PRECARI E DIDATTICA

Umberto Tenuta

 

Con i precari è costretto a cominciare anche il neo Ministro della Pubblica Istruzione.

È questo il segno tangibile della situazione della scuola italiana: i problemi del personale scolastico vengono prima dei problemi della didattica cui dovrebbero essere funzionali.

Tuttavia, occorre prendere atto che la scuola è nata dall’esigenza di assicurare la formazione delle nuove generazioni, non certamente dall’esigenza di assicurare il posto di lavoro ai docenti.

Non che il posto di lavoro non sia un problema importantissimo, ma si tratta di un problema che nasce solo in quanto l’attività del docente è funzionale al problema primario che è quello della formazione delle nuove generazioni: se i giovani nascessero già formati o si formassero da soli, il problema del posto di lavoro dei docenti non nascerebbe.

Eppure, negli ultimi trent’anni la situazione si è capovolta: ai problemi primari della scuola, che fino agli anni ’70 sono giustamente stati quelli della formazione dei giovani, si sono sostituiti i problemi dell’occupazione dei docenti, cui sono stati subordinati sia i problemi didattici che i problemi organizzativi della scuola, sé vero, come qualcuno pensa, che tempo pieno, tempo lungo, attività integrative, Progetti educativi ministeriali, organizzazione modulare della scuola elementare ecc. sono stati attuati anche e soprattutto in vista dei gravi problemi occupazionali dei docenti.

Ora, in questa situazione, ciò che guasta non è la opportuna attenzione ai problemi occupazionali, ma il fatto che non v'è almeno una pari attenzione ai problemi fondamentali della formazione dei giovani.

Dal neo Ministro Moratti ci aspettiamo che, dopo la dovuta attenzione ai problemi dell’occupazione dei precari, l’attenzione sia rivolta alla qualità del servizio scolastico, qualità che significa effettivo impegno di assicurare il <<pieno sviluppo della persona umana>>, che la Costituzione pone come impegno essenziale della Repubblica e che il Regolamento dell’autonomia scolastica assume come obiettivo fondamentale della scuola dell’autonomia.

In questi giorni si discute di esami, di promozioni e di bocciature, ma non si va al cuore del problema.

Nella logica dell’efficacia e dell’efficienza, il problema non è tanto quello di individuare gli scarti della produzione, quanto di evitarli: nella scuola non si tratta di accertare quali alunni meritano la promozione e quali no, ma di impegnarsi a far sì che tutti, o il più gran numero di alunni, meriti la promozione.

Non è questa l’utopia di Don Milani, ma è la prospettiva che dovrebbe risultare la più plausibile in una civiltà avanzata sul piano della ricerca e della conoscenza, nella quale non c’è problema che non venga affrontato e quasi sempre risolto.

Anche i problemi del <<pieno sviluppo della persona umana>> possono essere affrontati e risolti, almeno garantendo il massimo dell’efficacia dei processi formativi.

Il problema vero della scuola è quello di realizzare un sistema formativo integrato che, prima, a cominciare dall’azione formativa della famiglia e dei contesti socioculturali, e poi, a cominciare dalla scuola dell’infanzia, assicuri le migliori condizioni per promuovere la piena formazione di tutti i giovani.

Se è vero che l’educazione delle nuove generazioni costituisce il problema fondamentale della società, sotto tutte le angolazioni, da quelle dei diritti della persona umana a quelli della convivenza democratica e dell’economia, evidentemente occorre assicurare l’efficacia del sistema formativo integrato.

Non si tratta solo di aumentare gli investimenti quanto di cominciare a rendere produttivi quelli già esistenti, impegnandosi nella razionalizzazione dell’organizzazione educativa e didattica e soprattutto nella formazione in servizio dei docenti.

Nella scuola si sono creati equivoci in ordine agli obiettivi formativi da perseguire ed all’organizzazione educativa e didattica, ma soprattutto non si sono assicurate le concrete condizioni perché i Dirigenti scolastici, i Docenti ed il personale ATA potessero realizzare la loro formazione in servizio.

Nell’ultimo Contratto nazionale di lavoro si è affermato che l’aggiornamento costituisce un diritto dei docenti, ma basterebbe che i docenti di Educazione musicale, di Educazione motoria, di Matematica, di Scienze, di Filosofia ecc. chiedessero ai Dirigenti scolastici di essere messi nella condizione di soddisfare il loro diritto all’aggiornamento negli ambiti disciplinari di relativa competenza, per mettere in crisi la scuola.

Tra i mille e uno monitoraggi che nella scuola si fanno, basterebbe farne uno per acclarare in che modo i docenti delle singole discipline hanno avuto la possibilità di realizzare il loro effettivo aggiornamento sul piano dei contenuti disciplinari, didattici, relazionali ed organizzativi nell’ultimo decennio.

Per rendersi conto di quanto insufficiente sia risultato l’attuale sistema di aggiornamento, pervicacemente burocratizzato in ogni suo momento, basterebbe prendere atto che, malgrado l’ultimo eclatante fallimento dell’aggiornamento dei Dirigenti scolastici, affidato agli enti accreditati dall’Amministrazione scolastica, nessuno ancora ha avuto la felice idea di liberalizzare per intero le procedure dei corsi di aggiornamento, restituendo ai docenti la competenza che già i Decreti delegati del 1974 loro attribuivano.

Basterebbe che i docenti - e così pure i Dirigenti scolastici ed il personale ATA - potessero esprimere le loro effettive esigenze di aggiornamento, programmare e gestire autonomamente i corsi di aggiornamento, senza vincoli burocratici relativi ai finanziamenti, al reperimento degli esperti. Ancora oggi, invece, l’Amministrazione scolastica ha la pretesa di indicare, non solo le tematiche, ma anche le modalità di realizzazione dei corsi di aggiornamento e soprattutto quali sono le agenzie e gli esperti da utilizzare.

Dovrebbe apparire scontato che in regime di autonomia il compito dell’Amministrazione scolastica è solo quello di verificare che le istituzioni scolastiche assicurino ai singoli alunni, non tanto il conseguimento del titolo di studio, di cui peraltro sarebbe il caso di abolire il valore legale, quanto il successo formativo, in termini di piena formazione della persona umana, nel rispetto delle identità personali, sociali, culturali e professionali dei singoli alunni.

È appena il caso di evidenziare che le metodologie e le tecnologie educative comunemente utilizzate nelle scuole non reggono il confronto con gli avanzamenti realizzati in ogni campo dell’attività umana, quali quelli dell’informatica, della medicina, delle scienze ecc.

Ma il fatto gravissimo non è tanto l’esistenza di questa situazione, quanto che nessuno si preoccupi di creare le condizioni perché essa cambi, affrontando effettivamente i problemi che riguardano la motivazione degli alunni all’apprendimento ed il loro successo nei processi apprenditivi, problemi che passano attraverso la formazione iniziale dei docenti e soprattutto attraverso la formazione in servizio. Occorre che oggi, e non domani, i docenti tutti siano messi nelle condizioni, non tanto di seguire generici corsi di aggiornamento, quanto di aggiornare effettivamente le loro competenze soprattutto sul piano della didattica.

Si è scritto che il cuore della scuola dell’autonomia è la didattica (1).

Ci auguriamo che il neo Ministro della pubblica istruzione punti al cuore dei problemi della scuola, che sono appunto quelli della qualità dell’azione educativa e didattica che ogni giorno i docenti svolgono dentro le aule scolastiche.

Al più presto!

 

Note

1 In merito cfr. Umberto Tenuta, Didattica: Cuore dell'Autonomia in DIDATTICA@EDSCUOLA.COM
Alla predetta rubrica si rinvia per l’approfondimento delle problematiche della didattica.