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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Diritto di cronaca e tutela del minore

relazione di Franco Abruzzo

Presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia e docente di Diritto dell’informazione all’Università degli studi di Milano Bicocca e all’Università Iulm di Milano

Cammino – Camera minorile di Milano. Milano, 15 giugno 2005. Convegno “La tutela dell’interesse del minore: deontologie a confronto”

1. Premessa. Costituzione e legge professionale dei giornalisti tutelando la dignità della persona limitano il diritto di cronaca e di critica. L’articolo 21 della Costituzione repubblicana proclama che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. L’articolo 2 della legge professionale n. 69/1963 riconosce che “è diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede”. L'art. 48 (Procedimento disciplinare) della stessa legge prevede che “gli iscritti nell'albo, negli elenchi o nel registro, che si rendano colpevoli di fatti non conformi al decoro e alla dignità professionali, o di fatti che compromettano la propria reputazione o la dignità dell'Ordine, sono sottoposti a procedimento disciplinare”. Dall’incrocio tra Costituzione e norme deontologiche professionali si deduce:

1) che la libertà di informazione e di critica (valori che fanno definire il giornalismo informazione critica) sia il “diritto insopprimibile” dei giornalisti. “Le libertà fondamentali affermate, garantite e tutelate nella Parte prima, Titolo primo, della Costituzione della Repubblica, sono riconosciute come diritti del singolo, che il singolo deve poter far valere erga omnes. Essendo compresa tra tali diritti anche la libertà di manifestazione del pensiero proclamata dall'art. 21, primo comma, della Costituzione, deve senza dubbio imporsi al rispetto di tutti, delle autorità come dei consociati. Nessuno può quindi recarvi attentato, senza violare un bene assistito da rigorosa tutela costituzionale”. (Corte costituzionale, sentenza 122/1970).

2) che la tutela della dignità della persona umana e il rispetto della verità sostanziale dei fatti siano principi da intendere come limiti alle libertà di informazione e di critica. Il “Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica” (meglio noto come Codice deontologico sulla privacy) vieta di fornire notizie o di pubblicare immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesivi della dignità della persona; di soffermarsi su dettagli di violenza. Ha scritto al riguardo il Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia (deliberazione 17 luglio 2000 che sanziona il direttore e un redattore di un settimanale milanese, i quali avevano pubblicato le generalità di un aviere violentato in caserma): “La legge professionale e la legge n. 675/1996 sulla tutela dei dati personali, - figlie entrambe dell’articolo 2 della Costituzione -, hanno al centro della loro azione la salvaguardia della dignità della persona. L’articolo 21 non prevale sull’articolo 2 della Costituzione. Nel bilanciamento dei valori, il principio costituzionale della tutela della dignità della persona - coinvolta in fatti di cronaca lesivi della dignità della persona stessa – prevale sul diritto ‘insopprimibile’ di cronaca. In questo caso il cronista fa un passo indietro, racconta gli avvenimenti nella loro essenzialità e tace il nome della persona o delle persone ferite nella loro identità e nella loro dignità, perché la pubblicazione dei nomi e cognomi aggiungerebbe dolore al dolore sofferto, umiliazione all’umiliazione patita”. Il “rispetto della persona umana è il valore che anima l'articolo 2 della Costituzione” (Corte costituzionale, sentenza n. 293/2000). “Il valore fondamentale del rispetto della persona e della dignità umana trova protezione nell'articolo 2 Cost. e va a controbilanciare l'altro valore costituzionale espresso dall'articolo 21 Cost. su cui si fonda il diritto di cronaca” (Cass. pen. sez. III 27-04-2001, n. 23356). Per quanto riguarda il rispetto della verità sostanziale dei fatti vale soffermarsi su questa massima: “La condizione della verità della notizia comporta, come inevitabile corollario, l'obbligo del giornalista, non solo di controllare l'attendibilità della fonte (non sussistendo fonti informative privilegiate), ma anche di accertare e di rispettare la verità sostanziale dei fatti oggetto della notizia (Cass. civ. Sez. III 04-07-1997, n. 6041; Soc. Il Messaggero c. Vitalone; FONTI Mass. Giur. It., 1997).

3) che chi viola i precetti richiamati finisce sotto procedimento disciplinare e che rischia di essere sanzionato con uno dei quattro provvedimenti previsti dalla legge professionale (avvertimento, censura, sospensione da 2 a 12 mesi, radiazione). Deve essere riaffermato con la Corte costituzionale (sentenza n. 1/1981) che - “pur dovendosi riconoscere il rilievo costituzionale della libertà di cronaca (comprensiva della acquisizione delle notizie) e della libertà di informazione quale risvolto passivo della manifestazione del pensiero, nonché il ruolo svolto dalla stampa come strumento essenziale di quelle libertà”- l'interesse protetto dall'art. 21 della Costituzione non può dirsi in astratto superiore a quello della dignità della persona.

1.1. Le “Carte” deontologiche integrano le norme professionali. Le norme deontologiche fissate nella legge professionale inglobano le regole fissate nelle Carte approvate dalla Fnsi e dall’Ordine nazionale dei giornalisti. “Le prescrizioni contenute nelle carte di autoregolamentazione (Carta di Treviso e Carta dei doveri del giornalista) devono essere ritenute idonee a costituire un'esemplificazione del contenuto “in bianco“ delle norme regolamentari di cui agli articoli 2 e 48 della legge n.. 69/19633”. (Trib. Milano 12-07-2001; FONTI Giur. milanese, 2002, 33):

a) La Carta dei doveri dei giornalisti, indicando, tra i principi fondamentali a cui il giornalista deve ispirare il proprio ufficio professionale, il dovere fondamentale di rispettare la persona, la sua dignità e il suo diritto alla riservatezza, senza alcuna discriminazione, ripropone la disciplina speciale già vigente nella materia dei minori e dei soggetti deboli, prescrivendo il rispetto dei principi sanciti dalla Convenzione ONU del 1989 sui diritti del bambino e delle regole sottoscritte con la Carta di Treviso per la tutela della personalità del minore, sia come protagonista attivo, sia come vittima di un reato. In particolare dispone che il giornalista non pubblica il nome o qualsiasi elemento che possa condurre all'identificazione dei minori coinvolti in casi di cronaca; evita possibili strumentalizzazioni da parte degli adulti; valuta comunque se la diffusione della notizia relativa al minore giovi effettivamente all'interesse del minore stesso.

d) La Carta di Treviso “per una cultura dell'infanzia“, approvata e sottoscritta, in collaborazione con Telefono Azzurro, dalla FNSI e dall'Ordine dei giornalisti, ribadisce che il rispetto per la persona del minore richiede il mantenimento dell'anonimato nei suoi confronti, il che implica la rinuncia a pubblicare elementi che anche indirettamente possano comunque portare alla sua identificazione.

La Cassazione ha riconosciuto che le regole deontologiche hanno “natura giuridica” (Cass., sez. un., 6 giugno 2002, n. 8225), allargando successivamente la sua visione sulla materia: “Secondo un indirizzo che si va delineando nella giurisprudenza di questa Corte, nell’ambito della violazione di legge va compresa anche la violazione delle norme dei Codici deontologici degli Ordini professionali, trattandosi di norme giuridiche obbligatorie valevoli per gli iscritti all’Albo ma che integrano il diritto oggettivo ai fini della configurazione dell’illecito disciplinare” (cass., sez.un., 23 marzo 2004 n. 5776). In precedenza la sentenza n. 7543 del 9 luglio 1991 (Mass. 1991) della Cassazione civile aveva riconosciuto che .

Il diritto di cronaca e di critica arretra di fronte alla tutela della dignità della persona, che a sua volta è un diritto inviolabile dell’uomo e in quanto tale tutelato dall’articolo 2 della Costituzione. Le offese (attraverso i giornali) all’identità, alla reputazione, all’onore, all’immagine e alla riservatezza di una persona sono sanzionati penalmente con il terzo comma dell’articolo 595 Cp (diffamazione a mezzo stampa) e con l’articolo 13 (diffamazione a mezzo stampa con l’attribuzione di un fatto determinato) della legge n. 47/1948 sulla stampa. Anche la violazione della privacy può far scattare il reato di diffamazione a mezzo stampa: «Integra il reato di diffamazione la pubblicazione di notizie pur vere sulla salute di un soggetto (nel casi di specie: tossicodipendenza e sieropositività) nonché la pubblicazione della sua fotografia in quanto si tratta di dati personali e attinenti alla sfera della riservatezza rispetto ai quali difettano i requisiti scriminanti sia dell’interesse pubblico che della continenza» (Trib. Bolzano 18 marzo 1998; Riviste: Dir. Informazione e Informatica, 1998, 616).

Nel concetto di tutela della dignità della persona – intesa come barriera all’esercizio del diritto di cronaca e di critica - rientrano le generalità e le foto di un minore: “Il comportamento tenuto dal giornalista estensore nonché dal direttore della testata che ha pubblicato un articolo in cui vengono riportate le generalità e le foto di un minore, è idoneo a violare le norme di legge dettate a tutela della personalità altrui (“sub specie“ di lesione della normativa a tutela dei minori, come approvata dalla convenzione di New York e recepita nel nostro ordinamento con l. 27 maggio 1991 n. 176) nonché ad essere valutato come non conforme al decoro ed alla dignità professionali così da compromettere anche la dignità dell'Ordine (“sub specie“ di violazione di precisi intendimenti fatti propri dalla categoria con la sottoscrizione delle carte di autoregolamentazione)”. (Trib. Milano 12-07-2001; FONTI Giur. milanese, 2002, 33). La tutela forte dei minori è presente in questa massima giurisprudenziale: “Nel bilanciamento tra i valori, ambedue costituzionalmente protetti, del diritto all'informazione e di quello all'integrità psichica e morale dei minori, deve prevalere quest'ultimo. Ne consegue che deve ritenersi illecita, ai sensi dell'art. 15 comma 10 l. 6 agosto 1990 n. 223, la diffusione delle immagini di un procedimento penale, quando la vicenda processuale abbia ad oggetto crimini particolarmente efferati, e suscettibili di incidere negativamente sulla sfera psichica ed emotiva del minore”. (Trib. Roma 27-12-1999; Rai-Tv c. Garante radiodiffusione editoria; FONTI Giur. romana, 2000, 110).

1.2. “Il Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica” oggi ha forza di legge. L’articolo 7 dedicato ai minori assorbe la Carta di Treviso. Il “Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica” (meglio noto come Codice deontologico sulla privacy), pubblicato il 3 agosto 1998 nella “Gazzetta Ufficiale”, è diventato “efficace” quindici giorni dopo. Oggi è l’Allegato A del Dlgs n. 196/2003 o Testo unico sulla privacy (che ne parla all’articolo 139). Questo Codice, frutto di nove mesi di trattative tiratissime e che hanno sfiorato la rottura quando l’Ufficio del Garante ha respinto il primo testo, costituisce un evento molto importante nella storia del giornalismo italiano per molteplici aspetti. Previsto originariamente dall'articolo 25 della legge n. 675/1996 sulla privacy, il Codice “assume il rango di una speciale norma secondaria frutto della convergenza della volontà del Consiglio nazionale e delle misure di indirizzo indicate dal Garante” (“Nella fase di formazione del Codice, ovvero successivamente, il Garante in cooperazione con il Consiglio - dice l’articolo 25 (oggi articolo 139 del Dlgs n. 196/2003) - prescrive eventuali misure e accorgimenti a garanzia degli interessati, che il Consiglio è tenuto a recepire”). “Il Codice - ha scritto il professor Stefano Rodotà, già presidente dell’Ufficio del Garante - è una norma dell'ordinamento giuridico generale, e ad essa devono adeguarsi tutti coloro che esercitino funzioni informative mediante mezzi di comunicazione di massa; pertanto, il suo rispetto verrà garantito dai diversi organi pubblici ed ovviamente anche dall’Ordine per quanto riguarda le sanzioni disciplinari applicabili ai soli iscritti”. In nessuna parte del mondo un “Codice di condotta” per giornalisti ha il vincolo della legge; generalmente la stesura è lasciata all’autogoverno della parte interessata. Ancora una volta ha vinto la tradizione romanistica, così legata alla codificazione. Oggi, però, come Allegato A, il Codice è qualcosa di più di una norma secondaria: ha sostanzialmente il rango di una norma primaria!

Si legge nell’articolo 7 (Tutela del minore) del Codice di deontologia sulla privacy:Al fine di tutelarne la personalità, il giornalista non pubblica i nomi dei minori coinvolti in fatti di cronaca, né fornisce particolari in grado di condurre alla loro identificazione. La tutela della personalità del minore si estende, tenuto conto della qualità della notizia e delle sue componenti, ai fatti che non siano specificamente reati. Il diritto del minore alla riservatezza deve essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di critica e di cronaca; qualora, tuttavia, per motivi di rilevante interesse pubblico e fermo restando i limiti di legge, il giornalista decida di diffondere notizie o immagini riguardanti minori, dovrà farsi carico della responsabilità di valutare se la pubblicazione sia davvero nell'interesse oggettivo del minore, secondo i principi e i limiti stabiliti dalla “Carta di Treviso”.

In linea con il Cpp e con le norme sul processo minorile, il Codice vieta la pubblicazione dei nomi (e delle immagini) dei minori coinvolti in fatti di cronaca e di particolari in grado di condurre alla loro identificazione: “Nella contravvenzione prevista dall'art. 684 c.p. - che punisce chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto, e a guisa di informazione, atti o documenti di un processo penale, di cui sia vietata la pubblicazione - l'elemento oggettivo, costituito dalla divulgazione di accadimenti oggetto di indagine penale fino a quando la legge ne tuteli la segretezza, riceve concreta ed attuale specificazione, oltre che dalla norma dell'art. 114 Cpp, anche dall'art. 13 del Dpr 22 settembre 1988, n. 448, nell'individuazione dell'atto coperto dal segreto e nella indicazione di modalità trasgressive del divieto di pubblicazione del contenuto dell'atto medesimo. In particolare, la disposizione da ultimo ricordata ricomprende nell'area del divieto tutta la vasta serie di atti, implicanti “coinvolgimento“ del minore nel procedimento nella qualità di parte o di testimone, ed il cui contenuto non può essere tratto indirettamente mediante identificazione che se ne possa fare, ancorchè in ambito territoriale ristretto, attraverso la sola immagine. Non rileva, in contrario, né che l'immagine stessa derivi da una ripresa fotografica eseguita sulla strada, perché non è la tutela dell'immagine come tale che occorre considerare, ma la idoneità della stessa a collegare al soggetto raffigurato l'avvenuto suo “coinvolgimento“ in indagini preliminari, né che il nome del minore fosse già noto come indagato, in quanto la notorietà del fatto non esclude il reato poiché la pubblicazione conferisce alla notizia maggiore diffusione e propagazione” (Cass. pen., sez. VI, 10 marzo 1994; Riviste: Cass. Pen., 1995, 2566 , Riv. Pen., 1995, 341; Mass. Pen. Cass., 1994, fasc. 10, 128, Giust. Pen., 1995, II, 398).

La tutela della personalità del minore si estende, tenuto conto della qualità della notizia e delle sue componenti, ai fatti che non siano specificamente reati. Il diritto del minore alla riservatezza (articolo 16 della Convenzione internazionale del fanciullo recepita nel nostro ordinamento con la legge n. 176/1991) deve essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di critica e di cronaca. Su questa linea è anche la giurisprudenza (caso Cruz): “Richiesto di un provvedimento urgente ex art. 700 Cpc a tutela della privacy e dell'immagine di un minore, il giudice, in sede di accertamento del fumus boni iuris e del periculum in mora, deve considerare pozione la protezione della personalità minorile, rispetto all'esercizio del diritto all'informazione, allorché quest'ultimo abbia a svolgersi con la pubblicazione diffusa e la divulgazione incontrollata dell'immagine del minore, balzato, non per sua volontà, alla notorietà della cronaca nazionale a seguito di vicende giudiziarie di carattere familiare (adottivo) a lui facenti capo (il minore, appena treenne e proveniente dal c.d.Terzo mondo asiatico, era stato tallonato, anche a scuola, con assiduità da fotografi e reporters collegati a mass-media di larghissima diffusione)” (Pret. Torino-Chieri, 19 dicembre 1989, Dir. Famiglia, 1990, 572).

Qualora, tuttavia, per motivi di rilevante interesse pubblico e fermo restando i limiti di legge, il giornalista decida di diffondere notizie o immagini riguardanti minori, dovrà farsi carico della responsabilità di valutare se la pubblicazione sia davvero nell'interesse oggettivo del minore, secondo i principi e i limiti stabiliti dalla “Carta di Treviso” (che è assorbita nel Codice). Secondo la Carta, la pubblicazione nell'interesse del minore presuppone, comunque, l'assenso dei genitori, ed è limitata “ai casi di rapimento o di bambini scomparsi”. L’articolo 97 della legge 633/1941 afferma peraltro “non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell'immagine è giustificata .....da necessità di giustizia o di polizia” (è il caso dei bambini scomparsi o rapiti). In queste circostanze non c’è bisogno dell’assenso dei genitori, basta la disposizione del giudice di rendere note (e, quindi, pubblicabili) le immagini.

Non è conforme alle norme sulla privacy la ingiustificata pubblicazione da parte di un quotidiano di notizie riguardanti una minore della quale erano state riportati, in un articolo riguardante la sua presunta fuga da casa, oltre al nome, al cognome, all’indicazione della scuola frequentata, anche notizie sul suo stato di adozione e la sua origine etnica.
Peraltro la pubblicazione di un tale dato poteva rivelarsi fortemente lesiva della personalità della minore, nel caso in cui, in ipotesi, la condizione di adottata non le fosse ancora nota o non fosse conosciuta nell’ambito dei luoghi e delle persone da lei frequentate.
L’Autorità Garante, intervenendo sul delicato bilanciamento tra libertà di informazione e tutela del minore, ha ribadito la necessità che i giornalisti operino una attenta valutazione sull’oggettivo interesse dei minori quando pubblicano notizie che li riguardano. E questo anche allo scopo di evitare spettacolarizzazioni e strumentalizzazioni che possano compromettere il loro processo di maturazione e il loro libero ed armonico sviluppo. Esaminando il caso sottopostole, l’Autorità ha sottolineato che il Codice di deontologia dei giornalisti, nello stabilire speciali cautele a tutela della riservatezza del minore, configura la possibilità che il giornalista divulghi dati personali affidando però a quest’ultimo la responsabilità di valutare che tale pubblicazione non sia lesiva della personalità del minore e risponda ad un suo interesse oggettivo. Alla luce di tale disposizione esiste, dunque, un margine di autonomia in capo al giornalista nell’apprezzare le modalità attraverso cui perseguire tale interesse, applicando i principi alle circostanze del caso. Le informazioni riportate nell’articolo, ha osservato inoltre l’Autorità, non rappresentavano un elemento immediatamente utile al fine di facilitare il ritrovamento della minore e la loro diffusione non risultava essenziale all’interesse pubblico della vicenda In questo modo, ha concluso il Garante, sono state violati la legge sulla privacy e il Codice deontologico, nonché il complesso delle norme in materia di adozione nella parte in cui tutelano il diritto del minore a vedere riconosciuta la propria identità e la nuova dimensione affettiva (legge 184/1993 e legge 149/2001), le quali affidano altresì ai genitori adottivi la scelta sui modi e i termini per informare il minore della sua condizione.

Si sono verificati alcuni casi di violenza sessuale su minori, in relazione ai quali, in molti servizi giornalistici di stampa e televisione, le giovani sono state identificate personalmente o mediante inequivocabili riferimenti che ne rendevano agevole l'identificazione.
Un tale comportamento, come il Garante ha avuto più volte occasione di sottolineare, non si pone in contrasto soltanto con i limiti stabiliti dal Codice di deontologia, ma può rappresentare innanzitutto una violazione di norme penali, poste a tutela dei minori e delle vittime della violenza sessuale. Si tratta, specificamente, dell'articolo 13 del Codice di procedura penale per i minorenni (Dpr 448/ 1988) e dell'articolo 734/bis del Codice penale introdotto dalla legge 15 febbraio 1996 n. 66 sulla violenza sessuale, norme rafforzate dalla recente legge 3 agosto 1998 n. 269 sulla pedofilia.

2. Le novità della “legge Gasparri” a tutela dei minori. “E' vietata la pubblicazione delle generalità e dell'immagine dei minorenni testimoni, persone offese o danneggiati dal reato fino a quando non sono divenuti maggiorenni. È altresì vietata la pubblicazione di elementi che anche indirettamente possano comunque portare alla identificazione dei suddetti minorenni. Il tribunale per i minorenni, nell'interesse esclusivo del minorenne, o il minorenne che ha compiuto i sedici anni, può consentire la pubblicazione”. Il Codice di procedura penale (art. 114, comma 6) – potenziato dalla “legge Gasparri” 112/2004 - non ammette deroghe: l’ordinamento giuridico della Repubblica protegge lo sviluppo psichico dei bambini. La “legge Gasparri” ha aggiunto questo passaggio: “È altresì vietata la pubblicazione di elementi che anche indirettamente possano comunque portare alla identificazione dei suddetti minorenni”. Anche l’articolo 50 del Dlgs 196/2003 (Testo unico sui dati personali), richiamato l’articolo 13 del Dpr n. 448/1988, contiene “il divieto di pubblicazione e divulgazione con qualsiasi mezzo di notizie o immagini idonee a consentire l'identificazione di un minore si osserva anche in caso di coinvolgimento a qualunque titolo del minore in procedimenti giudiziari in materie diverse da quella penale”.

Il comma 1 dell’articolo 10 (Tutela dei minori nella programmazione televisiva) della legge n. 112/2004 (“legge Gasparri”) impegna “1e emittenti televisive a osservare le disposizioni per la tutela dei minori previste dal Codice di autoregolamentazione TV e minori approvato il 29 novembre 2002”. Il diritto di cronaca, quindi, non abbraccia la pubblicazione di notizie e immagini idonee a consentire l'identificazione di un minore.

La Corte costituzionale, con la sentenza 112/1993, ha vincolato i giornalisti: a) all'obiettività e dall'imparzialità dei dati forniti; b) alla completezza,dalla correttezza e alla continuità dell'attività di informazione erogata; c) al rispetto della dignità umana, dell'ordine pubblico, del buon costume e del libero sviluppo psichico e morale dei minori.

3. L’attività del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia. E’ utile, per comprendere l’attività “giudicante” svolta dal Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia sul fronte dei minori e dei soggetti deboli riassumere le principali decisioni deliberate dal 1996 ad oggi viste attraverso il filtro della relazione del presidente alle Assemblee annuali degli iscritti.

3.1. Assemblea degli iscritti 25 marzo 1996

I bambini sbattuti in prima pagina. Con una decisione del 15 gennaio 1996 , il Consiglio dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia ha ribadito che i nomi dei bambini, coinvolti in tristi storie, non possono essere sbattuti sulle pagine dei quotidiani e delle riviste. All’articolista è stata inflitta la sanzione dell’avvertimnto. E' parsa al Consiglio fuori di dubbio la buona fede del collega, non solo, ma anche sono apparsi evidenti gli aspetti morali del suo comportamento, ispirati all'esperienza di padre adottivo, oltre che all'indignazione per l'insipienza del Tribunale dei minori e per l'inattività degli assistenti sociali.

Tuttavia il Consiglio non può accettare la tesi difensiva che altri organi di stampa e televisivi avevano già pubblicato il fatto con nomi e cognomi. L'Ordine non è un'istituzione con poteri di polizia e interviene sui casi segnalati, in questo caso da un giudice del Tribunale dei minori di Lecce e dall'Ordine nazionale. D'altra parte, proprio la sempre più ampia diffusione di fatti in contrasto con la Carta di Treviso impone che tutta la categoria venga sollecitata ad una maggiore attenzione verso i minori, anche evitando di fare eccezioni alle norme della Carta.

Il Consiglio ha voluto evitare che un'interpretazione troppo letterale della Carta di Treviso e dell'art. 2 della legge sull'Ordine andasse a detrimento dello spirito che ha informato le norme a protezione dell'infanzia. Ma queste sono chiarissime e non c'è contrasto fra lo spirito ispiratore della carta e le sue norme, tanto più che esse sono precedute dall'art. 114 del codice di procedura penale che vieta di pubblicare le generalità dei minori anche come persone offese e danneggiate. Anche il paragrafo della Carta secondo il quale il giornalista “valuta comunque se la notizia relativa al minore giovi effettivamente all'interesse del minore stesso“ non esime dall'obbligo di non pubblicare nomi e cognomi. Si sarebbe forse potuto fare un'eccezione alla giurisprudenza di questo Ordine se il collega in questione avesse potuto dimostrare che il procedimento a carico del nonno violentatore e menzognero fosse stato iniziato a causa della pubblicazione dell'articolo.

Ma lo stesso collega, con la lealtà denotata nel corso di tutto il procedimento, ha escluso che ciò sia dimostrabile. Secondo il Consiglio, il vero valore dell'articolo oltre che nell'accuratezza delle indagini compiute nella famiglia e presso gli psicologi, sta nell'esortazione finale ai giudici perché si decidessero a compiere il loro dovere. Ma, come avviene spesso nella professione, anche in questo caso si é forse ceduto alla “maledizione dell'attualità“; e l'indignazione per il coinvolgimento della verità operato dal nonno con la passiva, iniziale accettazione dei giudici, ha fatto premio sulla prudenza che sarebbe stata necessaria secondo la Carta di Treviso. L’interessato, comunque, ha presentato ricorso.

Non è consentito pubblicare le generalità dei “dannati del sesso”, perché rendono possibile l’identificazione dei figli. Sanzionato l’autore dell’articolo.

Nella seduta del 18 dicembre 1996 il Consiglio ha esaminato la richiesta-esposto inviata il 9 dicembre dalla Procura generale della Repubblica (con allegate le note del Presidente del Tribunale dei Minorenni e del Procuratore della Repubblica presso la Pretura). Il Pg chiedeva l'inizio di un procedimento disciplinare relativo a un articolo (“i dannati del sesso“) pubblicato sull'inserto “La Repubblica delle Donne“ allegato al quotidiano “la Repubblica“ del 3 settembre 1996, a firma del giornalista professionista XF, “segnalando che nel testo dell'articolo, venivano citati i nomi di genitori e parenti condannati per abuso sessuale su minori e che tali indicazioni, unitamente alla pubblicazione di fotografie di tali persone consentivano di risalire all'identità dei minori stessi“.

Il capo d'incolpazione è il seguente: “XF ha scritto e firmato l'articolo “I dannati del sesso“, comparso su “La Repubblica delle Donne“, allegato al quotidiano “La Repubblica“ del 3 settembre 1996. In esso, il giornalista citava con nome e cognome, e in taluni casi con fotografie, alcuni padri e zii che sono stati condannati per abuso sessuale sui minori, cosicché questi ultimi potevano venire identificati con facilità”.

Questa la difesa dell’incolpato:

a) dichiara di aver sempre osservato i principi della Carta di Treviso, ma di non poter venir meno ad altri principi del nostro lavoro, in particolare al diritto alla parola per chi è fatto “oggetto“ di una notizia;

b) si dice certo che i giornalisti non possono decidere a quale genere di carcerati sia riconosciuto il diritto alla parola e a quali no;

c) esprime il sospetto che proprio la scelta di “dare voce“ ai detenuti abbia provocato la reazione della magistratura, e in particolare della Procura, irritata perché si permetteva ai condannati di porre in discussione i metodi investigativi.

Il Consiglio regionale dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia ha rilevato che XF non contesta il fatto, ma considera la denuncia come una reazione della magistratura inquirente. Questa supposizione non è rilevante, sia perché è una mera supposizione, sia perché l'origine della richiesta della Procura generale della Repubblica sta in una segnalazione del Presidente del Tribunale dei minorenni, sia infine perché la pubblicazione dei nomi e cognomi di persone che possono far risalire ai minorenni attori o vittime (in questo caso vittime) è espressamente proibita dall'art. 13 del Dpr n. 488/1988 nonché dalla “Carta dei doveri del giornalista“ e dalla “Carta di Treviso“; e contrasta con i doveri imposti dall'articolo 2 della legge professionale.

“Dare voce“ agli imputati o ai condannati per qualunque reato è sicuramente una scelta giornalistica condivisibile; XF avrebbe potuto compiere tale scelta, nel caso in questione, riportando le tesi dei condannati ma senza indicarne il nome e cognome e senza mostrarne le immagini. Sono proprio questi gli elementi che costituiscono violazione della legge e in particolare della “Carta dei doveri del giornalista” e della “Carta di Treviso”, e che non potevano essere negati.

3.2. Assemblea degli iscritti 27 marzo 1997

Minori e informazione. L’Ordine dei Giornalisti della Lombardia ha chiesto, nel corso del 1996, la collaborazione degli Uffici del Pm sparsi nel territorio regionale con l’intento di contrastare efficacemente la pubblicazione delle generalità e delle immagini dei minori coinvolti come testimoni, parti lese o danneggiati in procedimenti penali. L’articolo 115 del Codice di procedura penale stabilisce in modo non equivoco che la violazione del divieto di pubblicazione previsto dall’articolo 114 (punto 6) del Cpp costituisce un illecito disciplinare quando il fatto è commesso da persone esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato. E dunque, di ogni violazione del divieto di pubblicazione (delle generalità e dell’immagine dei minorenni testimoni, persone offese o danneggiati dal reato) commessa dai giornalisti il pubblico ministero informa l’organo titolare del potere disciplinare. L’articolo 13 del Dpr n. 488/1988 (processo penale a carico di imputati minorenni) vieta «la pubblicazione e la divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie o immagini idonee a consentire l’identificazione del minorenne comunque coinvolto nel procedimento». L’articolo 16 della legge 27 maggio 1991 n. 176 (Convenzione Onu 1989 sui diritti del bambino) dice: «Nessun fanciullo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa o nella sua corrispondenza, né a lesioni illecite del suo onore e della sua reputazione. Ogni fanciullo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o atteggiamenti lesivi». Il Consiglio può agire senza attendere la sollecitazione del Pm, perché, come stabilisce l’articolo 2 della legge professionale, la libertà d’informazione e di critica, diritto insopprimibile dei giornalisti, è «limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui». La libertà di informazione, quindi, deve rispettare tutte le norme poste dal legislatore a tutela dei diritti della persona. Il Consiglio è tenuto ad agire sulla base di principi definiti per legge: la sentenza n. 505/1995 della Corte costituzionale non lascia spazio al riguardo. Le varie Carte (Fnsi-Cnog; di Treviso, eccetera), quindi, allargano la casistica, ma da sole non bastano a giustificare l’apertura e la conclusione di un procedimento disciplinare anche se la Cassazione civile ha riconosciuto il potere ai Consigli degli Ordini di fissare norme comportamentali vincolanti sotto il profilo disciplinare.

Il Consiglio ha prosciolto alcuni colleghi di Mantova, che si erano occupati di tre bambini strappati dal tribunale a una madre di Quistello perché troppa povera. Quei servizi e articoli riportavano il nome e il cognome della donna e del marito, separato dalla moglie, e i nomi dei tre bambini. Dall’istruttoria è emerso che lo stesso avvocato della madre dei tre bimbi aveva presentato i piccoli in una conferenza stampa, organizzata per informare in forma clamorosa le autorità che i bambini sarebbero stati meglio con la mamma anziché con un padre che si era dimostrato menefreghista. A Quistello c’era un vero e proprio movimento popolare, anche con la partecipazione del parroco, a sostegno del diritto della madre. Nella decisione si legge: «Ora é ben vero che la Carta dell’Onu sui diritti del fanciullo, divenuta legge dello Stato nel 1991, all’art. 16 statuisce che “nessun fanciullo può essere sottoposto a un atto illegale o arbitrario”. Nel caso di specie, la madre dei minori esercitava la patria potestà quando convocava i giornalisti alla conferenza stampa. Non sussisteva, dunque, alcuna illegalità nei confronti dei minori. Non della madre, in quanto esercitante la patria potestà (peraltro, con l’assistenza ed il consiglio di un legale) e, soprattutto, non dei giornalisti presenti alla conferenza stampa in quanto invitati e dunque nell’esercizio comunque del dovere di cronaca nell’aspetto di questo di “dovere di conoscenza”, prioritario rispetto al “diritto-dovere di pubblicazione”. Ma, ed é più rilevante, la pubblicazione delle generalità dei minori da parte dei giornalisti incolpati non realizza - nel caso in esame - le fattispecie di cui agli articoli 13 del Dpr 22 settembre 1988 n. 448 (processo penale a carico di imputati minorenni) e 114 (punto 6) del vigente Codice di procedura penale, in quanto i minori non erano né testimoni, né parti lese né imputati in un procedimento penale. Solo nei casi previsti dall’articolo 13 del Dpr n. 448/1988 e dall’art. 114 (punto 6) del Codice di procedura penale scatta, infatti, il divieto di pubblicazione dei nomi e delle immagini dei minori». Il Consiglio in sostanza ha limitato, con questa decisione, il divieto a pubblicare nome e foto dei minori al caso di minori testimoni, parti lese o danneggiati in un procedimento penale. Nel caso specifico i giornalisti non avevano violato la privacy dei bambini perché la vicenda era stata presentata dalla madre, esercitante la patria potestà, in una conferenza stampa.

Prosciolti anche il direttore e un redattore di un periodico che avevano pubblicato nome e foto di una bambina di tre anni che aveva assistito all’assassinio della madre ad opera del padre. La pubblicazione della foto era stata autorizzata da uno zio, che in quel momento esercitava sulla piccina la patria potestà. Il Consiglio ha considerato che l’uso del nome e del cognome non pregiudica il futuro della bambina, dato che non aggiunge niente alla notorietà del terribile fatto di sangue, avvenuto in un centro relativamente piccolo.

Il Consiglio ha, invece, sanzionato con l’avvertimento il redattore di un periodico su segnalazione del Pg. Il giornalista è autore di un articolo nel quale «venivano citati i nomi di genitori e parenti condannati per abuso sessuale su minori e che tali indicazioni, unitamente alla pubblicazione di fotografie di tali persone consentivano di risalire all'identità dei minori stessi“.

Sanzionato con l’avvertimento il redattore di un quotidiano, che aveva pubblicato nome, cognome e foto di un bambino disabile picchiato in una scuola.

3.3. Assemblea degli iscritti 26 marzo 1998

Informazione e minori - Il Consiglio ha emesso numerose decisioni sul tema. Una delle più significative riguarda il direttore di un giornale popolare, che è stato sospeso per due mesi dalla professione, perché è venuto meno ai suoi doveri e ai suoi obblighi.. La pubblicazione del nome e del cognome nonché della fotografia di una minorenne è espressamente proibita dall'art. 13 del Dpr n. 488/1988, dall’articolo 114 (punto 6) del Cpp nonché dalla “Carta dei doveri del giornalista“ e dalla “Carta di Treviso“ (I e II); e contrasta con i doveri imposti dall'articolo 2 della legge professionale, mentre l’articolo 16 della Convenzione Onu sui diritti del bambino (Convenzione recepita nella legge n. 176/1991 e nel vigente Cnlg) vieta interferenze arbitrarie o illegali nella vita dei fanciulli.

Il riferimento nel capo d’incolpazione ai vincoli del Cpp e del processo minorile vale come richiamo generale di un principio di civiltà giuridica. Il principio del divieto di pubblicazione delle generalità e delle fotografie di un minorenne - regola generale che non ammette deroghe - potrebbe, infatti, reggere autonomamente incrociando e integrando l’articolo 2 della legge n. 69/1963 e i valori affermati nelle Carte dei doveri e di Treviso. Nel concetto di rispetto della persona (compreso nell’articolo 2 della Costituzione) rientra ampiamente anche la tutela del minorenne dalle interferenze arbitrarie o illecite nella sua vita privata (articolo 16 della Convenzione Onu sui diritti del bambino). L’ordinamento giuridico protegge lo sviluppo psichico e il processo di maturazione del bambino. Anche le Carte dei doveri e di Treviso fanno parte di questo ordinamento, perché, come afferma la sentenza n. 7543 del 9 luglio 1991 (Mass. 1991) della Cassazione civile, . Il Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia dal 1990 ad oggi si è sempre richiamato, nelle sue deliberazioni disciplinari, alle Carte di Treviso (I e II) e dal 1993 alla Carta dei doveri. Queste Carte integrano l’articolo 2 della legge professionale nella parte in cui lo stesso articolo 2 proclama il diritto di critica e di cronaca limitato .

La tutela della persona, e soprattutto di un minorenne, coinvolge valori fondamentali della Carta costituzionale (onore e reputazione, diritto alla riservatezza, salute intesa come sviluppo psichico) che non possono essere “invasi” dal diritto di cronaca. I dati sensibili, intimi e privati di una persona (in questo caso minorenne) non devono alimentare le pagine di cronaca dei giornali. Soprattutto quando gli articoli possono ferire il processo formativo e la crescita psichica di un minorenne.

Va affermato che un direttore di testata è responsabile di tutto quel che viene pubblicato sul giornale ed è anche responsabile dell’autonomia professionale dei suoi redattori; autonomia professionale che, come afferma l’articolo 1 del Contratto nazionale di lavoro giornalistico Fnsi-Fieg (avente forza di legge erga omnes ex Dpr n. 153/1961), poggia tutta sui principi etici affermati dalla legge n. 69/1963 sull’ordinamento della professione giornalistica. Il direttore, che ha un dovere di lealtà verso i lettori del suo giornale, deve sempre operare in modo tale da rafforzare il rapporto di fiducia tra stampa e pubblico.

In questo senso si esprime anche la giurisprudenza più recente di cui si riportano due massime:

1) In assenza di tipizzazione dei comportamenti illeciti sul piano disciplinare, la rilevanza deontologica dei comportamenti del giornalista va teleologicamente valutata in rapporto all'obbligo di comportarsi in modo conforme al decoro ed alla dignità professionale e tale da non compromettere la propria reputazione o la dignità dell'Ordine sancito dall'art. 48 1. n. 69 del 1963 nonché al dovere di lealtà e buona fede ed all'obbligo di promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione tra giornalisti ed editori e la fiducia tra la stampa ed i lettori sanciti dall'art. 2 della legge medesima. (App. Milano, 18 luglio 1996; Foro It., 1997, I, 919)

2) Oltre all'obbligo del rispetto della verità sostanziale dei fatti con l'osservanza dei doveri di lealtà e di buona fede, il giornalista, nel suo comportamento oltre ad essere, deve anche apparire conforme a tale regola, perché su di essa si fonda il rapporto di fiducia tra i lettori e la stampa. (App. Milano, 18 luglio 1996; Riviste: Foro Padano, 1996, I, 330, n. Brovelli; Foro It., 1997, I, 938).

3.4. Assemblea degli iscritti 25 marzo 1999

I riflessi “costituzionali” del Codice sulla privacy. La legge sulla privacy e il relativo Codice accentuano così il ruolo di “giudice disciplinare“ dei Consigli regionali e del Consiglio nazionale dell’Ordine. Questi enti sono stati trasformati dalla Corte costituzionale (con la sentenza n. 505/1995) in veri e propri giudici amministrativi (con tutti i risvolti legati al rispetto delle procedure fissate dalla legge professionale n. 69/1963, dalla legge n. 241/1990 sulla trasparenza amministrativa e dal Codice di procedura civile). I Consigli sono già “giudici disciplinari” in base all’articolo 115 (comma 2) del Cpp nei casi in cui i giornalisti violano il divieto posto dall’articolo 114 (comma 6) del Cpp, pubblicando le generalità e le immagini dei minorenni .

La legge istitutiva dell’Ordine dei Giornalisti con le sue regole etiche e la legge sulla privacy con il connesso Codice di deontologia - con le garanzie accordate da entrambe al segreto professionale - formano un sistema inscindibile, che, nel garantire la libertà di critica e di informazione, concretizza, tutelandone l'attuazione, il principio sancito dall'articolo 21 della Costituzione. Si ritiene che qualora, come nel caso di specie, una legge ordinaria disponga misure concrete di tutela ed attuazione delle libertà di rilievo costituzionale (come la libertà di informazione), sia, per ciò stesso, da ritenersi ''costituzionalmente vincolata” (sentenza 16/1978 della Corte costituzionale) e, quindi, non esposta al rischio di referendum. L’articolo 1 del Codice - un vero e proprio “manifesto” programmatico - contiene un esplicito richiamo all’articolo 21: <1. Le presenti norme sono volte a contemperare i diritti fondamentali della persona con il diritto dei cittadini all’informazione e con la libertà di stampa. 2. In forza dell'art. 21 della Costituzione, la professione giornalistica si svolge senza autorizzazioni o censure. In quanto condizione essenziale per l'esercizio del diritto-dovere di cronaca, la raccolta, la registrazione, la conservazione e la diffusione di notizie su eventi e vicende relative a persone, organismi collettivi, istituzioni, costumi, ricerche scientifiche e movimenti di pensiero, attuate nell'ambito dell'attività giornalistica e per gli scopi propri di tale attività, si differenziano nettamente per la loro natura dalla memorizzazione e dal trattamento di dati personali ad opera di banche‑dati o altri soggetti. Su questi principi trovano fondamento le necessarie deroghe previste dai paragrafi 17 e 37 dell'art. 9 della Direttiva 95/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell'Unione Europea del 24 ottobre l995 e dalla legge n. 675/96>.

Non è casuale che l’articolo 1 del Codice richiami l’articolo 21 della Costituzione. Quel richiamo significa che c’è un interesse della collettività (già sottolineato dalle sentenze n. 11/1968 e n. 71/1991 della Corte costituzionale) al “corretto” svolgimento dell'importante attività della comunicazione multimediale attraverso la vigilanza di un “ente pubblico” (l’Ordine, concepito come giudice disciplinare) chiamato a valutare il comportamento dei singoli giornalisti in rapporto a un Codice di condotta voluto dal Parlamento nazionale e dal Parlamento europeo. Oggi pertanto, in contrasto con la sentenza n. 38/1997 della Corte costituzionale che ha riconosciuto legittimo il referendum, l’esistenza di un Codice deontologico (vincolante per legge nei confronti di tutti i cittadini, giornalisti e non giornalisti) appare “sufficiente a far ritenere che l'ordinamento della professione di giornalista sia essenziale per la tutela di un diritto costituzionale>, perché il Codice stesso, infatti, favorisce “direttamente” l'esercizio del (art. 21 della Costituzione). Il Codice non è un “frammento” della normativa sull’attività giornalistica, ma è si avvia a diventare il “cuore” del sistema giuridico dettato a protezione del diritto del cittadino a tutelare la sua immagine da una informazione multimediale che, - senza quel Codice il quale attua concretamente i principi etici fissati nella legge istitutiva dell’Ordine -, sarebbe disancorata da regole di comportamento e quindi dai valori fissati dall’articolo 2 della Costituzione a salvaguardia della dignità della persona.

Così, con la pubblicazione del Codice, l’Ordine dei Giornalisti guadagna punti rilevanti sul terreno della legittimità della sua esistenza. Oggi si può dire che anche l’Ordine dei Giornalisti - che ha, comunque, bisogno di profonde riforme soprattutto in tema di accesso, formazione e composizione degli organi destinati ad adottare le decisioni disciplinari - ha dalla sua valide . La Corte costituzionale ha già sottolineato (sentenze n.11 e n. 98 del 1968; n. 2 del 1977). Appare consequenziale l’affermazione (contenuta nell’articolo 6.3 del Codice) che .

Il confronto tra il Consiglio nazionale e l’Ufficio del Garante aveva un percorso obbligato segnato dal rispetto delle norme che già pongono precisi limiti a tutela della riservatezza. Ad esempio, le disposizioni contro le interferenze illecite nella vita privata (art. 615 bis Cp) o a tutela delle vittime degli atti di violenza sessuale (art 734 bis Cp), dei minori coinvolti nei procedimenti penali (articoli 114, comma 6, del Cpp e 13 del Dpr 448/1988) e dei malati di Aids (art. 5 della legge 135/1990), oppure al divieto di interferenze arbitrarie e illegali nella vita dei fanciulli (articolo 16 della legge n. 176/1991 che ingloba la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia). Il Codice tenta un difficile compromesso tra diritto di cronaca e diritto della persona alla tutela della sua identità e della sua riservatezza nello spirito dell’articolo 1 della legge n. 675/1996 ().

3.5. Assemblea degli iscritti 23 marzo 2000

Il diritto dei minori alla riservatezza - Censurato il direttore di una rivista, che si è occupata della storia controversa di un minore. Va detto subito che l’articolo va contro gli interessi del minore. Il settimanale si è fatto semplicemente portavoce delle tesi della madre senza alcuna considerazione critica. E’ impensabile che i giudici, che hanno preso il provvedimento, abbiano agito con leggerezza e contro gli “interessi” del minore. La pubblicazione del nome del bambino -identificabile attraverso le generalità della madre - nonché della fotografia (anche se schermata) è, infatti, espressamente proibita dalla “Carta dei doveri del giornalista“ e dalla “Carta di Treviso“; e contrasta con il dovere del rispetto della persona imposto dall'articolo 2 della legge professionale, mentre l’articolo 16 della Convenzione Onu sui diritti del bambino (Convenzione recepita nella legge n. 176/1991 e nel vigente Cnlg) vieta interferenze arbitrarie o illegali nella vita dei fanciulli. L’ordinamento giuridico italiano (anche attraverso il “Codice sulla privacy”) proibisce ai giornalisti di occuparsi di minori al centro di vicende che, se rese pubbliche, possano compromettere lo sviluppo della loro personalità. Tale norma non ammette deroghe. La tutela della persona, e soprattutto di un minorenne, coinvolge valori fondamentali della Carta costituzionale (identità personale, diritto alla riservatezza) che non possono essere “invasi” dal diritto di cronaca. Un articolo può avere conseguenze, anche gravi, sul processo formativo e sulla crescita psichica di un bambino, esponendolo a una “pressione” esterna continua nel tempo.

In un altro caso, il Consiglio ha assolto il direttore di un periodico di Pavia che ha pubblicato nome e cognome di un minore, figlio di un uomo politico locale, colto da un malore in chiesa. Va osservato che il minore non è stato danneggiato dal fatto che sia stato scritto che abbia prima accusato un malore e che poi stava bene. L'articolo ha, invece, tranquillizzato coloro che in chiesa avevano assistito all'incidente. In base all'articolo 10 del Codice sulla privacy, “il giornalista, nel far riferimento allo stato di salute di una determinata persona, identificata o identificabile, ne rispetta la dignità, il d'ritto alla riservatezza e a personale“. In sostanza la pubblicazione di dati sanitari della persona è ammessa, nell'ambito del perseguimento dell'essenzialità dell'informazione. Il bambino è finito sui giornali perché è figlio di un personaggio politico conosciuto. Chi ha deciso di mettersi in politica ha, comunque, una sfera di salvaguardia molto più limitata rispetto all'uomo della strada. L'articolo 25 della legge n. 675/1996 supera, comunque, l'articolo 22 affermando: “Le disposizioni relative al consenso dell'interessato e all'autorizzazione del Garante, nonché il limite previsto dall'articolo 24, non si applicano quando il trattamento dei dati di cui agli articoli 22 e 24 è effettuato nell'esercizio della professione di giornalista e per l'esclusivo perseguimento delle relative finalità. Il giornalista rispetta i limiti del diritto di cronaca, in particolare quello dell'essenzialità dell'informazione riguardo a fatti di interesse pubblico, ferma restando la possibilità di trattare i dati relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dall'interessato o attraverso i suoi comportamenti in pubblico “. Il diritto di cronaca, in questo caso, quindi, prevale sul diritto alla privacy. Il malore del bambino in una chiesa è un fatto pubblico avvenuto in un luogo aperto al pubblico. L'ordinamento giuridico dello Stato protegge la riservatezza dei bambini vittime di fatti disdicevoli. La vicenda narrata dal periodico non ha tali contorni. Il Consiglio ha condiviso questa massima giurisprudenziale: “La notorietà del personaggio ritratto si estende anche ai congiunti, a condizione che costoro ne condividano in buona parte le vicende umane, inevitabilmente influenzate dalla sua condizione di uomo pubblico, e si presentino di sovente in pubblico accanto a lui” (Trib. Napoli, 30/09/1898; Fonte Nuova Giur. Civ., 1990,I,404; Dir. Autore, 1990,382; Dir. Informazione e Informatica, 1990, 520). In questo caso il diritto di cronaca (tutelato dall’articolo 97 della legge n. 633/1941 sul diritto d’autore) prevale sul diritto alla riservatezza.

3.6. Assemblea degli iscritti del 29 marzo 2001

La tutela dei minori e della dignità della persona. Non è lecito pubblicare immagini “agghiaccianti” e “bestiali” di bambini mentre vengono violentati. Chi opera questa scelta (come ha fatto il direttore di Libero) si colloca fuori dalla Costituzione e, quindi, dall’Ordine professionale, che, in linea con il dettato della carta fondamentale della Repubblica, vuole la professione esercitata in conformità ai doveri della correttezza e del rispetto della persona umana nonché del rispetto della reputazione del singolo iscritto all’Albo e della dignità dell’Ordine.

L’articolo 21 della Costituzione, al comma 6, vieta “le pubblicazioni a stampa contrarie al buon costume”. E’ l’unico limite che l’articolo 21 pone alla libertà di manifestazione del pensiero. L’articolo 15 della legge n. 47/1948 sulla stampa recita: “Le disposizioni dell'art. 528 del Cp si applicano anche nel caso di stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il comune sentimento della morale e l’ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti”. Per la sussistenza del reato di pubblicazioni a contenuto impressionante o raccapricciante previsto e punito dall'art. 15 della legge 8 febbraio 1948 n. 47 deve ritenersi sufficiente, sul piano oggettivo, l'idoneità delle immagini pubblicate ad offendere il comune sentimento della morale, nel cui concetto non può non essere ricompreso il sentimento della pietà verso i defunti, e sul piano soggettivo, il dolo generico, consistente nella cosciente volontà di pubblicare immagini impressionanti e raccapriccianti recanti in astratto detta idoneità, mentre è irrilevante lo scopo perseguito dall'autore di mantenere viva l'esecrazione e la condanna per il fatto cui le immagini si riferiscono (Trib. Roma, 3 febbraio 1995; Parti in causa Minerbi e altro; Riviste Dir. Informazione e Informatica, 1996, 43; Rif. legislativi L 8 febbraio 1948 n. 47, art. 15). La sentenza citata smonta la tesi, annunciata dal titolo (“Scandalo necessario per svegliare le nostre coscienze”) sostenuta dal direttore di Libero nel fondo del 29 settembre: “Guai adattarsi all'ipocrisia bigotta e codina di quelli che preferiscono fare spallucce e seguitare a vivere nell'ignoranza d'un fenomeno più diffuso di quanto si immagini. Così il fenomeno non si stronca. Bisogna creare, viceversa, allarme e riprovazione sociale. E l'unico mezzo idoneo è lo scandalo: toh, guardate che fanno ai bambini, forse anche ai tuoi. Le coscienze per ribellarsi devono essere offese. E le scene bestiali mandate in onda dai Tg forse hanno raggiunto lo scopo, speriamo”. Il sistema giuridico italiano esclude che il riconosciuto valore costituzionale del diritto di cronaca importi di per sé la libera ed incondizionata pubblicazione di immagini contrarie al buon costume.

L’articolo 15 della legge sulla stampa è stato valutato con la sentenza 293/2000 dalla Corte costituzionale. Secondo questa norma le sanzioni previste dall’art. 528 del Codice penale per le pubblicazioni oscene “si applicano anche nel caso di stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionati o raccapriccianti avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il comune sentimento della morale o l’ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti”. La difesa di un giornalista ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 15 della legge sulla stampa, sottolineando che, in base all’articolo 25 (II comma) della Costituzione, “nessuno può essere punito se non forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. La norma costituzionale - ha sostenuto la difesa – deve essere interpretata nel senso che la legge penale deve stabilire criteri oggettivi per la determinazione dei fatti punibili, mentre il parametro del “comune sentimento della morale” previsto dall’articolo 15, per la sua genericità, finisce per rimettere a valutazioni soggettive l’individuazione del fatto punibile. La Cassazione ha ritenuto la questione non manifestamente infondata e, con ordinanza del 17 febbraio 1999, ha promosso il giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 15 per contrasto non solo con l’articolo 25, ma anche con gli articoli 21 (libertà manifestazione del pensiero) e 3 (principio di uguaglianza) della Costituzione.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 293 del 17 luglio 2000, ha dichiarato non fondata la questione sollevata dalla Cassazione, in quanto ha ritenuto che le pubblicazioni vietate dall’articolo 15 della legge sulla stampa siano quelle lesive della dignità umana e perciò avvertibili dall’intera collettività.

La persona umana – ha precisato la Corte Costituzionale – è tutelata dall’articolo 2 della Costituzione, in base al quale deve essere interpretato l’articolo 15 della legge sulla stampa; la descrizione dell’elemento materiale del fatto-reato, indubbiamente caratterizzato dal riferimento a concetti elastici, trova nella tutela della dignità umana il suo limite, sì che appare escluso il pericolo di arbitrarie dilatazioni della fattispecie, risultando quindi infondate le censure di genericità e indeterminatezza.

Quello della dignità della persona umana – ha affermato la Corte - è, infatti, valore costituzionale che permea di sé il diritto positivo e deve dunque incidere sull’interpretazione di quella parte della disposizione in esame che evoca il comune sentimento della morale.

La violazione del principio fissato nell’articolo 15 della legge sulla stampa costituisce anche violazione deontologica in quanto l’articolo 2 della legge professionale pone come limite al diritto insopprimibile della libertà di informazione e di critica il rispetto della persona umana, cioè il valore-cardine rappresentato dall’articolo 2 della Costituzione.

Nota/ il direttore di libero, radiato dall’Ordine della Lombardia, è stato successivamente sanzionato con la censura dall’Ordine nazionale, ma in sede penale, per la stessa vicenda, ha patteggiato una condanna a due mesi di reclusione.

3.7. Assemblea degli iscritti 21 marzo 2002

Il diritto del minore a crescere senza aggressioni e invadenze prevale sul diritto di cronaca. Questo principio è stato enunciato dalla sezione prima civile della Corte d’Appello di Milano nel procedimento a carico del direttore e di un redattore di “Oggi”. Il settimanale aveva pubblicato un ampio servizio dedicato a una bambina un tempo contesa e ne aveva reso note le generalità. Con deliberazione del 27 ottobre 1997 il Consiglio dell'Ordine dei Giornalisti della Lombardia aveva sanzionato con la censura e l’avvertimento il direttore e il redattore, rilevando che la pubblicazione del nome e cognome della minorenne, nonché la riproduzione della sua fotografia, nel contesto di un fatto che non aveva alcun interesse pubblico, dovevano intendersi proibite dalla “Carta dei doveri del giornalista“, dalla “Carta di Treviso“ e dall'art. 16 della Convenzione Internazionale sui diritti dell'Infanzia del 1989 ed era contrastante con i doveri imposti dall'art. 2 della legge professionale circa il rispetto della persona come limite invalicabile del diritto di cronaca. Il provvedimento poi era stato confermato dal Consiglio nazionale e dal Tribunale civile di Milano. Le motivazioni della Corte d’Appello sono esemplarmente attuali.

L'illecito disciplinare contestato ai due appellanti, nella rispettiva qualità di direttore responsabile del settimanale “Oggi“ e di giornalista autore del servizio, riguarda la pubblicazione di un articolo, con interviste e fotografie, da cui è stata riproposta la vicenda assai nota di “Serena Cruz“. Questo era il nome di fantasia della bambina, del cui caso le cronache si erano occupate sei anni prima, quando dal Tribunale dei minori di Torino era stata affidata in adozione ad una nuova famiglia con un provvedimento che aveva suscitato clamore e vaste polemiche, perché la minore era stata sottratta alla coppia di coniugi che l'aveva introdotta in Italia in violazione della normativa sulle adozioni internazionali. La pubblicazione del nome e del cognome, nonché della fotografia di una minorenne, unitamente a quella di indicazioni idonee ad identificare la famiglia adottiva (località geografica di residenza ‑ “splendida“ cascina sulle colline dell'Astigiano ‑, cognome e nome dei genitori e loro figli, origine e professione del padre) è stata valutata dagli organi di disciplina e dal tribunale quale violazione di plurime norme (anche di legge), dettate a tutela della personalità altrui, con specifica lesione della normativa a tutela dei minori, ed in contrasto con i doveri imposti dall'art. 2 della legge professionale. Il consenso espresso dai genitori adottivi della minore non è stato giudicato idoneo ad escludere la rilevanza e la illiceità delle violazioni contestate, apparendo fondato su motivazioni rispondenti più al loro interesse personale che a quello specifico della minore. Gli appellanti non contestano la rilevanza della speciale normativa richiamata in atti, e non negano i presupposti di fatto su cui si è aperto il procedimento, ma eccepiscono che le regole richiamate non possono essere interpretate nel senso di prescrivere un divieto assoluto e rigido di occuparsi di vicende relative a minori, poiché un'interpretazione siffatta impedirebbe ‑ contro ogni regola e principio ‑ l'esercizio di qualsivoglia forma di cronaca e di informazione loro relativa.

La Corte non disconosce l'astratta validità, nei limiti che si diranno, della regola richiamata in atto di appello, ma ritiene che per le particolarità del caso specifico l'appello sia comunque infondato e da respingere.

Tutte le disposizioni richiamate, la cui efficacia e validità nella disciplina dell'attività di giornalista non è controversa fra le parti, non escludono, dunque, il diritto di cronaca, e non pregiudicano in assoluto l'esercizio della libertà di stampa e di informazione, che costituiscono beni fondamentali di ogni civile ordinamento e rappresentano un diritto assicurato anche nei confronti e a favore degli stessi minori (cfr. artt. 13, 16, 17 della convenzione di New York).

Le disposizioni in esame, però, riaffermando il dovere di tutela della personalità del minore e disciplinando le concrete modalità secondo cui il diritto (dovere) di cronaca può essere esercitato quando il fatto coinvolge un minore, fissano un preciso discrimine fra modalità lecite e modalità illecite della cronaca. Può, pertanto, condividersi l'osservazione degli appellanti che nessuno dei principi della deontologia professionale, quali in particolare possono ricavarsi dall'adesione dei giornalisti iscritti alle regole richiamate, valga ad impedire in assoluto l'esercizio di qualsivoglia forma di cronaca e informazione.

Tuttavia, è temerario pensare che la violazione dei precetti che regolano l'esercizio del diritto di cronaca non sia sanzionabile; ed è infondata l'opinione che, anche in caso di grave inosservanza delle prescrizioni sulla tutela dei minori, la liceità del comportamento del giornalista possa essere recuperata e desunta con un giudizio non “ex ante“, bensì “ex post“, il cui esito sia fatto dipendere da un esame condotto sul minore per valutare eventuali disturbi arrecati alla sua personalità.

La valutazione del rispetto dei principi deontologici attiene al comportamento del giornalista, il cui operato deve conformarsi alle regole accettate e prescritte; da queste si ricava che l'osservanza dell'anonimato è generalmente funzionale alla protezione dell'interesse del minore, in quanto idonea ‑ in sè ‑ a prevenire i pericoli di una compromissione del naturale e regolare processo di crescita e maturazione, che (come fondatamente rilevano il Consiglio nazionale e il procuratore generale) potrebbe risultare “disturbato o deviato da spettacolarizzazione del suo caso di vita, da clamorosi protagonismi” (così cfr. Carta di Treviso).

Ed è questo, nella sua specifica e concreta consistenza di fatto materiale, l'addebito contestato che segna limiti ed oggetto del presente giudizio, così come indicati nel provvedimento di apertura del procedimento disciplinare del primo agosto 1997; e su questo addebito si fonda anche la ragione decisiva della pronuncia sia degli organi disciplinari dell'Ordine dei giornalisti, sia del Tribunale.

Il superamento dei limiti fissati dalle norme di legge e deontologiche fa ritenere fondato l'addebito.

La decisiva fondatezza delle ragioni dell'addebito ha qui efficacia assorbente, senza che rilevino considerazioni aggiuntive non indispensabili alla decisione.

I due appellanti non possono liberarsi dalle conseguenze della violazione delle prescrizioni richiamate adducendo, quale impropria circostanza scriminante, il consenso dei genitori della minore “Serena Cruz“: il consenso di soggetti diversi rispetto all'avente diritto incapace non può rendere lecito un comportamento illecito, quando si sia formato su presupposti incongrui e contraddittori, in conflitto con l'interesse e la tutela del minore; neppure i genitori possono disporre del bene tutelato ed esporre il minore al pericolo di turbamenti o disturbi che nuocerebbero alla equilibrata formazione della sua personalità; e poiché la compromissione della tranquillità di vita e maturazione della minore “Serena Cruz“ non era un'eventualità remota ed astratta, ma costituiva un pericolo concreto ed effettivo, comprovato e reso palese dal tenore stesso dell'articolo pubblicato (i genitori, ricordando il passato episodio, avevano riferito di “minacce di morte“, uno “stato di follia collettiva“, interferenze dei “soliti sciacalli, con telefonate anonime e biglietti“: vd. doc. 1, pag. 45), ritiene la Corte sussistenti le violazioni disciplinari contestate e giudica quindi che debbano essere confermati il provvedimento disciplinare deliberato e la sentenza impugnata, per la rilevanza deontologica dei comportamenti dei due giornalisti, valutata in rapporto all'obbligo di comportarsi in modo conforme al decoro ed alla dignità professionale e tale da non compromettere, oltre che la propria reputazione, la dignità dell'ordine, come sancito dall'art. 48 l. n. 69 del 1963: dignità certamente lesa, se dal comportamento illecito degli incolpati potesse desumersi, in assenza di iniziativa disciplinari, la tolleranza e l'accettazione da parte dell'Ordine dell'inosservanza di regole addirittura recepite nel Contratto nazionale di lavoro giornalistico.

La conferma dei provvedimenti contestati non implica una compromissione del diritto di informazione e di cronaca, poiché questo avrebbe ben potuto essere esercitato con modalità che avessero salvaguardato l'interesse, di grado superiore, alla tutela della personalità del minore e al rispetto del suo diritto di crescere senza aggressioni, invadenze e disturbi esterni.

Se non spetta al giudice disciplinare valutare nella fattispecie la sussistenza o l'insussistenza ‑ in assoluto ‑ di un interesse pubblico all'informazione, sono certamente sindacabili le modalità prescelte: nel caso in esame il ripristino di una situazione di tranquillità era da valutare essenziale ed era utile impedire che la minore fosse resa identificabile e venisse dunque riportata al centro attuale dell'attenzione dall'articolo pubblicato sul settimanale, essendo così resa avvicinabile quantomeno dal settore di pubblico territorialmente più contiguo: dal ritorno alla notorietà del suo caso, la minore poteva essere indotta a rivivere i traumi derivanti da una certa morbosità del precedente clamore, quando, nell'immediatezza dei fatti, per consentirle di recarsi in asilo, era stato indispensabile che l'edificio (come “in stato d'assedio') fosse “circondato dai carabinieri che dovevano proteggere la bambina“ (vd. in questi termini l'articolo in questione, pag. 45 del settimanale): il carattere potenzialmente devastante di tali conseguenze doveva essere valutato e doveva portare a scelte più coerenti con le finalità di tutela dei minori recepite fra le regole deontologiche professionali.

3.8. Assemblea degli iscritti 27 marzo 2003

E’ illecito disciplinare pubblicare foto di ragazzino in gravi difficoltà. E' accaduto che in un articolo comparso sulla Gazzetta della Martesana il 5 marzo 2001 si parli di un Centro giovanile e in una fotografia che correda il servizio compaia l'immagine di un bambino, chiaramente riconoscibile anche se non ne veniva citato il nome, mentre fa dei compiti con altri assistiti. Nell'articolo si parlava esplicitamente di “ragazzi con gravi problematiche“, “con problemi di inserimento e difficoltà nello studio“. Nell'esposto si sottolinea che il piccolo Aristide Angeloro, dopo la comparsa dell'articolo, si è trovato ad essere palesemente indicato tra i frequentatori del Centro, circostanza prima tenuta riservata. Sono cosi iniziate le prese in giro dei compagni di scuola, determinando in lui mortificazione e sofferenza, tanto da rifiutarsi di continuare a frequentare il Centro. Il Consiglio dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia ha rilevato che il direttore della pubblicazione è venuto meno ai suoi doveri e agli obblighi di direttore responsabile della “Gazzetta della Martesana”. Il superamento dei limiti fissati dalle norme di legge e deontologiche fa ritenere fondato l'addebito. Rendere identificabile, attraverso una fotografia, un minorenne, è espressamente proibito dalla Codice di deontologia sulla privacy, dalla Carta dei doveri del giornalista, dalla Carta di Treviso (I e II) e dall’articolo 16 della Convenzione internazionale sui diritto dell’infanzia del 1989 (che è diventata la legge italiana n. 176/1991 e che è richiamata dal Contratto nazionale di lavoro giornalistico); e contrasta con i doveri imposti dall'articolo 2 della legge professionale circa il rispetto della persona come limite invalicabile del diritto di cronaca. Il direttore, con il suo comportamento, ha danneggiato profondamente il processo di maturazione del minore e la sua condizione psichica. La tutela della persona, e soprattutto di un minorenne, coinvolge valori fondamentali della Carta costituzionale (identità personale, diritto alla riservatezza) che non possono essere “invasi” dal diritto di cronaca. Soprattutto quando gli articoli possono ferire il processo formativo e la crescita psichica di un minorenne, esponendo il minorenne medesimo a una esterna continua nel tempo. L’ordinamento giuridico italiano vieta ai giornali di occuparsi dei minori: questa regola non ammette deroghe. Gli interessi del minore prevalgono sul diritto di cronaca

3.9. La foto “con bambina” sull’Espresso

Foto con bambina sull’Espresso: assolta Daniela Hamaui “Uno ‘scatto d’autore’ non è un illecito disciplinare”. L’Espresso del 20 marzo 2003 annunciava in copertina un servizio (poi sviluppato alle pagine 40-44) con il titolo “Baby Shopping” collocato dentro una foto che raffigura una bambina. Nell’edizione del 17 marzo 2003 il quotidiano “L’Unità” ha riportato la notizia (con il titolo Copertina dell’Espresso “Pedopornografica”), scrivendo: ”Una bambina di una decina d’anni sdraiata su un vecchio sofà, in posa da piccola prostituta. Con gli occhi tristi, una sottoveste di raso verde e un boa di pelliccia a nascondere le mutandine”. Una serie di giornalisti hanno denunciato ieri in un comunicato stampa la copertina dell’ultimo numero dell’Espresso. “Roba da pedopornografia” si legge nel comunicato, che, tra gli altri, è stato firmato da… I firmatari chiedono che un’Authority intervenga sulle scelte di certo giornalismo, che ha davvero passato il segno”. Il Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia ha esaminato la vicenda e ha stabilito unanime che la pubblicazione di uno “scatto d’autore” non può prefigurare un illecito disciplinare. Il procedimento, quindi, è stata archiviato.

Nella memoria difensiva era stato precisato che si trattava di una foto della babystar di Hollywood, Emily Osment, protagonista del film “Spy Kìds 2”. La foto, scattata dalla celebre fotografa Peggy Sirota, era già apparsa sulla rivista americana “GQ”. Il direttore dell’ ha utilizzato, quindi, uno “scatto d’autore”.

Su incarico del presidente, il consigliere Paola Pastacaldi aveva svolto un’analisi-perizia della copertina e del servizio apparso sull’. Queste le conclusioni:

FOTO DI UNA BAMBINA. Da una attenta “lettura“ della foto dell'Espresso, del 20 marzo 2003, si evince che la foto in esame è ambigua. E di conseguenza ammiccante. Ha probabilmente la finalità di choccare,per attirare l'attenzione di più acquirenti/lettori. Perché? Vediamo insieme. Nella foto abbiamo una bambina di otto/ dieci anni distesa su un divano e abbigliata, in evidente contrasto con il volto e l'età, come un donna. È, in altre parole, una foto tanto dichiaratamente ambigua da suscitare al primo impatto l'idea di un servizio diverso da quello dichiarato nel titolo (“Baby Shopping, Televisione, videogiochi, telefonini: sondaggio sui consumi dei ragazzi“, pag. 40). Il primo pensiero che si lega alla foto è sui pedofili o, peggio, sulle Lolite. Ma, ad una analisi più dettagliata, ecco quanto la foto racconta.

FOTO AMBIGUA E CHOCCANTE. L'infantilismo della protagonista della foto è evidente nel volto, negli occhi e direi anche nella posa triste e delusa delle labbra, tipica dei bambini che stanno tra il broncio e l'infelicità. Questi elementi non lasciano dubbi sull'età: otto, dieci anni, cioé scuole elementari. Ma molti particolari alludono ad una mancanza di ingenuità: il rimmel con i brillantini intorno agli occhi bistrati, la canotta di raso di seta con perline e spalline da adolescente, la posizione del corpo mollemente adagiato, che diventa maliziosa se messa in relazione con i dettagli su citati. Anche il pupazzo di pelouche - che stando al titolo dovrebbe rientrare indirettamente nell'inchiesta - perde la sua ingenuità (che è solo apparente), perché è stato piazzato proprio sulla pancia della bimba, da cui sbucano delle gambe nude. Si pensa ad una nudità nascosta. La curiosità è: cosa c'è dopo la canotta? Niente!

IL TITOLO, CIOE' I CONTENUTI IN SECONDO PIANO. Il titolo smentisce la foto. L'articolo all'interno è una inchiesta su videogiochi, telefoni e altro, sarebbero insomma i consumi dei bambini-ragazzi dai 5 ai 13 anni. Giornalisticamente la bambina dovrebbe/potrebbe essere una testimonial di questi giochi. Ma non lo è, come abbiamo “letto“ sopra. Oppure lo è solo per una piccola fetta dell'inchiesta, poche righe, laddove si parla di “tweens“, ragazzini che imitano gli adulti o di bambine mimetiche di madri eternamente ragazzine, come scrive “L'Espresso. Troppo

poco, per richiedere una foto del genere. Ma di che giochi si tratta? Quale è il “punto“ centrale della foto, dove cade l'attenzione di chi guarda? Certamente sugli occhi, tristi ma bistrati. E poi? Forse sulla gamba! No, sul pelouche. O, peggio, sul body di seta, strano per una bimba. Dopo aver colto tutti questi dettagli, si può ancora pensare di avere davanti una bambina delle tante che consumano “normali“ giochi e videogiochi? No, perché non è una ragazzina, come dice il titolo, ma non è neppure una bimba. Forse, invece, è una Lolita.

AMBIGUITA' DEL LINGUAGGIO. La parola in risalto sulla copertina è “Baby Shopping“ e questa parola dà l'ultima pennellata di ambiguità, che viene definitivamente circoscritta nel significato cui allude la foto. La parola “Baby“ nella sua accezione originaria, in inglese, significa bebè. La parola “Baby shopping“ significa, in realtà, in prima battuta ben altre cose: adozione di un bambino, acquisto oggetti per la nascita di un figlio (baby appunto), andare a cercare una fidanzata (ma, va precisato, non necessariamente bambina). Anche se in Italia l'uso della parola “baby“tocca un'area di età più vasta, si dice spesso “baby“ per alludere anche ai ragazzini oltre che ai bambini, ma anche maliziosamente agli adulti, l'uso che viene fatto è e rimane fondamentalmente ambiguo. Entrambe, dunque, foto e prima parte del titolo confermano una volontà di allusione. Il ragionamento del lettore è spinto altrove, rispetto al tema dell'inchiesta vero e proprio: ecco una Lolita oppure stiamo parlando di pedofili. Non di giochi, anche se elettronici. Parafrasando K. Popper, che parlava di televisione, ma il suo discorso sembra calzare a pennello anche per le immagini, l'ambiguità di molti servizi fotografici di oggi fa pensare sempre più autentica questa frase :«... spezie più forti sul cibo preparato, perché il cibo è cattivo e con più sale e più pepe si cerca di passar sopra anche a un sapore disgustoso». Per vendere cattivi giornali, o giornali che non trattano più le notizie come materia principale, ma piuttosto la pubblicità più o meno dichiarata, assistiamo all'uso del corpo femminile nel modo più volgare. Ma in questo “abuso“ sono entrati anche i bambini. Le notizie servono per coprire la pubblicità e/o per choccare e distinguersi nella folla delle pubblicazioni.

IL PESO DELLE IMMAGINI. La tirannia delle immagini oggi è sotto gli occhi di tutti. Non occorre, dunque, sottolineare che l'invasione delle immagini nella vita della società contemporanea assomiglia più ad una assedio mediatico, alle volte gradevole come un girotondo, alle volte pesante e solo sottilmente diseducativo. Basterebbe sottolineare che molte delle immagini di oggi, legate a marchi/brand noti in tutto il mondo, sono le stesse appunto in tutto il mondo, cioé globali. Siamo “educati“ da una sorta di grande fratello delle immagini per ciò che utilizziamo come abbigliamento, alimentazione, tempo libero, cultura e altro. Il peso che la televisione ha nelle nostre vite di cittadini è frutto di saggi e riflessioni, ovunque, nel mondo. Ma se alle immagini dei tg e della televisione che celebrano la giornata dell'uomo contemporaneo, così come faceva il giornale un tempo, aggiungiamo quelle del resto del mondo della comunicazione, cioé quelle della cronaca spettacolo dei giornali, delle pagine pubblicitarie nei giornali, dei megacartelloni pubblicitari sparsi per strada, la situazione delle lettura delle notizie e anche della realtà assume toni ben più complessi. Si può sostenere che in Italia la tirannia della comunicazione, termine coniato da Ignatio Ramonet, direttore di “Le Monde Diplomtique“, è oggi sostenuta da una tirannia delle immagini. Dalla tv ai giornali, in un circolo vizioso che si alimenta a vicenda e che alla fine manda in onda sostanzialmente dei messaggi pubblicitari.

È il trionfo del mercato, sostenuto da finte notizie. E verrebbe da dire che forse, come sosteneva Karl R.Popper, non sarebbe del tutto sbagliato immaginare di poter dare, in un futuro vicinissimo (anzi siamo già in ritardo), una vera patente a chi si occupa di immagini, oltre a quelli che fanno la tv. Giornalisti, grafici, fotografi e pitcure editor hanno sulle spalle un peso enorme. Hanno sulle spalle la responsabilità di una lettura della realtà manipolata e diseducativa.

Rubando pensieri ancora a K. Popper, che parlava di televisione, ma il suo discorso sembra calzare a pennello anche sulle immagini, l'ambiguità di molti servizi fotografici di oggi fa pensare sempre più autentica la frase : «... Spezie più forti sul cibo preparato, perché il cibo è cattivo e con più sale e più pepe si cerca di passar sopra anche a un sapore disgustoso“.

Per vendere cattivi giornali, o giornali che non trattano più le notizie ma piuttosto pubblicità più o meno dichiarata, assistiamo all'uso del corpo femminile nel modo più volgare, insistente e sconclusionato possibile. Ma in questo “uso/ abuso“ sono entrati anche i bambini.

Le immagini non sono candide, perché comunicano solo una parte della realtà e sempre contengono un giudizio. Raramente questo giudizio è capace di incidere moralmente sulla lettura dei fatti. Educhiamo, dunque, i cittadini a leggere anche le immagini e ad essere consapevoli che oggi i media informano e disinformano forse altrettanto con le immagini, che con le parole. Questa foto dell'Espresso spinge le riflessioni in questa direzione e non è l'unico giornale, nè l'unico media.

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NORMATIVA

Costituzione

Articolo 2.

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Articolo 21.

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

....................omissis................

Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

(Consiglio europeo di Nizza, 7-9 dicembre 2000)

Articolo 24. Diritto del bambino

1. I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità.

2. In tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente.

3. Ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse.

Legge n. 633/1941 sukl diritto d’autore

Articolo 96. Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell'articolo seguente.

Dopo la morte della persona ritrattata si applicano le disposizioni del secondo, terzo e quarto comma dell'art. 93.

------------------------

(108) Vedi l'art. 10 c.c. 1942.

Articolo 97. Non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell'immagine è giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.

Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l'esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all'onore, alla riputazione od anche al decoro nella persona ritrattata.

Legge professionale dei giornalisti n. 69/1963

Articolo 2. Diritti e doveri.

E' diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede.

Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori.

Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori.

Articolo 48. Procedimento disciplinare.

Gli iscritti nell'albo, negli elenchi o nel registro, che si rendano colpevoli di fatti non conformi al decoro e alla dignità professionali, o di fatti che compromettano la propria reputazione o la dignità dell'ordine, sono sottoposti a procedimento disciplinare.

Il procedimento disciplinare è iniziato d'ufficio dal Consiglio regionale o interregionale, o anche su richiesta del procuratore generale competente ai sensi dell'art. 44.

Codice di procedura penale

114. Divieto di pubblicazione di atti e di immagini (1)

1. E' vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto [c.p.p. 329] o anche solo del loro contenuto.

6. E' vietata la pubblicazione delle generalità e dell'immagine dei minorenni testimoni, persone offese o danneggiati dal reato fino a quando non sono divenuti maggiorenni. È altresì vietata la pubblicazione di elementi che anche indirettamente possano comunque portare alla identificazione dei suddetti minorenni. Il tribunale per i minorenni, nell'interesse esclusivo del minorenne, o il minorenne che ha compiuto i sedici anni, può consentire la pubblicazione (5).

6-bis. E' vietata la pubblicazione dell'immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all'uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta (6).

7. E' sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto.

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(1) Rubrica così sostituita dall'art. 14, L. 16 dicembre 1999, n. 479. Il testo precedentemente in vigore così disponeva: «Divieto di pubblicazione di atti».

(5) Comma così modificato dall'art. 10, comma 8, della legge 3 maggio 2004 n. 112 (“legge Gasparri”). Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «6. E' vietata la pubblicazione delle generalità e dell'immagine dei minorenni testimoni, persone offese o danneggiati dal reato fino a quando non sono divenuti maggiorenni. Il tribunale per i minorenni, nell'interesse esclusivo del minorenne, o il minorenne che ha compiuto i sedici anni, può consentire la pubblicazione».

(6) Comma aggiunto dall'art. 14, L. 16 dicembre 1999, n. 479.

Cpp - art. 115. Violazione del divieto di pubblicazione.

1. Salve le sanzioni previste dalla legge penale [c.p. 684], la violazione del divieto di pubblicazione previsto dagli articoli 114 e 329 comma 3 lettera b) costituisce illecito disciplinare quando il fatto è commesso da impiegati dello Stato o di altri enti pubblici ovvero da persone esercenti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato.

2. Di ogni violazione del divieto di pubblicazione commessa dalle persone indicate nel comma 1 il pubblico ministero informa l'organo titolare del potere disciplinare.

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Legge n. 112/2004 (“Legge Gasparri”).

Articolo 10. Tutela dei minori nella programmazione televisiva.

1. Fermo restando il rispetto delle norme comunitarie e nazionali vigenti a tutela dei minori e in particolare delle norme contenute nell’articolo 8, comma 1, e nell’articolo 15, comma 10, della legge 6 agosto 1990, n. 223, le emittenti televisive devono osservare le disposizioni per la tutela dei minori previste dal Codice di autoregolamentazione TV e minori approvato il 29 novembre 2002. Eventuali integrazioni, modifiche o adozione di nuovi documenti di autoregolamentazione sono recepiti con decreto del Ministro delle comunicazioni, emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, previo parere della Commissione parlamentare di cui alla legge 23 dicembre 1997, n. 451.

8. All’articolo 114, comma 6, del codice di procedura penale, dopo il primo periodo, è inserito il seguente: “È altresì vietata la pubblicazione di elementi che anche indirettamente possano comunque portare alla identificazione dei suddetti minorenni“.

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Dlgs. 30 giugno 2003 n. 196. Codice in materia di protezione dei dati personali. (Pubblicato nella Gazz. Uff. 29 luglio 2003, n. 174, S.O).

Articolo 50. Notizie o immagini relative a minori.

1. Il divieto di cui all'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, di pubblicazione e divulgazione con qualsiasi mezzo di notizie o immagini idonee a consentire l'identificazione di un minore si osserva anche in caso di coinvolgimento a qualunque titolo del minore in procedimenti giudiziari in materie diverse da quella penale.

Il Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica (meglio noto come Codice deontologico sulla privacy), pubblicato il 3 agosto 1998 nella “Gazzetta Ufficiale”, è diventato “efficace” quindici giorni dopo. Oggi è l’Allegato A del Dlgs n. 196/2003 o Testo unico sulla privacy (che ne parla all’articolo 139). “Il Codice - ha già scritto il professor Stefano Rodotà, già presidente dell’Ufficio del Garante - è una norma dell'ordinamento giuridico generale, e ad essa devono adeguarsi tutti coloro che esercitino funzioni informative mediante mezzi di comunicazione di massa; pertanto, il suo rispetto verrà garantito dai diversi organi pubblici ed ovviamente anche dall’Ordine per quanto riguarda le sanzioni disciplinari applicabili ai soli iscritti”.

Articolo 7. Tutela del minore. Al fine di tutelarne la personalità, il giornalista non pubblica i nomi dei minori coinvolti in fatti di cronaca, né fornisce particolari in grado di condurre alla loro identificazione. La tutela della personalità del minore si estende, tenuto conto della qualità della notizia e delle sue componenti, ai fatti che non siano specificamente reati. Il diritto del minore alla riservatezza deve essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di critica e di cronaca; qualora, tuttavia, per motivi di rilevante interesse pubblico e fermo restando i limiti di legge, il giornalista decida di diffondere notizie o immagini riguardanti minori, dovrà farsi carico della responsabilità di valutare se la pubblicazione sia davvero nell'interesse oggettivo del minore, secondo i principi e i limiti stabiliti dalla “Carta di Treviso”.

La Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (legge 27 maggio 1991 n. 176) all’articolo 16 afferma: “Nessun fanciullo può essere sottoposto ad interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata” (sono le parole precise dell’articolo 12 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo).

La Carta dei doveri dei giornalisti (1993), indicando, tra i principi fondamentali a cui il giornalista deve ispirare il proprio ufficio professionale, il dovere fondamentale di rispettare la persona, la sua dignità e il suo diritto alla riservatezza, senza alcuna discriminazione, ripropone la disciplina speciale già vigente nella materia dei minori e dei soggetti deboli, prescrivendo il rispetto dei principi sanciti dalla Convenzione ONU del 1989 sui diritti del bambino e delle regole sottoscritte con la Carta di Treviso per la tutela della personalità del minore, sia come protagonista attivo, sia come vittima di un reato. In particolare dispone che il giornalista non pubblica il nome o qualsiasi elemento che possa condurre all'identificazione dei minori coinvolti in casi di cronaca; evita possibili strumentalizzazioni da parte degli adulti; valuta comunque se la diffusione della notizia relativa al minore giovi effettivamente all'interesse del minore stesso.

La Carta di Treviso “per una cultura dell'infanzia“ (1990/1995), approvata e sottoscritta, in collaborazione con Telefono Azzurro, dalla FNSI e dall'Ordine dei giornalisti, ribadisce che il rispetto per la persona del minore richiede il mantenimento dell'anonimato nei suoi confronti, il che implica la rinuncia a pubblicare elementi che anche indirettamente possano comunque portare alla sua identificazione.


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