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Verso un mondo uguale?

di Antonio Stanca

Quando ancora non sono finiti i problemi comportati dalla formazione della società di massa, fenomeno tipico del secolo scorso, si parla, da anni ormai, di globalizzazione, di società mondiale. Prima si erano volute superare le divisioni sociali all’interno delle nazioni tecnologicamente avanzate, non si era più distinto tra classi, tutti erano stati riconosciuti degni, capaci di partecipare di quella vita, di quei privilegi che per secoli erano stati solo di alcune fasce della società. Ad avvicinare le parti lontane tra loro erano serviti i mezzi di comunicazione sempre più sviluppati e diffusi, i collegamenti divenuti più facili e più frequenti grazie ad un processo di meccanizzazione che non ha conosciuto soste, le condizioni economiche generalmente migliorate. Il fenomeno, tuttavia, era stato ed ancora viene guardato con sospetto ché i progressi tecnici non sono sufficienti ad annullare differenze di altro genere. Non si può pensare di associare, di far agire insieme, allo stesso modo, chi ha diversa provenienza e formazione, non può diventare subito uguale chi è stato sempre diverso e solo perché dispone degli stessi mezzi. Ne è conseguito uno stato di confusione, di alterazione di livelli, principi, valori. I riflessi più immediati, più evidenti di tale cercata omologazione sono stati nel costume, nella morale poiché si è creduto di poter facilmente eliminare vecchie regole e la si è considerata una conquista, una forma di emancipazione. Invece oggi si è giunti a lamentarsi quasi ovunque della superficialità con la quale si è messo da parte quanto proveniva da secoli di esperienze, dello smarrimento che è derivato soprattutto presso i giovani e si auspica se non un ritorno al passato almeno un recupero dei suoi principali punti di riferimento.

Contemporanea a questa situazione è la tendenza verso una società planetaria anche qui in seguito allo sviluppo inarrestabile delle comunicazioni, dei collegamenti, degli scambi. Strano è come non si pensi che se in una nazione il disagio è tanto poiché si sono volute avvicinare le sue parti diverse senza il tempo, le operazioni necessarie a prepararle per la compresenza, la convivenza, maggiori saranno i problemi in un mondo che si vuole vicino, uguale e che contiene differenze abissali nelle condizioni storiche, geografiche, economiche, politiche, culturali, religiose, umane, sociali dei tanti stati che lo compongono. Come si può pensare di formare una comunità così estesa da non avere limiti di pensiero, azione, luogo, lingua, tradizione, usi, costumi, cultura, vita? Per far posto a tante diversità non si saprà più a cosa appellarsi, come valutare dal momento che quel che vale per una di esse vale di meno per un’altra o non vale per un’altra ancora. Rimarrà soltanto un’aspirazione, un’intenzione quella di veder collaborare tanti popoli! Sarà più facile che si scontrino e i problemi comportati dall’immigrazione sono un esempio. Tuttavia si tratta, come l’altro, di un processo che non può essere arrestato poiché richiesto dai tempi, dall’aspirazione d’intere popolazioni ad una propria identità, ad un riscatto dal silenzio, dallo sfruttamento, dal sottosviluppo patiti. Né può essere, questo processo, regolato, controllato, impegnato ad eliminare o ridurre le differenze ché servirebbero tempi lunghissimi e modi diversissimi ed intanto non si sa e non si pensa nemmeno cosa fare, dove agire, come creare le condizioni per incontri e scambi così grandi.

E’ allarmante ma la previsione più facile è quella di una confusione che vedrà aumentare le proprie dimensioni.


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