La continuità didattica

di Rolando Alberto Borzetti

La continuità educativa nel processo di integrazione degli alunni portatori di handicap è uno di quei diritti garantiti, ma purtroppo non viene rispettato.

Nella scienza educativa, il concetto di continuità educativo-didattica, fa riferimento ad uno sviluppo e ad una crescita dell’individuo da realizzarsi "senza macroscopici salti o incidenti": ogni momento formativo deve essere legittimato dal precedente per ricercare successive ipotesi educative ricche di senso e di significato per l’autentica, armonica integrazione funzionale delle esperienze e degli apprendimenti compiuti dal bambino.

La circolare 1/88, parla di continuità del processo educativo, come fattore rilevante per la positività dell'esperienza scolastica di ogni alunno, per il bambino portatore di handicap.

Inoltre sulla continuità educativa in senso lato e per tutti gli alunni (compresi gli alunni con handicap) si parla nel D.M. 16-11-90 e nella C.M. 339/92.

Infine, nel collegato alla Legge Finanziaria n. 662 del 23-12-96 art. 1 c. 72, è previsto il principio che sancisce: "è garantita la continuità del sostegno per gli alunni portatori di handicap", in attuazione all'art. 14 comma 1 lett. C, L. 104/92.

La mancanza di continuità didattica dello stesso insegnante negli anni seguenti; un numero sempre più maggiore di insegnanti non specializzati a cui vengono affidati i nostri figli;
una tutela sindacale sbilanciata a sfavore dell'utenza; l'inerzia politica!

Sono tutti fattori che incidono negativamente. Si tratta di un disservizio gravissimo, che  danneggia in modo particolare le figure più deboli, quelle che maggiormente avrebbero bisogno di relazioni stabili e sicure.

Continuità educativa e didattica…una parola dimenticata spesso , anzi diciamo proprio dimenticata dalle OO.SS. e dalla macchina burocratica dell'Amministrazione Scolastica.

Chissà se forse, è giunto il momento di rivedere alla radice il modello contrattuale che regola le prestazioni dei docenti, superando una logica troppo impiegatizia che non tutela a sufficienza i diritti di apprendimento degli alunni.

Forse,  direi  che anche giunto il momento che, nei contratti riguardanti professioni al servizio della persona, siano presenti soggetti di tutela dei diritti delle persone, con forza contrattuale propria. Chissà, forse, in questo modo si renderebbe più efficiente il servizio
pubblico, forse si ridurrebbe la palude che induce spesso alla lentezza
burocratica da parte delle amministrazioni e alla logica corporativa dei contratti.Certamente  non parlo solo dei contratti del comparto scuola ma per tutti quei comparti (Enti Locali, Sanità etc..) nei quali si erogano servizi alle  persone.


 

CONTINUITÀ EDUCATIVA E DIDATTICA

di Giuseppe Greco (*)

 

Dopo la fase delle discussioni teoriche e delle sperimentazioni degli anni '80, che non bisogna considerare affrettatamente inutili e/o sorpassate, sul tema della continuità non si può non evidenziare come, negli anni '90, si è tentato con vari interventi, legislativi e non, di passare alle concrete azioni educative e didattiche generalizzate. Anche se non è possibile in questa sede, fare una panoramica delle sperimentazioni che in quegli anni si svolsero nelle scuole italiane, pure è utile rivedere bibliografie, rubriche di riviste scolastiche, atti di convegni dove questo tema, già da allora, risultava di crescente importanza per la scuola militante e per la riflessione pedagogica (Scocchera 1983 S. Guerra Lisi 1992 M. e P. Calidoni 1985). Allora come oggi, non si sottolineava a sufficienza un'esigenza di riflessione teorica che mi sembra ancora necessaria anche se il linguaggio usato oggi è certamente più adeguato ed è stata raggiunta una maggiore consapevolezza che questo tema deve avere per la qualità della formazione.

La tematica e l'esigenza della continuità si sono progressivamente imposte nella cultura pedagogica solo quando sono risultati sempre più evidenti i danni della discontinuità del sistema educativo italiano.

Le norme

Partendo da questa consapevolezza il legislatore ha emanato una serie di norme specifiche sulla continuità che è bene richiamare cronologicamente:

1. la Premessa generale ai Programmi didattici della Scuola Elementare

( D.P.R. 12.2.1985)

2) gli articoli 1 e 2 della legge 148 del 5-6-1990 (Riforma dell'Ordinamento delle Scuole Elementari)

3) il titolo 2 punto 4 degli Ordinamenti delle Attività Educative della Scuola Materna ( D.M. 3.6.1991)

4) il D.M. 16.11.1992 e la C.M. n. 339/92 entrambi sulla continuità.

Queste norme e direttive sono state oggetto di varie iniziative di aggiornamento tra cui il piano nazionale di aggiornamento per le scuole elementari prima e per le scuole materne poi e il piano nazionale d'aggiornamento su " Continuità e valutazione nella scuola elementare."

 

I problemi storico-istituzionali

E' utile ritornare ad esaminare più a fondo i motivi e i problemi cui il legislatore ha cercato di rispondere: le discontinuità, a vari livelli, che storicamente hanno caratterizzato il sistema scolastico italiano. Dal punto di vista istituzionale, sappiamo che non solo esistono diversi ordini e gradi di scuola, che di per sé non sarebbero elemento di negatività, ma vere e proprie fratture che si manifestano in modo eclatante nei momenti di passaggio (in particolare nelle prime medie inf. e sup.) con alte percentuali di bocciature, abbandoni, dispersione scolastica ecc.… Queste fratture istituzionali non sono facilmente ricomponibili con i soli strumenti di tipo normativo e con progetti educativi e didattici senza la consapevolezza dei motivi storici che vi stanno dietro. E' necessario ricordare il fatto che la scuola elementare sia nata come "scuola del popolo", rivolta almeno nell'area influenzata dalla Riforma Protestante a tutti, perché tutti, autonomamente, devono poter interpretare le "Scritture". Al contrario, le scuole materne sono nate come "asili" per i più bisognosi e per gli orfanelli e hanno mantenuto per secoli, a causa di questa diversa origine, diverse, separate, se non contrapposte finalità,quasi come un marchio distintivo, percepite diversamente prima di tutto nell'immaginario collettivo e nel senso comune. Ci dobbiamo chiedere quanti sforzi siano stati fatti per far superare queste percezioni sociali delle due istituzioni e quanto invece alcune concezioni della scuola dell'infanzia definita ancora "scuola materna" non si portino dietro residui di una concezione vecchia: "l'asilo" dove i bambini vanno assistiti e custoditi in un luogo protetto e separato. Diversamente la scuola media inferiore, nata come trasformazione delle prime tre classi del vecchio ginnasio, ha conservato e conserva anche dopo la riforma del 1962, vissuta dai professori come una diminuzione di ruolo(Barbagli- Dei 1969 ), il carattere di scuola secondaria, destinata alla formazione delle sole classi dirigenti, dei ceti colti e benestanti ed è oggi attraversata da una crisi di identità e di significatività misurata dalla grave demotivazione del personale insegnante. E' bene aver presenti questi scenari storici che fanno da sfondo alle questioni complesse della continuità educativa, che un certo sperimentalismo educativo e le stesse direttive ministeriali non hanno aiutato a capire.

 

Il problema psicopedagogico

Il quadro dei problemi implicito nelle questioni della continuità ha inoltre una valenza psicopedagogica che risulta utile indagare a fondo. C'è un'esigenza di continuità educativa e didattica che attiene al cuore di che cosa intendiamo per educazione e che in qualche maniera percepiamo come necessaria per l'efficacia di ogni curricolo. Si cercherà di analizzare gli altri aspetti del problema separatamente e di ricomporne in un quadro possibilmente unitario le diverse facce. Negli anni ottanta si è teorizzata la "scuola come centro di ricerca" che costituirebbe il perno di un sistema scolastico allargato e/o integrato in continuità con l'ambiente familiare e sociale; la sottolineatura è andata, anche qui, in direzione della continuità, mirante ad evitare che ci sia frattura tra vita scolastica ed extrascolastica e che la scuola sia legata alle problematiche e ai bisogni formativi del territorio: è questa la cosiddetta "continuità orizzontale". Per molti anni oltre che di continuità tra scuola ed extrascuola si è discusso anche di continuità curriculare tra i vari ordini e gradi di scuola in cui transita il soggetto in età evolutiva. Recentemente si è messo in discussione la ripetitività dei cicli scolastici e dei "ritorni" sugli stessi argomenti per tre o quattro volte nell'intero percorso dell'istruzione. La discussione su questo piano ha diversi risvolti uno dei quali è legato alla problematica degli stadi di sviluppo studiati principalmente da Piaget e dalla sua scuola.( Piaget 1967,1968,1971) Sappiamo quanto nei suoi studi Piaget abbia insistito sulla continuità degli stadi di sviluppo che caratterizzano le fasi di ogni crescita oltre che sulla discontinuità tra i vari stadi. Secondo Piaget negli stadi inferiori dello sviluppo sono, per così dire, già presenti i "prodromi" di quelli che saranno i livelli superiori i quali ne rappresentano una maturazione in continuità. Da qui la sua insistenza sulla necessità nel far acquisire i cosiddetti "prerequisiti" e sulla continuità tra i curriculi formativi tra i vari ordini e gradi di scuola. La psicologia dell'apprendimento, sviluppando queste indicazioni del Piaget, ha progressivamente cercato di informare attraverso le pubblicazioni più diffuse, la didattica scolastica. Ma le questioni della continuità meritano uno sguardo più a fondo di quanto fino ad oggi si sia fatto nella pubblicistica pedagogica più vicina temporalmente a noi. Da varie parti si percepisce l'importanza della questione e i pericoli della frammentazione dell'azione educativa senza però indagarne in profondità i risvolti.

 

La continuità in altre situazioni educative

Se riflettiamo storicamente su alcuni esempi di intervento educativo che più o meno intenzionalmente e più o meno razionalmente, le società hanno organizzato per le future generazioni, vediamo come esso ha cercato sempre di avere questo carattere della continuità e possiamo allora più facilmente capire a che cosa risponde quest'esigenza di fondo dell'azione formativa. Per fare un esempio utile anche se lontano storicamente, pensiamo all'educazione del giovane spartano: per formare un ottimo guerriero (obiettivo formativo finale di quel processo educativo), fin dalla più tenera età ci si preoccupava di sottoporre il giovane a prove ed esercizi fisici di destrezza, che costituivano i "prerequisiti" delle abilità richieste al futuro guerriero. La meta finale guidava l'azione educativa dell'istruttore di ginnastica e garantiva unitarietà e continuità al processo educativo. Lo stesso si può dire, pur nelle mutate condizioni, dell'educazione, a partire dal Rinascimento, del "giovin signore" delle classi nobili che aveva addirittura un unico ed esclusivo precettore che fin dalla tenera età lo educava e lo istruiva per tutta la giovinezza garantendo qui la continuità anche della persona fisica che guidava il processo di formazione e che lo introduceva con gradualità nella vita attiva.

La riflessione pedagogica moderna

Dobbiamo attendere la riflessione pedagogica moderna ed in particolare quella di John Dewey per vedere esplicitamente delineato questo carattere dell'esperienza educativa. (Dewey 1949). Egli, nella descrizione che fa dell'esperienza, che, nella sua concezione, è alla base di ogni educazione, mette in luce il carattere "della continuità dell'esperienza e di quello che si può chiamare il continuum sperimentale"(Dewey 1949 p.13). Come dimostra in ripetuti passi del volume "Esperienza e Educazione "( che arieggia "Il Canto del Cigno" del Pestalozzi come sottolineava Codignola nella prefazione all'edizione italiana, ) egli ha individuato in questo principio della "continuità" il discrimine per distinguere le esperienze che hanno un valore educativo da quelle che non lo hanno. E' la continuità dell'esperienza che sta alla base della formazione delle abitudini. Ogni esperienza "riceve qualcosa da quelle che l'hanno preceduta e modifica in qualche modo la qualità di quelle che seguiranno"(Dewey 1949 p. 17-19).Già nella sua opera pedagogica più famosa "Democrazia e Educazione" (1970) aveva insistito su quest'aspetto. Riflettendo sull'esempio di colui che impara ad andare in bici aveva già fatto notare che "l'atto semplice dell'andare in bici, comporta una 'continuità' nei movimenti e l'eliminazione di quelli superflui e dannosi e che l'abitudine incorpora in modo automatico una serie di processi "concatenati" e in sequenza temporale: l'atto finale dell'andare in bici non è poi così semplice come appare, ma presuppone un processo di apprendimento in cui una serie di tentativi sbagliati e dannosi sono stati eliminati e solo quelli utili sono stati 'continuati' e via via perfezionati." ( Dewey 1970 p.32) E' la continuità secondo Dewey che sta alla base delle abitudini e quindi della formazione. Gli studiosi a noi più vicini e in particolare Bruner e Gardner (Bruner1980, Gardner1987) tenendo conto sia delle ricerche di Piaget sia di quelle di Vygotskji ( Vygotskji 1969) convergono nella stessa direzione : poichè l'apprendimento di un ambito disciplinare consiste soprattutto nell'acquisizione delle sue "strutture" profonde, la scuola non può e non riesce mai a fare apprendere tutte le nozioni, che sono sempre più ampie e non immagazzinabili da una persona. Essa deve fornire i quadri concettuali, le strutture ,appunto, che sono "isomorfe" , secondo Piaget, alle strutture mentali del bambino. Il processo educativo si inserisce nella continuità del processo di apprendimento il quale trova nelle strutture concettuali degli ambiti disciplinari il fine-mezzo del suo realizzarsi.

I compiti del presente

Nonostante queste chiare determinazione dell'analisi psicopedagogica e storica, il processo educativo nella società e nella scuola è caratterizzato da discontinuità e fratture sempre più evidenti. Ne richiamerò alcune che appaiono oggi le più macroscopiche. C'è prima di tutto un problema di continuità nella trasmissione della memoria storica necessaria alla definizione di una nostra identità morale e civile di cittadini della nostra Nazione. Credo che a questo la scuola può e deve contribuire riallacciando i fili del senso dell'appartenenza ricostruendo una consapevolezza del senso di continuità con il nostro passato ( Cerroni 1996). L'ambiente culturale degli alunni è oggi "omogeneizzato " dai mass-media, ciò nonostante essi assorbono culture e comportamenti familiari e locali che sono i residuati delle culture popolari e folkloriche. (Gramsci 1975). Continuità deve significare recuperare il valore positivo del patrimonio di cultura di ogni comunità valorizzandone tutte le valenze pedagogiche e didattiche. (I. Sacchetti 1980, R. Laporta 1979).Esiste un problema di recupero della continuità non solo sul piano generale delle finalità dell'intero processo di formazione, ma su quello concreto e specifico dei concatenamenti dei processi di apprendimento, poiché si apprende e si progredisce nella crescita solo se le nuove esperienze si inseriscono e trovano un legame con quello che già si sa e si sapeva fare. Questo obiettivo è reso ancora più difficile da quella che viene definita "l'inflazione da eccesso di informazione" che i nuovi media riversano sull'individuo.Più cose si sanno e minore è paradossalmente la capacita di capire, comprendere le informazioni in cui siamo sommersi in mancanza di continuità con il nostro passato e il nostro vissuto come individui e come società. Internet può essere una grande opportunità formativa se e solo se si apprende con capacità critiche e se ne fa a un uso mirato e per mappe concettuali. C'è un drammatico bisogno di "guide alle risorse" per i naviganti, che altrimenti sono attratti da varie sirene , non sempre di valore educativo accettabile. Non penso solo e principalmente alla pornografia che può essere facilmente evitata se si sanno usare i filtri a disposizione nei nuovi programmi di navigazione, ma penso ai contenuti di chiara ispirazione razzista che vi circolano abbondantemente.(P.Greco 1999) La scuola e solo la scuola è il luogo dove l'informazione può essere "semplificata ed essenzializzata", per essere criticamente capita. Non c'è bisogno, quindi, di nessuna abdicazione, ma semmai c'è la drammatica necessità di ridefinire il proprio ruolo di insegnanti consapevoli della sfida che dobbiamo accettare come compito del 2000 ormai alle porte.

Bibliografia


(*) Scuolanews n.4 del 15 giugno 1999