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LEZIONE FRONTALE O RICERCA?

Umberto Tenuta

 

La lezione frontale e l’attività di ricerca sono alternative, si contrappongono, come comunemente si ritiene, nel momento in cui alla scuola della lezione frontale si contrappone la scuola della ricerca, alla scuola "tradizionale" si contrappone la scuola "attiva"?

Oppure è possibile realizzare una loro integrazione, se non identificazione?

Evidentemente, la risposta dipende dall’impostazione che si dà alla lezione frontale.

Al riguardo, occorre tenere presente che generalmente si tiene presente uno stereotipo di lezione frontale in cui il docente <<pontifica, in posizione di potere centrale>> (1) seguendo l’ordine logico delle discipline e ignorando sia le caratteristiche personali dei singoli alunni che il loro impegno nei processi apprenditivi.

In effetti, sembra che nella lezione frontale l’attenzione del docente sia rivolta più allo svolgimento del programma che alla promozione dei processi di apprendimento degli alunni. Il docente, formato secondo una tradizione che lo voleva impegnato nell’attuazione fedele delle disposizioni impartite dall’alto, circolari o Programmi didattici che fossero, concentrava il suo impegno soprattutto nella presentazione, spiegazione, illustrazione dei contenuti programmatici, costituiti soprattutto da conoscenze.

Egli entrava in aula e faceva lezione, esponeva le idee, spiegava i concetti, offriva dimostrazioni dei teoremi. Era questo il suo impegno predominante, nel quale profondeva la sua cultura e la sua competenza didattica, intesa come capacità di esporre, di dimostrare, di esplicare, di illustrare le idee. Destinataria della sua lezione era la scolaresca, una classe di 25 alunni, più o meno eterogenea, ma amorfa, senza volti, senza fisionomie, senza identità ben precise.

Il tacito ed implicito presupposto era che spettava agli alunni ascoltare, capire e ritenere quanto il docente esponeva. Il comprendere e l’apprendere erano problemi privati degli alunni, rientravano nei loro doveri di alunni, di cui erano chiamati a rispondere.

Il docente aveva adempiuto ai suoi doveri, ai suoi compiti didattici, nel momento in cui aveva fatto lezione, e l’aveva fatta con competenza, con impegno, con cura.

In questo impegno il docente più responsabile sul piano professionale teneva conto della situazione della scolaresca: della scolaresca, ma non dei singoli alunni, che evidentemente non poteva prendere in considerazione. Il docente faceva lezione a 25 alunni, e non poteva certamente impostare i suoi interventi sulle esigenze e sulle caratteristiche dei singoli alunni.

Ma faceva già molto chi si preoccupava della situazione della classe, della scolaresca, dell’alunno medio.

Tuttavia, ciò che quasi sempre mancava era la correlazione della lezione con i processi di apprendimento degli alunni. Il docente presentava, illustrava, chiariva i contenuti: li offriva già bell’e fatti, ben definiti, logicamente sistemati. Egli spiegava la regola per il calcolo dell’area del triangolo: la regola stava lì, già definita, già pronta. Il compito del docente finiva nell’esposizione, nella dimostrazione, nella presentazione.

Era forse questo il limite fondamentale della lezione frontale.

Eppure sarebbe bastato che ciò che era implicito diventasse esplicito: sarebbe bastato che il docente rivolgesse l’attenzione, non solo alla presentazione, ma anche ai processi apprenditivi degli alunni.

Evidentemente, era implicito che la sua lezione doveva servire agli alunni per comprendere, per capire, per apprendere, oltre che per memorizzare, ma questi erano considerati problemi che riguardavano gli alunni, e non invece il docente.

Sarebbe bastato e basterebbe che l’attenzione del docente si rivolgesse soprattutto ai processi apprenditivi dei singoli alunni e utilizzasse la lezione per offrire i "segni" che consentano agli alunni di comprendere ed apprendere.

In fondo, quando il docente mostra le isole sulla carta geografica dell’Italia e ne pronuncia i nomi, presuppone che gli alunni associno i singoli nomi alle rispettive isole: Sicilia a quell’isola, Sardegna a quell’isola, Capri a quell’isola.

Questo il docente si aspetta che i singoli alunni facciano, ma egli non organizza la sua lezione in funzione di questa operazione di associazione che gli alunni debbono eseguire: egli presuppone che gli alunni effettuino l’associazione, ma egli non organizza la lezione in modo che gli alunni siano "costretti" ad effettuare l’associazione.

Eppure basterebbe che, anziché pronunciare i nomi nel momento in cui tocca le isole sulla carta geografica, egli impegnasse gli alunni a farlo:

Sardegna: toccate l’isola…

Sicilia: toccate l’isola…

Capri: toccate l’isola…

L’associazione dei nomi alle isole può essere effettuata a livello concreto, quando i nomi vengono collegati agli oggetti: questa è la lavagna: questa è la finestra; questo è il pavimento; questi è Michele; questo è…

Ma può essere effettuato anche a livello iconico, quando i nomi vengono collegati alle immagini degli oggetti, come nel caso delle carte geografiche.

E può essere effettuato anche a livello astratto quando si parla di lunghezza, bellezza, area, perimetro, quadrato, sedia, bambina..

Se nel caso dei processi associativi, attraverso i quali si imparano, ad esempio, le nomenclature, è agevole organizzare le lezioni in modo che gli alunni effettuino le associazioni, preferibilmente a livello concreto o a livello iconico, tuttavia la situazione diventa più complessa quando la lezione frontale verte sulla comprensione dei concetti.

I concetti sono molto più difficili da comprendere e da apprendere rispetto alle nomenclature. I concetti non possono essere insegnati, non possono essere tradotti in segni: non c’è nessun "segno" che dia l’idea del concetto di "quadrato": la parola "quadrato" è il simbolo del concetto "quadrato" che l’alunno però deve già possedere per poterlo indicare con il nome "quadrato". Il concetto di quadrato non è dato dal disegno di un quadrato, da una mattonella, dal pavimento della stanza ecc. Queste cose hanno la proprietà di essere "quadrati", ma non sono il "quadrato". Gli uomini che venivano mostrati a Diogene erano "certi uomini": un uomo biondo, un uomo alto, un uomo giovane ecc., ma non erano l’uomo, l’uomo astratto che egli cercava (il concetto di uomo che può essere riferito a tutti gli uomini: biondi, bruni, giovani, vecchi…).

I concetti non possono essere indicati o rappresentati con oggetti, immagini o simboli: sono proprietà delle cose, degli oggetti, degli esseri. Non esiste il giallo, il verde, il cerchio, il quadrato, il vegetale… ma le cose che sono gialle, verdi, circolari, quadrate, vegetali…; non esiste la sedia, ma questa e quella sedia

I concetti esistono solo nella mente ed esistono nella mente solo se gli individui li hanno costruiti nella loro mente: ogni individuo si deve costruire i concetti nella sua mente. Diversamente non li ha.

Il docente non può insegnare i concetti: egli può soltanto aiutare gli alunni a costruirseli nella sua mente.

Che cosa fa il docente quando vuole che gli alunni costruiscano nella loro mente i concetti di quadrato, di triangolo, di cerchio? Egli mostra gruppi di oggetti quadrati, triangolari, circolari ed invita gli alunni ad astrarre i relativi concetti (2):

 

Lo stesso fa quando vuole far apprendere delle regole.

Pertanto, perché sia efficace, la lezione frontale deve configurarsi come un’offerta di segni (verbali, iconici, concreti), che gli alunni debbono utilizzare per costruire i concetti, effettuando l’operazione di astrazione della proprietà comune ai diversi oggetti. La lezione frontale risulta efficace quando si pone in tale prospettiva, quando non presume di insegnare i concetti ma si impegna a farli ricostruire agli alunni.

Intesa in tal senso, la lezione frontale può trasformarsi in attività di ricerca/riscoperta/reinvenzione/ricostruzione (problem solving) (3). Quando la lezione frontale si propone, non di presentare i concetti già fatti, ma di aiutare gli alunni a costruirseli, si configura come attività di ricerca. intesa come attività di riscoperta.

Così intesa, la lezione frontale offre alcuni vantaggi rispetto all’attività di ricerca/riscoperta/reinvenzione/ricostruzione, in quanto nella lezione frontale il docente organizza i segni ed i processi della loro utilizzazione da parte degli alunni per ricostruire ben definiti concetti.

Assieme a questi vantaggi esistono però dei limiti, costituiti dal fatto che i segni della lezione non sono personalizzati, che non si rispettano i ritmi di apprendimento dei singoli alunni, che è lasciato poco spazio alla creatività degli alunni, che non si offrono occasioni per stabilire interazioni sociali, culturali, affettive tra gli alunni ecc.

Ma preme sottolineare che basterebbe una maggiore attenzione ai processi di riscoperta/reinvenzione/ricostruzione, astrazione, generalizzazione degli alunni per assimilare la lezione frontale all’attività di ricerca e renderla quindi più produttiva, almeno sul piano dell’efficacia, al fine di assicurare agli alunni le migliori condizioni per avere successo nei processi di apprendimento.

Note

1 Dienes z. p., Costruiamo la matematica, O.S., 1962, p. 27,

2 In merito cfr. TENUTA U., Il Piano dell’offerta formativa ¾ Moduli e unità didattiche – La programmazione nella scuola dell’autonomia, ANICIA, ROMA, 2001.

3 In merito al Problem solving cfr.: MOSCONI G., D'URSO V. (a cura di), La soluzione di problemi. Problem-solving, Giunti-Barbèra, Firenze, 1973; KLEINMUNTZ B.(a cura di), Problem solving Ricerche, metodi, teorie, Armando, Roma, 1976; DUNCKER K., La psicologia del pensiero produttivo, Giunti-Barbèra, Firenze, 1969; WERTEIMER M., Il pensiero produttivo, Giunti-Barbèra, Firenze, 1965; DORNER D., La soluzione dei problemi come elaborazione dell’informazione, Città Nuova, Roma, 1988; BROWN S.I., WALTER M.I., L’arte del problem posing, SEI, Torino, 1988.


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