DECALOGO

È L’ALUNNO CHE APPRENDE!

Umberto Tenuta

 

Che cosa significa che è l’alunno che apprende?

È veramente una novità, questa?

Sembrerebbe scontato che è l’alunno che apprende.

Eppure, di fatto, molto spesso nella scuola si opera come se l’alunno non esistesse: il centro della scuola è il docente che insegna.

Quanti e quali alunni stiano lì a presenziare, assistere, ascoltare, vedere, sembra che non abbia grande importanza, tanto è vero che tutte le riforme prendono in considerazione l’organizzazione del lavoro dei docenti ma non l’organizzazione delle attività degli alunni, per cui diventa irrilevante, se non sul piano della disciplina, che nella classe ci siano 30 anziché 15/20 alunni.

Di fatto, ci si occupa delle ore necessarie per l’insegnamento, ma non delle ore necessarie per l’apprendimento: negli Istituti tecnici occorrono tante ore di insegnamento di Ragioneria, nei Licei occorrono tante ore di insegnamento di Filosofia… ma nessuno si pone il problema di quante ore siano necessarie agli alunni per imparare la Ragioneria o la Filosofia.

Fino ai decreti delegati del 1974 ed al TU 297 del 1994 la funzione docente è stata definita come attività di trasmissione dei saperi.

La convinzione comune è che i docenti trasmettono i saperi: li comunicano agli alunni, li presentano, li spiegano, li espongono…

Anche in riferimento alle tecnologie multimediali oggi si enfatizza la mera presentazione ipertestuale ed ipermediale delle informazioni.

L’ipertesto e l’ipermedia non sono che una presentazione, una rappresentazione, una trasmissione che si avvantaggia delle immagini anche in movimento e dei suoni, ma che rimane sempre una comunicazione, una presentazione, una esposizione, una di-mostrazione.

Seppure accennato ed affermato, il principio della scoperta, dell’invenzione, della costruzione dei saperi, dei concetti e delle teorie da parte degli alunni, sembra faccia fatica ad affermarsi.

C’è qualcuno, il docente, che ha le idee ben chiare, le teorie già belle pronte, i concetti già definiti: basta che egli li presenti, li rappresenti, li illustri, li di-mostri semmai.

È difficile, estremamente difficile che il docente stia zitto nell’aula: <<Egli (l’insegnante) avrà soprattutto il coraggio di non dire - e questo è il punto più difficile - tutto ciò che sa sulle questioni trattate>> (1).

Eppure la bambina grida alla Montessori: <<Maestra, aiutami a fare da sola!>>.

Aiutami a scoprire da sola che il fuoco scotta: il bambino l’ha scoperto da solo, e non poteva insegnarglielo la mamma!

Aiutami a scoprire da solo le dimensioni spaziali: il bambino le ha scoperte correndo di qua e di là, andando a sbattere con la testa alla parete e rompendosi le ginocchia sul pavimento!

Aiutami a scoprire da solo che…

Il bambino comincia bene a imparare, toccando, manipolando, osservando, esplorando… (2)

Nessuno pensa di impartire lezioni a un bambino di 1, 2, 3 anni.

Poi arriva la scuola, e lo si mette seduto, ad ascoltare la maestra che, coscienziosa, lo stipendio se lo vuole meritare e fa le sue brave lezioni.

Eppure la maestra potrebbe starsene più riposata, almeno con la gola, e lasciare più libertà ai bambini di continuare a fare le loro scoperte.

Sembra invece che anche nelle scuole materne si stiano dimenticando le esperienze delle sorelle Agazzi e della Montessori e che si faccia sempre più spazio alle lezioni, anche con schede e fotocopie, lasciando ai bambini sempre minori possibilità di utilizzare le cianfrusaglie (bottoni, perline, tappi, semi, scatole…) ed i materiali strutturati della Montessori, se si fa eccezione per i blocchi logici che pure fanno bella mostra.

La scuola, a cominciare dalla materna, troppo spesso rimane e permane la scuola del docente che fa lezione, che comunica, che spiega, anche se attraverso le tecnologie multimediali.

È l’alunno che apprende!

Ma come può l’alunno apprendere, scoprire, inventare, costruire i concetti, se tutto gli viene presentato già scoperto, già definito, già pronto: questo è il colore rosso… questo è sottile… questo è lungo… questo è il triangolo rettangolo… 6+3=9… Cristoforo Colombo ha scoperto L’America… la bussola indica il Nord… la corolla è costituita dai petali

Tutto è cambiato rispetto ai primi anni di vita!

Già nella scuola materna il bambino ha buone ragioni per rimpiangere l’età felice dei primi tre anni di vita!

È l’alunno che apprende!

Ma l’alunno apprende se gli si lascia la possibilità di apprendere, se gli si offrono le condizioni per apprendere, se lo si aiuta ad apprendere.

Innanzitutto occorre lasciargli la possibilità di apprendere: <<Egli (l’insegnante) avrà soprattutto il coraggio di non dire - e questo è il punto più difficile - tutto ciò che sa sulle questioni trattate>> (3).

Poi, occorre offrirgli le situazioni che gli consentano di apprendere, restituendogli l’ambiente di apprendimento che aveva nei primi tre anni di vita: le sedie, le palle, le mele, l’acqua…

Anche a scuola occorre restituirgli le cianfrusaglie agazziane: bottoni, perline, scatole, bicchieri, altalene…

Occorre restituirgli i materiali strutturati : i cubetti ad incastro, le matriosche, le matassine colorate, l’acqua da travasare nei bicchieri, i vagoni da agganciare per costruire il treno (successione spaziale), l’orologio a cucù per contare le ore (successione temporale), la tavolette bariche…

Ma anche questo non basta per apprendere.

La scuola è la scuola.

La scuola è un ambiente di vita, ma un ambiente artificiale; <<è uno speciale tipo di vita, accuratamente programmato al fine di sfruttare al massimo quegli anni ricchi di possibilità formative che caratterizzano lo sviluppo dell’homo sapiens e che distinguono la specie umana dalle altre>> (4).

L’insegnante in-segna, perché offre i segni, ma anche perché aiuta ad utilizzarli per scoprire i concetti.

Aiuta, ma non si sostituisce agli alunni: egli non dice che il perimetro del quadrato si calcola moltiplicando la misura del lato per 4, ma aiuta gli alunni a costruire questa regola.

Sono gli alunni i protagonisti dei propri apprendimenti: sono essi che scoprono i diversi colori e collocano i rossi con i rossi, i gialli con i gialli, i verdi con i verdi; sono essi che scoprono che 4 + 5 = 9…

Il docente aiuta gli alunni, i singoli alunni, con discrezione, con tatto, con pazienza: un aiuto che libera, che rende autonomi, che si fa sempre meno consistente, fino a venir meno.

Ora te sovra te corono e mitrio.

E, questo, non solo nella scuola materna, ma anche nella scuola elementare, anche nella scuola media, anche nella scuola secondaria.

Forse - o senza forse - è più facile dire che 5 x 7 = 35 e richiedere che l’alunno lo ripeta, non importa se ha capito.

Forse - o senza forse - è più facile dire che il noumeno kantiano…, non importa se l’alunno ha capito.

Ma certamente quello che è detto e quello che è insegnato, presentato, illustrato, se non è stato riscoperto e compreso, serve a poco e viene presto dimenticato.

Viene presto dimenticato e soprattutto serve a poco, perché al più riempie la mente ma non la forma (5).

Serve a poco perché insegna che Leopardi era pessimista ma non sviluppa né la gioia né il gusto di leggere poesie.

Certamente è più facile fare lezione che aiutare gli alunni ad apprendere.

Ma aiutare ad apprendere è l’unica strategia perché gli alunni non solo apprendano ma anche comprendano e soprattutto sviluppino le loro capacità ed i loro atteggiamenti positivi nei confronti della cultura, perché possano e vogliano continuare ad apprendere per tutta la vita.

E soprattutto perché gli alunni recuperino la gioia ed il gusto di imparare e di fare da soli che hanno sperimentato nei primissimi anni della loro vita, e non vivano invece la scuola come un luogo di pena, come una condanna, come una situazione mortificante: essi che hanno diritto alla gioia di crescere, di autorealizzarsi, di vivere!


 

1 DELESSERT A., Alcuni problemi che interessano la formazione degli insegnanti di matematica, in SITIA C., La didattica della matematica oggi - Problemi, ricerche, orientamenti, Pitagora, Bologna, 1979, p. 367.

2 <<Sappiamo che un bimbo impara toccando, mettendo in bocca, esplorando. Ma improvvisamente quando un bambino va scuola, l'imparare diventa uno stare seduti ad ascoltare>> ( RESNIK, Da Computer valley, La Repubblica, 11 dicembre 1997, ma anche in DIDATTICA@EDSCUOLA.COM , nel sito: Http://www.edscuola.com/dida.html, rubrica ANTOLOGIA E RECENSIONI).

3 DELESSERT A., Alcuni problemi che interessano la formazione degli insegnanti di matematica, in SITIA C., La didattica della matematica oggi - Problemi, ricerche, orientamenti, Pitagora, Bologna, 1979, p. 367.

4 BRUNER J. S., Dopo Dewey, Armando, Roma, 1970, p. 17.

5 MORIN E., La testa ben fatta – Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000