PARITÀ QUALITÀ CENTRALITÀ DEGLI STUDENTI

Umberto Tenuta

 

Il problema della parità viene giustificato con due motivazioni di fondo, facendo riferimento, da una parte, al diritto di libera scelta della scuola da parte delle famiglie e, dall’altra, all’esigenza di creare una situazione di concorrenza tra scuola statale e scuola non statale per migliorare la qualità del servizio scolastico.

Non si può disconoscere che tutt’e due le motivazioni appaiano fondate.

DIRITTO DI SCELTA DELLA Scuola

Innanzitutto, il problema del diritto di scelta da parte degli utenti del servizio scolastico.

Al riguardo, si impone una considerazione di fondo sul ruolo della scuola, che è un ruolo, non solo di istruzione, ma anche di educazione. Anche secondo il dettato della Carta costituzionale, la scuola non ha solo il compito di istruire i cittadini, ma ha anche e soprattutto il compito di promuoverne l’educazione, in termini di piena formazione (<<pieno sviluppo della persona umana>>).

Uomini, cittadini e lavoratori non si nasce, ma si diventa solo attraverso l’educazione (1). Anche le neuroscienze oggi confermano che la mente si struttura, non solo sulla base del codice genetico, ma anche e soprattutto attraverso le stimolazioni socioculturali. La personalità non è predeterminata geneticamente, ma si forma, si costruisce, si struttura in base alle esperienze socioculturali che si vivono soprattutto nei primi anni di vita.

Pertanto, la scuola non può limitarsi ad istruire, favorendo l’acquisizione delle conoscenze, ma deve occuparsi e preoccuparsi anche della formazione della personalità, promovendo la formazione di atteggiamenti e di capacità (2).

La scuola promuove lo sviluppo della personalità, l’educazione, la formazione dei giovani.

Questa formazione deve essere piena, sia nel senso che deve riguardare tutti gli aspetti della personalità (formazione integrale), sia nel senso che deve portare al massimo livello di attuazione le possibilità formative dei giovani, riconoscendone e valorizzandone le identità personali, sociali, culturali e professionali.

Innanzitutto, l’educazione non può limitarsi a prendere atto dello sviluppo, quale si attua nei processi spontanei di formazione delle capacità e degli atteggiamenti, ma deve impegnarsi a promuoverli, sollecitandoli e favorendoli.

Inoltre, l’educazione deve riguardare tutte le dimensioni della personalità, non solo quella cognitiva, ma anche quella motoria, affettiva, sociale, morale, linguistica ecc.

Finora la scuola ha privilegiato la dimensione cognitiva, occupandosi prevalentemente dell’alfabetizzazione culturale e trascurando le altre dimensioni, in particolare la dimensione motoria, sociale, affettive, morale, religiosa.

Pertanto, la scuola non può rimanere su un piano di neutralità valoriale, impegnandosi a far acquisire valori condivisibili. È stata questa, in particolare, la scelta dei Programmi didattici del 1985, scelta che si è rivelata estremamente impegnativa, delicata, rischiosa, tant’è che di fatto molto spesso la scuola ha evitato di affrontare le problematiche educative.

In effetti, per evitare i rischi dell’educazione, la strada migliore è apparsa quella di limitare i compiti della scuola alla sola istruzione (alfabetizzazione culturale). Si è detto e teorizzato che la scuola non deve educare, ma deve limitarsi ad istruire. Per trent’anni questa è stata la soluzione adottata anche ufficialmente.

Al più, la scuola si è occupata della sola educazione sociale e civile. A tale impostazione hanno fatto eccezione solo gli Orientamenti educativi del 1991 per la scuola materna che hanno previsto specificamente l’educazione morale, l’educazione affettiva, l’educazione sociale, l’educazione religiosa, rimaste però confinate nella scuola dell’infanzia.

Al riguardo, è appena il caso di evidenziare che la Bozza dei Nuovi Curricoli (Indirizzi per l’attuazione del curricolo) si poneva in una posizione equivoca, prevedendo gli Studi sociali, e non invece esplicitamente l’educazione.

La improponibilità di una tale posizione è emersa dalla realtà dei fatti. Negli anni ’80, l’educazione, espulsa dai Programmi didattici ufficiali, è subentrata con i Progetti educativi ministeriali: le scuole non educano nel normale curricolo, ma educano solo attraverso le attività aggiuntive, integrative, opzionali. La scuola educa solo chi sceglie di educarsi.

Ma la società non può essere costituita da cittadini educati e da cittadini non educati. Qualche magistrato ha denunciato il disimpegno educativo della scuola, e della famiglia.

Al riguardo, però, si deve prendere atto che la scuola statale non può andare oltre l’educazione alla convivenza democratica, venendo meno alle attese di quanti alla scuola chiedono anche l’educazione morale e l’educazione religiosa.

Siccome l’educazione, e non solo l’istruzione, è un diritto ed è anche un dovere dei genitori (3), molti ricorrono alle scuole non statali.

Non si tratta di un’opzione priva di fondate motivazioni educative.

Il rispetto della diversità, che anche il Regolamento dell’autonomia scolastica sancisce (<<Le istituzioni scolastiche… riconoscono e valorizzano le diversità>>), può essere assicurato pienamente solo dal pluralismo scolastico. La scuola statale si è finora configurata come scuola dell’uguaglianza, dei valori condivisi, dell’educazione alla convivenza democratica.Per riconoscere e valorizzare le diversità ideologiche, valoriali, religiose, la soluzione migliore appare quella del pluralismo scolastico.

Si obietta che solo la scuola statale può assicurare la convivenza democratica, ma occorre prendere atto che lo fa a danno delle diversità, le quali non possono essere coltivate dalla scuola statale, perché le diversità, soprattutto sul piano religioso, non sono un accessorio, ma informano, pervadono, qualificano tutti gli aspetti della formazione. In tal senso, fondatamente nei Programmi didattici del 1955 si affermava che l’insegnamento religioso deve essere considerato << come fondamento e coronamento di tutta l’opera educativa>>, perché l’educazione religiosa non può limitarsi all’ambito religioso ma pervade la formazione di tutte le dimensioni della personalità.

Solo le scuole non statali possono assicurare la piena valorizzazione delle diverse opzioni religiose e culturali. Infatti, le scuole non statali possono assumere a fondamento della loro complessiva impostazione educativa e didattica una precisa opzione culturale e religiosa, nel senso che questa non costituisce l’oggetto di un’attività educativa e didattica integrativa che si aggiunge a quelle curricolari, ma ispira tutti gli insegnamenti disciplinari e tutte le attività educative.

Solo le scuole non statali possono assumere una precisa identità culturale e religiosa e presentarsi con una forte coerenza educativa.

Al riguardo, però, si può osservare che, mentre le scuole statali non possono assumere una precisa identità culturale e religiosa, le scuole non statali possono farlo, senza tuttavia venir meno ai principi del rispetto del pluralismo culturale.

Chi assume una precisa identità culturale, sociale e religiosa può essere più attento alle identità degli altri rispetto a chi non ha una propria identità e quindi non ne comprende il valore.

Evidentemente, alle scuole non statali va richiesto esplicitamente di coltivare il rispetto delle diverse opzioni culturali e religiose, nella prospettiva della convivenza democratica.

 

LA QUALITÀ ATTRAVERSO LA CONCORRENZA

L’altra motivazione del pluralismo scolastico è la Qualità, che secondo alcuni si può assicurare solo se si realizza la concorrenza tra le diverse scuole.

Non sembra che questa sia la motivazione più fondata del pluralismo scolastico , per almeno due ragioni.

Innanzitutto, la qualità della scuola statale può essere assicurata anche attraverso altri strumenti, quale uno specifico impegno di valorizzazione delle competenze professionali dei docenti.

Poi, non è scontato che la concorrenza porti necessariamente alla qualità. In effetti, il timore più diffuso è che il pluralismo scolastico porti invece alla dequalificazione delle scuole statali, che risulterebbero frequentate solo dagli alunni provenienti dalle classi sociali più deboli.

Pertanto, la strategia migliore non è quella di puntare solo sulla concorrenza per assicurare la qualità della scuola statale.

La qualità va perseguita anche e soprattutto attraverso uno specifico impegno che miri alla valorizzazione delle competenze professionali dei docenti.

Il problema della qualità è stato per troppo tempo disatteso, in quanto, a cominciare dagli anni ’70, l’attenzione si è spostata dai diritti degli alunni ai diritti degli operatori scolastici.

Con i Decreti delegati del 1974 l’attenzione si è spostata sugli aspetti organizzativi della scuola, e questi, peraltro, non sono stati visti nella prospettiva del miglioramento dei processi formativi. L’organizzazione della scuola a tempo pieno ed a tempo lungo, la pluralità dei docenti, la programmazione, la valutazione ecc. sono stati considerati come problemi indipendenti dal successo formativo, dal diritto all'educazione ed all'istruzione da assicurare ai singoli alunni. Si pensi soltanto alla problematica della valutazione, che è diventata mero adempimento burocratico, risolvendosi spesso nella compilazione di schede di valutazione - per ironia della sorte definiti documenti di valutazione - che non si ponevano come strumenti per assicurare la realizzazione di percorsi formativi adeguati ai livelli di sviluppo e di apprendimento, ai ritmi ed agli stili apprenditivi, alle esigenze formative dei singoli alunni.

In effetti, eliminata o ridotta la bocciatura degli alunni, nessuno si è preoccupato di assicurare la piena formazione della persona umana, il diritto all'educazione ed all'istruzione, il successo formativo dei singoli alunni.

Gli alunni venivano giuridicamente promossi, e nessuno si preoccupava di accertare che venissero effettivamente formati.

In tale situazione, gli strumenti che avrebbero dovuto assicurare la qualità delle competenze professionali dei docenti sono stati dequalificati: da una parte si é fatto sempre più ricorso al reclutamento dei docenti senza concorso, dall’altra l’aggiornamento è stato burocratizzato.

Al riguardo, appare evidente che il male peggiore non stata tanto la dequalificazione dei processi di reclutamento quanto l’assenza di un organico impegno di formazione in servizio.

Venuta meno la qualificata selezione concorsuale, si poteva anche optare per la soppressione dei concorsi, ma a condizione che fosse poi assicurata una formazione in servizio adeguata.

Invece, tutto il discorso sull’aggiornamento, che era stato portato avanti con grande serietà negli anni ’60 ¾ si pensi solo alla sperimentazione dell’ipotesi della Direzione didattica come centro di aggiornamento (4) ¾ , è stato abbandonato.

Sono prevalse altre logiche.

L’aggiornamento è stato burocratizzato e, salve le eccezioni che certamente non sono mancate, non è stato più in grado di assicurare ai docenti ¾ ed agli altri operatori scolastici tutti¾ quella formazione in servizio che poteva costituire lo strumento anche per sopperire alle carenze della formazione iniziale.

La burocratizzazione dell’aggiornamento sembrava fatta apposta per evitare che i docenti potessero aggiornarsi, e infatti nessun docente era messo nella condizione di realizzare la propria formazione in ordine alle sue specifiche competenze epistemologiche, didattiche, relazionali ed organizzative.

Da una parte, i corsi organizzati dall’Amministrazione scolastica non potevano che riguardare solo alcune tematiche ed erano riservati ad una limitata quota di docenti; dall’altra le iniziative di aggiornamento che le singole istituzioni scolastiche riuscivano ad organizzare non potevano che riguardare problematiche generiche, in quanto, essendo rivolti a tutti i docenti della scuola, non potevano affrontare le problematiche specifiche delle singole aree disciplinari.

Ha prevalso la vuota retorica della programmazione, dell’organizzazione, della valutazione, dell’innovazione ecc.

La macchina burocratica non poteva assicurare l’efficacia e l’efficienza dell’organizzazione educativa e didattica anche e soprattutto perché non poteva assicurare la formazione delle competenze professionali dei docenti delle singole discipline.

Ora, nel momento in cui la scuola statale deve competere con la scuola non statale, la prima preoccupazione deve essere quella di assicurare ai docenti le condizioni perché essi possano realizzare la loro formazione in servizio.

Non basta creare la concorrenza tra scuola statale e scuola non statale, ma l’impegno prioritario dell’Amministrazione scolastica deve essere quello di assicurare alle istituzioni scolastiche le condizioni perché tutti i docenti possano realizzare il loro diritto all’aggiornamento.

Al riguardo, la soluzione più adeguata appare quella della costituzione di reti di scuole, nelle quali ogni scuola si configura come laboratorio permanente di aggiornamento in una specifica area tematica, per tutti i docenti interessati della rete (5).

Evidentemente, in tale prospettiva, occorre preliminarmente abolire tutti i vincoli burocratici che finora hanno intralciato l’attività di aggiornamento, con particolare riferimento ai finanziamenti ed all’accreditamento da parte dell’Amministrazione scolastica delle associazioni e degli enti abilitati ad effettuare l’aggiornamento ecc.

Occorre investire sull’aggiornamento, non solo assegnando più cospicui fondi, ma anche e soprattutto utilizzando meglio quelli disponibili.

I problemi dell’educazione alla salute, della devianza, delle zone a rischio ecc. non si risolvono con interventi settoriali, limitati ad alcune scuole, ma impegnandosi ad innalzare il livello di efficacia e di efficienza educativa e didattica di tutte le istituzioni scolastiche, che si misura, non tanto attraverso i monitoraggi più disparati, quanto attraverso la verifica dei livelli formativi dei singoli alunni.

L’efficacia e l’efficienza dell’azienda si misura dai suoi prodotti, non dalla sua organizzazione. Occorre finalmente tornare a porre l’attenzione sui "prodotti" della scuola, che sono costituiti dal successo formativo dei singoli alunni.

Occorre finalmente porre gli alunni al centro della scuola, di quella statale e di quella non statale.

L’attesa delle famiglie è che la scuola, quale che essa sia, statale e non statale, assicuri finalmente non il conseguimento di un titolo di studio, ma il successo formativo, in termini di piena formazione della persona umana, di piena realizzazione delle possibilità formative, di autorealizzazione umana.

Come si affermava nel Rapporto Faure, <<Ogni uomo è destinato ad essere un successo e il mondo è destinato ad accogliere questo successo>> (6).

La vera riforma della scuola non è quella dei cicli e non è nemmeno quella dei curricoli, considerate a sé stanti, ma è quella della qualificazione dei processi di insegnamento/apprendimento, che è possibile realizzare solo attraverso una nuova strategia di qualificazione delle competenze professionali dei docenti che, nel breve e nel medio termine, può essere attuata solo attraverso la formazione in servizio, a condizione che si proceda alla sua burocratizzazione.

Si può pensare alla responsabilizzazione delle scuole in ordine ai risultati solo a condizione che le scuole siano responsabilizzate anche in ordine alla riqualificazione delle competenze dei docenti.

Occorre che la scuole avvertano la responsabilità di garantire ad ogni alunno il successo formativo e che, in tale prospettiva, possano assicurare le necessarie competenze ai docenti.

La qualità dei risultati formativi e la qualità delle competenze professionali sono le due emergenze della scuola che il Ministro Letizia Moratti si trova ad affrontare e che può affrontare solo cambiando le logiche burocratiche che finora hanno ispirato la valutazione scolastica e l’aggiornamento degli operatori scolastici.

Ma questa non è impresa agevole.

 

Note:

1 Scrive Kant che <<La bestia è già resa perfetta dall'istinto... L'uomo invece... non possiede un istinto e deve quindi formulare da sé il piano del proprio modo di agire... La specie umana deve esprimere con le sue forze e da se stessa le doti proprie dell'umanità. Una generazione educa l'altra... L'uomo può diventare tale solo con l'educazione>> (KANT E., Pedagogia, O.D.C.U., Rimini, 1953, pp.25-27).

2 In merito cfr. TENUTA U., I contenuti essenziali per la formazione di base: homo patiens, habilis, sapiens, in RIVISTA DELL’ISTRUZIONE, MAGGIOLI, RIMINI, 1998, N. 5; Umberto Tenuta, Conoscenze Capacità Atteggiamenti in DIDATTICA@EDSCUOLA.COM

3 <<È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli>> (Art. 30, Costituzione).

4 In merito cfr. GROSSI D., L’aggiornamento degli insegnanti, Edizioni Abete , Roma, 1974.

5 In merito cfr. Umberto Tenuta, Rete per l'Aggiornamento in DIDATTICA@EDSCUOLA.COM

6 FAURE E. (a cura di), Rapporto sulle strategie dell'educazione, Armando-UNESCO, Roma, 1973, P. 249.