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Gli inediti della Woolf
(Alla ricerca dell’eterno)

di Antonio Stanca

Il  settimanale  “L’Espresso”,  nel   numero  26  del  26 Giugno 2003, ha anticipato la pubblicazione  di  due,  “ Un salotto moderno” e  “Hampstead”,  dei sette racconti  inediti della  scrittrice   inglese Virginia Woolf (Londra 1882 – Rodmeil 1941) che sono stati scoperti di recente e a luglio compariranno in libreria col titolo “Carlyle’s House” editi da Hesperus Press. Il manoscritto è datato all’anno 1909, al tempo della primissima attività culturale dell’autrice quando, intorno a lei, al fratello Thoby e alla sorella Vanessa, si era formato, a Londra, il gruppo d’intellettuali detto Bloomsbury set che avrebbe costituito, per circa trent’anni, il maggior punto di riferimento per la vita culturale ed artistica della città. Oltre alla pubblicistica sono di questi anni e di quelli immediatamente seguenti altri racconti, raccolte di saggi ed i primi romanzi della Woolf, opere che saranno pubblicate dalla casa editrice The Hogarth Press, da lei fondata insieme al marito. In queste come nei suddetti inediti la condizione femminile, i suoi problemi, le sue contraddizioni costituiscono i temi perseguiti dalla scrittrice che, nei modi espressivi, mostra di risentire di quelli della letteratura realista. Ella tende all’osservazione, nei saggi, ed alla rappresentazione, nei racconti e romanzi, di fenomeni sociali o  individuali ponendosi da un’angolazione e cercando una proiezione essenzialmente femminile. In “Un salotto moderno” si dice dell’aristocratica Lady Ottoline che, stanca, insoddisfatta di una vita sempre  uguale, crede  di sollevarsi su di essa seguendo il suo amore per l’arte e frequentando un salotto d’ intellettuali  ed  artisti. Non  riuscirà ad  inserirsi nel loro contesto poiché  priva  della sensibilità necessaria a farle vivere un mondo che non è  suo. Accetterà, quindi, di rimanere sospesa tra l’avversione per il proprio stato e l’aspirazione ad un  altro.

In “Hampstead” si narra di tre signorine, le due sorelle Case e  la loro amica e compagna Margaret  Davies. Hanno superato i  quarant’anni  e si ritrovano a vivere   nella  stessa casa. Delle sorelle una è colta e fine, l’altra di carattere debole mentre  la Davies, che è stata operosa negli anni passati, mostra maggiore convinzione e decisione nel pensiero e nella condotta. Le tre, che hanno frequentato gli stessi istituti scolastici, sono rappresentate  nelle loro lunghe conversazioni che vanno dai ricordi di scuola, dagli autori, dalle letture, dai drammi preferiti a questioni più immanenti, più concrete quali l’estensione del diritto di voto alle donne, il bisogno di equiparare la condizione femminile a quella maschile, di farne un problema di giustizia pari a tanti altri onde possano derivare dei vantaggi collettivi per il presente e soprattutto per il futuro.

Anche in un altro racconto inedito, “Ebrei”, pure pubblicato in anticipo  in Inghilterra dal “The Guardian” del 14 Giugno, centrale è la figura della signora ebrea Loeb con la quale la scrittrice intende esemplificare e contestare la condotta dei”nuovi ricchi”, che credono basti possedere, comprare quadri, andare a teatro per partecipare della vita dei colti, per essere ritenuti tali.

In alcuni tratti di questi personaggi femminili è facile  riscontrare momenti e aspetti della vita della scrittrice: nel salotto frequentato da Lady Ottoline può essere intravisto il gruppo d’intellettuali del Bloomsbury  set  del quale ella era, al momento dei racconti, componente e protagonista, nelle posizioni polemiche di una delle sorelle Case e della signorina Davies  l’attività di animatrice, promotrice  di nuove istanze che risulterà importante per la Woolf e la sua produzione saggistica. Nei racconti di “ Carlyle’s House” del 1909 Virginia  è   agli inizi e si muove tra un atteggiamento di polemica, contestazione riguardo a  situazioni individuali e collettive giunte quasi invariate dal lontano passato  fino a lei e l’aspirazione ad evaderle nel sogno, nel sentimento, nell’arte, tra i richiami della realtà ed i vagheggiamenti dell’idea, tra materia e spirito. Sarà, tuttavia, una maniera che durerà sempre, che caratterizzerà la figura e l’opera della Woolf orientandola verso la saggistica e la narrativa. Nella prima si esprimerà il suo bisogno di essere presente, di farsi sentire nella vita, nella storia del  momento, la sua convinzione di dover rinnovare quanto ereditato, proporre modifiche, annunciare nuove verità,  fare opera d’apostolato, nella seconda, specie nei romanzi della maturità, troverà voce una sensibilità entrata in crisi per aver scoperto il proprio dramma (le ricorrenti crisi depressive che la condurranno al suicidio) e il più esteso problema del tempo che procede inesorabile  travolgendo, annullando tutto, persone e cose. Dal bisogno di sottrarre a tale corsa inarrestabile ed alla dolorosa perdita da essa comportata  quei “momenti di vita, di essere” nei quali è possibile riconoscersi, ritrovarsi autentici, dalla necessità di salvare i tempi interiori, quelli dell’anima, dal rovinoso procedere di quelli esteriori, di collegare i fili della memoria prima che siano interrotti per sempre, la Woolf si sentirà mossa a produrre le narrazioni maggiori  alle quali più che ai saggi rimarrà legato il suo nome. In esse la scrittrice, moderna nei costumi, nel pensiero, non poteva che tendere ad un linguaggio che usasse  tecniche nuove quali il “flusso di coscienza”, il “monologo interiore”, che si liberasse dal peso della tradizione e perseguisse una sempre maggiore purezza fino a volersi sintetico, rarefarsi e  risultare vicino a quello poetico. Verranno così opere quali “La stanza di Giacobbe “ (1922), “La Signora Dalloway” (1925), “Gita al faro” (1927), “Le onde” (1931), “Gli anni” (1937), “Tra un atto e l’altro” (1941).

Rispetto alle narrazioni precedenti e a quel 1909, quando furono scritti i racconti adesso ritrovati, è passato molto tempo: allora la Woolf era soprattutto un’accesa pubblicista del gruppo Bloomsbury set ora è divenuta una scrittrice di un livello tale da poter essere accostata a James Joyce  e Marcel Proust, ai più grandi, cioè, della sua epoca. Non è stato un percorso facile, vi è giunta gradualmente superando il realismo dei primi romanzi, la tendenza analitica della saggista per approdare a quanto, nel contenuto e nella forma, era richiesto da un’arte che si voleva impegnata a cercare nel ricordo, nella memoria, nel sogno quanto era rimasto inalterato tra le innumerevoli trasformazioni provocate dallo scorrere del tempo, a fare dell’interiorità un sinonimo dell’eternità.


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