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PINOCCHIO: DAL BURATTINO AL BAMBINO di Filomena Iaquinandi e C. Cutolo
Fortunata
Proposta di intervento rivolta ad alunni con DDAI elaborata al termine
del Laboratorio didattico online “La programmazione nella didattica
speciale” condotto dalla Prof.ssa Sabina Falconi presso l’Università
degli Studi di Firenze.
S.B. a causa di una realtà familiare complessa manifesta difficoltà di
relazione e un disagio socio-culturale e affettivo. Gli è stato
diagnosticato un disturbo dell’iperattività. Il DSM-IV parla di Disturbo
da deficit dell’attenzione con iperattività (DDAI), che è caratterizzato
da tre aspetti fondamentali :
disattenzione, iperattività e impulsività.
La disattenzione si manifesta
con difficoltà nel focalizzare l’attenzione sui particolari o con la
presenza di errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro o
in altre attività; con difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o
sulle attività di gioco; con difficoltà ad ascoltare l’interlocutore che
gli parla direttamente; con difficoltà nel seguire le istruzioni e
portare a termine i compiti scolastici; con difficoltà di organizzazione
dei compiti e delle attività; con sentimenti di avversione o riluttanza
verso lo svolgimento di compiti che richiedono sforzo mentale prolungato
per cui spesso capita che i soggetti affetti da tale disturbo durante
un’attività si interrompono spesso e sono attratti da aspetti
irrilevanti.
L’iperattività si manifesta
con un eccessivo o inappropriato livello di attività motoria e verbale,
con difficoltà a stare seduto, a giocare o dedicarsi a divertimenti in
modo tranquillo.
L’impulsività rappresenta la
difficoltà di inibire risposte inappropriate o affrettate. Può
manifestarsi attraverso lo scarso controllo del comportamento,
l’incapacità a ritardare una risposta, a comprendere le gratificazioni o
a inibire risposte prepotenti.
Il DDAI ha un enorme impatto sul funzionamento scolastico. Molti autori
ritengono positiva la possibilità di ricorrere a farmaci psicostimolanti
(triciclici) che
contribuiscono ad innalzare il livello di attenzione agendo direttamente
sul controllo del comportamento e facilitando l’apprendimento. Tali
farmaci non influiscono, però, in maniera determinante sulle
performances scolastiche. Per
questo, sono necessari interventi scolastici adattati individualmente
che includano come mediatori l’insegnante, la classe, l’ambiente…
Ogni intervento farà riferimento ai dati rilevati in fase di valutazione
iniziale.
S.B. incarna in pieno le caratteristiche del DDAI, nello specifico, non
rispetta le regole, ha spesso atteggiamenti provocatori
e, quando gli si parla, sembra non ascoltare. La situazione è acuita dal
complesso di regole richieste dalla scuola elementare.
Nonostante le notevoli difficoltà individuate, sia nell’ambito degli
apprendimenti (Lentezza della scrittura che è anche poco scorrevole,
commette molti errori ortografici, che ripete anche dopo che è stato
corretto, omette le doppie, ha poca memoria, interessi limitati e
infantili) che relativamente alle manifestazioni comportamentali
(scarsissima autostima, notevole difficoltà di relazioni, talvolta
conflittuali con i coetanei; subisce l’insuccesso con frustrazione; ama
le gratificazioni; disegna spesso mostri) egli presenta un’intelligenza
nella norma, poiché entrambe le aree, apprendimento e comportamento,
sono compromesse dal deficit e non dalla mancanza di potenzialità.
Motivo questo per cui è necessario individuare e scegliere delle
strategie di intervento efficaci.
A livello pedagogico, l’idea della personalizzazione formativa
costituisce un criterio-regolativo generale dell’educazione: un
principio formativo che esige attenzione alle differenze della persona
nella pluralità delle sue dimensioni individuali (cognitive e affettive)
e sociali (l’ambiente familiare e il contesto socio-culturale)[1].
Inizialmente è, dunque, necessario focalizzare l’attenzione sul soggetto
in formazione, per individuarne le caratteristiche peculiari, sia per
quanto riguarda l’area dell’apprendimento che per gli aspetti
comportamentali, per poi concepire un’azione formativa in grado di
apportare modifiche a tali caratteristiche.
Adattare l’insegnamento alle caratteristiche individuali degli alunni
richiede precise e concrete strategie didattiche che si riferiscono ai
due principi di
individualizzazione e
personalizzazione.
“L’individualizzazione in
senso stretto si riferisce alle strategie didattiche che mirano ad
assicurare a tutti gli studenti il raggiungimento delle competenze
fondamentali del curricolo, attraverso una diversificazione dei percorsi
di insegnamento”[2].
Lo scopo diventa il raggiungimento di obiettivi comuni per tutti gli
alunni adattando l’insegnamento alle caratteristiche cognitive
individuali degli alunni (codici linguistici, prerequisiti di partenza,
stili cognitivi, ritmi di apprendimento…).
“La personalizzazione indica invece le strategie didattiche
finalizzate a garantire ad ogni studente una propria formazione di
eccellenza cognitiva, attraverso possibilità elettive di coltivare le
proprie potenzialità intellettive”[3].
Tale accezione si riferisce all’approccio teorico della pluralità di
intelligenze, considerando le differenze individuali soprattutto sotto
l’aspetto qualitativo, inteso come diversità della tipologia di
intelligenza, piuttosto che sulla quantità. Attraverso la
personalizzazione si intende
favorire lo sviluppo delle eccellenze, dei punti di forza e delle
preferenze di ogni studente.
“Secondo Domenico Resico, la
personalizzazione sta ad indicare la necessità di inserire
all’interno dei curriculi, obiettivi, contenuti e attività in sintonia
con i bisogni di ciascuna persona, che potranno quindi essere simili o
totalmente differenti rispetto a quelli degli altri, personalizzati
appunto”[4].
Nel nostro caso, “una volta che
abbiamo descritto il profilo del soggetto, articolato in deficit e
abilità residue, possiamo progettare l’intervento educativo
personalizzato in base alle sue esigenze”[5].
Data la complessità del profilo, sarà necessario un intervento ad ampio
raggio che si riferisca a molteplici strategie operative e che
soprattutto sia coerente con l’ambiente di vita del bambino, creando
un’alleanza significativa tra scuola e famiglia. Importantissima sarà la
valutazione del contesto formativo, “luogo
in cui si generano attese e bisogni caratteristici della specifica
realtà sociale e nello stesso tempo, dove vengono a delinearsi problemi,
vincoli e criticità”[6].
Per attivare un intervento educativo rivolto ad alunni che presentano
DDAI, è necessario considerare alcuni aspetti:
1.
Strutturazione del contesto e delle attività:
è opportuno strutturare l’ambiente della classe in base alle esigenze
del bambino iperattivo, in modo tale da ridurre gli stimoli e tenere
sotto controllo il suo livello di attenzione e le sue reazioni
comportamentali (ad esempio la disposizione dei banchi a ferro di
cavallo favorisce il controllo dell’allievo da parte dell’insegnante;
ridurre gli stimoli visivi, cartelloni, schede, che non si riferiscono
all’attività in corso di svolgimento);
2.
Stipulare contratti educativi:
una modalità per rendere più stimolante e motivante le attività è quello
di modificare le contingenze, ossia cambiare di volta in volta i
rinforzi, per poi via via eliminarli, al fine di fermare comportamenti
disturbanti, originando un vero e proprio contratto educativo;
3.
Potenziamento di specifiche abilità:
sono disponibili in letteratura numerosi
training di potenziamento di
quelle abilità (attenzione sostenuta, memoria di lavoro,
pianificazione…) che solitamente sono compromesse dal disturbo;
4.
Training di abilità sociali:
è opportuno agire sulla dimensione interpersonale del problema, dal
momento che solitamente i comportamenti messi in atto dai bambini
affetti da DDAI spesso determinano fastidio con conseguente isolamento
da parte del gruppo dei pari;
5.
Training metacognitivi:
bisogna puntare al raggiungimento della capacità di regolare e
rinforzare il proprio comportamento in maniera autonoma.
Analizzati i bisogni formativi di S.B, è stato ideato un percorso
didattico con il duplice scopo: a) di potenziare competenze e abilità
deficitarie (aumento della fluidità della scrittura, consolidamento
delle competenze ortografiche, potenziamento della memoria a breve e
lungo termine, incremento dei tempi di attenzione); b) di indurre
modifiche dei comportamenti problematici, attraverso l’acquisizione di
consapevolezza dei rapporti conseguenti, migliorando in questo modo
anche gli aspetti relazionali (aumento dell’autostima e del senso di
autoefficacia, superamento delle difficoltà relazionali con i coetanei).
Progetto didattico “Pinocchio:
dal burattino al bambino” .
● Finalità
1. Attivare la cooperazione e il
lavoro di gruppo migliorando gli aspetti relazionali. Rafforzamento
delle abilità sociali attraverso l’apprendimento cooperativo.
Partecipazione alla vita della classe nel rispetti delle regole;
2. Presentare il racconto di
Pinocchio/burattino, che rappresenta l’infanzia, la libertà, il
divertimento in assenza di regole, puntando alla comprensione dei
rapporti di causalità di eventi e situazioni e del rapporto
azione/conseguenza;
3. Aumentare i tempi di
attenzione suscitando interesse e motivazione;
4. Potenziare le competenze
linguistiche riferendosi a diversi linguaggi espressivi
(mimico-gestuale, grafico, verbale), utilizzando anche sussidi
informatici come momento di
riflessione attraverso l’analisi di problemi e il confronto continuo con
gli altri, ottimizzando i processi formativi;
5. Educare all’ascolto in tutte
le sue forme per un miglioramento della produzione linguistica e della
comunicazione.
● Metodologia e modalità:
L’insegnante presenta il racconto di Pinocchio/burattino alla classe.
cercando di enfatizzare gli episodi principali in cui il mancato
rispetto delle regole o l’impulsività ha portato a conseguenze negative
per il personaggio. Verrà richiesto agli alunni di rappresentare
graficamente episodi della storia suddivisi in sequenze con didascalie
al fine di migliorare la comprensione e la produzione. Si procederà ad
individuare gli eventuali errori commentandoli e valorizzando gli
aspetti positivi della produzione.
In seguito gli alunni verranno divisi in piccoli gruppi (max 4 bambini),
ai quali verranno fatti rappresentare i vari personaggi, scambiando di
volta in volta i ruoli, in modo da consentire lo spostamento del punto
di vista e comprendere le varie dinamiche della storia. L’insegnante
effettuerà un’azione di monitoraggio dell’attività attraverso
un’osservazione sistematica degli eventuali comportamenti problematici
indice messi in atto da S.B.
Si fa riferimento ad un ampliamento del formato tradizionale della
didattica che Calvani definisce
separatezza di momenti e ruoli “è l’insegnante stesso che decide il da
farsi e conseguentemente agisce in aula”[7]
Alla fine della rappresentazione ogni bambino presenterà il suo punto di
vista sulla scena rappresentata, cercando di capire se le conseguenze
dell’azione erano prevedibili e dunque evitabili (ex. Cap. XIV-XV,
Pinocchio per non aver dato retta ai buoni consigli del grillo parlante,
si imbatte negli assassini e finisce impiccato ad un ramo della quercia
grande).
Si attiverà in questo modo un iniziale approccio metacognitivo. L’ottica
metacognitiva punta a formare nel soggetto abilità mentali superiori che
vanno al di là dei semplici processi cognitivi primari. “Questo
(è un) andare al di là
(per) sviluppare nell’alunno la
consapevolezza di quello che sta facendo, del perché lo fa, di quando è
opportuno farlo e in quali condizioni”[8].
Con queste parole vengono definite le finalità dell’approccio
metacognitivo che sono quelle di rendere il soggetto gestore diretto dei
propri processi cognitivi.
In sostanza, la metacognizione è
la conoscenza del proprio funzionamento cognitivo e delle strategie
messe in atto per controllare tale processo di conoscenza.
Nell’indurre il soggetto a mettere in atto comportamenti positivi, la
relazione d’aiuto dovrà accompagnarne l’esecuzione, garantendo quasi
(sempre) il successo costante delle azioni del soggetto.
Esempio utile potrebbe essere il seguente:
S.B. interrompe un membro del suo gruppo per la foga di esprimere una
sua considerazione e, di fronte al rimprovero del compagno, gli si
avvicina aggressivamente. L’insegnante dovrà essere bravo a cogliere e
sfruttare l’occasione: dovrà affiancarsi all’alunno e chiedergli «Vuoi
esprimere la tua idea? Allora aspetta che abbia completato la battuta,
alza la mano ed intervieni»; se è necessario, potrebbe anche
guidarlo fisicamente ma senza esagerare.
Ovviamente, all’inizio, il merito del comportamento positivo sarà di chi
lo induce, ma un po’ alla volta il soggetto interiorizzerà l’intervento.
La tipologia di aiuti che possono essere utilizzati è molto ampia, ma un
effetto particolarmente positivo è indotto dalle
tecniche di facilitazione.
“La
facilitazione è la forma-base dell’individualizzazione, in quanto
prevede in generale, quindi per tutti gli alunni, la semplificazione del
linguaggio, l’evitamento degli errori attraverso la riduzione
significativa delle difficoltà, l’introduzione di aiuti diversificati,
la frequenza degli incoraggiamenti e dei rinforzi con lo scopo di creare
occasioni di successo scolastico”[9].
Molto valide dal punto di vista della stimolazione dell’apprendimento e
dell’acquisizione di competenze, le tecniche di facilitazione risultano
efficaci anche nell’induzione di comportamenti positivi sostitutivi.
Tra queste tecniche si possono utilizzare:
-
Modeling/Modellamento:
l’insegnante mostra come eseguire una determinata azione compiendola lui
stesso in presenza dell’alunno; egli fornisce un modello chiaro ed
evidente.
-
Shaping/Modellaggio:
l’insegnante cerca di promuovere lentamente l’apprendimento di
un’abilità completamente assente nell’alunno iniziando a rinforzare quei
comportamenti che si avvicinano a quell’abilità, fino a che non si
modellerà un comportamento nuovo, quello desiderato.
-
Chaining/Concatenamento:
Il compito viene scomposto in fasi sequenziali che corrispondono a una
serie di azioni che l’alunno sarà facilitato a compiere partendo
dall’apprendimento di quella richiesta nella prima fase. Una volta
acquisita, a questa ne verrà aggiunta una seguente e così via, fino ad
aver appreso i comportamenti necessari all’apprendimento di un compito.
(È prevista anche una procedura inversa).
Riferendoci nello specifico ai comportamenti problema tipici del DDAI e
all’esempio sopra proposto, la tecnica di facilitazione per l’induzione
di un comportamento positivo sostitutivo più appropriata è senza dubbio
la Fading/Attenuazione
: essa consiste nella riduzione graduale di stimoli
facilitanti a livello verbale, fisico, o materiale, fino ad esaurirli
completamente.[10]
Il comportamento positivo sostitutivo inizialmente indotto,
successivamente autonomo, dovrà essere giustamente valorizzato, e la
gratificazione è un ulteriore stimolo al consolidarsi del comportamento
positivo.
Studi comprovati sottolineano il profondo legame esistente tra il
livello cognitivo dell’individuo e le svariate caratteristiche della
famiglia; in particolare alcuni studi (Borkowski e Carr, 1989)[11]
sottolineano esplicitamente la relazione esistente tra competenze
metacognitive e ambiente familiare.
La famiglia è individuata come il mediatore per eccellenza dei processi
di apprendimento. L’ambiente familiare ma soprattutto l’azione svolta
dai familiari può essere fondamentale allo sviluppo di alcune competenze
metacognitive.
Albanese, ad esempio, sottolinea il ruolo importante della madre anche
nella gestione e risoluzioni di situazioni o problemi familiari
semplici. Ella sostiene che le madri che incoraggiano maggiormente lo
sviluppo metacognitivo sono quelle che traducono il problema in termini
che stimolino l’attenzione del bambino. “Esse
propongono soluzioni, delegano poco per volta al bambino la
responsabilità di risolvere il problema, indirizzano le prestazioni del
bambino incoraggiandolo a controllare lui stesso ciò che fa”[12].
Da queste considerazioni possiamo intuire quanto le competenze
metacognitive si differenzino sin dalla prima infanzia.
Anche le differenze culturali
all’interno della famiglia sono all’origine di competenze metacognitive
differenti. Da una ricerca effettuata da Carr et al. (1989) è emerso che
i genitori interagiscono e correggono i comportamenti dei propri figli
diversamente in relazione al contesto culturale in cui essi sono
inseriti.
Nel nostro caso, riferendoci ai comportamenti problematici derivanti dal
DDAI, possiamo asserire che ha grande influenza sull’eventuale
interiorizzazione di un comportamento positivo il modo in cui i genitori
lo inducono e, dunque, le informazioni che associano alla strategia
punitiva o alternativa che mettono in atto. Talvolta un commento
associato al rimprovero o ad un’indicazione è utile alla comprensione
delle eventuali conseguenze di un comportamento negativo, e dunque può
facilitare l’interiorizzazione di un modo di fare.
Si sottolinea, dunque, la necessità che gli insegnanti coinvolgano le
figure genitoriali, mettendoli al corrente dell’intervento e soprattutto
rendendoli partecipi della modalità di gestione del comportamento
scelto.
Il piano successivo sarà quello di guidare i bambini alla creazione di
un ipertesto che
prevede due possibili linee di sviluppo della storia: una che segue il
normale svolgimento degli eventi così come proposto dall’autore, l’altra
propone modalità differenti di affrontare la stessa situazione mettendo
in atto comportamenti positivi.
●Tempi: ore frontali e ore di
compresenza.
●Spazi: aula; laboratorio
multimediale.
●Dispositivi metodologici e
strumenti: materiale strutturato e non, libri, sussidi, schede.
●Valutazione: Fasi gnostiche
intermedie e sommative.
Criteri:
coerenza, efficacia, contestualizzazione organizzativa e
didattica; integrazione e socializzazione. Strumenti: annotazioni diaristiche (per ogni lezione si descriveranno attraverso degli indicatori:
─comportamento, partecipazione in classe, performance della classe, idee
iniziali dell’insegnante, commenti di rimando);
─osservazioni sistematiche; prove di verifica.
È necessario valutare l’efficacia delle metodologie in corso di
svolgimento. Pertanto, procedure e strumenti di valutazione risultano
indispensabili. Questo perché sarà proprio sulla base degli esiti dei
processi valutativi attivati, mediante un’osservazione condotta
sistematicamente, che sarà possibile modificare di volta in volta il
percorso in relazione ai bisogni del soggetto.
Il progetto si propone di stimolare l’acquisizione di capacità di
condivisione delle esperienze e di valorizzare le diversità per
l’arricchimento reciproco. Sono questi gli obiettivi fondamentali alla
base del processo di integrazione scolastica degli alunni disabili.
Bisogna considerare che l’istruzione individualizzata “consiste
nell’adeguare l’insegnamento alle caratteristiche individuali degli
alunni (ai loro ritmi di apprendimento, alle loro capacità linguistiche,
alle loro modalità di apprendimento e ai loro prerequisiti cognitivi),
cercando di conseguire individualmente obiettivi di apprendimento comuni
al resto della classe”[13].
In tal senso l’integrazione diviene una risorsa affinché gli alunni
normodotati percepiscano le differenze presenti in ognuno di noi e siano
capaci di aprirsi all’altro da sé. “Le
discipline di insegnamento diventano il mezzo per promuovere la
personalità dell’allievo in tutte le sue dimensioni e costituiscono la
proposta formativa che rielabora la domanda sociale”[14].
Per mettere in atto un vero processo di inclusione nel gruppo classe è
necessario che ogni intervento didattico si proponga come effettiva
modalità di mettere in atto una didattica integrata, in quanto solo se
le attività proposte, anche se personalizzate, arricchiscono in qualche
modo l’azione formativa rivolta al gruppo classe, l’integrazione può
dirsi realmente tale.
Bibliografia
Baldacci
Massimo, L’individualizzazione.
Basi pedagogiche e didattiche, Pitagora, Bologna, 2000.
Calvani
Antonio, Lezione introduttiva: la
didattica ed i suoi contesti.
Fedele
Daniele, Il deficit di attenzione
con iperattività, in Cottini
Lucio, Rosati Lanfranco,
Per una didattica speciale di
qualità, Morlacchi, Perugia, 2008.
Ianes
Dario, Metacognizione e
insegnamento, Erickson, Trento, 1996.
Borkowski
J.G., Metacognizione e
acquisizione di forza
(“empowerment”). Implicazioni per l’educazione di alunni con handicap o
difficoltà di apprendimento, in Renzo
Vianello, Cesare Cornoldi
(a cura di), Handicap,
comunicazione e linguaggio, Juvenilia, Bergamo, 1988.
Lucia Chiappetta Cajola,
Handicap e valutazione. La
funzione di controllo nel processo formativo degli allievi disabili,
Anicia, Roma, 1998.
La didattica integrata,
dispensa del Lab. online “La
programmazione nella didattica speciale”.
[1]
Baldacci Massimo,
L’individualizzazione.
Basi pedagogiche e didattiche, Pitagora, Bologna, 2000.
[2]
ibidem
[3]
ibidem
[4]
La didattica integrata, (dispensa del Lab.online “La
programmazione nella didattica speciale”), p.2.
[5]
Fedele Daniele,
Il deficit di attenzione
con iperattività, in
Cottini Lucio,
Rosati Lanfranco,
Per una didattica speciale di qualità, Morlacchi, Perugia,
2008, p. 190.
[6]
Calvani Antonio,
Lezione introduttiva: la
didattica ed i suoi contesti, p.3.
[7]
ibidem
[8]
Dario Ianes,
Metacognizione e
insegnamento, Erickson, Trento, 1996, p. 13.
[9]
Lucia Chiappetta Cajola,
Handicap e valutazione.
La funzione di controllo nel processo formativo degli allievi
disabili, Anicia, Roma, 1998, p. 87.
[10]
Cfr., Lucia Chiappetta
Cajola, op. cit.,
1998.
[11]
Cfr., J.G. Borkowski,
Metacognizione e
acquisizione di forza
(“empowerment”). Implicazioni per l’educazione di alunni con
handicap o difficoltà di apprendimento, in Renzo
Vianello, Cesare
Cornoldi (a
cura di), Handicap,
comunicazione e linguaggio, Juvenilia, Bergamo, 1988.
[12]
Ottavia Albanese,
op.
cit.,1998, p. 37.
[13]
La didattica integrata, (dispensa
del Lab.online “La programmazione nella didattica speciale”),
p.2.
[14]
ibidem |
La pagina
- Educazione&Scuola©