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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Le ragioni di un’educazione alla salute nella scuola

 

 

Mi sembra importante rivisitare - alla luce dell’evoluzione del sistema scolastico - una tematica che è stata centrale nella scuola nella seconda metà degli anni ‘80 e poco oltre la prima metà degli anni ’90, che è sopravvissuta precariamente e quasi in maniera carsica nel periodo della grande e incompleta trasformazione della scuola realizzatasi col governo dell’Ulivo, e che ora in qualche modo riemerge con alcune iniziative del governo della Casa delle Libertà.

 

Si tratta di valutare se e quanto di quella stagione sia riproponibile oggi, in un contesto mutato, arricchito dall’autonomia scolastica, ma anche carico di delusioni e d’incertezze circa la disponibilità di risorse e circa la configurazione che assumerà la scuola. Ma prima di tentare questa valutazione bisogna guardare al recente passato, ricordare il contesto entro il quale maturarono i progetti ministeriali per l’educazione alla salute e coglierne il senso e il profilo istituzionale e organizzativo.

 

Com’è noto, dopo la riforma della scuola media nel 1962-63, neppure nel corso degli anni ’80 il Parlamento riuscì a riformare la scuola secondaria superiore, a sviluppare adeguatamente la formazione professionale e a varare quella legge sull’autonomia scolastica, che pure il ministro Galloni portò all’ approvazione del governo alla fine degli anni ‘80.

 

Non potendosi contare su nuovi ordinamenti scolastici, si dovettero affrontare le nuove emergenze della droga e dell’AIDS, ma anche della dispersione scolastica, dell’immigrazione, dell’inquinamento, sulla scorta di apposite leggi sociali, che facevano leva sul concetto di prevenzione dei guai che sempre più visibilmente flagellavano il mondo dei ragazzi e dei giovani. Da parte del Ministero, e conseguentemente delle singole scuole, si trattò in sostanza di ripensare quelle norme in termini di pedagogia scolastica, e cioè di tradurne le finalità sociali in termini di obiettivi educativi, di riqualificazione delle motivazioni e delle relazioni scolastiche, per dare nuova luce ai programmi, ai vissuti quotidiani e nuovo carburante alle strutture partecipative.

Queste strutture infatti (assemblee e organi collegiali), allestite  dopo la “grande alluvione” contestativa e partecipativa del 1968 e dintorni, andavano arrugginendosi per la difficoltà di trovare contenuti e metodi che fossero insieme interessanti e rispettosi delle competenze di ciascuna componente scolastica.

Questa luce e questo carburante furono trovati nel concetto di educazione alla salute e nelle relative “attività”, compito che la legge antidroga del 1990 affidava alla scuola. La proposta è stata innovativa, ma non estranea alla tradizione pedagogica occidentale.

Momento centrale di questo passaggio è stata la Conferenza nazionale sulla scuola, voluta dal Parlamento, preparata lungamente e gestita dal ministro Mattarella nel gennaio 1990, nella quale sono emerse le idee del patto sociale, della gestione strategica, dell’autonomia, della partecipazione educativa e in essa del rilancio del Progetto giovani.

 

Se i greci chiamavano ginnasi  le palestre, i romani coniarono la formula aurea mens sana in corpore sano, mentre la sapienza popolare giunta fino ai nostri giorni ricorda che un asino vivo è meglio che un dottore morto. Era l'avvertimento della necessità di cercare un equilibrio tra i valori cognitivi e intellettuali e i valori vitali e corporei, fra ciò che sta più a cuore alla scuola e ciò che sta più a cuore alla famiglia.

 

La difficoltà di far convivere armoniosamente questi valori e di trovare intese e sinergie fra queste istituzioni costituisce da tempo uno dei problemi cruciali della riflessione pedagogica: anche perché la specializzazione cognitiva della scuola sembra escludere dal suo ambito le “attività di educazione alla salute”, pur volute dalla legge, mettendo a carico della sola famiglia e ad un certo punto degli ospedali, la salute e la difesa dei figli dal rischio di un superlavoro dannoso per il corpo e per la psiche.

 

Se si enfatizza la contrapposizione dei due modelli, quello scolastico e quello familiare, l'intesa diviene ardua, i malintesi e i conflitti si moltiplicano, perché ciò che si concede alla famiglia si toglie alla scuola e viceversa: e chi si fa carico dello star bene di ragazzi sembra disponibile a sacrificare la serietà dell'apprendimento, mentre i docenti seri e preoccupati dei risultati scolastici in termini di apprendimento sembrano nemici della salute e del buon umore dei ragazzi.

 

Ancora la saggezza classica negava la validità di queste alternative, proponendo l'ideale della loro integrazione. E una schiera di filosofi, letterati, pedagogisti, maestri di spirito ha raccomandato per secoli equilibrio e moderazione nella scelta dei contenuti, dei metodi e degli stili educativi, mentre puntualmente la realtà testimoniava la difficoltà di seguire questa disagevole strada mediana e il rischio di cadere nel rigorismo o nel facilismo, nell'intellettualismo o nel vitalismo.

 

 

Famiglia scuola e salute tra Costituzione e leggi dello Stato

 

Tra gli interventi che sono stati attuati all’interno del sistema scolastico italiano, l'iniziativa almeno potenzialmente più rilavante è quella che si è sviluppata intorno alla legge 162 /1990, poi dpr 309/90, la legge antidroga, che affida al Ministero della PI il compito di "coordinare e promuovere attività di educazione alla salute" nella scuola. L'iniziativa del Progetto Giovani 93, che già nell'89 era stato lanciato su iniziativa dell'Ufficio Studi, ha trovato così una nuova legittimazione istituzionale e una nuova possibilità di finanziamento.  Per cogliere la rilevanza di questa scelta legislativa, vale la pena di ricordare la collocazione della salute nel testo della Costituzione Italiana. Il titolo secondo, sotto il nome "Rapporti etico sociali" fissa, com'é noto, alcune norme fondamentali relative alla famiglia (artt.  29-30-31) e alla scuola (artt.33 e34). Non tutti ricordano che in mezzo a questi articoli, quasi a costituire la chiave di volta tra i blocchi di norme fondamentali riservati alle due venerande istituzioni, c'é l'articolo 32, dedicato appunto alla salute.

 

In tutti e tre i casi compare in primo piano il più solenne soggetto del nostro ordinamento, e cioè la Repubblica. Si dice dunque che la Repubblica "riconosce i diritti della famiglia", "detta le norme generali sull'istruzione e istituisce scuole statali" e infine "tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività".

 

Non solo la famiglia e la scuola, ma anche la salute é mutata in questo trentennio. E' mutata nella concreta esperienza della gente non meno che nella riflessione scientifica. L'Organizzazione Mondiale della Sanità e il Consiglio d'Europa hanno elaborato riflessioni, definizioni e strategie d'intervento che sempre meglio rendono conto sia delle condizioni da cui dipende quel bene complesso e delicato che é la salute, sia delle condizioni da cui dipendono le più recenti patologie da cui questo bene é minacciato.

 

E' significativo che il Parlamento, per attuare la norma costituzionale che impone la tutela della salute, abbia votato non solo una legge sanitaria, tanto nobile quanto insufficiente, la 833/1978, ma anche una legge antidroga, che ha identificato proprio nella promozione del concetto-valore di salute il baluardo da contrapporre ai "danni derivanti  dal tabagismo, dall'alcoolismo, dall'uso delle sostanze stupefacenti o psicotrope, nonché dalle patologie correlate". Ma è chiaro che lo stesso concetto vale per fare da contrappeso ai comportamenti cosiddetti a rischio, in termini di alimentazione, di inquinamento, di circolazione stradale, di relazioni sessuali.

 

Lo stesso Ministero della Sanità ha cambiato recentemente il suo nome in Ministero della Salute. I due ultimi ministri, Umberto Veronesi e Gerolamo Sirchia, illustri clinici, danno rilievo crescente al punto di vista della prevenzione, rispetto a quello della cura.

 

 

La “lotta” contro il disagio giovanile

 

Si è diffusa negli scorsi cinquant’anni l’idea che della salute ci si debba occupare, con medici e farmaci, solo quando la si è persa; e che per il resto sia giusto comportarsi in modo da chiedere al nostro organismo il massimo delle prestazioni e delle soddisfazioni che ci siano consentite.

Solo negli ultimi quindici anni ha cominciato a diffondersi, in controtendenza, l’idea della prevenzione, ossia di un comportamento che sappia farsi carico di conservare la salute.

 

Per la scuola combattere il mal-essere e il dis-agio significa essere fedeli al proprio "codice genetico", rivelato dall'etimo greco skolè, che significa agio, benessere, distensione, qualcosa di simile al latino otium, che non significava ozio, ma tempo libero da dedicarsi allo studium, ossia ad attività desiderate, sottratte alla costrizione dei negotia.

 

Tutti sanno che questo sogno classico è stato più volte smentito nel corso dei secoli, quando la scuola, fattasi istituzione capillare e burocratica, divenne attenta alla disciplina e ai risultati più che alle motivazioni, alla comunicazione e alle libere attività.

 

Il prezzo pagato è stato forse inevitabile, ma sicuramente alto: la scuola è diventata troppo spesso non solo indifferente di fronte al disagio dei ragazzi, ma essa stessa produttrice di un disagio che non è spiegabile con la sola fatica necessaria per apprendere.

 

Come l'ospedale, che sorge per curare le malattie, ma diventa talvolta per alcuni ambiente patogeno, così la scuola sorge per la gioia dell'apprendimento, ma diventa per alcuni ambiente di retrocessione sociale e di demotivazione alla ricerca e allo studio.

 

Occuparsi di questa perdita di potenziale e di questa involontaria contraddizione istituzionale non è stravaganza, ma dovere e interesse delle istituzioni e delle persone che vi operano. Ecco allora che la legge che impone alla scuola di far attività di educazione alla salute  non le carica necessariamente sulle spalle un peso aggiuntivo, ma esplicita un compito, che è anche un bisogno e un interesse per chi in essa lavora consapevolmente.

 

Certo la scuola ha un suo punto di vista, sue competenze e suoi modi per occuparsi di questo problema: modi diversi da quelli dell'ospedale e da quelli della famiglia. La "cosa" però di cui si occupano queste istituzioni è la medesima: è la persona capace di gestire al meglio il proprio patrimonio biopsichico, affettivo, mentale e morale, ossia capace di portare il peso e di vivere la gioia di questa gestione e di sapere il perché di questo peso e di questa gioia, per quanto umanamente possibile.

 

La mancanza di questa capacità comporta un danno più o meno grave per il ragazzo e un conseguente insuccesso sia della famiglia sia della scuola. Se poi non si ricorre in tempo e nei modi dovuti, quando ve ne sia la necessità, ai presidi sanitari, queste stesse strutture diventano impotenti a raggiungere i loro fini istituzionali.

 

La scommessa del Parlamento e del Governo, nel decidere che le scuole dovessero fare attività di educazione alla salute e nel proporre loro il Progetto Giovani 93, il Progetto Ragazzi 2000 e il Progetto Genitori, è stata quella di fornire indicazioni, spunti e occasioni per trasformare la scuola e la realtà quotidiana da luogo da cui si vuole fuggire in luogo in cui si sta volentieri. Si è trattato insomma di provarsi a far capire non solo che la scuola "fa bene", ma anche che a scuola "si sta bene"; e che le materie, la disciplina, le relazioni, i tempi e gli spazi della vita quotidiana non sono solo un fardello da portare, ma anche un mondo da esplorare, un patrimonio da utilizzare anche nei tempi brevi della settimana scolastica e non solo nei tempi lunghi dell'accumulazione in vista di un incerto futuro.

 

Il termine progetto, in questo caso, non ha lo stesso significato che ha per gli architetti: la costruzione di se stessi, del proprio futuro, di un gruppo umano, di quel pezzo di realtà su cui possiamo concretamente influire non assomiglia se non da lontano alla progettazione di una casa o di un ponte. E tuttavia suggerisce l'idea che occorre guardare avanti, non sulla punta delle proprie scarpe; che quello che saremo e che faremo dipende da quello che desideriamo, sappiamo e vogliamo fare oggi, con le risorse che abbiamo e con le persone con cui condividiamo l'esistenza.

 

E' indubbio che in questioni di questo tipo c'è di mezzo l'etica: ma più che di un astratto dovere da predicare, c'è bisogno di aiutare i soggetti della scuola a pensare ad una possibilità, ad un'avventura, ad un gioco in cui si può vincere senza sconfiggere gli altri, ma si può anche perdere, se non ci si prepara per tempo con vigile determinazione.

 

Condizioni per un dialogo educativo nella scuola

 

Se la scuola si mette in questa prospettiva, come suggerivano i citati progetti ministeriali, senza peraltro venir meno ai suoi compiti tradizionali, ai genitori non c'è solo da comunicare un voto o un giudizio frettoloso, sbirciando il registro. E i genitori non sono costretti a chiedere solo “come va mio figlio”, e ad affidarsi, con vergogna, ad ansiose indagini negli occhi e sulle braccia dei loro figli. Una scuola che pensi ai problemi veri del mondo, della nostra riverita specie, dei giovani d'oggi, dei ragazzi di “questa” classe e di “questo” ragazzo, e non solo alle materie da far apprendere per l'esame, non rimane muta dinanzi ad un'assemblea di genitori, né si preoccupa di coprire l'imbarazzo con discorsi futili ed evasivi.

 

La domanda che si suggeriva di tenere sullo sfondo degli incontri collegiali e individuali tra scuola e famiglia, o meglio tra insegnanti e genitori, talora con la partecipazione degli studenti, era questa: dove stiamo andando, dove stanno andando i nostri ragazzi, che cosa si può fare per orientare questo viaggio, perché conduca verso una vita buona e serena, ricca di soddisfazioni autentiche e di buone ragioni per sopportare anche gli insuccessi e le frustrazioni che saranno sempre con noi?

 

I macro concetti di salute e di sviluppo, proposti dalle CCMM 240/1991 e 241/1991 come nodi problematici e valoriali strettamente connessi con i concetti d'identità personale e di solidarietà mondiale, svolgevano il ruolo di analizzatori dell'esistenza individuale e collettiva, di organizzatori dei contenuti e della qualità della vita, a partire da quella scolastica, di contenitori delle cosiddette "educazioni", da quelle elencate nella Premessa ai Programmi della scuola media a quelle che avrebbero trovato una legittimazione normativa nel documento allegato alla direttiva 8.2.1996, n.58 dal titolo Nuove dimensioni formative educazione civica e cultura costituzionale. In esso si compie una recensione delle proposte e delle raccomandazioni fatte da un lato dai documenti internazionali elaborati dall’UNESCO e dal Consiglio d’Europa, dall’altro, implicitamente, dalla stessa Costituzione italiana.

 

Vi si parla infatti di educazione alla democrazia, ai diritti umani, alla libertà, al lavoro, alla legalità, alla pace, allo sviluppo, alla salute alla sessualità, alla sicurezza stradale, al senso, al sacro, allo studio, allo sport, all’identità, all'intercultura, all'ambiente, all’alimentazione, all’Italia, all'Europa, al Mondo. In sigla questo complesso di prospettive di illuminazione e di risignificazione del curricolo e della vita scolastica si chiama EDDULLLPSSSSSSSIIAAIEM.  Non sono nuove materie, ma costituiscono dei punti di vista capaci di rilanciare la didattica interdisciplinare e di alimentare su nuove basi, generali ed esistenziali, l'interesse al dialogo e alla partecipazione di insegnanti, studenti e genitori.

 

L'insoddisfacente stato della comunicazione e della partecipazione scolastica è sotto gli occhi di tutti, anche se pochi ne conoscono gli aspetti più validi. Ebbene la caduta del muro berlinese e dei muri ideologici di cui quello era simbolo e strumento e la comparsa di altri "fronti", ossia di altri pericoli sul piano esistenziale, biologico, e culturale che sono comparsi nella società e nella scuola degli anni ‘90, tutto questo ha rappresentato una notevole opportunità storica per un rilancio su nuove basi dei rapporti tra scuola e famiglia. Pericoli e speranze, malesseri e creatività, depressione e voglia di stare e di lavorare insieme, carenze strutturali e risorse economiche non irrilevanti messe a disposizione da parte della legge 162/90, tutto questo ha consentito l’avvio e ora può favorire la ripresa di una nuova stagione per la vita della scuola.

 

Non è la prima volta che la salvezza viene da un nemico. E' un fatto che, col pretesto della droga e dell'AIDS, il Parlamento e il Governo hanno messo la scuola in grado di fare un consistente passo avanti nella direzione della valorizzazione del protagonismo giovanile e del miglioramento della qualità della vita scolastica.

 

Luci e ombre del nuovo contesto normativo e dei nuovi orientamenti ministeriali

 

La direttiva 133, divenuta poi DPR 567/1996 sulle “iniziative complementari e integrative”, finanziate in modo autonomo, la “Carta dei servizi scolastici” (DPCM 7-6-1995), di cui poco ora si parla, le nuove norme sull’autonomia (legge Bassanini 59/97 e regolamenti in arrivo, anticipati dal DM 765/97 sulla sperimentazione dell’autonomia e poi dal dpr 275/1999) la direttiva sull’orientamento degli studenti (dir. 6-8-1997 n.487) lo statuto delle studentesse e degli studenti (DPR 24-6-1998, n.249), forniscono un panorama di riferimento che potrebbe dare all’educazione alla salute e ai connessi progetti una nuova legittimazione e nuove strumentazioni operative e finanziarie. Questo non succede però come potrebbe.

 

Non ci nascondiamo le difficoltà della scuola, in un’epoca di profonda trasformazione, e degli insegnanti, che sono spesso disorientati su ciò che si può e si deve fare. La tentazione di prendersela con l’educazione è forte. Chi privilegia l’istruzione pensa a procedure rigorose, efficaci ed efficienti, limitate a ciò che è intersoggettivamente controllabile. Questo fece, nei primi anni del suo ministero, Luigi Berlinguer, che non parlò quasi mai di educazione alla salute e che nella CM 463/1998 trasformò il progetto giovani in “programma studentesse e studenti” e il progetto genitori in progetto “Famiglia”. Verso la fine del suo mandato si convinse che la scuola, se non s’impegna ad educare, non riesce neanche ad insegnare.

 

Letizia Moratti ha parlato fin dall’inizio di educazione e di raccordo con la famiglia, con toni precisi e con alcuni atti significativi. Per prima cosa ha confermato l’impostazione di quadro della legge 30/2000, che prevede un sistema educativo d’istruzione e di formazione e ha cercato di dare attuazione a questa grande idea con la sua legge delega  relativa a ”norme generali sull'istruzione e  livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale” , varata dal Parlamento con dati anagrafici  28.3.2003,n.53

Con questa ariosa impostazione stridono notevolmente le scelte di politica scolastica ispirate  al risparmio e alla contrazione di quei tempi e di quelle opportunità che la situazione precedente, con tutti i suoi limiti, ha però consentito di utilizzare.  Di un certo tipo di dimagrimento il nostro bilancio aveva bisogno: e del resto i famigerati tagli cominciarono col governo Ciampi e non si sono fermati con i governi successivi. Il nostro enorme debito pubblico e la grande operazione di risanamento avviata per l’euro sono ragioni serie: e la comparazione con quanto e come spendono altri paesi non consentirebbe a nessun governo di ignorare i dati di bilancio. Questo però non significa che ogni risparmio sia opportuno e coerente con le dichiarate intenzioni di promuovere una scuola di qualità, attenta allo sviluppo delle persone e non solo alla logica aziendale. Per questo la vigilanza e la protesta sono funzioni fondamentali da svolgersi non solo dall’opposizione, ma anche nell’ambito della maggioranza, e in generale da tutti i soggetti responsabili, a cominciare dalle scuole, dotate dalla nuova Costituzione di un’autonomia, che finora riescono assai poco ad esercitare.

 

Ha scritto nel suo rapporto il collega Giuseppe Bertagna, consigliere del Ministro: “le discipline di studio e le attività d’insegnamento non sono fini, ma mezzi del processo educativo di apprendimento; e ogni docente non è soltanto chiamato ad insegnare la disciplina o a svolgere l’attività che, sulla base dell’organico d’istituto gli è affidata, con il rischio di chiusure disciplinaristiche autoreferenziali, bensì è invitato a mettere a disposizione l’intero bagaglio delle proprie competenze professionali ed umane per realizzare nel complesso il profilo educativo, culturale e professionale terminale e gli obiettivi specifici di apprendimento del corso di studi dove presta servizio”. Il discorso continua in questo modo:

 

“A causa di questa seconda implicazione è naturale quindi aspettarsi che un docente di italiano e storia o di matematica, per esempio, debba promuovere, se così si stabilisce nella programmazione didattica collegiale, anche sensibilità estetiche, conoscenze geografiche, riflessioni morali, abilità operative, atteggiamenti sociali ecc., richiesti nel profilo educativo culturale e professionale o contemplati negli obiettivi specifici di apprendimento, ancorché non riferibili, in senso stretto,  né alla sua classe di abilitazione, né ad un’altra disciplina prevista in maniera formale nel piano degli studi”.

 

A queste considerazioni si è aggiunta la proposta di una esplicita educazione alla convivenza civile nelle “Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati”. Essa si articola in educazione alla cittadinanza, stradale, ambientale, alla salute, alimentare e all’affettività.

 

Non è facile, ma neppure impossibile trovare percorsi didattici idonei a compiere le sintesi pedagogiche suggerite. Certo la contrazione delle risorse finanziarie, dei tempi e degli orari, la ripartizione del curricolo in quota nazionale, quota scolastica e quota regionale, come prevedono norme ancora in corso di assestamento, non facilitano questo impegno. Accontentiamoci per il momento di vedere che riemergono in modo carsico idee e iniziative collegate con la stagione storica che abbiamo fin qui evocato. E’ anche questo un modo per cercare di conservarsi “in buona salute”.

 

 

Nota bibliografica

 

Per l’ampia bibliografia disponibile si rinvia a quanto indicato nei lavori qui citati: L.CORRADINI, Democrazia Scolastica, La Scuola, Brescia 1976 (7° ed. 1995); La comunità incompiuta, Vita e Pensiero, Milano 1979; Educare nella scuola. Cultura comunità curricolo, La Scuola, Brescia 1983 (3° ed 1987); Progetto Giovani: identità e solidarietà nel vissuto giovanile, Ministero della PI, Istituto della Enciclopedia Italiana, La documentazione educativa n.8, Roma 1991 (con altri); Essere scuola nel cantiere dell'educazione, SEAM, Roma 1995 (2° ed. 1996, vincitore dello "Stilo d'oro", 1997); Educazione alla salute (con P. Cattaneo), La Scuola, Brescia 1997; Competizione e solidarietà, Da solo o con gli altri? Fondazione italiana per il volontariato, Roma 1998; (a cura dello stesso) Il Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione nel periodo 1989-1997, in Studi e documenti degli Annali della PI, 75-76, 1996, Le Monnier, Roma 1997; La dimensione affettiva nella scuola e nella formazione dei docenti, SEAM, Roma 1998; Educazione civica e cultura costituzionale. La via italiana alla cittadinanza europea, Il Mulino, Bologna 1999 (con G. Refrigeri); Il corpo a scuola, con I.Testoni, SEAM, Roma 1999; Pedagogia: ricerca e formazione, Saggi in onore di Mauro Laeng, SEAM, Roma 2000; Educazione alla convivenza civile. Educare istruire formare nella scuola italiana, Armando, Roma,  2003  (con W.Fornasa e S.Poli) ß

 

 

[Prof. Luciano Corradini, Ordinario f. r. di Pedagogia generale - Università Roma Tre - Presidente nazionale dell’UCIIM]

 

 


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