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Continuità scuola elementare – scuola media

UNA SETTIMANA ALLA SCUOLA MEDIA

Relazione sull’esperienza

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Comincio dalla fine : la continuità serve più agli insegnanti che agli alunni.

Questa mi sembra la conclusione da trarre da un’esperienza un po’ anomala, ma fonte di riflessioni numerose e profonde.

Il tono di questo documento è purtroppo personalizzato, perché fa seguito ad altri tre nei quali ho messo in discussione non solo le metodologie didattiche utilizzate dai professori, ma anche le radici su cui si basa tutta la struttura della scuola media.

Ebbene, tutto quello che avevo scritto si basava su un’osservazione dall’esterno e sulla lettura di molti documenti scritti da altri; la pratica diretta risaliva purtroppo ai miei anni verdi e ad una gestione (anch’essa esterna) del Consiglio di Istituto, quando ne fui presidente per tre anni.

Questa settimana alle medie (quattro mattinate, per la verità, e neppure complete) è stata però illuminante : ho finalmente trovato molte risposte ai miei quesiti interiori; si è accesa la luce su una situazione che restava incomprensibile.

Ecco il motivo dell’affermazione iniziale : non si può pretendere che gli insegnanti di un ordine di scuola capiscano a fondo la situazione vissuta dagli insegnanti di un altro ordine, senza averla sperimentata direttamente, almeno in parte.

Certo, non l’ha ordinato il medico di capire il funzionamento di un’altra scuola, ma che razza di continuità potremo mai realizzare nel nostro Istituto Comprensivo, se questa conoscenza non diventa base di progettazione condivisa?

Per cui, o rinunciamo alla continuità e ogni settore scolastico fa le cose che ritiene di dover fare, oppure entriamo nel merito, cioè entriamo nelle reciproche scuole.

Ecco quindi che le maestre di scuola materna dovrebbero frequentare un po’ la scuola elementare e viceversa; ecco che i maestri dovrebbero frequentare le medie e viceversa.

Pertanto la mia proposta finale è proprio questa : il prossimo anno per una settimana ciascuno vada nelle scuole dell’altro.

 

Vengo ora all’approfondimento di alcune delle illuminazioni che dicevo.

 

1 -    LA SCUOLA MEDIA NON BASTA A SE STESSA

Per poter raggiungere i propri obiettivi la scuola media ha bisogno non solo del costante impegno degli alunni, ma anche della collaborazione continua della famiglia.

Non è così né alla scuola elementare, né tantomeno alla materna; forse è un elemento che connota e differenzia la scuola media dal resto della scuola di base, uno di quegli elementi che hanno convinto Moratti e Bertagna a lasciare le cose così come stanno da cinquant’anni.

Nel nostro Istituto la differenza è ancora maggiore; giungono infatti alla scuola media alunni che hanno trascorso a scuola la maggior parte del tempo destinato all’apprendimento, perché provenienti in maggioranza dal tempo pieno; e anche la minoranza che proviene dai moduli trascorre solo un paio di pomeriggi a fare i cosiddetti compiti.

Nella scuola media invece i compiti assumono fin da subito una valenza apprenditiva notevole, rispetto alle ore trascorse a scuola; senza l’impegno personale a casa la scuola media resterebbe in braghe di tela!

Forse questo è un elemento proprio di tutta la scuola antimeridiana, che per ciò stesso si caratterizza come scuola dell’insegnamento, in cui chi è bravo e sta attento riesce anche ad apprendere molte cose; mentre tutti gli altri (che sono la maggioranza) devono profondere molto impegno a casa ed alcuni di questi non ci riescono se non con l’aiuto dei famigliari o di un altro insegnante.

Forse è anche così che si spiega come mai la scuola materna e la scuola elementare dimensionano i loro obiettivi esclusivamente ai tempi scolastici, mentre la scuola media è invece saldamente legata ai programmi.

E i programmi fanno a pugni con il tempo. Infatti…

 

2 -    IL TEMPO NON BASTA MAI

Si ha la netta sensazione che il tempo voli nelle aule di scuola media, sia per il frenetico susseguirsi delle discipline, sia per il tirannico suono della campanella, che interrompe le attività sempre sul più bello. C’è da dire che gli alunni si sono adeguati molto bene a questa routine, tanto che alcuni di loro tengono l’orologio sul banco, come certi conferenzieri che, sapendo di parlare sempre troppo, fanno finta di volersi attenere al tempo loro assegnato. Altri consultano frequentemente il loro polso e sono pronti a dissuadere il professore di turno dall’iniziare un altro argomento, visto che mancano ormai pochi minuti al fatidico suono. E il suono cancella davvero all’istante ogni eventuale atmosfera apprenditiva, non permette alcun sforamento, non lascia scampo. E siccome la cosa si verifica ogni 55 minuti, la questione del tempo assume un’importanza capitale.

Tutti i professori lamentano questa carenza; lo fanno anche i maestri, ma è più una forma giustificativa per non essere riusciti a fare proprio tutto quello che si voleva; non ho mai sentito invece una maestra di scuola materna lamentarsi per la mancanza di tempo.

Si può dire quindi che il tempo assume importanza man mano che si sale nella scala scolastica e forse diventa insostenibile alla scuola superiore (forse).

Perché dunque il tempo non basta mai? Perché le cose da insegnare sono tante! Tante quelle previste dai programmi e tante (sicuramente di più) quelle presenti sui libri di testo; quei libri di testo su cui sta incardinato tutto il sistema di insegnamento della scuola media.

 

3 -    E NEANCHE LO SPAZIO

Sì, neanche questo basta nella scuola media, perché pur essendo un edificio nuovo, pur disponendo di molti spazi, gli alunni vi si ritrovano quasi pigiati nelle sue aulette sottodimensionate, su dei banchetti che hanno non solo una superficie di lavoro irrisoria (libro e quaderno già si accavallano), ma non tengono neppure conto del diverso sviluppo fisico degli alunni di queste età.

Se allora la mattinata che inizia alle 8 e 10 viene trascorsa quasi interamente a sedere su scomode seggioline, appoggiati a piccoli banchi, a stretto contatto di gomito coi compagni, in una dimensione spaziale che crea cameratismo e favorisce la comunicazione (verbale, gestuale, …), quando invece sarebbe necessario un clima attentivo e partecipativo (alla lezione) silenzioso e concentrato, si capisce bene perché il suono della campanella venga accolto come una liberazione e non ci sia verso di far restare gli alunni fermi per un solo minuto di più!

In un ambiente del genere la presenza di aule-laboratorio dovrebbe costituire un incentivo al fare lezione fuori dalla propria aula; lo spostamento da un luogo all’altro è già un diversivo, predispone ad una partecipazione più attiva e più proficua. E invece?

Invece le lezioni si svolgono prevalentemente dentro le classi, anche quelle specificatamente destinate ai laboratori. Musica, educazione tecnica, scienze, educazione artistica, aula video, informatica sono luoghi frequentati saltuariamente, con sperequazioni notevoli fra una classe e l’altra e con criteri discutibili. Una risorsa preziosa cui non si fa ricorso come si potrebbe.

Eppure sembra che i ragazzi non desiderino altro; come spiegare altrimenti l’entusiasmo suscitato dalla professoressa di scienze, all’annuncio che quella parte di fiore si poteva osservare al microscopio? Pensate, nel mondo di Internet, coi ragazzi che passano ore e ore davanti alla TV e che non si meravigliano più di niente, poter osservare un minuscolo frammento al microscopio genera un’aspettativa e un desiderio impensabili!

Eccolo il bello della scuola! Ecco il motivo che genera quella passione per l’insegnamento che prende tanti di noi!

 

4 -    I RAGAZZI, PER FORTUNA…

Qualche ex-alunno mi ha chiesto : possiamo tornare alle elementari?, ma l’espressione denunciava sì un po’ di nostalgia, ma soprattutto la consapevolezza dell’irrealizzabilità della richiesta; si trattava di una battuta, cioè, di uno scherzo per sdrammatizzare. In realtà sono ben contenti di essere nella scuola media e ne accettano e sopportano affabilmente impegni e responsabilità.

Anche i quindici alunni di quinta che abbiamo condotto a questa esperienza sono felici di averla fatta, come si deduce anche dai loro racconti, alcuni sono addirittura entusiasti. Hanno toccato con mano le differenze, hanno constatato i disagi e gli oneri, ma non si sono minimamente scomposti, inscrivendo il tutto in quel cassetto della loro vita su cui sta scritto futuro.

Il futuro è inesorabile, la sua forza attrae i ragazzi come nulla al mondo; sono consapevoli dei rischi e anche delle difficoltà, ma niente li può fermare, loro vanno avanti. Hanno gli anni in tasca.

Da vent’anni ormai sono solito documentare in video alcuni momenti della vita scolastica degli alunni nei cinque anni che trascorrono alla scuola elementare; quando giungono in quinta a volte mostro loro com’erano quattro, cinque anni prima; non manifestano alcun entusiasmo, come invece accade ai loro genitori; e anche quando capitano a scuola ex-alunni ormai adolescenti, nessuno vuole mai confrontarsi con quelle immagini infantili. L’interesse torna da grandi, quando, magari prima di sposarsi, vengono a chiedere la cassetta delle elementari.

I ragazzi sono così, guardano sempre avanti, beati loro!

E quando si trovano immersi nel presente, manifestano un grande spirito di adattamento, accettando anche le situazioni più difficili; magari mugugnano, magari fanno un po’ di resistenza, ma alla fine cedono tutti, anche i più duri.

A meno che la scuola non abbia provveduto con sollecitudine a metterli fuori, cosa che non mi pare sia mai capitata nel nostro istituto, ma che diventerà normale nella controriforma morattiana.

 

5 -    QUALI SAPERI?

Un ragazzo di prima media mi ha chiesto cosa insegnassi io, rimanendo molto stupito dalla mia risposta tutto. Infatti nella scuola media la disciplina è un valore assoluto; quei pochi che si azzardano a parlare di interdisciplinarità, vengono guardati con occhi sospettosi; se poi si mettono in testa di realizzare progetti multidisciplinari, allora bisogna subito isolarli e metterli in quarantena, in attesa di vaccinazione contro idee che tendono a scardinare le stesse fondamenta della scuola media. Ogni professore è depositario di un sapere che lo colloca in una specie di urna dorata; per quello ha studiato, per quello si è laureato e quello ora insegna!

Fin dalla prima media la sproporzione fra lui così esperto e gli alunni così indifferenziati, vaghi e superficiali quasi lo spaventa : sa di avere solo tre anni di tempo e un pugno di ore alla settimana per trasformare questi sprovveduti (nel senso di sprovvisti) in possessori almeno delle basi epistemologiche della propria disciplina. Un’impresa titanica!

Nell’ascoltare, come gli alunni, la trattazione di alcuni argomenti, geografici, scientifici, storici, pensavo fra me come gli obiettivi previsti da una lezione di un’ora alla scuola media, avrebbero necessitato almeno un paio di settimane nella scuola elementare, forse di più.

Allora ho chiesto ad una professoressa il motivo di alcuni apprendimenti, concordando alla fine che il senso starebbe tutto nell’appropriarsi di alcuni concetti di base, ma che per raggiungere questo scopo il tempo non c’è (e non ci sono neanche le opportunità necessarie); pertanto si continua a fare come si è sempre fatto : lezione in aula, libro di testo come fonte di ogni sapere, impegno profuso a casa.

E’ un circolo vizioso : non è che i professori non si rendano conto di queste anomalie, è che non trovano una via d’uscita e l’Istituto Comprensivo per il momento non ha offerto loro nessuna alternativa.

Siamo tutti in attesa spasmodica che le commissioni sui curricoli in verticale (lingua, lingue, matematica) partoriscano un documento che riduca i programmi, faccia una severa selezione, assegni agli ordini di scuola percorsi specifici, così da ragionare su un tempo lungo di 10 anni e non dello spezzone stracolmo della scuola media.

Temo però che qualcuno resterà deluso; la griglia dei curricoli era già presente nella riforma Berlinguer annullata dall’attuale governo; forse non c’è nulla di nuovo da inventare e forse non è tanto una questione di quantità (anche se la quantità conta), ma piuttosto una questione di metodologie.

E voglio concludere allora con uno stimolo, cui ho già accennato anche in precedenti documenti; l’unico sapere radicato è quello che ognuno si costruisce; l’unico territorio conosciuto è quello che materialmente riesco a calpestare, l’unica storia conosciuta è quella che in qualche modo riesco a rivivere.

 

12/5/2002

Vittorio Delmoro


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