Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Riportiamo di seguito alcuni brani  tratti dagli interventi  svolti  durante  il  Convegno tenuto  a Pisa  il 24 febbraio 2004 sul tema

LA CENTRALITa’ DEL CURRICOLO VERTICALE PER L’APPRENDIMENTO

relatori

- Corrado Paracone,
Direttore della Fondazione per la Scuola Compagnia di  San Paolo

- Giancarlo Cerini,
Ispettore tecnico Miur

- Carlo Fiorentini,
Presidente Cidi Firenze


Intervento del dott. Corrado Paracone

 Un cordiale saluto a tutti loro. Per me  è una graditissima occasione questo  incontro con  la scuola di Pisa.

Io sono abbastanza ottimista sulla crescita e sviluppo degli Istituti Comprensivi : avevo seguito quella che era una sorta di ruolo battistrada  nel territorio pisano negli anni che precedevano l’autonomia scolastica ;vedo che il fenomeno della diffusione degli Istituti comprensivi e’ ormai generalizzato; vedo che in tutte le regioni si sta sviluppando massicciamente questo passaggio: dalla divisione della scuola elementare e media agli  istituti comprensivi ;dunque su questo processo sono parecchio ottimista

Mi congratulo con la scuola pisana e il Liceo scientifico Buonarroti per il  lavoro sul curricolo verticale perché direi che il dibattito sul curricolo degli istituti comprensivi e’ ormai declinato molto. Era fortemente discusso negli anni 97-98;si è pensato  al raccordo dei cicli fino al 2000 e poi ho visto questo tema  sparire dal dibattito italiano ,quindi merito alla scuola pisana che sta compiendo uno sforzo che dura da anni sul curricolo verticale.

Sono molto curioso di capire che cosa ne verrà fuori.

L’unica cosa che mi sentirei di raccomandare  vivamente  e quello di accompagnare  a questa diffusione  delle esperienze pisane del curricolo verticale  un robusto monitoraggio perché sono convinto che  se non si riescono a testimoniare   dei risultati che siano  soddisfacenti in termini di apprendimento  si rischia di fare apparire tutto questo lavoro come una costruzione  bella ma i cui risultati restano nel vago

 Vorrei citare una altra cosa che penso possa essere di interesse:

noi abbiamo subito dopo la Befana riunito a Venezia le scuole che avevano vinto il Concorso 100 scuole nei primi due anni 2000-2001 e il tema cioè l’Accademy,  era incentrata sull’apprendimento cooperativo

Il relatore principale che e’ un canadese disse che  il suo distretto scolastico nel 1983 era il peggiore di tutto il Canada;grazie alla applicazione  del cooperative learning nei primi anni 90 avevano cominciato a far visita alla scuola    i ricercatori americani statunitensi  e nel 96-97 le loro scuole si sono  classificate al primo posto  in un concorso internazionale.

Questa affermazione ci dà  la netta sensazione su che cosa ha significato questo cambiamento

In Italia  ci sono importanti esperienze sul cooperative learning nel Veneto e nella provincia di Torino che durano da 4 anni ;nessuno però  degli esperti ha  saputo dire che cosa effettivamente fosse successo: se cioè e’ stato un periodo di arricchimento  dei docenti, un fatto culturale  finito lì, oppure se ha  avuto dei riflessi concreti sulle scuole

Non vorrei  che una cosa analoga  succedesse con questa operazione pionieristica di curricolo verticale  Approfitto di quanto detto sull’apprendimento cooperativo per comunicare che  a fine aprile, d’intesa con gli enti locali pisani e con la provincia di Pisa, realizzeremo qui a Pisa la seconda Accademy che sarà fondamentalmente rivolta a due filoni di partecipanti :le scuole che hanno vinto il Concorso 100 scuole nel terzo e quarto anno da un lato, e le  scuole  del territorio a livello provinciale

E’ un grande piacere quello di sviluppare la seconda Accademy qui a Pisa

Mi permetto di rivolgere loro fin d’ora l’invito a partecipare  e con questo chiudo questa introduzione, mi  complimento per il coraggio di andare avanti sul curricolo e porgo una augurio che si faccia  ogni sforzo per cercare di capire quali vantaggi  porti  ai ragazzi in termini di apprendimento


Intervento dell’Ispettore Giancarlo Cerini

“Aspetti organizzativi e culturali del curricolo e dei piani di studio”

Titolo ambizioso:  non sarò in grado di dominare una quantità di problemi  così ampi come esso richiama; cercherò di curvare il tema legandolo all’esperienza degli Istituti Comprensivi ed anche agli attuali scenari che si stanno determinando nella scuola in questi mesi e che creano  una situazione di disagio e problematicità

Voglio ringraziare la Provincia  e la Fondazione  per la Scuola San Paolo perché questo Convegno cade nel momento giusto, cioè sono 10 anni che sono stati istituiti gli Istituti Comprensivi , eravamo nel gennaio 1994. Se andiamo alla ricerca di riforme che durano , cioè che  passano due legislature, i Comprensivi sono  un buon esempio di innovazione,sono un esempio di  un  processo che nasce dal basso; nasce dalle scuole con un progressivo  coinvolgimento delle istituzioni. Oggi  ci sono  oltre 3400  Comprensivi: il 43% della scuola di base italiana. Il 25% è costituito dalle direzioni didattiche orizzontali  e un 20%  dalle scuole medie orizzontali , in epoca di maggioritari i Comprensivi hanno la maggioranza relativa, quindi hanno  quasi il diritto di governare il futuro della scuola di base italiana

Ancora ringrazio perché  queste presenze a Pisa consentono  alle scuole  di accompagnare le riforme, quasi risciacquarle in Arno e provare a vedere come “ i territori e le periferie” consentano alle scuole di prendere respiro e capacità di interpretare al meglio i propri compiti.

Credo che questo Convegno  sia importante perché ci fa conoscere come sarà lo scenario futuro, da chi dipenderà una buona scuola .Penso che  siamo in una situazione diversa da qualche anno fa, quando eravamo timorosi e aspettavamo l’ultimo ritrovato legislativo. Oggi c’ è una sorta di ecosistema formativo; sono molti i soggetti  che intervengono  nella scuola, prendono decisioni e cooperano

Come sarà la scuola del futuro dipenderà da come questi diversi soggetti si impegneranno ad agire

Non solo il Ministro dell’Istruzione, ma anche Enti , Associazioni e Scuole.

Ho fatto una piccola regola sulle buone riforme, le buone riforme sono quelle che per farle occorrono 10 anni,due legislature, magari con due  governi diversi che lavorano alla stessa riforma perché vuol  dire che quella riforma e’ andata molto a fondo, sta sviluppando bene l’idea di crescita della scuola, una riforma così e’ destinata durare 20-25 anni. Se non ha queste condizioni e’ tutto più fragile, tutto più a rischio

 Questo esempio mi serve per parlare  del  valore dell’istituto comprensivo: ha passato ormai quattro legislature.

Una esperienza che nasce quasi spontaneamente mentre oggi intorno alla riforma ci sono i   mezzi mediatici, fascicoletti in carta patinata, interviste, una vera e propria campagna di comunicazione pubblicitaria.?!

Ci sono invece  delle riforme che emergono quando meno te lo aspetti. Nascono quasi destinati alla marginalità ..io ricordo i primi 110 Istituti Comprensivi, in provincia di Nuoro e di Isernia  , una  realtà molto fragile e poi, poco a poco il Comprensivo si e’ sviluppato  con l’entusiasmo di molti insegnanti, gli enti locali, il territorio .Il processo fu legato al fenomeno di razionamento con le sue luci e le sue ombre ma naturalmente fu un moto nato  dal basso Ecco siamo a cercare questi buoni esempi di riforma…

Un altro esempio e’  la nostra scuola dell’infanzia, anch’essa nata gracile nel 1968, poi negli anni 70 un grosso sviluppo delle scuole comunali in genere, iniziative che venivano sviluppate  a livello di territorio Ora raccoglie il 97 % dei bambini in età dai 3 ai 6 e tuttavia abbiamo anche liste di attesa  e ciò dimostra quali dovrebbero essere le  buone riforme

Oggi purtroppo quando parliamo di riforme denotiamo disagio e disaffezione; la stessa parola riforma viene associata ad una sorta di forzatura dall’alto In queste settimane vediamo  una sorta di palazzo di inverno assediato da manifestanti che  chiedono di  non fare le riforme

Mi sembra che si proceda per slogan di  carta patinata e contro slogan sui cartelloni, allora ben venga  un’iniziativa come questa :far parlare le scuole , fare ricerca, tracciare una cornice condivisibile  sui comprensivi e sul curricolo verticale !

Mi sembra che avremmo bisogno di una riforma come spirito corale dove non c’e un bliz degli esperti, ma c’e la volontà di dare voce all’esperienza migliore della scuola

L’auspicio e’ di ritornare alla spirito delle grandi riforme. Penso alla riforma della scuola media del ‘62, tempo pieno del  ’70; penso alla scuola media del ‘79, poi la riforma delle elementari dall’83 al ’93; non a caso 10 anni per realizzare un processo di riforma

Ecco quando le riforme venivano associate ad un processo di crescita personale, questi passaggi erano un modo per  ripensare alla propria funzione di insegnanti

 Entrando nel tema del curricolo devo dire che e’ un tema nobile  perché oggi ci si chiede se e’ ancora tempo di curricolo,  guardando i documenti ufficiali forse non  si ritrova più il tema curricolo così centrale come prima

Ma qualcuno mi potrebbe dire che e’ vietato e occorre parlare di piano di lavoro allora io mi autodenuncio: continuerò a parlare di curricolo e poi cercherò di motivare il perché!

Non dovremmo partire di lì.. abbiamo bisogno di tornare a farci domande importanti

 “Che cosa si fa nelle scuole ? Qual è il valore del tempo che si offre a scuola e che si chiede a scuola ? Dovremmo entrare nel merito di intervanti che ci fanno male ;  “ha fatto male “ l’articolo  di Pietro Citati il 12 febbraio su Repubblica intitolato  “ Elogio  del tempo vuoto” .

Citati parla della sua Torino del ’37 ( mi e’ sembrato emblematico che la scuola elementare frequentata da Citati  nel 37 a Torino fosse di fatto una scuola a tempo pieno). Prima del ‘45 la scuola elementare italiana era strutturata su due mezze giornate di lavoro

La mattina dalla 9 alle 12  e il pomeriggio dalle 14.30 alle 16.30 quindi era una scuola  a tempo pieno al netto della refezione scolastica; era insomma una scuola più europea, perché se io vado in Francia io trovo quel modello ;una giornata educativa più equilibrata  e non accatastata solo sull’orario della mattina , come c’e’  il rischio che succeda nella scuola media

Non possiamo accontentarci di un valore quantità, io non mi accontento   di parlare di 40 ore  e basta,quello non e’ il sigillo di qualità; sono più impertinente :Bruno Ciari  si chiedeva. “ Tempo pieno? Pieno  di che ?”quindi non posso dire che 40 ore siano  il sigillo di garanzia , nè posso dire che facendo la somma 27+3+ 10  “ho  40 ore di tempo pieno” La quantità oraria e’ assicurata ,ma vorrei capire il senso di questa quantità e tenendo in filigrana l’articolo di Citati . Ad esempio Citati scrive  …che quello che ricorda con maggior attenzione sono i quattro tragitti da casa a scuola.

“Quattro tragitti : uno al mattino, uno a pranzo, poi rientro  a scuola e il ritorno a casa ; in quei  quattro  percorsi –scrive Citati-c’era molto della mia formazione: mi guardavo intorno, mi interrogavo..pensavo…erano   momenti  di crescita”

Pensando all’esperienza di Citati e confrontandola con la situazione di oggi , mi viene  da dire  “elogio del dopo mensa” e penso al  lavoro di gruppo,al  tempo per l’ascolto… alla riflessione…all’osservazione… come momenti formativi legati alle  attività del pomeriggio

Quindi entriamo già nei rapporti di questa giornata che si sussegue con tempi equilibrati .L’idea di giornata educativa, di curricolo Il valore educativo delle discipline , il valore della relazione, il legame tra i saperi che la scuola  propone   e l’esistenza dei ragazzi  e il loro modo di veder , capire , percepire…

La difficoltà percepita dalla scuola non e’ la riforma ma una dimensione più profonda :il  coinvolgimento dei ragazzi in un esperienza  che li faccia crescere di più

I ragazzi protagonisti devono essere supportati da una forte professionalità della scuola,  c’e’ bisogno della   guida degli adulti, una crescita della professionalità e del curricolo partendo dalla scuola dell’infanzia

Quello che si fa nella scuola dell’infanzia deve essere conosciuto e capito anche da insegnanti della scuola media , cioè ci deve essere la capacità di condividere lo sguardo sull’educazione

Ad esempio   abbiamo avuto insegnanti elementari che in questi quindici anni si sono occupati di matematica . Ora si sta discutendo delle prospettive della riforma, ci chiediamo  se è giusto ancora avere un insegnante di matematica nella scuola elementare  o se e’ giusto avere una figura unitaria di insegnante  che si occupa  di tutte le discipline  Mi sono chiesto come viene visto questo tema in un Istituto Comprensivo

C’e’ un dipartimento di matematica  in un Comprensivo?

Quali occasioni  di incontro hanno gli insegnanti che si occupano di matematica nei vari livelli  scolastici?

Meno male che in un Istituto Comprensivo c’è un insegnante di matematica  che può chiedere  ad un maestro elementare quale sia il suo rapporto con la matematica adulta, puo’ chiedere quanto siano  profonde le sue conoscenze disciplinari  che vanno oltre la didattica della matematica  per i bambini. Qual è la cultura matematica di un maestro?  E come si fa matematica nella scuola dell’infanzia?

Viceversa potrebbe essere rivolta   una domanda impertinente alla professoressa di scuola media che si lamenta che metà della classe ha sbagliato il compito di matematica. Qual è il suo rapporto con la didattica ?

Giorni fa incrociando coloro che si stanno occupando di valutazione, prove strutturare che progressivamente verranno nelle nostre scuole , ho sentito che riferivano questa esperienza : hanno chiesto ai ragazzi di terza media quante altezze ha un triangolo ;solo una piccola parte dei  ragazzi di prima media ha risposto che un triangolo ha tre altezze,la stragrande maggioranza ha risposto che ha un altezza Mi sono detto mi piacerebbe vedere come viene affrontato questo argomento in un Comprensivo

Se e’ differenziato l’insegnamento tra un Comprensivo e no, oppure tra un Comprensivo  che ha un dipartimento di matematica e un altro che non ce l’ha 

Ora questo esempio delle altezze ci potrebbe far pensare a come lavoriamo  sul triangolo partendo dalla scuola dell’infanzia, però senza limitarci a presentare il signor triangolo e basta, ma facendo  vedere il triangolo da tante posizioni,usando tanti materiali, con stoffe, con carte, inventando  e rappresentando  le forme geometriche  e usando metafore. Questo può  essere un buon inizio di un curricolo di matematica !Però io  potrei non farcela  da solo come insegnante di scuola dell’infanzia, ad esempio un insegnante di scuola dell’infanzia potrebbe dire  noi facciamo tanta matematica quotidianamente: i bambini fanno corrispondenze nelle esperienze di vita pratica ;ad esempio  a tavola: piatto e posate e   tovagliolo ; ma  per fare matematica occorre anche qualcosa in più :una forma di verbalizzazione, di concettualizzazione ,presentazione, rielaborazione, rievocazione; quindi servirebbe la presenza di un collega che ha  una specializzazione  e il Comprensivo puo’ offrire questa opportunità. Il Comprensivo, con le diverse presenze professionali, potrebbe accompagnare un incontro  piu’ completo con le discipline

Spesso c’e l’idea che la disciplina fa male,  in un Comprensivo si può dimostrare che la disciplina non e’ un contenuto inerte ma un curricolo bruneriamente pieno di emozioni e  creatività. Fare dei percorsi affascinanti dentro le discipline ;facendo questo  si potrebbe vivere  più serenamente ed avere più efficaci risultati

Cosa pensiamo e qual e’ il filo conduttore su cui via via si snodano contenuti diversi, cosa può significare incontrare la matematica  a tre anni , cosa lascia e cosa trova accompagnare questa crescita dei ragazzi dai 3 ai 14 anni !?

Esempio quando si parla di personalizzazione,  io  ricordo che  la centralità della persona che apprende  c’era già in documenti precedenti   ; “ persona che apprende” quindi una dimensione più legata al contesto in un ambiente gruppo-classe

Oggi  sulla personalizzazione  ricorrono spesso termini come capacità, vocazioni,  attitudine . Meglio sarebbe parlare di potenzialità ; ho bisogno di leggere le differenze ma non posso limitarmi a dire “ognuno per la sua strada “

Non ci piacciono  i piani di studio personalizzati –dicono gli amici della AIMC - ci piacciono  i piani di studio “ personalizzanti “- il valore, il pizzico di utopia altrimenti viene fuori una atteggiamento rinunciatario. Pontecorvo  dice  che  ci sono  differenze individuali  per storia  e cultura ma la scuola deve costruire degli interventi complementari a quelle differenze;quindi e’ necessaria una forte progettualità perché l’angolo complementare ‘e quello che si va ad incastrare  perfettamente in un altro  e mi fa  prendere atto delle differenze ma mi impegna anche a costruire percorsi differenti. Tra l’altro  all’uscita del primo decreto attuativo che va letto molto attentamente alla luce dei 26 emendamenti ,   quando si parla dei nuovo orario ad es scuola  media 27+6 o scuola elementare 27+3 , si parla di personalizzazione  nell’orario facoltativo,ma allora la personalizzazione ce la giochiamo tutta  nelle ore facoltative ? Ma se un genitore rinuncia  alle ore opzionali allora la personalizzazione si  affloscia su se stessa?. La personalizzazione come principio si gioca non certo nelle 6 ore , si può solo completare in sei ore , ma la personalizzazione  si gioca sulle 27 ore  o sull’intero progetto della scuola ; non si può accettare un orario del mattino e poi un orario più flessibile, laboratoriale il pomeriggio, secondo me il migliore laboratorio e’ trasformare la classe , usarla come laboratorio . Con quale modello? La pluralità  va vista in verticale, possiamo cominciare con un modello più semplice ad esempio i due insegnanti della scuola dell’infanzia o i due insegnanti del tempo pieno o i due insegnanti del modulo, da esempio ci potrebbe essere un ripensamento:quello del quaderno a righe e del quaderno a quadretti e poi a poco a poco vengono nuove figure mentre andiamo  verso la scuola media

Quindi  usiamo lo  spazio di ricerca di autonomia c’e’nella nostra scuola : la sfida nuove ‘e questa.

In qualche modo il contesto dell’autonomia ci da’ un po’ di  responsabilità ,ma anche liberta di costruire una scuola che ha un suo curricolo, una scuola  condivisa dai genitori con un processo di consapevolezza e una responsabilità educativa

Questo   ci da’ speranza  per i prossimi anni

Grazie


Intervento del Prof.  Carlo Fiorentini sul

“Progetto di formazione in servizio nelle scuole  della provincia di Pisa”

   Parto con un ringraziamento a tutti i presenti, e un ringraziamento alla Provincia di Pisa e alla Fondazione per la Scuola  che hanno reso possibile questo Convegno

   Alla Provincia mando  un ringraziamento particolare  per la grande sensibilità mostrata in questi anni e  per una certa visione dei problemi scolastici ; vorrei ricordare che la Provincia decise anni fa di istituire i Comprensivi non solo nei piccoli paesi ma di generalizzare i Comprensivi su tutto il territorio provinciale. L’altro ringraziamento e’ per aver portato avanti questo progetto iniziato due ani fa quando si tenne il Convegno sui Comprensivi di cui  oggi sono stati consegnati gli  Atti; in quel periodo sembrava ormai che questo problema fosse ormai superato.

   Qualcuno, quando nomino la parola curricolo gentilmente sorride, come se volesse dire: non vi siete accorti che ora di curricolo non si parla più e che ci sono i piani di studio personalizzati.

   Il termine curricolo non è legato alle stagioni politiche: è, a mio parere, sinonimo di scuola democratica, di scuola che vuol dare strumenti culturali a tutti gli studenti. E’ connesso al processo di democratizzazione della scuola durante il Novecento. I fari di questo processo sono i 4 grandi della psicopedagogia del Novecento: Dewey, Piaget, Vigotskij e Bruner.

Come termine è presente in Italia perlomeno dagli anni settanta.

Ma il termine curricolo è stato utilizzato con tante accezioni. E se curricolo coincidesse con una prospettiva soltanto pedagogica non sarebbe a mio parere curricolo. Se poi la prospettiva pedagogica fosse la programmazione per obiettivi alla Bloom o alla Gagné sarei d’accordo con quel passo dei piani di studio che afferma che occorre andare oltre.

Anzi io direi che il curricolo se coincidesse con quelle proposte che hanno imperversato per venti anni nella scuola italiana grazie alla pedagogia di stato, andrebbe proprio abbandonato. 

La scuola del curricolo è consapevole che occorre agire contemporaneamente su due piani fondamentali:

- quello pedagogico, metodologico, relazionale

- e quello dell’individuazione dei saperi significativi per lo studente delle varie

  età.

Bruner è lo psicopedagogista che meglio rappresenta tutto ciò, il Bruner, in particolare, della “Cultura dell’educazione”.

  Occorre effettuare alcune considerazioni sulla personalizzazione.

  Vi sono tre interpretazioni della personalizzazione. Una prima è quella che dice (mi riferisco ad esempio a Chiosso), che tra personalizzazione e individualizzazione  non c’è differenza: l’individualizzazione (e quindi anche la personalizzazione)  fissa le stesse mete per tutti gli studenti (cioè le competenze fondamentali devono essere comuni), e le diversità consistono nel cammino, nelle tecniche e nelle metodologie  che devono essere usate per far raggiungere  a tutti queste stesse mete.

   La seconda interpretazione afferma (ad esempio Baldacci) che la personalizzazione è simile all’individualizzazione, però vuole trovare anche opportunità e spazi per coltivare le intelligenze specifiche: ad esempio, le 27 ore dovrebbero garantire l’individualizzazione, le tre ore o le sei ore opzionali la personalizzazione.

   La terza interpretazione è quella che ritiene che esse siano opposte (ad esempio Vertecchi). La personalizzazione si proporrebbe di perseguire delle mete differenziate fin dall’inizio del processo ci scolarizzazione. Essa sarebbe conseguentemente l’espressione di una politica scolastica regressiva.

   Ora cerco di evidenziare le implicazioni dell’individualizzazione, che evidentemente possono valere anche per la personalizzazione quando questa è interpretata come una variante dell’individualizzazione.

   L’individualizzazione si pone l’obiettivo che determinati risultati culturali-disciplinari siano raggiunti da tutti, che siano raggiunti da tutti risultati in italiano, matematica, scienze, storia, attività espressive, ecc.

   Tuttavia, se le discipline scolastiche vengono presentate in modo formalizzato, specialistico, trasmissivo, enciclopedico, la selezione palese od occulta in quantità patologica è inevitabile. La canalizzazione nel senso di aiutare tutti gli studenti a capire la propria strada, la propria vocazione è inevitabile. Diventa inevitabile il disegno della separazione precoce delle vocazioni degli studenti.

L’individualizzazione non è possibile; rimane uno slogan.

   La strada dell’individualizzazione non solo a slogan è molto più difficile, più utopica perché può essere perseguita soltanto se il rinnovamento dell’insegnamento delle discipline scolastiche riesce a coinvolgere tutti gli studenti, se riesce a dare a tutti gli strumenti culturali minimi della cittadinanza.

Questa strada può diventare demagogia se gli approcci che si adottano nelle scuole sono parziali, riduzionistici.

Ma le discipline fondamentali sono noiose, difficili, non coinvolgenti, non motivanti: come è   possibile far sì che tutti gli studenti siano coinvolti, e quindi competenti?

Le discipline nella loro organizzazione tradizionale sono funzionali ad una scuola selettiva; costituiscono per molti studenti un muro invalicabile, sono adeguate alla scuola del passato, alla scuola del programma, ma possono anche essere lo strumento fondamentale della personalizzazione, nell’accezione che la vede contrapposta alla individualizzazione.

   E allora, che cosa fare per realizzare effettivamente l’individualizzazione?

Concentrare la progettazione delle scuole degli insegnanti, con il sostegno dei genitori, sul   rinnovamento pedagogico-didattico-relazionale dell’insegnamento delle discipline   fondamentali, dell’italiano, della matematica, delle scienze , della storia, dell’arte, per far sì che tutti gli studenti acquisiscano competenze sufficienti (senza nessun appiattimento) di cittadinanza.

 Lo star bene a scuola con la cultura.

      Quali spazi per l’innovazione? Molti potrebbero rispondere nessuno, ora, e a maggior ragione l’anno prossimo, se partirà la riforma. Io voglio ragionare, nonostante i tagli, nonostante la legge 53, nonostante la     situazione sia molto più difficile di due anni e mezzo fa, su quali spazi rimangono per l‘innovazione e che cosa intendere per innovazione.

      Partiamo dagli spazi che rimangono. L’innovazione è ancora possibile perché c’è l’autonomia scolastica, che ha addirittura assunto il rango di norma costituzionale. L’autonomia costituisce la più grande riforma degli ultimi 30 anni, la terza grande riforma del Novecento. Qualcuno potrebbe dire che sto farneticando, che l’autonomia è già morta.  Io credo che le grandi riforme diano risultati nell’arco dei decenni successivi.  Basta pensare alla riforma della scuola media del 62 che, da un certo punto di vista, è ancora  oggi l’oggetto del contendere, è una riforma non compiuta.

Per molti anni ho diffidato dell’autonomia scolastica:

-         devo, da una parte ammettere che non avevo compreso l’importanza di questi cambiamenti giuridico-istituzionali.

-         ma dall’altra, la mia diffidenza era dovuta al tipo di proposte più diffuse, proposte di autonomia all’inglese: totale autonomia finanziaria delle scuole, possibilità di reclutamento degli insegnanti dalle scuole, scuole pubbliche e private ormai totalmente eguagliate.

  Questi sono i motivi che portano Bottani a dire che in Italia non esiste autonomia, ma sempre Bottani dice che nei paesi in cui vi è molta autonomia il sistema scolastico è peggiorato. Io vado fiero dell’autonomia italiana, ma va utilizzata per migliorare la qualità degli apprendimenti, e questo in generale non è avvenuto perché è stata spesa nei progettifici, nelle chincaglierie.

   E sa l’autonomia che abbiamo non verrà utilizzata in modo significativo dalle scuole, vi sarà chi dirà, a destra ma purtroppo anche a sinistra, che l’autonomia che abbiamo è poca cosa, e che occorre andare verso l’autonomia all’inglese. Vi è un  cosiddetto “progetto del buonsenso” che contiene queste proposte preoccupanti.

   L’autonomia scolastica potrà svolgere un ruolo emancipatorio nella misura in cui il

ruolo centrale verrà attribuiti alle 3 autonomie indicate dall’articolo 6 del Regolamento, l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo.

    E per fare ciò sono indispensabili strutture permanenti nelle scuole (laboratori didattici sul curricolo delle principali aree disciplinari) che possano effettivamente permettere lo sviluppo di un lavoro collegiale sui problemi fondamentali della scuola, quali individuare i saperi essenziali, le metodologie e le modalità relazionali, gli ambienti e gli strumenti adatti a far sì che tutti gli studenti siano coinvolti, motivati e raggiungano conseguentemente competenze sufficienti.

   Queste strutture sono necessarie ovunque, ma ovviamente gli istituti comprensivi sono le istituzioni scolastiche dove possono svolgere una funzione decisiva, perché la continuità tra infanzia, elementare e media si può realizzare realmente soltanto con il lavoro di progettazione e sperimentazione sul curricolo verticale.

   La regione e gli enti locali possono svolgere un ruolo decisivo, nella misura in cui diventino sempre più consapevoli della nuova fase storica aperta dall’autonomia scolastica, dove il problema fondamentale non è più, come negli anni settanta ed ottanta, favorire l’ampliamento dell’offerta formativa, far conoscere le opportunità formative del territorio, ma contribuire al passaggio della scuola del programma alla scuola del curricolo, che ha come uno degli aspetti centrali l’utilizzo delle risorse del territorio, non in modo aggiuntivo, ma integrato nell’insegnamento quotidiano di lingua, matematica, storia, scienze, ecc.     

  Ma concretamente se da settembre la legge Moratti diventa operativa nella scuola di base che fare? Di fronte ai piani di studio personalizzati che fare?

Grazie all’autonomia, le scuole possono decidere il loro futuro.

   La scuola del curricolo andrebbe, infatti, a farsi benedire di fronte ad indicazioni, programmi, con una logica disciplinarista, con quantità enciclopedica di obiettivi, anche se chi li avesse scritti fosse di centro-sinistra e scrivesse costantemente la parola curricolo. Nei piani di studio, gli obiettivi sono troppi. Tuttavia, in un dibattito del Provveditorato di Arezzo, un ispettore autorevole mi rispose che anche quelli della commissione De Mauro erano tanti.

   Ma ora, oltre che tanti, ve ne sono un 20/30 % assurdi, disciplinaristi biechi, prematuri, non formativi. Di nuovo, chi critica i piani di studio ha, a volte, le idee un po’ confuse. Riprendo da un articolo di Insegnare n.6: “a fronte di tanta precisione e prescrittività sui comportamenti, la parte degli strumenti culturali nel profilo è improntata al minimo possibile: abbondano ad ogni passaggio espressioni come << in maniera elementare, in prima approssimazione, riesce a percepire, in maniera almeno elementare, risolvere semplici problemi>>. 

    E allora come faccio ad affermare che la scuola del curricolo è ancora possibile? Grazie all’autonomia le scuole hanno totale potere di decidere gli obiettivi formativi, attingendo agli obiettivi  specifici di apprendimento. Le scuole dovranno scegliere, “interpretare e mediare”, dovranno cioè scartare gli obiettivi assurdi, prematuri.

     Le scuole hanno il potere di decidere quali e quanti obiettivi perseguire per fare in modo che vi sia costantemente la possibilità di portare avanti metodologie e modalità relazionali che permettano il pieno sviluppo delle potenzialità di tutti gli studenti.


La pagina
- Educazione&Scuola©