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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

E poi ogni mattina si entra in classe…
incuriosire, motivare, costruire competenze significative… insegnando scienze

                                                                           Rossana Nencini

 

Se osserveremo attentamente i bambini……….

Mi emoziona, ancora, dopo tanti anni di insegnamento, scoprire quanto i bambini sappiano interessarsi, mi emoziona incontrare la loro  profonda curiosità, il loro desiderio di sapere, la loro voglia di fare……” Se osserveremo attentamente i bambini li tratteremo in modo diverso. E capiremo da dove proviene la nostra capacità di osservare con attenzione: sarà questa la considerazione più profonda che ne ricaveremo. Quel che di più interessante hanno i bambini è che sono così enormemente interessati; quel che hanno di più meraviglioso è l’infinità capacità di meravigliarsi.”( Tuo figlio è un genio – Le straordinarie scoperte sulla mente infantile).

Di meravigliarsi nell’osservare semplici esperienze di laboratorio come ad esempio le piccole bollicine che si formano durante il riscaldamento dell’acqua, il loro aumentare, progressivamente, per diventare grandi bolle che scoppiano e fanno rumore,  di stupirsi nel vedere che l’acqua piano piano diminuisce,….di porsi dei perché: “ Dove sarà andata a finire maestra?……”

Mi emoziona, ma al contempo mi fa sentire tutta la responsabilità che la scuola e i suoi insegnanti hanno in merito all’azione didattica e al  successo scolastico dei ragazzi.

Responsabilità che deriva dall’attribuire valore a certe scelte didattiche piuttosto che ad altre, riconoscendo al fare scuola quotidiano un ruolo di primo piano nel costruire motivazione, interesse, curiosità, desiderio di imparare, di sapere. L’interesse e la meraviglia che i bambini sanno dimostrare in classe non nascono per caso, sono il frutto di un’attività di ricerca didattica complessa, profonda, capillare che non lascia niente al caso, che non improvvisa, ma coniuga, continuamente, nelle piste di lavoro che propone agli alunni, una profonda conoscenza dell’epistemologia disciplinare con altrettanto profonde conoscenze nella psicologia, nella pedagogia, nella sociologia dell’educazione. Di una ricerca didattica consapevole che una scuola di qualità non può essere enciclopedica, ma deve saper scegliere pochi contenuti fondanti e trattarli a fondo sapendo valutare a quale età possono essere sviluppati e con quali modalità devono essere proposti per essere davvero compresi.

E’ necessaria una profonda trasformazione del “contesto scuola” per poter avviare una concreta innovazione nelle pratiche dell’insegnamento. Si deve saper incidere contemporaneamente sulla professionalità dei docenti e sulla disciplina, impegnandoci in un progetto culturale che dia valore al ruolo degli insegnanti e sappia impegnarli, all’interno della propria scuola e di reti di scuole, collegialmente, in gruppi di studio e ricerca sulla didattica disciplinare nel tentativo di costruire curricoli disciplinari verticali davvero innovativi.

Curricoli disciplinari verticali  che sappiano individuare che cosa si insegna nelle varie fasce d’età legandolo al come si insegna, che sappiano ripensare profondamente gli approcci disciplinari ed educativi ricorrenti, che sappiano abbandonare l’illusione di un insegnamento enciclopedico per scegliere e concentrarsi su saperi essenziali cioè fondamentali nella struttura della disciplina e adeguati alle potenzialità cognitive degli alunni nelle varie fasce d’età.

Curricolo verticale in cui veramente “ogni esperienza dovrebbe in qualche modo preparare l’individuo alle esperienze posteriori più profonde e più ampie. E’ questo il vero significato di crescenza, continuità, ricostruzione dell’esperienza” (Esperienza ed educazione – John Dewey). Curricolo verticale che non sottovaluta la variabile “tempo” e impone lo svolgersi dell’azione didattica in un “tempo disteso”. Solo il tempo disteso permette quel livello di individualizzazione che si orienta a garantire a tutti un raggiungimento significativo degli obiettivi prefissati. Solo il tempo disteso permette di svolgere le diverse attività in una dimensione laboratoriale che è l’unica forma didattica veramente efficace nella scuola primaria, su di essa si basa la profondità e la persistenza degli apprendimenti.

Un compito complesso di alta e specifica professionalità.

Questi i presupposti indispensabili per poter offrire ai ragazzi di  ogni ordine di scuola la possibilità di  appassionarsi, essi stessi, al sapere.

 

Ma entriamo davvero in classe ………….

 

e cerchiamo di analizzare quali momenti  caratterizzano  proposte di insegnamento delle scienze di ormai sperimentato valore didattico in grado di affascinare i bambini, di contribuire a formare in ognuno di  loro una mente critica, l’autonomia di giudizio, il gusto della ricerca e di creare un contesto classe dove l’insegnante può ridurre al minimo la necessità di esercitare la propria autorità, perché è la proposta  didattica la migliore garanzia di controllo dell’attenzione e della concentrazione degli alunni. Nella scuola primaria lo sviluppo cognitivo degli  alunni è tale che qualsiasi proposta deve necessariamente prevedere l’osservazione diretta di semplici esperienze su cui i ragazzi siano in grado di riflettere elaborando  previsioni e ragionamenti.

Osservare semplici esperienze cosa significa? Indubbiamente aver scelto i contenuti da trattare in quella determinata classe e quindi in quella fascia di età cognitiva e affettiva, e ovviamente aver sceto gli esperimenti attraverso cui mostrare ai bambini il fenomeno oggetto di studio, ma significa anche avere sviluppato, come insegnante, la consapevolezza della valenza dell’osservazione in quanto momento didattico fondamentale per costruire conoscenze significative. Non solo è necessario poter usufruire di ambienti attrezzati e di strumenti necessari a svolgere concretamente le varie esperienze, ma occorre garantire l’organizzazione dello spazio e il tempo necessario ad osservare con l’obiettivo di consentire ai ragazzi di acquisire, nel tempo, la capacità di  interrogare l’esperienza, cioè di osservare ponendosi dei perché  e cercando delle spiegazioni.  E allora anche un semplice esperimento, come l’ebollizione di una piccola quantità di acqua distillata, diventa uno straordinario catalizzatore di attenzione .

I bambini seduti in cerchio attorno al tavolo su cui si svolge l’esperienza pongono attenzione ad ogni  dettaglio, sono pronti a cogliere ogni minimo cambiamento. Mentre osservano attentamente si scambiano opinioni e le riferiscono all’insegnante “ Guarda maestra si sono formate delle minuscole  bollicine sul fondo del becker!!!…..Stanno cominciando a salire….Ora stanno diventando più grandi …..Salgono…..Esce del fumo……Il loro interesse verso l’osservazione dell’esperienza non si esaurisce velocemente e, spesso, ne chiedono la ripetizione, per osservare meglio quel fumo che qualcuno è riuscito a vedere a malapena, per verificare quanto diventano grandi quelle piccole bolle che poi scoppiano e riempiono di uno strano rumore l’aula, dove, tutti, si sono completamente zittiti per ascoltare.

Il riferimento all’osservazione di fenomeni concreti nella scuola primaria è essenziale, così come è essenziale operare scelte rigorose in merito  ai fenomeni da proporre agli alunni individuando quei fenomeni che sono meno carichi di teoria e quindi sostanzialmente connessi ad attività di osservazione e sperimentazione da cui i ragazzi possano estrapolare significative definizioni operative. Ritorna, quindi, la necessità di effettuare una profonda analisi epistemologica della disciplina per individuare all’interno di essa i livelli di complessità dei diversi fenomeni. Ma per quanto interessante e coinvolgente l’attività di osservazione di esperienze non può essere fine a se stessa se  l’obiettivo dell’azione didattica è quello della costruzione di conoscenze consapevoli.

Se ci limitassimo all’osservazione non consentiremmo ai bambini di approfondire, ampliare, e, talvolta confutare le conoscenze legate al senso comune. Soprattutto se ci limitassimo a riproporre semplici esperienze legate al vissuto quotidiano, come nel caso dell’ebollizione dell’acqua, l’attività didattica sarebbe sostanzialmente inutile. Ciò che costruisce significato è la riflessione individuale e collettiva sull’esperienza vissuta e osservata  insieme. Occorre che ogni bambino, nella sua individualità, possa avere la possibilità di riflettere su quanto osservato e questo non può avvenire, da subito, in una dimensione di discussione collettiva  che, troppo spesso, da spazio solo ai ragazzi più intraprendenti, più sicuri di sé, e lascia nell’ombra tutti gli altri. E’ necessario che ogni alunno si sforzi per attivare il proprio sistema di rappresentazione simbolico e dia forma linguistica a quanto osservato, riflettendo in maniera sistematica e acquisendo consapevolezza.

E acquisire consapevolezza significa tradurre “in parole” l’esperienza vissuta, raccontarla, dandogli consequenzialità logico-temporale ed evidenziarne i particolari significativi. Dentro ad ogni esperienza è nascosta una “storia” con un  inizio, uno svolgersi e concludersi, una storia che ogni bambino deve narrare con il proprio linguaggio naturale, personale, senza schemi imposti dall’insegnante, perché possano essere narrate anche le emozioni, positive e negative perché ci si possa appassionare a quanto si scrive, perché si scriva volentieri. “Oggi siamo andati in laboratorio di scienze, la maestra, appena entrati, ha preso la piastra elettrica e un becker, con dentro acqua demineralizzata. Una volta accesa la piastra e posizionato il becker, abbiamo dovuto aspettare, ma dopo il giusto tempo, finalmente l’acqua si è riempita di bollicine minuscole, però solo sul fondo. Dopo altro tempo le bolle si sono ingrandite, dal becker usciva fumo bianco e si sentiva un lieve rumore, sempre più forte. Aspettando ancora si è sentito anche uno strano odore, la stanza si era riscaldata e ormai le bolle erano tante e grandi Quando la maestra ha spento la piastra, l’acqua era la metà di quanta ce ne aveva messa e le bolle non smettevano perché la piastra era ancora calda,e neanche il fumo aveva smesso” Samira, al quarto anno della scuola primaria, ha “raccontato” così l’esperienza di ebollizione dell’acqua usando il proprio linguaggio naturale, ma riuscendo a cogliere in modo incisivo e consequenziale tutti i  dati significativi dell’esperienza: il tempo, le bollicine, il fumo le grandi bolle, la diminuzione dell’acqua. Ha associato delle parole  ad ogni elemento cruciale dell’esperienza, parole che attribuiscono significato all’esperienza stessa e da essa acquistano significato condiviso. Le parole, come sostiene Dewey, possono isolare e conservare un significato solo allorchè esso è stato in precedenza implicato nei nostri contatti diretti con le cose. Non tutte le descrizioni\ narrazioni prodotte dai ragazzi sono, ovviamente, corrette e complete come quelle di Samira…In relazione a descrizioni o produzioni individuali imprecise, poco chiare,  sono necessarie alcune considerazioni  intorno all’età cognitiva dei bambini e allo scopo per cui scrivono. Sarebbe assolutamente inopportuno intervenire sulle narrazioni degli alunni con pesanti correzioni ortogrammaticali e di contenuto, si scrive per capire , è quindi impossibile pretendere che il linguaggio usato possa essere strutturalmente e lessicalmente corretto come quello di chi ha già capito. I bambini devono sentirsi liberi di scrivere senza timori relativi alla correzione dell’insegnante, ciò che deve prevalere, nel nostro caso, è il tentativo di mettere per scritto le proprie idee, i propri pensieri, di costruire una propria rappresentazione mentale di ciò che si è osservato. Operazione tutt’altro che facile e immediata……..c’è chi lascia per lungo tempo il foglio in bianco prima di  “mettersi in gioco”, prima di “mostrare” i propri pensieri, per timore di sbagliare, per difficoltà a trovare le parole……ma, spesso, perché ritiene che non valga la pena esplicitare il proprio punto di  vista, considerato assolutamente inadeguato e certamente inferiore a quello del compagno.

Non dobbiamo dimenticare le “storie” che caratterizzano ogni   alunno, storie individuali e familiari che determinano pesantemente modi di essere, di percepire, di comprendere…di costruire la propria autostima. Storie che la scuola ha il dovere di considerare, storie diverse, che devono avere un peso nella progettazione didattica, non certo per costruire percorsi differenziati che perseguono obiettivi diversi, ma piuttosto per riuscire a gestire e orientarsi a colmare le differenze iniziali. Una scuola di qualità si distingue soprattutto da come riesce ad affrontare le differenze nell’azione didattica di ogni giorno, proprio in classe, durante l’ora di scienze, ……… non certo nelle ore aggiuntive dedicate all’illusione del recupero.

 

E’ il fare scienze che segna  una scuola più democratica.

 

Il linguaggio improprio e confuso che caratterizza gli scritti di  un numero consistente di alunni all’inizio del percorso di “questo” insegnamento delle scienze, è l’unico linguaggio che consente loro di capire, o meglio di iniziare a cercare di dare forma, sulla base delle proprie strutture cognitive, ai fenomeni che si sta osservando; ha, quindi, un grande valore per lo sviluppo successivo delle capacità logico linguistiche e per il potenziamento del pensiero riflessivo, indispensabile per l’acquisizione di significative competenze scientifiche. Osservazione profonda e riflessione capaci di creare, nel tempo, un atteggiamento individuale verso l’apprendimento che si contrappone fortemente ai modelli oggi proposti  dai mezzi di comunicazione di massa  e riafferma il valore del soffermarsi a pensare, a ragionare, a prevedere cosa succederà in quel piccolo mondo che sto interrogando…che riafferma il valore dello sforzo individuale per rispondere agli interrogativi nati spontaneamente dall’osservazione o posti dall’insegnante: “piccole sfide” sempre misurate dalla capacità progettuale dei docenti: non troppo difficili perché sarebbe scoraggiante, né troppo facili perché non si imparerebbe gran che e non si sarebbe sufficientemente stimolati.

 

E’ il fare scienze che educa al pensiero autonomo e alla riflessione critica

 

Dopo che ogni bambino ha  elaborato la propria descrizione del fenomeno osservato, diventa importante il confronto, la discussione collettiva, mirata ad analizzare, modificare, correggere, arricchire, completare le produzioni individuali. Cinque o sei bambini, a turno, leggono ai compagni  i propri scritti e su di essi si sviluppa la discussione,  in un clima di cooperazione che mira al raggiungimento di più obiettivi: da un lato lo sviluppo della concettualizzazione del fenomeno osservato ( in questo caso l’ebollizione dell’acqua), dall’altro l’acquisizione della capacità di cooperare cioè il rapportarsi con gli altri, rispettando i diritti e le opinioni altrui,  sviluppando la capacità di lavorare insieme per la soluzione di problemi e comprendendo l’importanza dello scambio verbale per l’interpretazione dei fatti .

Nel testo “Discutendo si impara” di Pontecorvo, Ajello, Zucchermaglio , si riportano citazioni tratte dal testo di Cousinet: “Un metodo di lavoro libero per gruppi” La Nuova Italia

Ciascuno porta anche le proprie parole, parole differenti( che qualche volta indicano la stessa cosa) e siccome ciascuno comprende il significato del linguaggio che ascolta, le parole che designano spiegazioni si urtano, si oppongono, e siccome ciascun fanciullo si preoccupa di far trionfare il proprio punto di vista e di convincere l’oppositore, …….bisogna osservare più da vicino riprendere la propria analisi, verificarla, o incorporarvi le spiegazioni di altri che diventeranno…..elementi di cui egli potrà nutrirsi” e ancora……“il fanciullo………..impara a proporre le sue interpretazioni invece di imporle, impara a esprimersi con precisione e in maniera analitica, a desiderare e a sforzarsi di essere compreso dai suoi interlocutori, ad ascoltare e comprendere le loro interpretazioni. Impara a vivere socialmente, cioè ad arricchire il suo pensiero con l’apporto del pensiero altrui”.

E’ interessante anche sottolineare i risultati ottenuti dall’insieme delle ricerche condotte da Pontecorvo e Zucchermaglio; da queste ricerche, infatti è emerso che durante la discussione in classe si verifica una particolare situazione di interazione sociale che comporta processi linguistici e socio cognitivi particolarmente rilevanti ai fini dell’acquisizione di nuove strategie e conoscenze più complesse. Da sottolineare, inoltre come queste ricerche abbiano verificato che la discussione non si realizza naturalmente a scuola, ma è il risultato di un’attività di progettazione capillare dell’azione didattica che inserisce nel contesto scolastico condizioni volte a garantire lo svolgersi di una discussione efficace. “Tali condizioni specifiche sono:

a)      Un’esperienza comune preliminare alla discussione…….

b)      Un discorso che rielabora l’esperienza compiuta e che si struttura come situazione di problem solving collettivo, in cui sia possibile negoziare significati, condividere e confrontare differenti soluzioni o interpretazioni di uno stesso materiale (ad esempio un testo scritto) o di una stessa esperienza (ad esempio, un’osservazione o un’esperimento scientifico).

c)      Un cambiamento delle usuali regole di partecipazione al discorso scolastico, i turni del discorso non devono essere controllati dall’insegnante; le usuali domande dell’insegnante sono in parte sostituite da riprese o rispecchiamenti degli interventi degli allievi, da richieste di spiegazione e da interventi che sottolineano un’eventuale discordanza di posizioni (Discutendo si impara – Pontecorvo, Aiello, Zucchermaglio)

E’ fare scienze che educa alla convivenza democratica

 

In questo contesto di discussione che valorizza il lavoro di tutti integrandolo e completandolo si ha modo di esplicitare e capire gli errori, di comprendere le modalità con cui arricchire i propri elaborati, di modificare il proprio iniziale processo di concettualizzazione  o di renderlo più solido e completo. Concordiamo, quindi, pienamente nell’attribuire alla discussione collettiva fra pari grande importanza sia sul piano cognitivo che motivazionale oltre che linguistico, ma riteniamo che debba essere seguita da un altro momento di riflessione individuale che dia ad ogni bambino la possibilità di ritornare, alla luce della discussione appena svolta, sulla produzione individuale scritta precedentemente, per integrarla, modificarla, riscriverla a seguito di quanto è emerso nel confronto collettivo. Trattasi di un momento di affinamento della concettualizzazione che ci appare sempre più importante per tutti gli alunni, ma, in particolare, per coloro che, più degli altri, hanno difficoltà a costruire una propria rappresentazione dei fenomeni e ad esprimerla in una forma linguistica accettabile.

E’ una richiesta che  stimola a rileggere con attenzione il lavoro individuale e a richiamare il dibattito verificatosi nel corso della discussione, per scegliere al suo interno quegli elementi che possano rendere più significativa la propria verbalizzazione scritta. Si tratta di un lavoro complesso di cui l’insegnante deve essere pienamente consapevole, per richiederlo quando ritiene davvero opportuno garantendo ai bambini il tempo necessario per orientarsi al meglio in questa attività. Un’altra consapevolezza che l’insegnante deve avere è legata alla complessità che sta dietro ad ogni significativa concettualizzazione dei fenomeni, anche dietro ad un fenomeno, in genere considerato banale come l’ebollizione dell’acqua.

I bambini finora hanno osservato un’esperienza di ebollizione dell’acqua, ma conoscono la parola ebollizione? Riconoscono il fenomeno dell’ebollizione? In genere è necessario dare loro la possibilità di distinguere il fenomeno dell’ebollizione dal riscaldamento dell’acqua per consentire  di “isolare” l’ebollizione  e le sue caratteristiche peculiari. A seguito della nuova esperienza e dell’osservazione della stessa, i bambini saranno di nuovo coinvolti in una produzione scritta individuale che non richiederà loro una descrizione dettagliata del riscaldamento, ma, piuttosto, la messa in evidenza delle differenze rilevate fra le due esperienze (ebollizione e riscaldamento). Solo a questo punto del percorso didattico i ragazzi saranno in grado di elaborare una definizione di ebollizione dell’acqua. L’iter della proposta didattica è completamente ribaltato rispetto a quello prevalente anche nella scuola primaria: non si parte dalla definizione del fenomeno, magari imparata a memoria, per poi procedere alla sua spiegazione mediante esperimenti dimostrativi che i bambini difficilmente comprendono, la definizione operativa arriva alla fine del percorso ed è costruita dagli alunni che ne hanno piena consapevolezza.

Costruire passo, passo le proprie conoscenze scientifiche partendo da fenomeni accessibili legati a conoscenze strettamente connesse ad aspetti operativi, da fiducia agli alunni nella loro comprensione di quanto trattato e li stimola ad approfondire e a ricercare nuovi saperi.

Le definizioni che i bambini sono in grado di costruire sono le:

“L’ebollizione è un fenomeno in cui l’acqua fa piccole bollicine, sempre più grandi, fumo bianco, il contenitore si appanna, l’acqua diminuisce e si agita.

L’ebollizione non avviene se l’acqua non si scalda abbastanza – Gaia

Su queste produzioni, già sufficientemente chiare e complete, potrà poi intervenire l’insegnante che “rimetterà a pulito” le produzioni dei bambini dando loro forma linguistica adeguata e riportandole su copia fotostatica che ognuno inserirà nel quaderno individuale.

Il quaderno individuale, strumento fondamentale e prezioso in questa proposta di insegnamento delle scienze; documenta nei dettagli tutto il lavoro svolto, individuale e collettivo, un diario di bordo  sia per l’insegnante che per l’alunno.

L’alunno vi si riferisce per rivedere, ripensare, studiare quanto costruito in classe e perché no, anche prepararsi ad esporlo ai compagni e all’insegnante.

Per l’insegnante è un documento da leggere sistematicamente per meglio “ascoltare” le parole individuali dei ragazzi e dare loro un peso nel proseguimento di ogni attività cercando così di piegare, sempre, la proposta didattica rivolta a tutti, alle esigenze dei singoli, nella convinzione che sia questo il modo migliore per individualizzare l’insegnamento.

Un’impostazione metodologica operativa, quindi, che si articola in fasi ben precise:

partire dal fenomeno, osservare, verbalizzare, discutere affinare la concettualizzazione, fasi che rappresentano un modello pedagogico-metodologico significativo non un dogma da appilcare in modo acritico e decontestualizzato, ma un modello flessibile da adattate alle esigenze del percorso didattico in sé e del contesto della classe a cui il percorso viene proposto.

 

Ancora sull’essere insegnante………

 

Una proposta didattica di insegnamento delle scienze quella che abbiamo appena tentato di descrivere, che reclama insegnanti appassionati e competenti  che  possiedono cioè  specifiche competenze professionali e le sanno tradurre in una significativa capacità progettuale dove la disciplina sa incontrare la psicologia dei ragazzi. Un insegnante che sa svolgere bene il proprio ruolo di programmatore, di costruttore di itinerari teorici e pratici, didattici e formativi e che sa coniugare  queste competenze con un elevato impegno e un forte senso di responsabilità. Un insegnante in grado di partecipare attivamente al processo di insegnamento apprendimento che si svolge fra docente e alunno e si concretizza nello stargli vicino, collaborare con lui, ascoltarlo, ma anche proporgli degli obiettivi e dei compiti precisi, investire su di lui e sul suo futuro proponendogli percorsi didattici, formativi, motivanti che sappiano sviluppare il naturale desiderio di apprendere e garantire loro un personale successo scolastico. Il che non significa un successo uguale a quello dei compagni, ma comunque la possibilità di costruirsi, nella scuola, le competenze necessarie a garantirgli diritto di cittadinanza. Se è necessario nelle proposte di insegnamento saper coniugare la disciplina con le esigenze affettive e cognitive dei ragazzi , ci appare altrettanto necessario che l’insegnante sappia associare, nel proprio mestiere, le caratteristiche umane di comprensione e disponibilità ad una concreta capacità di costruzione di percorsi didattici all’interno dei quali ogni alunno possa sperimentale un concreto successo personale. E’ la verifica dei concreti progressi nell’apprendimento la migliore strada per costruirsi nel tempo quell’autostima personale che conduce, anche i bambini in difficoltà, ad esprimersi, riempiendo il “foglio bianco” di parole che raccontano storie, pensieri, idee, ragionamenti, rappresentazioni del mondo che li circonda.

Il problema della mancata formazione specifica degli insegnanti investe tutt’ora le scuole di ogni ordine e grado ed è ampiamente correlato con la disaffezione che i ragazzi dimostrano verso la scuola. A questo proposito appaiono particolarmente incisive le parole di Arons che in Guida all’insegnamento della fisica sottolinea: “In effetti ci si dovrebbe prendere cura di questo problema nelle scuole, ma ciò non è stato fatto, né sarà fatto nel prossimo futuro, perché gli insegnanti con l’eccezione di una esigua minoranza non hanno sviluppato le necessarie conoscenze e capacità. Deve essere messo chiaramente in risalto che ciò non è una colpa degli insegnanti. La condizione dei futuri insegnanti fu ignorata in maniera cieca quando essi erano all’università, ed essi non furono aiutati a sviluppare le capacità…..di cui hanno bisogno nelle loro aule. La maggior parte degli insegnanti in attività sono persone dotate di buona volontà, ma essi non possono sviluppare da soli le capacità di ragionamento necessarie. Devono essere aiutati e questo aiuto deve provenire dall’ambito universitario, sia come preparazione preliminare sia come aggiornamento successivo……………….e il risultato inevitabile è che continuamente si laureano insegnanti che fin dal primo istante hanno bisogno di corsi di recupero.”


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