Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

ASSISTENZA: LE RICHIESTE DI CONTRIBUTI AI PARENTI DI ANZIANI E DISABILI SONO ILLEGALI. L’ADUC CHIEDE L’INTERVENTO DEI PREFETTI CONTRO COMUNI E ASL

 

LETTERA AI PREFETTI


Firenze, 9 Maggio 2005


Gentile signor Prefetto.

Le leggi vigenti in materia di assistenza ai soggetti con handicap grave e ultrasessantacinquenni non autosufficienti sono di una chiarezza cristallina. Nonostante ciò, le ASL ed i Comuni le ignorano per pretendere illegalmente contributi economici dai loro parenti (coniuge, figli, genitori, nuore, suoceri, fratelli e sorelle).

L'articolo 25 della legge n. 328/2000 "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali", stabilisce che “ai fini dell'accesso ai servizi disciplinati dalla presente legge, la verifica della condizione economica del richiedente è effettuata secondo le disposizioni previste dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, come modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130". Secondo il quale: "per le prestazioni di natura socio-sanitaria erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave, nonché a soggetti ultrasessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle Unità sanitarie locali, deve essere presa in considerazione la sola situazione economica dell'assistito". Norme, quindi, in base alle quali i Comuni, le Province, le ASL e gli altri enti pubblici per il calcolo dell'ISEE (Indicatore Situazione Economica Equivalente) devono prendere in considerazione la situazione economica del solo assistito (e quindi non quella dei congiunti anche se conviventi e tenuti agli alimenti).

Disposizioni dalle quali appare più che chiaro, anche, che il contributo ai parenti per prestazioni socio-sanitarie o ricoveri in strutture pubbliche o convenzionate, possono essere, eventualmente, richiesti solo dall'assistito stesso (cfr. l'art.438 del codice civile) o dal suo tutore; non esistono leggi che consentano agli enti pubblici di sostituirsi alla persona avente diritto agli alimenti.

La illegittimità della suddetta pretesa è ancora più grave ove si consideri che l'ente pubblico non solo si arroga un diritto che non ha, ma pretende anche di determinare l'importo che dovrebbe essere versato dai congiunti, arrivando addirittura a sostituirsi al giudice. Infatti il 3° comma dell'art. 441 del codice civile stabilisce quanto segue: "Se gli obbligati non sono concordi sulla misura, sulla distribuzione e sul modo di somministrare degli alimenti, provvede l'autorità giudiziaria secondo le circostanze".                                                                                                                                    

Le questioni sopra esaminate sono scandalose non solamente sotto il profilo economico, ma anche e soprattutto sotto il profilo etico-sociale e politico. Infatti nei casi di persone colpite da handicap invalidanti o da malattie croniche, gli Enti pubblici invece di esprimere atti concreti di solidarietà, sottraggono ai loro congiunti somme di denaro non dovute, sovente di importo non indifferente. A volte avviene, addirittura, che le contribuzioni siano imposte con odiosi ricatti: se non firmate, il vostro familiare non verrà ricoverato. Al riguardo si fa presente che numerose sentenze della Corte di Cassazione stabiliscono che è punibile a norma dell'art. 610 del codice penale, chiunque costringa un familiare, con violenza e minaccia, a sottoscrivere impegni economici non dovuti. La Suprema Corte ha precisato che "ai fini del delitto di violenza privata non è richiesta una minaccia verbale o esplicita, essendo sufficiente un qualsiasi comportamento od atteggiamento, sia verso il soggetto passivo sia verso altri, idoneo a incutere timore e, a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, onde ottenere, mediante tale intimidazione, che il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualcosa".

Stando così le cose, il percorso che noi consigliamo consiste nell'accettare la sottoscrizione dell'impegno a versare il contributo economico richiesto dal Comune (o da altro ente gestore dei servizi), e nell'invio, appena ottenuto il ricovero del soggetto (comunità alloggio per handicappati, Rsa per anziani cronici non autosufficienti, ecc.), della disdetta dell'impegno sottoscritto.

Si tratta, com'è evidente, di azioni estremamente difficili da assumere da parte delle persone quasi sempre inesperte; molto spesso esse si lasciano convincere dalle notizie false trasmesse dagli operatori circa presunti obblighi dei familiari di svolgere le funzioni che le leggi hanno, invece, assegnato al Servizio sanitario nazionale ed ai Comuni.

Inoltre, i congiunti sono pressati dalla ricerca di soluzioni urgenti (comprese, molto spesso, quelle che non tengono conto dei diritti dei loro familiari) e temono ritorsioni da parte dell'istituzione con la quale dovrebbero entrare in conflitto. Vi è, altresì, da tener presente che, mentre nei confronti dei cittadini che violano le leggi c'è una molteplicità di sanzioni possibili sul piano civile e penale, gli enti pubblici, nonostante le disposizioni dell'art. 28 della Costituzione (“I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tal caso la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”) sono protetti dalle leggi a tal punto che vi sono funzionari e amministratori che si sentono autorizzati a trasgredirle, sostenendo ovviamente che così agiscono nel superiore interesse delle persone in difficoltà! D'altra parte i Difensori civici (per volere politico) non hanno alcun potere coercitivo nei confronti delle Regioni, dei Comuni e degli altri enti pubblici che violano la legge. Le Regioni finora non hanno assunto alcuna concreta iniziativa per il rispetto delle leggi vigenti, dando in questo modo ampio spazio alle illegalità compiute in materia da Comuni, Province e Asl. Anzi, alcune, tra cui la Regione Toscana, hanno approvato provvedimenti in cui è previsto che gli enti gestori dei servizi socio-assistenziali devono pretendere contributi economici dai parenti di assistiti maggiorenni (e cioè coniuge, figli, genitori, nuore, suoceri, fratelli e sorelle).

Per quanto riguarda le risorse, premesso che in nessun caso gli enti pubblici possono violare le leggi vigenti, si fa presente che i Comuni singoli e associati destinano importanti somme agli anziani cronici non autosufficienti, le cui prestazioni, in base alle vigenti disposizioni di legge, competono esclusivamente alla sanità. Nessuna legge nazionale o regionale prevede la cosiddetta quota alberghiera, quota che è stata inventata per ingannare i cittadini e per sottrarre illegalmente denaro ai malati (e spesso anche ai loro congiunti).

I Comuni sostengono di non avere alcuna possibilità di applicare le norme vigenti in quanto non disporrebbero delle risorse necessarie per compensare le minori entrate conseguenti all'esclusiva valutazione della situazione economica personale dei soggetti con handicap grave e degli ultrasessantacinquenni non autosufficienti. Si tratta di una scusa puerile, in nessun periodo storico, recente o di antica data, gli enti pubblici hanno riconosciuto di avere mezzi economici da destinare alla fascia più debole della popolazione. Mentre le illegali richieste di contributi economici ai congiunti di anziani non autosufficienti e di soggetti con handicap grave, hanno ridotto in povertà centinaia di migliaia di famiglie e tale rovinosa situazione rischia di aumentare, gli enti pubblici nazionali e locali continuano a destinare somme ingentissime per assistere persone che non hanno alcuna esigenza di essere aiutate.

È molto significativo osservare che in nessuno dei numerosi settori non assistenziali (casa, lavoro, scuola, ecc.) viene praticata dai Comuni la richiesta di contribuzione ai parenti nemmeno se conviventi (salvo in qualche caso il coniuge). I contributi erogati da Regioni e Comuni per il sostegno dei nuclei familiari in difficoltà per il pagamento dell'affitto delle loro abitazioni, i sussidi di disoccupazione, gli emolumenti ai lavoratori in cassa integrazione, l'assegnazione gratuita o a prezzi di favore dei terreni comunali da utilizzare per la costruzione di alloggi dell'edilizia agevolata, l'assegnazione degli alloggi popolari da parte delle Aziende territoriali per la casa (ex Iacp), l'ammissione al patrocinio a carico dello Stato (già gratuito patrocinio).

A questo punto si pongono due interrogativi: perché molti amministratori e operatori ritengono eticamente corretta la richiesta di contributi economici ai parenti tenuti agli alimenti per i servizi socio-assistenziali e nulla obiettano per il mancato coinvolgimento dei congiunti per le attività sopra elencate (soggiorni di vacanza, sostegno economico per l'affitto, assegnazione alloggi popolari, ecc.), nonostante che anch'esse abbiano natura assistenziale ed i cui oneri a carico del settore pubblico siano molto gravosi e certamente superiori ai mancati introiti derivanti dalla corretta applicazione delle vigenti norme sui parenti tenuti agli alimenti? Perché non è giusto che dalle contribuzioni siano esentati i congiunti in difficoltà a causa della situazione di non autonomia dei loro parenti e lo siano quando i familiari sono pienamente autosufficienti e spesso anche benestanti?


Gianfranco Mannini, delegato Aduc


La pagina
- Educazione&Scuola©