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Autonomia scolastica ed enti locali

di Carlo Fiorentini

 

Dell’esperienza dei 5 anni di Berlinguer – De Mauro vi sono aspetti che non sono riproponibili, quali il riordino dei cicli; vi sono poi altri aspetti fondamentali che non possono essere messi da parte, perché costituiscono, a mio parere, il faro della scuola democratica per i prossimi decenni.

Ne cito in particolare due, oltre all’educazione per tutta la vita:

1)      l’autonomia scolastica

2)      il passaggio dalla scuola del programma alla scuola del curricolo

   In realtà questi due aspetti, a partire dal lavoro della Commissione dei Saggi, si erano fusi, nel senso che era diventato sempre più chiaro che l’autonomia scolastica costituiva la cornice giuridica di libertà e di responsabilità, in grado di permettere alle scuole il rinnovamento generalizzato del fare scuola quotidiano. Era diventato sempre più evidente che il fulcro dell’autonomia scolastica non poteva essere l’ampliamento dell’offerta formativa, ma la riqualificazione dell’insegnamento delle discipline fondamentali(lingua, matematica, storia, scienze, arte, ecc) anche nella scuola di base, per far sì che un sempre maggior numero di studenti uscisse dalla scuola con competenze culturali adeguate e con la motivazione di continuare ad apprendere.

    L’autonomia scolastica costituisce indubbiamente la riforma delle riforme, la più importante riforma scolastica degli ultimi venti anni, perché disegna sul piano giuridico una scuola non più dipendente dal centralismo burocratico. Con la riforma del Titolo V della Costituzione l’autonomia scolastica ha addirittura assunto il rango costituzionale. Il regolamento dell’autonomia scolastica costituisce la carta di identità della scuola del futuro, la cornice giuridica che può permetterne lo sviluppo, ma ciò potrà avvenire non in modo naturale, deterministico; sarà indispensabile l’impegno politico, culturale e didattico dall’alto e dal basso, dei decisori politici, degli amministratori regionali, provinciali e comunali, delle singole istituzioni scolastiche, degli insegnanti organizzati.

    Attualmente l’autonomia scolastica è in una situazione di stallo, innanzitutto perché le elezioni del 2001 hanno interrotto un processo che era da poco avviato. Ed in secondo luogo perché la scuola è divisa al suo interno, probabilmente in 3 componenti di pari consistenza: una parte che è da molto tempo impegnata per il rinnovamento democratico della scuola (per far sì, cioè, che la scuola svolga effettivamente la funzione di inclusione e sempre meno di selezione e esclusione culturale) e che negli ultimi 2 anni si è in parte sentita franare il terreno sotto i piedi; una parte conservatrice, portatrice, cioè della visione elitaria e selettiva della scuola del passato, e quindi, al di là della collocazione politica, convergente con le proposte della Moratti; un terza componente infine che si sposta da una parte o dall’altra in relazione al clima politico delle varie fasi.

    Una parte della scuola, degli insegnanti e dei dirigenti scolastici, ha conseguentemente una visione dell’autonomia scolastica minimalista e conservatrice, tendente a fare in modo che nella sostanza del fare scuola nulla cambi; è tuttavia consapevole che qualcosa con l’autonomia bisogna fare, per non dare l’impressione di non voler cambiare nulla; conseguentemente questa parte cerca di portare avanti progetti di immagine, progetti per l’ampliamento dell’offerta formativa, a condizione che per quanto riguarda l’insegnamento in classe ognuno possa continuare con il proprio tran tran.

    Tuttavia ciò che è più grave è che la parte soggettivamente impegnata per il rinnovamento democratico della scuola troppe volte fa proposte non adeguate al problema, troppe volte finisce di andare al carro della visione minimalista dell’autonomia.

    L’autonomia scolastica potrà svolgere un ruolo emancipatorio nella misura in cui il ruolo centrale verrà attribuiti alle 3 autonomie indicate dall’articolo 6 del Regolamento, l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo.

    E per fare ciò sono indispensabili strutture permanenti nelle scuole (dipartimenti disciplinari o laboratori disciplinari) che possano effettivamente permettere lo sviluppo di un lavoro collegiale sui problemi fondamentali della scuola, quali individuare i saperi essenziali, le metodologie e le modalità relazionali, gli ambienti e gli strumenti adatti a far sì che tutti gli studenti siano coinvolti, motivati e raggiungano conseguentemente competenze sufficienti.

   Queste strutture sono necessarie ovunque, ma ovviamente gli istituti comprensivi sono le istituzioni scolastiche dove possono svolgere una funzione decisiva, perché la continuità tra infanzia, elementare e media si può realizzare realmente soltanto con il lavoro di progettazione e sperimentazione sul curricolo verticale.

   La regione e gli enti locali possono svolgere un ruolo decisivo, nella misura in cui diventino sempre più consapevoli della nuova fase storica aperta dall’autonomia scolastica, dove il problema fondamentale non è più, come negli anni settanta ed ottanta, favorire l’ampliamento dell’offerta formativa, far conoscere le opportunità formative del territorio, ma contribuire al passaggio della scuola del programma alla scuola del curricolo, che ha come uno degli aspetti centrali l’utilizzo delle risorse del territorio, non in modo aggiuntivo, ma integrato nell’insegnamento quotidiano di lingua, matematica, storia, scienze, ecc.     

Ottobre 2003


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