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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

A qualcuno piace la piccola scuola

di Marco Renzi,
insegnante elementare
dell’Istituto Comprensivo di Sestino e Badia Tedalda

Una porzione di territorio appenninico conteso da quattro regioni: Toscana, Marche, Umbria, Emilia Romagna. Un istituto comprensivo che abbraccia due comuni: Badia Tedalda e Sestino. Poco più di duecento alunni. Quarantaquattro insegnanti. Tre plessi. Chilometri e chilometri di tragitto giornaliero dei mezzi comunali per far confluire negli edifici scolastici anche i figli dei residenti nelle più marginali frazioni (alcuni bambini di sei anni partono da casa la mattina alle 7 e un quarto).

Da qui, da questa plaga appenninica, che qualcuno ha definito la “capitale morale” delle piccole scuole e degli istituti comprensivi, partono messaggi di esperti del mondo scolastico italiano: esperti quali Giancarlo Cerini (Ispettore dell’Emilia Romagna), Sira Macchietti (docente universitario dell’Università di Siena), Sergio Angori (docente universitario dell’Università di Siena), Anselmo Grotti (Centro Servizi Amministrativi di Arezzo),  Giancarlo Giurlani (Unione Nezionale Comuni ed Enti Montani), Roberto Rossi (Presidente Comunità Montana Valtiberina Toscana), Donella Mattesini (Assessore all’Istruzione della Provincia di Arezzo), Mario Gori (docente Università di Trieste), Vittorio Dini (Presidente Istituto di Studi e Ricerche sulla Civiltà Appenninica), di amministratori e di politici, quali il Sottosegretario Grazia Sestini e l’onorevole Giuseppe Fanfani e di numerosi rappresentanti di istituti comprensivi di varie regioni d’Italia. Un convegno, dal titolo esemplificativo, quale pretesto per comunicare tali messaggi: “Piccole grandi scuole: opportunità o svantaggio. Realtà e prospettive degli istituti comprensivi”; una serie, quindi, di osservazioni, asserzioni e sollecitazioni, dirette ai decisori politici che proprio in questi giorni stanno ultimando e approntando norme quadro in favore dei piccoli comuni, con qualche riferimento anche alla scuola, e perfezionando i decreti legislativi per l’attuazione della riforma Moratti. Nel presente articolo, intanto, il sunto e gli spunti che ci paiono più significativi, della prima parte dei lavori sestinati.

Un comma, almeno un comma a favore degli istituti comprensivi e delle piccole scuole: un appello, questo, che tutti i partecipanti al convegno si sono sentiti in dovere di sottoscrivere. Un segnale che porti alla luce i problemi e i vantaggi di chi vuol continuare a fare scuola da protagonista. Una attenzione per quel fenomeno che è quello degli istituti comprensivi che, come ha sottolineato il Direttore Mario Di Rienzo coordinatore scientifico dei lavori del convegno,  hanno dato e continuano a dare all’interno del panorama scolastico italiano odierno concreti e apprezzabilissimi segnali di modernità, efficacia e completezza di taluni risultati formativi.

Non a caso temi quali la continuità, la verticalità, l’organizzazione integrata e flessibile, la programmazione condivisa, la personalizzazione dei percorsi formativi, la gestione delle biografie formative degli alunni (dalla scuola dell’infanzia all’uscita dalla scuola media), la comunicazione culturale ed interculturale, il dialogo interscolastico, interprofessionale, tra scuola e genitori, tra scuola e mondo dell’economia, il rapporto con gli enti territoriali e le varie agenzie formative extrascolastiche, lo stare al passo con l’evoluzione tecnologica della società, trovano nell’istituto comprensivo (sia esso nato sotto il profilo di opportunità di risparmi economici e di emergenza territoriale di tipo demografico o per opportunità di tipo amministrativo e/o sperimentale nonché per proposte di tipo innovativo) il più immediato dispositivo in grado di ottimizzarli.

Dunque un panorama multiverso che è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni – ed è destinato a farlo ancora – in quanto pare rappresenti il luogo ideale per rendere maggiormente fruibili taluni aspetti pedagogici e formativi che sono il risultato di un fare scuola più attento, o perlomeno maggiormente teso, alle individualità, alle differenze e alle peculiarità di sviluppo e di crescita culturale dei singoli alunni, e alla continuità verticale del processo di formazione. Un comma, dunque, almeno un comma: così che, anche i bambini più “marginali”, per condizioni geografiche  o per lontananza dai centri di cultura di fondovalle e delle grandi città, possano sentirsi al pari degli altri, fieri di appartenere ad una piccola comunità capace  anche di gettare lo sguardo su ben più vasti orizzonti e di valorizzare in proprio la risorsa di una scuola portatrice di cultura, formazione e opportunità di realizzazione nel mondo del lavoro.

Ma veniamo al convegno: innanzitutto è significativo il motivo per il quale l’Istituto Comprensivo di Sestino e Badia Tedalda ha deciso qualche mese fa di mettere in cantiere un convegno sulle piccole scuole e gli istituti comprensivi. Ci chiedevamo, in seno al collegio dei docenti, quale fosse il reale ruolo della nostra scuola nel territorio in cui operiamo e quanto ancora si potesse fare per migliorarne l’offerta formativa. Indubbiamente tutti avevamo la percezione che il nostro lavoro per certi versi languisse se paragonato alle grandi scuole di fondovalle o perlomeno fosse limitato dalla piccolezza delle dimensioni: vuoi per la carenza di strutture, vuoi per la difficoltà di concentrare l’attenzione del corpo insegnante verso temi e problemi che sono tipici del luogo in cui viviamo e che sono inevitabilmente diversi dall’ambiente, ad esempio, di città (isolamento culturale, invecchiamento della popolazione, difficoltà di socializzazione, scarsità di punti di riferimento per ciò che concerne gli orientamenti nel mondo del lavoro, la presenza di pluriclassi e così via), vuoi per la difficoltà congenita delle piccole scuole a far valere i diritti delle proprie scelte nel reperimento di finanziamenti.

Per questo, dunque, avevamo già raccolto – limitandoci in un primo momento alla nostra provincia -  alcuni dati di natura demografica, economica, amministrativa, appoggiandoci ai comuni, associazioni, uffici periferici dell’associazione artigiani, dei commercianti, della Associazione Provinciale dei Coltivatori Diretti. Era fondamentale, quindi, avere la possibilità di confrontare queste informazioni con quelle provenienti da scuole di altra ubicazione, in particolare modo sarebbero stati interessanti i confronti con i dati delle grandi scuole di fondovalle e di città. Per arrivare così a valutare quanto costi, anche in termini economici ma non solo, fare scuola ed usufruire della scuola nei piccoli comuni. Avremmo così avuto un primo quadro di riferimento per confrontare organizzazioni di scuole dalle dimensioni diverse e con risorse di personale, finanziarie e strutturali divergenti. Fatto ciò saremmo passati alle valutazioni.

Ebbene, nessun istituto di città ci ha messo a disposizione alcun dato. Vuoi per difficoltà di ordine burocratico, vuoi per incomprensione della domanda, vuoi per l’inconsistenza dell’attenzione nei confronti di una simile piccola ricerca. A metà anno scolastico, dunque, dovevamo cambiare rotta, aggirare l’ostacolo e fu così che decidemmo – all’interno della Commissione che era stata creata all’uopo – di chiamare a raccolta un pool di esperti che ci potesse schiarire le idee ed indicare la via per comprendere appieno le potenzialità e le carenze della nostra scuola.

Tra gli esperti chiamati a dare un proprio valido contributo, ad esempio, vi è il dott. Anselmo Grotti, del C.S.A. di Arezzo. Che ha posto l’attenzione su questioni riguardanti il “dimensionamento ottimale” che nelle recenti opere di razionalizzazione sono andate frequentemente in uso. Ma ci si chiede: dimensionamento ottimale rispetto a che cosa? Rispetto forse all’ambiente?, alle economie?, all’educazione? O si tratta, nella maggior parte dei casi, dimensionamento ottimale in termini di risparmio economico? Sta ai decisori amministrativi e politici cogliere l’importanza che la scuola deve avere pur rimanendo in aree anche a forte disagio demografico, per raggiungere quell’equilibrio ottimale che consenta anche in montagna e in periferia di preservare l’identità di una comunità e sviluppare la capacità di lavorare in gruppo, in maniera cooperativa e creare le fondamenta per un futuro da protagonisti.

Ma vi è un passaggio fondamentale, senza il quale le piccole scuole mai raggiungerebbero livelli ottimali di efficacia ed efficienza: l’inserimento in rete, attraverso le nuove tecnologie, che pongono, quali epigoni del villaggio globale, le scuole di periferia sullo stesso piano delle grandi scuole.

Sviluppare, inoltre, il concetto di “comunità dell’apprendimento”, ovvero di una o più collettività che pongono al centro del loro interesse la scuola, di ogni ordine e grado, e insieme agli amministratori e ai genitori, progettano, rilanciano e propongono le strade educative da perseguire.

L’istituto Comprensivo di Sestino e Badia Tedalda, in collaborazione con il C.S.A. di Arezzo, hanno creduto bene di promuovere per il prossimo anno scolastico un Bando si concorso per progetti, da inviare a tutti gli istituti comprensivi d’Italia, ove si possano evidenziare qualità, peculiarità ed originalità pedagogiche ed educative sul tema della scuola in rapporto con il territorio e l’ambiente. Ambiente ovviamente inteso con accezione ampia relativamente alle peculiarità sociali, culturali ed economiche delle zone montane e di periferia.

Infatti, al di là del concorso, perché la scuola diventi segmento centrale delle relazioni politiche e sociali di un territorio, ha sottolineato l’Assessore alla Provincia di Arezzo Donella Mattesini, occorre un piano integrato di formazione e un piano di dimensionamento teso a costituire un piano di connessione con le altre agenzie formative del territorio (biblioteche, circoli, associazioni, ecc.).

Nasce, poi, durante il Convegno di Sestino, l’idea di lanciare la proposta di un comma a favore degli istituti comprensivi in quanto nella Legge 53 non vi è traccia degli istituti comprensivi (forse perché è mancata la spinta dal basso, proprio da quelle realtà scolastiche, che facesse una sorta di pressione trasversale onde segnalare di volta in volta nelle scelte amministrative ciò che stava avvenendo all’interno degli istituti comprensivi). Tre, in sintesi, i punti di forza segnalati nelle nuove realtà scolastiche: la dimensione della continuità, cioè la personalizzazione del cammino scolastico degli alunni, attraverso una dimensione di progressività in grado di accompagnarli fin dall’entrata nel mondo scolastico al termine della scuola dell’obbligo; la capacità organizzativa in termini di orari, prestiti professionali; la capacità di rapportarsi fortemente con il territorio.

Un’idea, quella di chiedere un comma a favore degli istituti comprensivi, fatta propria dal Sottosegretario Grazia Sestini, che ritiene l’ istituto comprensivo un’aggiunta di accomodamento a problemi di tipo organizzativo ma che porta un valido contributo anche in termini educativi. Per questo va salvaguardato anche appoggiandosi a chi sta lavorando per la messa a punto della Legge sui piccoli comuni sotto i 5000 abitanti (Proposta di legge a favore dei comuni con meno di 5000 abitanti, denominata “Piccola, grande Italia”). Legge che vuol mantenere nei piccoli centri taluni servizi (poste, anagrafe, scuole). O a quanti stanno terminando la stesura dei decreti attuativi della legge di riforma della scuola italiana.

Infine, occorre ribadire, devono esserci gli insegnanti protagonisti, che potranno raggiungere tale traguardo soltanto con un adeguato piano di formazione del personale.

Ma l’istituto comprensivo, come asserisce Sira macchietti, è anche un “miracolo”, agli occhi dello storico di pedagogia, perché capace di fare cultura ed educazione. O perlomeno di iniziare una fase di reimpostazione che porti la scuola ad accettare “lo sguardo” del genitore, che porti rispetto per la cultura degli altri, che valorizzi il dialogo. E’ per questo che le piccole scuole sono il luogo ideale per valorizzare il confronto tra le identità, identità di scuole diverse, per “guardarsi negli occhi”, per promuovere le capacità di sentirsi persone che appartengono ad una comunità.

Ma una miriade di comunità ove, sottolinea Sergio Angori - dati recenti lo confermano - si diffonde il fenomeno dell’illetteratismo, ovvero l’impedimento di esercitare una cittadinanza attiva. Un impedimento che non è più appannaggio delle generazioni più anziane, ma che si sta aprendo drammaticamente anche alle generazioni più giovani.

Ma non solo l’illetteratismo si affaccia tra le sfide che anche la scuola moderna dovrà affrontare urgentemente. La stessa comunicazione, la trasversalità e la verticalità, sono temi o problemi ancora ampiamente da superare. Per quanto ci si sforzi di superare certe resistenze, vi è ancora generalizzata una scarsa capacità di lavoro in verticale e in orizzontale.

Allo stesso tempo si inserisce il tema dello sport e dell’educazione motoria che al momento viene inteso nella stragrande maggioranza di programmazioni proposte a scuola come forma di controllo addizionale della violenza e di non ben specificati istinti aggressivi. Anche da questo si giunge ad intendere la difficoltà con la quale si intraprendono temi quali, dicevamo, la comunicazione, il lavorare in equipe, il confrontarsi cercando di aiutare gli altri e non di superarli, ovvero “batterli”, per usare un gergo attualmente in voga tra i giovanissimi.


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