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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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A proposito della “maestra unica”

di Marco Renzi

Insegno in una piccola scuola di montagna e l’ultima allarmante decisione del Ministro Gelmini - tornare alla maestra unica nella scuola Primaria - sta creando anche qui non poco sconcerto.

Tuttavia, gli insegnanti non sono decisamente a favore né categoricamente contrari ma questa volta il cambiamento non è da poco e sembra che oltre a perdere posti di lavoro si rischi di perdere il senso di una buona scuola sebbene affaticata.

La questione dell’unico insegnante fa venire in mente i racconti dei nonni dei bambini sulla scuola di una volta, su quanto si imparasse, su quanto si illuminassero le piccole menti. Ma a pensarci bene non credo proprio che spazzare via il modello modulare che ci accompagna da diverse stagioni sia una mossa azzeccata. Forse la scuola Primaria così com’è non va tanto bene – anche se indagini ufficiali la pongono tra i primi posti al mondo – forse occorre davvero rivedere il lavoro delle insegnanti, il loro modo di lavorare che spesso sulla carta suona come un’orchestra che produce suoni meravigliosi ma che in realtà, in concreto, produce meravigliosi monologhi. Gli insegnanti a volte non sanno lavorare insieme, in equipe, e le compresenze, tanto utili sia nelle classi di grandi dimensioni che nelle pluriclassi, diventano, di fatto, – quasi sempre – uno “spezzatino” degli alunni, in altre parole la realizzazione di due monoclassi più piccole affidate singolarmente, in contemporanea, a due diverse maestre. Non una lezione sopra le righe. Non un valore aggiunto al metodo di lavoro ma la somma di due metodi più piccoli. Anche se ridurre il rapporto docenti/discenti non può che essere positivo ai fini di una migliore e puntuale azione educativa. Ci rimangono talvolta le programmazioni, i piani delle offerte formative, quelli sì, sulla carta, meritevoli d’attenzione perché elaborati in cooperazione tra gli insegnanti. Documenti talvolta straordinari ed efficaci ma, ripeto, sulla carta.

I racconti dei nonni, dicevamo, sono illuminanti, perché una volta tutte le maestre erano maestre uniche.

Semplificando, i loro ricordi portano curiose annotazioni. Nel lontano millenovecentotrentacinque, per esempio, in paese c’erano quattro maestre che i bambini e i genitori chiamavano: la Maestrona, la Maestrina, la Maestretta e la Maestraccia. Inutile dirlo, s’intuisce da sé, a chi toccava l’ultima delle quattro erano più dolori che gioie. La Maestrona, grande come la bontà ispirata dalla mole, è ricordata ancora oggi e il paese le ha voluto persino dedicare una via. La Maestrina, dolce e carina con tutti: minuta, silenziosa e gentile, portava i bambini ad imparare con amorevole devozione. Anche i più turbolenti, dopo una fase d’assestamento, si adeguavano al pacifico insegnamento. La Maestretta, una via di mezzo tra le prime due, dosava varie abilità. Meno imponente della Maestrona, più tosta della Maestrina, si classificava nel mezzo. Un po’ incuteva timore, un po’ era simpatia, un po’ autorevole, a volte un po’ troppo permissiva. Come dire, senza alti né bassi.

A chi toccava la quarta, la Mestraccia, abbiamo già detto che venivano i dolori. Già dal primo giorno di scuola, anzi da prima, da quando il bambino sapeva di finire fra le sue bacchettate, si moltiplicavano tremarelle e groppi in gola. S’imparava, eccome! a suon di sberle e di bastonate sulle nocche delle dita. Per i meno fortunati, lunghe inginocchiate dietro la lavagna, non senza la disgustosa punizione del pavimento disseminato d’insidiosi ceci. Se le nozioni non ne volevano proprio di saltare in testa, e qualche caprone in classe c’era sempre, gli scapaccioni facevano il giro delle tabelline e poi tornavano indietro.

Il giorno più bello? Da sempre è il giorno dopo la fine della scuola, ma con qualche eccezione: i bambini della Mestrona, infatti, piangevano; quelli della Maestrina invece sospiravano; quelli della Maestretta tornavano a giocare per le vie del paese come nulla fosse; quelli della Maestraccia esultavano come tifosi da stadio, come carcerati usciti di galera, come torturati sopravvissuti agli aguzzini.

Ma a parte le giocose rivisitazioni dei racconti del passato, che dire del ritorno alla maestra unica? Che direbbero gli alunni di una volta? Personalmente sarei d’accordo ad un patto: che i bambini e i genitori fossero messi in condizione di scegliersi la maestra preferita. Ma siccome ciò non è possibile, significherebbe superdimensionare alcune classi e creare il deserto in altre, è meglio lasciar correre e piuttosto che buttare l’insegnamento modulare – che non ha quasi mai funzionato decentemente – farei in modo che questo funzioni, che gli insegnanti imparino a lavorare in gruppo condividendo gli obiettivi e intrecciando i metodi. Consentendo ai bambini di avere, tra due o tre maestre, almeno quella con la quale stabilire un buon rapporto, un “punto di riferimento” a dirla alla Gelmini. In caso contrario si rischia di buttare non soltanto l’acqua sporca ma anche il bambino che ci sta dentro.


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