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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

PINOCCHIO: DAL BURATTINO AL BAMBINO di Filomena Iaquinandi e C. Cutolo Fortunata

Proposta di intervento rivolta ad alunni con DDAI elaborata al termine del Laboratorio didattico online “La programmazione nella didattica speciale” condotto dalla Prof.ssa Sabina Falconi presso l’Università degli Studi di Firenze.

 

S.B. a causa di una realtà familiare complessa manifesta difficoltà di relazione e un disagio socio-culturale e affettivo. Gli è stato diagnosticato un disturbo dell’iperattività. Il DSM-IV parla di Disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività (DDAI), che è caratterizzato da tre aspetti fondamentali : disattenzione, iperattività e impulsività.

La disattenzione si manifesta con difficoltà nel focalizzare l’attenzione sui particolari o con la presenza di errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro o in altre attività; con difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco; con difficoltà ad ascoltare l’interlocutore che gli parla direttamente; con difficoltà nel seguire le istruzioni e portare a termine i compiti scolastici; con difficoltà di organizzazione dei compiti e delle attività; con sentimenti di avversione o riluttanza verso lo svolgimento di compiti che richiedono sforzo mentale prolungato per cui spesso capita che i soggetti affetti da tale disturbo durante un’attività si interrompono spesso e sono attratti da aspetti irrilevanti.

L’iperattività si manifesta con un eccessivo o inappropriato livello di attività motoria e verbale, con difficoltà a stare seduto, a giocare o dedicarsi a divertimenti in modo tranquillo.

L’impulsività rappresenta la difficoltà di inibire risposte inappropriate o affrettate. Può manifestarsi attraverso lo scarso controllo del comportamento, l’incapacità a ritardare una risposta, a comprendere le gratificazioni o a inibire risposte prepotenti.

Il DDAI ha un enorme impatto sul funzionamento scolastico. Molti autori ritengono positiva la possibilità di ricorrere a farmaci psicostimolanti (triciclici) che contribuiscono ad innalzare il livello di attenzione agendo direttamente sul controllo del comportamento e facilitando l’apprendimento. Tali farmaci non influiscono, però, in maniera determinante sulle performances scolastiche. Per questo, sono necessari interventi scolastici adattati individualmente che includano come mediatori l’insegnante, la classe, l’ambiente…

Ogni intervento farà riferimento ai dati rilevati in fase di valutazione iniziale.

S.B. incarna in pieno le caratteristiche del DDAI, nello specifico, non rispetta le regole, ha spesso atteggiamenti provocatori e, quando gli si parla, sembra non ascoltare. La situazione è acuita dal complesso di regole richieste dalla scuola elementare.

Nonostante le notevoli difficoltà individuate, sia nell’ambito degli apprendimenti (Lentezza della scrittura che è anche poco scorrevole, commette molti errori ortografici, che ripete anche dopo che è stato corretto, omette le doppie, ha poca memoria, interessi limitati e infantili) che relativamente alle manifestazioni comportamentali (scarsissima autostima, notevole difficoltà di relazioni, talvolta conflittuali con i coetanei; subisce l’insuccesso con frustrazione; ama le gratificazioni; disegna spesso mostri) egli presenta un’intelligenza nella norma, poiché entrambe le aree, apprendimento e comportamento, sono compromesse dal deficit e non dalla mancanza di potenzialità. Motivo questo per cui è necessario individuare e scegliere delle strategie di intervento efficaci.

 

A livello pedagogico, l’idea della personalizzazione formativa costituisce un criterio-regolativo generale dell’educazione: un principio formativo che esige attenzione alle differenze della persona nella pluralità delle sue dimensioni individuali (cognitive e affettive) e sociali (l’ambiente familiare e il contesto socio-culturale)[1]. Inizialmente è, dunque, necessario focalizzare l’attenzione sul soggetto in formazione, per individuarne le caratteristiche peculiari, sia per quanto riguarda l’area dell’apprendimento che per gli aspetti comportamentali, per poi concepire un’azione formativa in grado di apportare modifiche a tali caratteristiche.

Adattare l’insegnamento alle caratteristiche individuali degli alunni richiede precise e concrete strategie didattiche che si riferiscono ai due principi di individualizzazione e personalizzazione.

L’individualizzazione in senso stretto si riferisce alle strategie didattiche che mirano ad assicurare a tutti gli studenti il raggiungimento delle competenze fondamentali del curricolo, attraverso una diversificazione dei percorsi di insegnamento[2]. Lo scopo diventa il raggiungimento di obiettivi comuni per tutti gli alunni adattando l’insegnamento alle caratteristiche cognitive individuali degli alunni (codici linguistici, prerequisiti di partenza, stili cognitivi, ritmi di apprendimento…).

“La personalizzazione indica invece le strategie didattiche finalizzate a garantire ad ogni studente una propria formazione di eccellenza cognitiva, attraverso possibilità elettive di coltivare le proprie potenzialità intellettive[3]. Tale accezione si riferisce all’approccio teorico della pluralità di intelligenze, considerando le differenze individuali soprattutto sotto l’aspetto qualitativo, inteso come diversità della tipologia di intelligenza, piuttosto che sulla quantità. Attraverso la personalizzazione si intende favorire lo sviluppo delle eccellenze, dei punti di forza e delle preferenze di ogni studente.

Secondo Domenico Resico, la personalizzazione sta ad indicare la necessità di inserire all’interno dei curriculi, obiettivi, contenuti e attività in sintonia con i bisogni di ciascuna persona, che potranno quindi essere simili o totalmente differenti rispetto a quelli degli altri, personalizzati appunto[4].

Nel nostro caso, “una volta che abbiamo descritto il profilo del soggetto, articolato in deficit e abilità residue, possiamo progettare l’intervento educativo personalizzato in base alle sue esigenze[5]. Data la complessità del profilo, sarà necessario un intervento ad ampio raggio che si riferisca a molteplici strategie operative e che soprattutto sia coerente con l’ambiente di vita del bambino, creando un’alleanza significativa tra scuola e famiglia. Importantissima sarà la valutazione del contesto formativo, “luogo in cui si generano attese e bisogni caratteristici della specifica realtà sociale e nello stesso tempo, dove vengono a delinearsi problemi, vincoli e criticità[6].

Per attivare un intervento educativo rivolto ad alunni che presentano DDAI, è necessario considerare alcuni aspetti:

1.   Strutturazione del contesto e delle attività: è opportuno strutturare l’ambiente della classe in base alle esigenze del bambino iperattivo, in modo tale da ridurre gli stimoli e tenere sotto controllo il suo livello di attenzione e le sue reazioni comportamentali (ad esempio la disposizione dei banchi a ferro di cavallo favorisce il controllo dell’allievo da parte dell’insegnante; ridurre gli stimoli visivi, cartelloni, schede, che non si riferiscono all’attività in corso di svolgimento);

2.   Stipulare contratti educativi: una modalità per rendere più stimolante e motivante le attività è quello di modificare le contingenze, ossia cambiare di volta in volta i rinforzi, per poi via via eliminarli, al fine di fermare comportamenti disturbanti, originando un vero e proprio contratto educativo;

3.   Potenziamento di specifiche abilità: sono disponibili in letteratura numerosi training di potenziamento di quelle abilità (attenzione sostenuta, memoria di lavoro, pianificazione…) che solitamente sono compromesse dal disturbo;

4.   Training di abilità sociali: è opportuno agire sulla dimensione interpersonale del problema, dal momento che solitamente i comportamenti messi in atto dai bambini affetti da DDAI spesso determinano fastidio con conseguente isolamento da parte del gruppo dei pari;

5.   Training metacognitivi: bisogna puntare al raggiungimento della capacità di regolare e rinforzare il proprio comportamento in maniera autonoma.

 

Analizzati i bisogni formativi di S.B, è stato ideato un percorso didattico con il duplice scopo: a) di potenziare competenze e abilità deficitarie (aumento della fluidità della scrittura, consolidamento delle competenze ortografiche, potenziamento della memoria a breve e lungo termine, incremento dei tempi di attenzione); b) di indurre modifiche dei comportamenti problematici, attraverso l’acquisizione di consapevolezza dei rapporti conseguenti, migliorando in questo modo anche gli aspetti relazionali (aumento dell’autostima e del senso di autoefficacia, superamento delle difficoltà relazionali con i coetanei).

 

Progetto didattico “Pinocchio: dal burattino al bambino” .

 

Finalità

 1. Attivare la cooperazione e il lavoro di gruppo migliorando gli aspetti relazionali. Rafforzamento delle abilità sociali attraverso l’apprendimento cooperativo.  Partecipazione alla vita della classe nel rispetti delle regole;

 2. Presentare il racconto di Pinocchio/burattino, che rappresenta l’infanzia, la libertà, il divertimento in assenza di regole, puntando alla comprensione dei rapporti di causalità di eventi e situazioni e del rapporto azione/conseguenza;

 3. Aumentare i tempi di attenzione suscitando interesse e motivazione;

 4. Potenziare le competenze linguistiche riferendosi a diversi linguaggi espressivi (mimico-gestuale, grafico, verbale), utilizzando anche sussidi informatici come  momento di riflessione attraverso l’analisi di problemi e il confronto continuo con gli altri, ottimizzando i processi formativi;

 5. Educare all’ascolto in tutte le sue forme per un miglioramento della produzione linguistica e della comunicazione.

 

Metodologia e modalità: L’insegnante presenta il racconto di Pinocchio/burattino alla classe. cercando di enfatizzare gli episodi principali in cui il mancato rispetto delle regole o l’impulsività ha portato a conseguenze negative per il personaggio. Verrà richiesto agli alunni di rappresentare graficamente episodi della storia suddivisi in sequenze con didascalie al fine di migliorare la comprensione e la produzione. Si procederà ad individuare gli eventuali errori commentandoli e valorizzando gli aspetti positivi della produzione.

In seguito gli alunni verranno divisi in piccoli gruppi (max 4 bambini), ai quali verranno fatti rappresentare i vari personaggi, scambiando di volta in volta i ruoli, in modo da consentire lo spostamento del punto di vista e comprendere le varie dinamiche della storia. L’insegnante effettuerà un’azione di monitoraggio dell’attività attraverso un’osservazione sistematica degli eventuali comportamenti problematici indice messi in atto da S.B.

Si fa riferimento ad un ampliamento del formato tradizionale della didattica che Calvani definisce separatezza di momenti e ruoli “è l’insegnante stesso che decide il da farsi e conseguentemente agisce in aula”[7]

Alla fine della rappresentazione ogni bambino presenterà il suo punto di vista sulla scena rappresentata, cercando di capire se le conseguenze dell’azione erano prevedibili e dunque evitabili (ex. Cap. XIV-XV, Pinocchio per non aver dato retta ai buoni consigli del grillo parlante, si imbatte negli assassini e finisce impiccato ad un ramo della quercia grande).

Si attiverà in questo modo un iniziale approccio metacognitivo. L’ottica metacognitiva punta a formare nel soggetto abilità mentali superiori che vanno al di là dei semplici processi cognitivi primari. “Questo (è un) andare al di là (per) sviluppare nell’alunno la consapevolezza di quello che sta facendo, del perché lo fa, di quando è opportuno farlo e in quali condizioni[8]. Con queste parole vengono definite le finalità dell’approccio metacognitivo che sono quelle di rendere il soggetto gestore diretto dei propri processi cognitivi.

In sostanza, la metacognizione è la conoscenza del proprio funzionamento cognitivo e delle strategie messe in atto per controllare tale processo di conoscenza.

Nell’indurre il soggetto a mettere in atto comportamenti positivi, la relazione d’aiuto dovrà accompagnarne l’esecuzione, garantendo quasi (sempre) il successo costante delle azioni del soggetto.

Esempio utile potrebbe essere il seguente:

S.B. interrompe un membro del suo gruppo per la foga di esprimere una sua considerazione e, di fronte al rimprovero del compagno, gli si avvicina aggressivamente. L’insegnante dovrà essere bravo a cogliere e sfruttare l’occasione: dovrà affiancarsi all’alunno e chiedergli «Vuoi esprimere la tua idea? Allora aspetta che abbia completato la battuta, alza la mano ed intervieni»; se è necessario, potrebbe anche guidarlo fisicamente ma senza esagerare.

Ovviamente, all’inizio, il merito del comportamento positivo sarà di chi lo induce, ma un po’ alla volta il soggetto interiorizzerà l’intervento.

La tipologia di aiuti che possono essere utilizzati è molto ampia, ma un effetto particolarmente positivo è indotto dalle tecniche di facilitazione.

 La facilitazione è la forma-base dell’individualizzazione, in quanto prevede in generale, quindi per tutti gli alunni, la semplificazione del linguaggio, l’evitamento degli errori attraverso la riduzione significativa delle difficoltà, l’introduzione di aiuti diversificati, la frequenza degli incoraggiamenti e dei rinforzi con lo scopo di creare occasioni di successo scolastico[9].

Molto valide dal punto di vista della stimolazione dell’apprendimento e dell’acquisizione di competenze, le tecniche di facilitazione risultano efficaci anche nell’induzione di comportamenti positivi sostitutivi.

Tra queste tecniche si possono utilizzare:

-     Modeling/Modellamento: l’insegnante mostra come eseguire una determinata azione compiendola lui stesso in presenza dell’alunno; egli fornisce un modello chiaro ed evidente.

-     Shaping/Modellaggio: l’insegnante cerca di promuovere lentamente l’apprendimento di un’abilità completamente assente nell’alunno iniziando a rinforzare quei comportamenti che si avvicinano a quell’abilità, fino a che non si modellerà un comportamento nuovo, quello desiderato.

-     Chaining/Concatenamento: Il compito viene scomposto in fasi sequenziali che corrispondono a una serie di azioni che l’alunno sarà facilitato a compiere partendo dall’apprendimento di quella richiesta nella prima fase. Una volta acquisita, a questa ne verrà aggiunta una seguente e così via, fino ad aver appreso i comportamenti necessari all’apprendimento di un compito. (È prevista anche una procedura inversa).

Riferendoci nello specifico ai comportamenti problema tipici del DDAI e all’esempio sopra proposto, la tecnica di facilitazione per l’induzione di un comportamento positivo sostitutivo più appropriata è senza dubbio la Fading/Attenuazione : essa consiste nella riduzione graduale di stimoli facilitanti a livello verbale, fisico, o materiale, fino ad esaurirli completamente.[10]

Il comportamento positivo sostitutivo inizialmente indotto, successivamente autonomo, dovrà essere giustamente valorizzato, e la gratificazione è un ulteriore stimolo al consolidarsi del comportamento positivo.

Studi comprovati sottolineano il profondo legame esistente tra il livello cognitivo dell’individuo e le svariate caratteristiche della famiglia; in particolare alcuni studi (Borkowski e Carr, 1989)[11] sottolineano esplicitamente la relazione esistente tra competenze metacognitive e ambiente familiare.

La famiglia è individuata come il mediatore per eccellenza dei processi di apprendimento. L’ambiente familiare ma soprattutto l’azione svolta dai familiari può essere fondamentale allo sviluppo di alcune competenze metacognitive.

Albanese, ad esempio, sottolinea il ruolo importante della madre anche nella gestione e risoluzioni di situazioni o problemi familiari semplici. Ella sostiene che le madri che incoraggiano maggiormente lo sviluppo metacognitivo sono quelle che traducono il problema in termini che stimolino l’attenzione del bambino. “Esse propongono soluzioni, delegano poco per volta al bambino la responsabilità di risolvere il problema, indirizzano le prestazioni del bambino incoraggiandolo a controllare lui stesso ciò che fa[12].

Da queste considerazioni possiamo intuire quanto le competenze metacognitive si differenzino sin dalla prima infanzia.

 Anche le differenze culturali all’interno della famiglia sono all’origine di competenze metacognitive differenti. Da una ricerca effettuata da Carr et al. (1989) è emerso che i genitori interagiscono e correggono i comportamenti dei propri figli diversamente in relazione al contesto culturale in cui essi sono inseriti.

Nel nostro caso, riferendoci ai comportamenti problematici derivanti dal DDAI, possiamo asserire che ha grande influenza sull’eventuale interiorizzazione di un comportamento positivo il modo in cui i genitori lo inducono e, dunque, le informazioni che associano alla strategia punitiva o alternativa che mettono in atto. Talvolta un commento associato al rimprovero o ad un’indicazione è utile alla comprensione delle eventuali conseguenze di un comportamento negativo, e dunque può facilitare l’interiorizzazione di un modo di fare.

Si sottolinea, dunque, la necessità che gli insegnanti coinvolgano le figure genitoriali, mettendoli al corrente dell’intervento e soprattutto rendendoli partecipi della modalità di gestione del comportamento scelto.

 

Il piano successivo sarà quello di guidare i bambini alla creazione di un ipertesto che prevede due possibili linee di sviluppo della storia: una che segue il normale svolgimento degli eventi così come proposto dall’autore, l’altra propone modalità differenti di affrontare la stessa situazione mettendo in atto comportamenti positivi.

Tempi: ore frontali e ore di compresenza.

Spazi: aula; laboratorio multimediale.

Dispositivi metodologici e strumenti: materiale strutturato e non, libri, sussidi, schede.

Valutazione: Fasi gnostiche intermedie e sommative.

 Criteri: coerenza, efficacia, contestualizzazione organizzativa e didattica; integrazione e socializzazione.

 Strumenti: annotazioni diaristiche (per ogni lezione si descriveranno attraverso degli indicatori:

─comportamento, partecipazione in classe, performance della classe, idee iniziali dell’insegnante, commenti di rimando);

─osservazioni sistematiche; prove di verifica.

È necessario valutare l’efficacia delle metodologie in corso di svolgimento. Pertanto, procedure e strumenti di valutazione risultano indispensabili. Questo perché sarà proprio sulla base degli esiti dei processi valutativi attivati, mediante un’osservazione condotta sistematicamente, che sarà possibile modificare di volta in volta il percorso in relazione ai bisogni del soggetto.

 

Il progetto si propone di stimolare l’acquisizione di capacità di condivisione delle esperienze e di valorizzare le diversità per l’arricchimento reciproco. Sono questi gli obiettivi fondamentali alla base del processo di integrazione scolastica degli alunni disabili.

Bisogna considerare che l’istruzione individualizzata “consiste nell’adeguare l’insegnamento alle caratteristiche individuali degli alunni (ai loro ritmi di apprendimento, alle loro capacità linguistiche, alle loro modalità di apprendimento e ai loro prerequisiti cognitivi), cercando di conseguire individualmente obiettivi di apprendimento comuni al resto della classe[13].

In tal senso l’integrazione diviene una risorsa affinché gli alunni normodotati percepiscano le differenze presenti in ognuno di noi e siano capaci di aprirsi all’altro da sé. “Le discipline di insegnamento diventano il mezzo per promuovere la personalità dell’allievo in tutte le sue dimensioni e costituiscono la proposta formativa che rielabora la domanda sociale[14].

Per mettere in atto un vero processo di inclusione nel gruppo classe è necessario che ogni intervento didattico si proponga come effettiva modalità di mettere in atto una didattica integrata, in quanto solo se le attività proposte, anche se personalizzate, arricchiscono in qualche modo l’azione formativa rivolta al gruppo classe, l’integrazione può dirsi realmente tale.

 

 

Bibliografia

Baldacci Massimo, L’individualizzazione. Basi pedagogiche e didattiche, Pitagora, Bologna, 2000.

Calvani Antonio, Lezione introduttiva: la didattica ed i suoi contesti.

Fedele Daniele, Il deficit di attenzione con iperattività, in Cottini Lucio, Rosati Lanfranco, Per una didattica speciale di qualità, Morlacchi, Perugia, 2008.

Ianes Dario, Metacognizione e insegnamento, Erickson, Trento, 1996.

Borkowski J.G., Metacognizione e acquisizione di forza (“empowerment”). Implicazioni per l’educazione di alunni con handicap o difficoltà di apprendimento, in Renzo Vianello, Cesare Cornoldi (a cura di), Handicap, comunicazione e linguaggio, Juvenilia, Bergamo, 1988.

Lucia Chiappetta Cajola, Handicap e valutazione. La funzione di controllo nel processo formativo degli allievi disabili, Anicia, Roma, 1998.

La didattica integrata, dispensa del Lab. online “La programmazione nella didattica speciale”.



[1] Baldacci Massimo, L’individualizzazione. Basi pedagogiche e didattiche, Pitagora, Bologna, 2000.

[2] ibidem

[3] ibidem

[4] La didattica integrata, (dispensa del Lab.online “La programmazione nella didattica speciale”), p.2.

[5] Fedele Daniele, Il deficit di attenzione con iperattività, in Cottini Lucio, Rosati Lanfranco, Per una didattica speciale di qualità, Morlacchi, Perugia, 2008, p. 190.

[6] Calvani Antonio, Lezione introduttiva: la didattica ed i suoi contesti, p.3.

[7] ibidem

[8] Dario Ianes, Metacognizione e insegnamento, Erickson, Trento, 1996, p. 13.

[9] Lucia Chiappetta Cajola, Handicap e valutazione. La funzione di controllo nel processo formativo degli allievi disabili, Anicia, Roma, 1998, p. 87.

[10] Cfr., Lucia Chiappetta Cajola, op. cit., 1998.

[11] Cfr., J.G. Borkowski, Metacognizione e acquisizione di forza (“empowerment”). Implicazioni per l’educazione di alunni con handicap o difficoltà di apprendimento, in Renzo Vianello, Cesare Cornoldi  (a cura di), Handicap, comunicazione e linguaggio, Juvenilia, Bergamo, 1988.

[12] Ottavia Albanese, op. cit.,1998, p. 37.

[13] La didattica integrata, (dispensa del Lab.online “La programmazione nella didattica speciale”), p.2.

[14] ibidem


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