DIDATTICA
CUORE DELLA SCUOLA DELL’AUTONOMIA

Umberto Tenuta

 

PERCHÉ LA SCUOLA?

Oggi si parla anche della scuola, seppure non abbastanza.

Ne parlano soprattutto i docenti e gli alunni.

I docenti ne parlano per denunciare le loro inadeguate condizioni economiche. Gli alunni per protestare contro le carenze organizzative e strutturali.

Ne parlano anche i politici e gli studiosi per questioni che attengono alle riforme (in particolare: autonomia e cicli scolastici).

Ne parlano meno i genitori, per lamentare le disfunzioni organizzative.

Comunque , di scuola si parla.

Se ne potrebbe - se ne dovrebbe - parlare di più, atteso il ruolo che la scuola riveste nella vita delle persone, della società, della politica e dell’economia.

Ma il problema di fondo non sembra sia quanto di scuola si parli.

Il problema vero è di che cosa si parla.

Purtroppo si deve prendere atto che quasi sempre si parla di problemi organizzativi e strutturali della scuola: l’organizzazione dei cicli, la flessibilità dei calendari e dell’ora di lezione, l’organizzazione del lavoro dei docenti ecc.

Una domanda fondamentale non si fa: a che cosa serve la scuola?

Non ci si domanda quali siano le finalità della scuola, e soprattutto non ci si domanda come oggi la scuola opera per raggiungere le sue finalità.

In fondo le domande essenziali dovrebbero essere le seguenti:

1) Quali sono le mete formative che la scuola deve perseguire?

2) Come le mete formative vengono perseguite?

3) A quale livello le mete formative vengono perseguite?

LE METE formative: Perché i giovani vanno a scuola?

Perché i giovani vanno a scuola?

Si dice: per imparare a leggere, a scrivere e a far di conto. E si aggiunge: per imparare la Matematica, la Storia, la Geografia, le Scienze.

È vero. Ma non è tutto.

GLI OBIETTIVI DISCIPLINARI

Per prima cosa, occorre domandarsi che cosa significa imparare a leggere, a scrivere ed a far di conto.

Imparare a leggere significa solo imparare a decodificare i segni grafici o significa acquisire la capacità di comprendere quello che si legge e soprattutto acquisire l’amore della lettura?

Imparare a scrivere significa imparare a tradurre in segni grafici le parole o significa imparare ad esprimere le proprie idee ed i propri sentimenti, un po' come fa, appunto, lo scrittore; e soprattutto significa acquisire il gusto di scrivere, di organizzare le proprie idee, di comunicare per iscritto, non solo attraverso le e-mail e gli sms?

E ancora, occorre domandarsi: imparare a far di conto che cosa significa?

Significa eseguire le quattro operazioni come fa la calcolatrice oppure significa imparare a pensare, a ragionare, a formulare ipotesi ecc.?

E, poi, nelle scuole secondarie, imparare le Scienze che significa?

Significa rabberciare nella memoria un repertorio di nozioni di fisica, chimica, botanica, biologia oppure significa acquisire soprattutto il gusto e la capacità di pensare in termini scientifici?

È, quello delle finalità culturali della scuola, un capitolo importante, sul quale purtroppo non si pone abbastanza l’attenzione, per cui le competenze disciplinari risultano spesso disorganiche, frammentarie, generiche, anche nel nome di una vaga trasversalità o interdisciplinarità che nessuno ha ancora precisato che cosa sia.

Ma, anche se si riuscisse a delineare e a precisare abbastanza bene le finalità disciplinari della scuola, sarebbe questa l’esclusiva ragion d’essere della scuola? Oppure la scuola non può limitarsi a perseguire l’alfabetizzazione culturale, intesa come acquisizione dei linguaggi e dei metodi di indagine delle singole discipline, oltre che dei relativi quadri disciplinari, e deve anche e forse soprattutto impegnarsi sul piano formativo? Non occorre forse cogliere il significato profondo delle finalità che il Regolamento dell’autonomia scolastica assegna alla scuola nel momento in cui statuisce che <<L'autonomia delle istituzioni scolastiche […] si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana […] al fine di garantire loro il successo formativo>>?

GLI OBIETTIVI FORMATIVI

La scuola non deve anche offrire un suo qualificato contributo alla piena formazione dei giovani: <<pieno sviluppo della persona umana>>, in termini di formazione motoria, di formazione affettiva, di formazione sociale, di formazione cognitiva ecc.?

Si può ritenere che questa formazione non abbia bisogno di specifici apporti formativi, non solo da parte della famiglia e della società, ma anche da parte della scuola?

Si può ritenere che la scuola non debba dare un qualificato apporto alla formazione motoria dei giovani, superando l’attuale marginalità dell’educazione fisica? Oppure occorre lasciare tale compito esclusivamente alle palestre ginniche private?

Si può ritenere che la formazione emotivoaffettiva dei giovani sia compito esclusivo delle famiglie, anche quando queste non sono nelle migliori condizioni per farlo, o non sia necessario che la scuola si preoccupi anche di promuovere l’equilibrio emotivoaffettivo dei giovani, condizione essenziale per affrontare i problemi della vita e anche quelli della scuola?

Si può ritenere che la scuola non debba anche affrontare i problemi della formazione sociale dei giovani , perché essi imparino a vivere i rapporti con gli altri e con se stessi, oppure questi sono problemi che ogni giovane deve risolvere per suo conto, fuori della scuola, magari nei gruppi dei pari che si trasformano in bande e gang?

Ma, ancora più specificamente, si può ritenere che la formazione estetica, la formazione al senso del bello, dell’arte ecc. non sia problema della scuola?

Ecco, questi, ed ad altri, sembrano essere i problemi prioritari che i docenti ed i genitori dovrebbero affrontare.

Ma, una volta che le mete formative siano state delineate nei termini di cui sopra, ci si può disinteressare delle modalità del loro perseguimento?

COME SI IMPARA: IL PROBLEMA DIDATTICO

Si può ritenere che non abbia importanza che cosa si fa nelle aule per imparare a leggere, per imparare a scrivere, per imparare a pensare matematicamente ecc.?

Si ritiene che il problema del metodo, dei percorsi relativi alla effettiva realizzazione dei processi apprenditivi e formativi sia irrilevante, soprattutto nel momento in cui si intendono creare le condizioni perché tutti gli alunni possano apprendere e formarsi?

Si fa un gran parlare della scuola come azienda, ma non si tiene presente che nell’azienda la preoccupazione maggiore è rivolta alle metodologie ed alle tecnologie dei processi di produzione: Come si migliora la produzione di una bambola? Quali le tecnologie più avanzate? Quali le competenze più adeguate?

Nell’azienda non ci si affida più al lavoro generico, ma si ricercano le strategie più avanzate per produrre, ad esempio, bambole di qualità, anche facendo ricorso alle tecnologie informatiche.

Nella scuola, invece, si continua a fare affidamento su una preparazione didattica generica che nessuno si preoccupa di aggiornare.

Si è riflettuto appena un po' sulle condizioni nelle quali si ritrovano i giovani docenti al momento del loro ingresso nella scuola, quando si trovano davanti al compito di insegnare a leggere, di insegnare l’addizione con il riporto, di insegnare la Caduta dell’Impero romano d’Occidente, e nessuno ha mai detto loro come si fa.

Nella fabbrica della scuola si inviano docenti ai quali nessuno insegna come si costruisce la scocca, come si costruisce il cambio, come si costruisce lo sterzo, nella speranza che ciascuno "se la cavi" da solo.

Da trent’anni i docenti sono abbandonati a se stessi, nelle loro aule, a industriarsi (ironia delle parole!) per cercare, ciascuno per suo conto, di "cavarsela" nel migliore (?) dei modi, per sé e per i propri alunni.

Non si è curata la preparazione professionale iniziale, perché i politici non si sono messi d’accordo sul come farla, ma non si è fatto nemmeno l’aggiornamento didattico in servizio, perché i burocrati non sapevano cosa fosse la didattica.

I docenti, ciascuno per suo conto, a spese loro e dei loro alunni, hanno cercato in tutti i modi di "cavarsela" con le agende didattiche, con le riviste scolastiche, con i libri di testo e soprattutto con i libri complementari, vera manna del cielo, che riportano per filo e per segno quello che l’alunno deve fare oggi e domani.

Questo, ovviamente, nella scuola materna, nella scuola elementare e, qua e là, anche nella scuola media, perché nelle scuole secondarie superiori il problema della didattica molto spesso non si pone affatto.

Si dirà che non si poteva fare diversamente, perché la riforma Gentile del 1923 ha messo al bando la didattica e in Italia non si è creata una competenza didattica nemmeno a livello universitario. Ed è vero, non solo in riferimento alla carenza della competenza didattica, ma anche e soprattutto in ordine all’atteggiamento di rifiuto di ogni discorso didattico, implicitamente e riduttivamente ricondotto a didatticismo, metodologismo e altri simili ismi.

Ma nelle aule i docenti la didattica la dovevano pure curare: dovevano pure insegnare la scrittura posizionale dei numeri, la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, i fenomeni carsici.

Ciascuno se l’è dovuta cavare da sé, con i risultati che poi le Indagini Internazionali evidenziano nel momento in cui collocano la scuola italiana agli ultimi posti nelle competenze scientifiche e matematiche, in due discipline in cui pure un certo fervore di iniziative di aggiornamento vi è stato.

Ora, nel momento in cui il Regolamento dell’autonomia scolastica afferma che il successo formativo deve essere assicurato a tutti gli alunni, il problema didattico non può essere ulteriormente trascurato.

Occorre mettere i docenti nella condizione di migliorare la loro competenza didattica . Occorre porre all’attenzione di tutti gli operatori scolastici il problema della competenza didattica dei docenti.

Si è detto che la didattica costituisce il "cuore dell’autonomia" (1).

La didattica costituisce il cuore della scuola dell’autonomia, non solo nel senso che ne è l’aspetto più importante, fondamentale, essenziale, ma anche nel senso che se questo cuore cessa di battere, la scuola muore definitivamente, soppiantata dalla scuola parallela dei mass media e delle tecnologie multimediali e telematiche che sempre più si vanno affermando ed imponendo, soprattutto nel campo dell’acquisizione delle conoscenze.

La scuola della lezione verbale sta per essere messa definitivamente in crisi, non solo dalla multimedialità, ma anche e soprattutto dalla interattività delle tecnologie informatiche. Si sta affacciando una didattica non solo più accattivante, con i colori ed i suoni, ma anche interattiva, in quanto vede la partecipazione attiva di coloro che apprendono.

La scuola non può rimanere ancora all’età neolitica della pietra levigata della lavagna di ardesia e del gesso, ma deve porsi con forza il problema della didattica, della didattica dell’apprendere più che della didattica dell’insegnare: la scuola deve affrontare il problema della didattica, domandandosi, non tanto come i docenti debbano insegnare, quanto che cosa i docenti debbano fare perché gli alunni siano messi nella condizione di comprendere e di apprendere i concetti, le regole e le teorie, riscoprendoli, ricostruendoli, reinventandoli, in un contesto educativo che veda gli alunni impegnati a lavorare, non più isolati, ciascuno per suo conto, ma in gruppi, in forma cooperativa, con i docenti impegnati a svolgere compiti di regia e di animazione più che a far lezione.

Quale che sia la soluzione didattica, ciò che non è più eludibile è l’esigenza di porre la didattica al centro dell’attenzione, di prendere definitivamente atto che la didattica costituisce il cuore della scuola, in particolare della scuola dell’autonomia.

La valutazione

Infine, ma non ultimo in ordine di importanza, è il problema della verifica dei risultati; anche della valutazione in questi ultimi decenni non si è parlato adeguatamente.

Ci si è limitati a parlare di valutazione, ma da trent’anni nelle scuole non si valuta.

Quando si dice che le cose della scuola non vanno bene, che gli alunni non sono preparati ecc., si dicono delle inesattezze, non perché si possa affermare che le cose non stiano così, ma perché nessuno sa come le cose stiano effettivamente, per la semplice ragione che nessuno ha valutato e valuta quello che gli alunni imparano nelle scuole.

Da una parte, si à affermato, e giustamente, che la valutazione deve assumere carattere formativo e non selettivo.

Dall’altra, nulla si è fatto perché gli strumenti di verifica fossero più efficaci, nemmeno quando si è cominciato a fare ricorso agli strumenti docimologici più avanzati.

Innanzitutto, si è detto che la valutazione deve assumere carattere formativo e non selettivo. Sacrosanta verità, soprattutto nella scuola per la formazione di base.

La scuola deve promuovere, non deve selezionare, non deve respingere: occorre utilizzare la valutazione per creare le condizioni che possano mettere tutti gli alunni nella condizione di apprendere, e non per respingere coloro che non hanno appreso.

Ma, detto questo, occorre cercare strumenti di valutazione che consentano effettivamente di conoscere gli alunni per creare le condizioni che promuovano la loro formazione: occorre valutare per educare (2).

Per promuovere l’apprendimento occorre valutare, occorre conoscere i livelli di sviluppo e di apprendimento, occorre conoscere gli stili ed i ritmi di apprendimento dei singoli alunni: occorre una fotografia a colori dei singoli alunni (3).

Il massimo che si è riusciti a fare in tal senso sono state le schede di valutazione via via sempre più scheletriche e, come tali, non utilizzabili e non utilizzate dai docenti per la loro programmazione e per la loro attività didattica quotidiana: ancora una volta configuratisi come un ulteriore appesantimento del lavoro burocratico, senza alcun beneficio educativo e didattico.

A cosa poteva servire l’annotare che al termine del quadrimestre o dell’anno scolastico l’alunno aveva appreso la Matematica e la Storia al livello D o al livello SUFFICIENTE, quando i giochi erano stati già fatti?

Sarebbe stato necessario che le Schede di valutazione si configurassero come strumenti che mettessero i docenti nella condizione di seguire giorno dopo giorno i processi apprenditivi e formativi dei singoli alunni per verificarli, programmarli e metterli costantemente a punto.

Si sono ridotti a meri adempimenti burocratici: scartoffie da sovrapporre alle altre scartoffie della Programmazione educativa, del Progetto educativo d’istituto, della programmazione didattica annuale, laddove elaborata.

I docenti sapevano e sanno queste cose, anche se non lo dicevano e non lo dicono.

La burocrazia aveva le sue regole, che non potevano essere messe in discussione, perché la discussione era inconcepibile nell’ordinamento burocratico.

Ora, l’ordinamento burocratico è stato cancellato, almeno sulla carta.

ORA è TEMPO DI DIDATTICA

Ora c’è - ci dovrebbe essere - la scuola dell’autonomia: ora è tempo di discutere.

Ora è tempo di affrontare criticamente i problemi della scuola, che sono innanzitutto i problemi degli obiettivi formativi (<<obiettivi formativi e competenze>>): conoscenze essenziali, capacità ed atteggiamenti (4).

Ma sono anche e soprattutto i problemi dei percorsi didattici, sono i problemi di quello che gli alunni quotidianamente debbono fare nelle aule, con il supporto delle tecnologie educative e didattiche più idonee, comprese quelle multimediali, per acquisire le conoscenze, la capacità e gli atteggiamenti che assicurino la loro formazione motoria, la loro formazione affettiva, la loro formazione sociale, la loro formazione cognitiva ecc.

Non si realizza la riforma dell’autonomia se non si danno risposte concrete a questi problemi.

Se non si creano le condizioni che assicurino il successo degli alunni nei percorsi didattici che quotidianamente si attuano nelle scuole per perseguire gli obiettivi che attengono alla formazione delle diverse dimensioni della personalità, non si realizza la scuola dell’autonomia

Si continuerà a parlare a vuoto per altri trent’anni di problemi organizzativi e strutturali, ma non si garantirà ai singoli alunni il successo formativo che il Regolamento dell’autonomia scolastica pone come obiettivo fondamentale della scuola.

Occorre tornare ad occuparsi di quello che avviene dentro le aule, di quello che fanno i docenti e soprattutto di quello che fanno gli alunni per acquisire le conoscenze, le capacità e gli atteggiamenti che attengono alla formazione motoria, alla formazione affettiva, alla formazione sociale, alla formazione cognitiva, alla formazione linguistica ecc.

Occorre tornare a parlare di Didattica.

La Didattica costituisce il cuore della scuola dell’autonomia (5).

Al cuore della scuola occorre riservare le stesse cure che oggi la cardiologia riserva al cuore che batte nel nostro petto: due cuori essenziali per vivere, da uomini.


Note

1 Cfr. Umberto Tenuta, La didattica: cuore dell’autonomia, in IL DIRIGENTE SCOLASTICO, Roma, Gennaio 2000.

2 ZAVALLONI R., Valutare per educare, La Scuola, Brescia, 1961

3 Cfr. Umberto Tenuta, La fotografia a colori degli alunni, in DIDATTICA@EDSCUOLA.COM

4 Cfr. UMBERTO TENUTA, I contenuti essenziali per la formazione di base: homo patiens, habilis, sapiens, in RIVISTA DELL’ISTRUZIONE, MAGGIOLI, RIMINI, 1998, N. 5.

5 Cfr. Umberto Tenuta, La didattica: cuore dell’autonomia, in DIDATTICA@EDSCUOLA.COM