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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Conflitti politico-scolastici e sussidiarietà

 

I giornali riferiscono di insegnanti che restituiscono alle prefetture o al MIUR le agende ministeriali che sono state loro inviate per illustrare a tutti la riforma in corso.  Si tratta forse di episodi circoscritti, che però sono segni preoccupanti di un malessere e di una cattiva comunicazione che si va sviluppando fra scuole e MIUR. E’ certo che il Ministero non è una Casa editrice né un’azienda che debba farsi pubblicità a spese del contribuente. C’è differenza fra informazione e pubblicità, e fra informazione unidirezionale e comunicazione. Non è la prima volta che il Ministero utilizza un’agenda per informare e “fidelizzare” alla riforma i suoi “clienti interni”.

 

I costi non solo economici dell’invio e del rinvio delle agende ministeriali

 

Non si è trattato, neanche nella passata legislatura di una buona idea, dati i costi dell’operazione e il clima neanche allora idilliaco dei rapporti tra Ministero e docenti. Bisogna però riconoscere che il sospetto sistematico (Timeo Danaos et dona ferentes) non è un buon modo di vivere i rapporti interistituzionali; e che l’informazione su cose importanti ha un valore e un costo.

 

Ammettiamo pure che tutta la tempistica dell’innovazione sia perigliosa, approssimativa, poco chiara, e che affidarsi a Internet e Intranet sarebbe più prudente e meno costoso che far gemere i torchi con tirature da capogiro. Ammettiamo anche che sia non solo legittimo ma giusto e civile far sapere al Ministro che si dissente da questo imprevisto “regalo” informativo, che assomiglia ai doni di quei genitori che pensano in tal modo di farsi perdonare la mancanza di dialogo con i figli. Si converrà però che c’è modo e modo per protestare: rinviare, e cioè buttare al macero corpose ed eleganti agende, che sono pur sempre utili strumenti di informazione e di lavoro, sembra un modo parimenti troppo costoso e, almeno a chi scrive, sproporzionato per far presenti le proprie ragioni.

 

E’ questo un piccolo segnale di quella carenza di “convivenza civile” che trova altri esempi ben più gravi negli scioperi selvaggi di responsabili di servizi essenziali, anche dopo la firma dei contratti, nel blocco delle autostrade da parte dei Cobas del latte, contro le decisioni della UE concordate dal Governo italiano, nelle ruberie di grandi imprese alimentari, che danneggiano non solo i risparmiatori, ma l’intero sistema-paese, e nell’affermazione di un Presidente del Consiglio che dice che non leggerà le motivazioni con cui il Presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere la legge Gasparri, salvo poi firmare il decreto che ne ha recepito le principali osservazioni.

 

A chi tocca insegnare ai giovani a dissentire e a protestare in modo responsabile e rispettoso delle istituzioni e delle persone? A chi tocca far capire che il potere va esercitato il più possibile in modo trasparente e interattivo, e cioè a servizio dei cittadini, e in particolare di chi deve non solo adottare, ma anche condividere e adattare le decisioni sovrane? Naturalmente agli insegnanti, che “ogni giorno creano il dialogo”, come ricorda l’ottimistico slogan dell’UNESCO. Sarebbe però più agevole, questo compito, se il resto della società civile desse loro una mano.

 

Ancora “scelte di campo” per i docenti?

 

Fortunatamente sono lontani i tempi in cui agli insegnanti si chiedeva di fare “una scelta di campo”, o con il sistema capitalistico delle multinazionali o con la contestazione globale. Eppure, anche dopo la caduta del Muro di Berlino e il crollo di quasi tutti i sistemi che s’ispiravano al marxismo dialettico, il nostro recente e lungamente auspicato sistema bipolare non facilita il dialogo, ma lo considera quasi come una colpa o come una perdita di tempo. Il presidente Ciampi non perde occasione per invitare le forze politiche al dialogo, per costruire insieme riforme durature. Polo e Ulivo accettano i principi costituzionali, e sembrano differenziarsi, ai piani alti, solo per il diverso mix che propongono dei supremi valori della libertà e dell’uguaglianza, della libertà e della solidarietà, della libertà e della sicurezza.

 

Eppure ogni scelta politica viene drammatizzata come se fosse frutto di prevaricazione del potere e di preconcetta polemica dell’opposizione. Prevaricazioni e preconcetti certo non mancano, e giustificano tensioni e conflitti; non ci pare però che giustifichino reciproche scomuniche e nuovi muri di separazione. Ritenere che fuori del palazzo e della maggioranza ci siano solo nemici e ritenere all’opposto che nel pasoliniano Palazzo ci siano solo usurpatori da cacciare al più presto, non corrisponde né alla verità democratica delle cose, né al bene comune intergenerazionale, di cui tutti dobbiamo farci carico, indipendentemente dalle posizioni occupate pro tempore. La battaglia politica è fisiologica e utile, entro certi ambiti e a certi livelli, non quando diventa la sola nota che si ritiene di dover suonare.

 

E’ possibile che il potere tenga conto di legittimi interessi, di diverse posizioni culturali e politiche, faccia partecipare soggetti significativi ai processi di elaborazione di norme in sede tecnico-amministrativa, com’è successo in passato, senza lottizzazioni e senza consociativismi e inciuci? Ciò è possibile se si evita, da una parte e dall’altra, di “buttare tutto in politica”, ossia di risalire da ogni problema  alle premesse di potere o di principio a cui questo problema in qualche modo è connesso. “In qualche modo” non significa direttamente e immediatamente, tanto che si debba collegare ogni soluzione ipotizzata ad una “scelta di campo”. In sostanza il citatissimo e ormai costituzionale concetto di sussidiarietà dovrebbe aiutarci anche a trovare le connessioni e le distinzioni fra i problemi da affrontare sui diversi gradini appartenenti agli ordini di tipo professionale, sindacale, amministrativo, politico, ideologico, filosofico.

 

Raffreddare i dibattiti e rinforzare i percorsi della riforma

 

Il “raffreddare” i dibattiti non significa mutilarli e mortificarli, ma al contrario significa proteggere le conoscenze e le risorse disponibili ai livelli in cui si opera, dalla tentazione di fare di ogni questione una sorta di referendum pro o contro il ministro, il governo, le ideologie e le filosofie a cui questo sembra ispirarsi, o, all’opposto, pro o contro i “comunisti”, che darebbero con i loro girotondi l’assalto al Palazzo democratico e liberale, neanche fosse un Palazzo d’Inverno.

 

Nel merito di questo complesso e poco trasparente processo riformatore non abbiamo nascosto motivi di disagio per la difficile situazione “limbica” in cui non solo noi ma anche le altre associazioni professionali “generaliste” sono state collocate. Qualcuno ha reagito assumendo quasi il ruolo di opposizione politica, altri resta a vedere, dando generalissimi buoni consigli, senza peraltro infierire sul difficile ruolo di cui sta lavorando nei penetrali del Ministero, anche quando ne escono prodotti discutibili, su materie delicatissime. Purtroppo in questo limbo non si trovano neppure motivazioni sufficienti ad elaborare una compiuta proposta alternativa alla riforma che poco alla volta sta prendendo forma, tra Parlamento, Governo e tavolo delle Regioni e degli enti locali. Non adusi a dare spallate al potere, come accesi sanculotti, o a reggerlo sulle spalle, come marmoree cariatidi, siamo alla ricerca di un ruolo politicamente utile, oltre quello di ricerca e di proposta che svolgiamo sul piano culturale e sul piano della formazione dei docenti.

 

Perplessità e impegno

 

Ancora una volta siamo chiamati dal Parlamento ad “audizioni informali”, questa volta sulla bozza di decreto legislativo che definisce il primo ciclo. Il CN dell’UCIIM si  è già espresso in proposito, come si può leggere a pag……. Senza dimenticare il bene di un processo riformatore che esca dalle nebbie di dibattiti inconcludenti e la validità di alcune assunzioni valoriali di fondo, pensate fra l’altro nel nuovo assetto della Costituzione,  segnaliamo le difficoltà implicite in scelte già fatte dal Parlamento con la legge 53 (pensiamo per esempio all’inizio anticipato, che si ripercuote su tutto il corso scolastico e in particolare sulla scelta dell’indirizzo scolastico o di quello formativo, che cadrà nella preadolescenza, e agli schemi di scansione annuale che possono mortificare l’autonomia delle scuole).

 

Pensiamo anche, relativamente al decreto sul primo ciclo, all’impegno ministeriale di elaborare in modo dignitoso alcune istanze pedagogiche personalistiche nel recente contesto sociologico e giuridico (caratterizzato dall’enfasi sul privato e dal nuovo testo costituzionale), che rischia di favorire derive di tipo individualistico e di frammentazione istituzionale: tale impegno, di cui si comprendono le intenzioni, non ha raggiunto finora risultati tranquillizzanti per il mondo della scuola. Di fatto non offre alcune sicurezze relative agli impegni finanziari, all’organico funzionale, alle classi di concorso e alle discipline previste, all’armonizzazione e non alla semplice sommatoria a domanda individuale fra orario obbligatorio e quello facoltativo e conseguentemente alla qualità della proposta formativa che uscirà dal complesso delle scelte operate dalla molteplicità dei soggetti aventi competenza in questione, dirigenti, insegnanti, genitori, enti locali, regioni, ministeri.

Le nuove figure docenti per il tutoraggio degli alunni e per il coordinamento dei docenti, la partecipazione più incisiva dei genitori, in riferimento alle Indicazioni nazionali e ai Profili conclusivi dei cicli, il portfolio, la valutazione nazionale affidata all’INVALSI sono novità in parte abbozzate, in parte definite con eccessiva pignoleria. Occorre perciò da un lato riconoscere, in sede normativa e amministrativa, dall’altro valorizzare operativamente al meglio l’autonomia anche curricolare delle scuole. Noi guardiamo questo complesso di innovazioni non solo con preoccupazione, ma anche con speranza e con impegno a fare il possibile perché un uso intelligente dell’autonomia e la responsabilità dei docenti e delle istituzioni riescano ad evitare il naufragio della nave su cui, lo si voglia o no, siamo tutti imbarcati.

                  Luciano Corradini, docente di Pedagogia e scuola nella SSIS Lazio, presidente nazionale UCIIM


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