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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

L’AULA COME SISTEMA DELLA RELAZIONE INTERPERSONALE

 

 

Contributo del prof. Davide A. Leccese

Dirigente scolastico

LICEO CLASSICO “V. LANZA”

FOGGIA

 

 

E’ vivo il dibattito, nella scuola italiana e nella società in genere, sul sistema formativo: l’estenuante attesa di una “Riforma” avviluppa tutte le richieste e possibili interpretazioni non solo del ruolo della scuola nella formazione dell’uomo e del cittadino, ma anche – dati i risvolti “politici” delle questioni e lo stato dei lavori in corso - sul carico di “valore futuro” dell’istruzione.

Se affidassimo le risposte ad una sola delle categorie interessate alla questione generazionale, avremmo sicuramente risposte pertinenti ma parziali: psicologi, sociologi, pedagogisti, economisti, politici in senso stretto avrebbero interpretazioni e soluzioni che, poste a confronto, finiscono regolarmente per non combaciare. E ce ne accorgiamo proprio in questi giorni, quando il Governo e il Parlamento discutono, appunto, della Riforma della scuola, senza trovare una soluzione che soddisfi non solo gli schieramenti in campo (politico) ma i vari “fronti” di analisi.

Della grande questione del ruolo della scuola, del suo impegno formativo, ho scelto un versante probabilmente meno diretto, meno pressante sui dati in discussione; forse per questo potrebbe trovare consenzienti, sui principi generali, i vari e contrapposti schieramenti; anche se corro il rischio di prendermi la definizione di “teorico” o, peggio ancora, di “qualunquista”.

Da tempo coltivo la riflessione sulla COMUNICAZIONE DIDATTICA; ritengo che gran parte della riuscita della relazione formativa passi sì sui contenuti, sulla identità dei partners, ma sia convogliata fortemente dal modo di relazionarsi dei soggetti, dal sistema di mettere “in fusione” le specificità reali, fatte di mente, corpo, anima, emozioni, idee, respiri.

Ecco il significato di questo contributo:L’AULA COME SISTEMA DELLA RELAZIONE INTERPERSONALE.

E’ un tragitto di riflessione che sicuramente non aggiunge molto alle già possedute consapevolezze umane e professionali dei presenti, ma vuole essere soltanto una guida alla comune riflessione sul tema: non si abbonda mai nella condivisione delle idee, se queste sono destinate all’accettazione di un partecipato progetto di vita per i giovani che sono affidati alla nostra “cura” di educatori e di docenti.

***

Invece di impostare una premessa astratta, preferisco partire da una “icona”:In Turchia è stata riportata alla luce una città – AFRODISIA – e lo scrittore Giuseppe Pontiggia, in un suo articolo sulla scoperta archeologica, la descrive come una città apparsa “irreale”. E’ la sensazione che ciascuno di noi prova di fronte alle rovine dell’antichità: un silenzio che parla, una staticità che richiama sepolte consuetudini di vita, un via vai di fantasmi di vite scomparse, eppure riconducibili alla realtà grazie al potere immenso e magnifico dell’uomo di pensare quanto non è più e che pure fu.

La memoria, il ricordo: lì dove non interviene una fede religiosa, che fa credere ad una vita dopo la vita terrena, interviene – in ogni epoca e in ogni luogo della Terra – la memoria, il ricordo, l’interpretazione delle tracce, l’analisi e la decriptazione dei segni che solo la CULTURA può compiere con rigore e consapevolezza.

La scuola agisce come grande luogo e forte momento del recupero della MEMORIA, decriptando appunto i segni del passato e disgelando la presenza della vita (sia essa umana, animale, vegetale, cosmica insomma) nel corso dei millenni e dovunque nell’universo.

Ma solo nella scuola, attingendo alla vita di tutti e di ciascuno, il macrocosmo e il microcosmo s’intersecano prestando strumenti di lettura e d’appropriazione della conoscenza per l’uomo d’oggi e per quello di domani. Tempo e spazio si configurano come le corsie interpretative del reale verso un insopprimibile bisogno di capire, di fare nostro, di far diventare “il tutto”, noi.

Eppure, paradosso della vita, avvertiamo il bisogno di capire quel che è avvenuto, le esistenze e i luoghi lontani da nostro vissuto quotidiano e non sentiamo pressante o non intenzioniamo la comprensione della città reale, le esistenze e i luoghi del nostro presente, dell’hic et nunc.

Prendendo a spunto una ben nota espressione del filosofo Campanella, che idealizzava la “Città del Sole”, oggi assistiamo alla città degli isolati, dei solitari, del viversi affianco ma mentalmente ed affettivamente inefficaci.

I luoghi sono sempre più attraversati dalla contraddizione, così espressa:

·                     Massima liberalità nei rapporti e sostanziale sospetto nelle relazioni sociali a differenza del passato, caratterizzato da stringenti schematismi relazionali;

·                     Incredibile possibilità di contatti e diffusa diffidenza della vicinanza.

L’aula scolastica – per andare direttamente al “luogo” della nostra riflessione, diventa così una specie di “Arca di Noè”, lo spazio mobile e d’emergenza destinato a salvarci da una sorte di catastrofe annunciata o temuta. In questo spazio si realizzano le “concomitanze”, il vivere a gomito:

·                     Tra stili di vita

·                     Tra livelli sociali

·                     Tra possibilità economiche diverse

·                     Tra razze, religioni, etnie, culture, nazionalità

·                     Tra aspettative originali di ciascuno

Eppure in questo auspicato Eldorado (per andare ad un’altra immagine usata o abusata)

·                     L’interlocutore è cercato in relazione a una COMUNICAZIONE a una direzione

·                     Vige l’esasperato “secondo me…”

·                     Le certezze momentanee surrogano la ricerca della certezza nell’epoca della probabilità cosmica.

 

TOCCA ALL’AULA IL COMPITO DI COMPATTARE LE ESPERIENZE DI VITA DEI GIOVANI

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Lo scenario di fondo delle nostre aule – in negativo – è costituito da un’idea centripeta, chiusa in se stessa, ci città.

La città “centripeta”, chiusa, ghettizzante, tradizionale, rende centripete tutte le strutture sociali della comunità.

Questa condizione di apparente “comodità tradizionale” significa, alla fin fine, il restringimento dei confini mentali, creativi e – quindi – esistenziali.

La qualità del vissuto finisce per essere la gestione ripetitiva dell’esistente; e non c’è niente di più deludente e pericolosamente imitativi, per un giovane, che abituarsi a ripetere schemi non proiettati al cambiamento come crescita, come progetto di vita.

Una città centripeta, ripiegata su se stessa, paradossalmente dà l’impressione di guardare avanti ma lo fa negando la sua identità storica, economico-sociale, dimenticando che la linea di dialogo è sempre una linea di continuità/discontinuità tra passato-presente-futuro.

In una città centripeta diventano centripete la scuola e l’aula. Mirano a diventare il punto di riferimento circolare delle identità delle cose da fare, dei pensieri da pensare e delle emozioni da sollecitare, secondo uno schema istituzionale

La ripetitività degli spazi “noti” spinge alla facilitazione delle regole da applicare ma, nello stesso tempo, blocca il superamento dei “confini noti”.

Gli spazi tradizionali e ”noti” fanno crollare le strutture associative della mente e le sostituiscono con strutture prefabbricate.

Predominano gli slogan (le frasi fatte e ripetute), come loghi mentali preconfezionati.

Nasce una società scolastica introversa, dove predomina l’eco e si afferma una relazione senza intimità, non adatta a visioni contrastanti.

Gli spazi tradizionali hanno come caratteristica comune di essere ambienti totalizzanti e, quindi, privi di comunicazione effettiva.

Si attenua la ragione fondamentale del “mezzo comunicativo”: La principale qualità del mezzo deriva dal motivo sociale per cui lo si usa e non dal mezzo in sé.

Un’aula senza comunicazione è costituita da blocchi contrapposti, ognuno nei propri spazi ridotti mentali ed emotivi: blocco alunni – blocco docenti – blocco genitori.

Un’aula comunicativa agisce su un codice di coesistenza delle specificità e delle originalità delle generazioni: interpretare la relazione significa saldare tempi e spazi dei “correlati”.

In conclusione: cerchiamo una città “adatta” per una scuola adatta; una scuola che ci aiuti a concepire lo spazio come relazione tra viventi.

La soluzione è nella “navigazione formativa” degli spazi nell’era della globalità.

Scrive Claudio Volpi:” La condizione umana nella società contemporanea appare contrassegnata da ansia e insicurezza crescenti. La perdita di capacità di orientamento, dovuta a continue innovazioni, e la difficoltà di valutare la ‘quotidianità’ come tale, comportano la ricerca di nuove modalità comunicative, cognitive ed affettive attraverso cui recuperare il senso profondo delle cose, quel ‘modo’ messo tra parentesi dalla globalità tecnologica”.

Lo spazio-aula è un luogo navigato all’insegna della reciproca scoperta.

Aula come luogo libero, arioso, dove soffia lo spirito.

Lo spazio ‘burocratico’ deve tener conto dello spazio corporeo di ogni abitante….

Essere accettati come ‘spazio’ significa personalizzare, ai fini della relazione, i luoghi formativi.

Uno spazio-aula non adeguato ai fini formativi è un messaggio di scarsa credibilità del “rilievo formativo” che la società assegna alla scuola

E’ TIPICO DELLA CULTURA OCCIDENTALE FARE DELLA COMUNICAZIONE LINGUISTICA  - sovente per codici espressivi parietati -   IL COMPORTAMENTO COMUNICATIVO PREVALENTE ED IN SENSO STRETTO. L’AULA DIVENTA UN LUOGO IN CUI DOMINA LA PAROLA E NON LA GESTUALITA’ TOTALE DEL CORPO.

PROGETTARE LO SPAZIO

La percezione soggettiva, ma solidale, dello spazio scolastico deve essere un modo coerente di applicare le idee, avvertire le emozioni, selezionare le “pratiche”, in prospettiva dell’azione adulta, a cui il giovane è chiamato, in un prossimo futuro

LE REGOLE DELL’AULA

Ogni regola è una restrizione, non necessariamente negativa.

“La restrizione dello spazio sociale implica l’assunzione sul proprio Io di una serie di responsabilità che l’uomo isolato non può tollerare, se non riesce a condividerle con qualcuno, ad elaborarle nella comunicazione interpersonale e nella progettazione collettiva” . (F. Le Play)

LA NORMALITA’

Le regole dell’aula alludono all’accettazione delle norme. L’accettazione delle norme allude alla “normalità”. La comunicazione per l’adeguamento alle norme, senza il rispetto della convergenza dei messaggi, distingue in base allo stereotipo della normalità.

Qual è la “normalità” che funge da parametro per i giovani e per gli educatori?

l                   La scuola registra disagio e a volte lo crea;

l                   La società si merita la scuola che produce;

l                   La scuola si merita la società che genera;

l                   Scuola e giovani si fanno reciprocamente “male”

L’alunno indisciplinato è chi non “conviene” non tanto con le regole quanto con un progetto educativo

v                  Non sempre il “disagio” è segno di negatività, se spinge a porsi delle domande e a darsi delle risposte

v                  Il disagio è positivo se è una condizione di “transito”

v                  Il “dolore” delle scelte difficili è generatore di gioia

L’alunno indisciplinato non vuole avere un codice da imparare ma un leader da seguire

l                   Regolamentare sovente viene visto come “normalizzare”

l                   L’idea dell’antagonista non sempre significa che il giovane cerca il conflitto, ma la dialettica

l                   Una “colpa” non interiorizzata, non è avvertita per tale, ma sovente è vissuta come occasione di credito nella tribù o nel branco giovanile

LE SOLUZIONI POSSIBILI

Superare la sostanziale rigidità tra chi pone in antitesi il mondo dell’inorganico materiale e quello organico

CIO’ E’ POSSIBILE CON UNA VIA DI COMUNICAZIONE TRA SISTEMI DISCIPLINARI TRADIZIONALMENTE SEPARATI: LE SCIENZE NATURALI, LE TECNICHE E LE SCIENZE UMANE

SPAZIO E TEMPO

Diventano:

*                     Io sono qui, adesso, in questo luogo

*                     Io sono qui per qualche ragione

*                     Altri sono qui, adesso, in questo luogo

*                     Devo pensare che ci siano per le stesse ragioni

*                     Conviene comunicarci il condiviso spazio e la condizione coeva della nostra esperienza

*                   Se vivo adesso e qui consciamente o inconsciamente, saldo a questo tempo e a questo luogo la mia visione del mondo

Mi conviene vivere questo spazio e questo tempo come spazio mentale ed affettivo e questo tempo come “profezia” (investimento in ipotesi da costruire)

L’AULA E’ FORMATIVA

Quando l’alunno:

                       sa costantemente relazionare il suo voler sapere con quello degli altri

                       sa costantemente avvertire la intrinseca valenza sociale e civica del sapere

                       impara a valutare i livelli del suo progressivo apprendere

DALL’AULA AI MONDI POSSIBILI

L’aula scolastica costituisce una parentesi ad includendum del mondo reale

I “viaggi” nelle materie d’insegnamento significano praticare spazi mentali di mondo reali e potenziali

L’apprendimento in aula “simula” la realtà ma non la falsifica inventandosela o riducendola a simulacro mentale

L’AULA E REALITY KIT

v                  L’aula, simulando la realtà, costruisce modelli per il reality kit, cioè il materiale con cui costruire il senso della vita quotidiana come sopravvivenza (vivere al di sopra del biologico) della vita quotidiana

L’AULA COME TERRITORIALITA’

La “territorialità” rappresenta un’esperienza biologica fondamentale dell’uomo, che segna il suo spazio come “vissuto”, come “dominato”, nel senso dell’appartenenza.

L’aula deve essere “segnata” come appartenenza; solo così le esperienze individuali diventeranno coesione sociale del gruppo scolastico.

LA CULTURA REALE – LA REALTA’ CULTURALE

La realtà culturale – di cui la scuola è propositrice – nei suoi processi formativi, opera sulla cultura reale;

“La cultura reale agisce per feedback: il comportamento del docente e dell’alunno vengono periodicamente confrontati con il risultato da conseguire; il successo o il fallimento di questo risultato modificano il comportamento futuro”. (Cfr. N. Wiener, 1966).


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