla quale tendono sia per la distanza che in tal modo si crea con un pubblico che già era percorso da interessi d’altro genere.

Seguirà, nel Novecento, altra storia, verranno altri tempi, altri autori, altre opere, altre esperienze di gruppo ma quella rimarrà unica per temi e modi. Si giungerà, quindi, alla fine del secolo e poi ai giorni nostri quando di tutto si crederà di poter scrivere, dipingere, rappresentare e tutti crederanno di poterlo fare. La cronaca vorrà essere considerata letteratura, il disegno pittura, la canzone musica, la sceneggiata teatro: uno stato di confusione nel quale non s’intravedono possibilità di correzione ché smarriti risultano i punti di riferimento. A furia di contestare i vecchi modi, come si è cominciato a fare dagli anni ’70 in poi, ci si è trovati sopraffatti dai nuovi, persi tra essi. Non si calcola più, oggi, quanti autori, quante opere, quanti linguaggi esistono, quanto ci si è adattati alla situazione, alle richieste del pubblico fino ad aver fatto di esse un aspetto essenziale della produzione. Un vero e proprio capovolgimento rispetto ad un secolo fa: la realtà allora rifiutata ora determina, riduce alle sue esigenze. Da tempo si pensa al passato come all’unico modo per uscire da simile stato ma non si è ancora riusciti ad avviare un processo di revisione, di recupero. Anche perché pure nella vita tutto avviene ormai in maniera opposta rispetto a prima e neppure qui si riesce a riprendere quanto perso ché impossibile risulta annullare un sistema, un costume dopo che si è consolidato e mentre di esso si continua ad usufruire.


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