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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo

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EDUCATORI PROFESSIONALI

(manifesto sugli Educatori - Zancan )

Politiche Sociali. 1/96

Legislazione
Albo - Tutela professione
Sanità
Welfare
Grazia e Giustizia
Università
Privato Sociale
Gare d'Appalto

 

L’educatore professionale: identità, ambiti dI intervento e problematiche emergenti

 

Assistenza domiciliare ad anziani, handicappati, malati di aids, minori; assistenza ai minori disabili a scuola e in centri diurni; assistenza in casa di riposo di anziani; attività ricreativo-culturali; interventi in carcere con adulti e minori; centri di accoglienza; centri di aggregazione giovanile; centri di iniziativa locale per l’occupazione; centri diurni di sostegno educativo per minori e per il recupero scolastico; centri semiresidenziali e comunità per tossicodipendenti; comunità per adolescenti sottoposti a provvedimenti del Tribunale per i minorenni; comunità per alcoolisti, per anziani, per disabili psichici adulti e minori, per malati di aids, per minori, per ragazze madri; consultorio familiare, consultorio geriatrico e per adolescenti e giovani; cooperative integrate di lavoro; corsi di formazione per adulti; counselling; dormitori pubblici, asili notturni e mense pubbliche; «educativa territoriale» con minori; formazione professionale

con giovani drop-out; gruppi di auto aiuto (tra alcolisti, tra malati di aids, tra sieropositivi hiv, tra tossicodipendenti) gruppi di promozione sociale; informagiovani; iniziative sportive; interventi di prevenzione del disagio; istituti per anziani, per disabili, per minori; lavoro di strada con minori, con adolescenti, con tossicodipendenti; lavoro nel territorio; progetti adolescenti e progetti giovani; reinserimento sociale e lavorativo; reparti ospedalieri con minori; residenze protette; soggiorni estivi; interventi a favore degli immigrati.

 

Questo elenco costituisce una mappa sufficientemente attendibile della presenza attiva dell’educatore professionale nell’ambito di servizi sociali, assistenziali, sanitari, culturali promossi dalle diverse articolazioni dello Stato e da organizzazioni di tipo privatistico e solidaristico. Una mappa, peraltro, in costante aggiornamento perché le emergenze sociali, che con notevole frequenza si manifestano, determinano la necessità di attivare interventi non solo socio-assistenziali e/o sanitari, ma anche educativi.

In tutte queste situazioni e ambiti di intervento l’educatore professionale progressivamente, e non senza «fatica», è riuscito a collocarsi portando un contributo specifico, differente da quello di altre figure (assistente sociale, psicologo, medico ecc.), non in contrapposizione o antagonismo, ma in modo complementare a loro. Il contributo specifico si è orientato sui processi di crescita,

di apprendimento, di reinserimento sociale, sulla prevenzione con una rilevante e costante attenzione:

 

-         alla persona nella sua globalità, alla valorizzazione delle risorse e al recupero delle potenzialità;

-         allo sviluppo della partecipazione degli individui, dei nuclei familiari, degli ambienti relazionali e comunitari;

-         alla dimensione dell’ascolto e al valore di libertà delle persone;

-         al dare senso e significato all’esperienza;

-         alla mediazione con la realtà di riferimento;

-         alla dimensione informale della vita delle persone e dei gruppi sociali.

 

L’inserimento della figura professionale dell’educatore nei servizi ha portato:

  1. all’introduzione di elementi di flessibilità all’interno dell’organizzazione dei servizi;
  2. alla valorizzazione, nell’ambito dell’esercizio della professione, di una logica progettuale, che ha incrementato l’integrazione e la trasversalità tra servizi e l'interconnessione con soggetti esterni ai servizi stessi;
  3. allo sviluppo di un’attenzione agli aspetti valutativi dei processi e dei risultati.

 

L’evoluzione di tale figura professionale è stata consistente e rapida. Sino alla fine degli anni sessanta l’educatore (non ancora denominato con il termine «professionale») è stato presente pressoché solo negli istituti: perlopiù si trattava di personale religioso o volontario. Oltre tutto non esisteva un percorso formativo di base per svolgere tale funzione, ad esclusione della scuola del Ministero di Grazia e Giustizia.

Nel corso del periodo 1960-1995 è fortemente cresciuto il numero di chi svolge professionalmente la funzione educativa in contesti extrascolastici (si tratta di una percezione condivisa tra gli addetti al settore, che trae origine dalla conoscenza diretta e dalla letteratura, non esistendo, tuttora, un censimento nazionale della presenza numerica e funzionale di tale figura), ed è, contemporaneamente, cresciuto l’impegno per il riconoscimento e la legittimazione della professionalità e della sua formazione di base.

Nel 1983 una Commissione nazionale, istituita presso il Ministero dell’Interno, riconosceva la rilevanza della figura dell’educatore professionale per il sistema dei servizi sociali e sanitari ed auspicava una sua legittimazione con la conseguente definizione ed articolazione del piano di studi di base e dei processi di ingresso nel mondo del lavoro.

In questo momento sono circa una settantina le scuole di formazione attivate

da Università (scuole dirette a fini speciali) e da Regioni (scuole regionali gestite da enti locali, da Asl e da enti privati convenzionati), distribuite in modo non omogeneo sul territorio nazionale. Si calcola siano almeno cinquemila gli educatori sinora diplomati presso i corsi di formazione a durata triennale.

 

L’urgenza di una riflessione

 

Occorre prendere atto che quanto si è realizzato in questi ultimi vent'anni (ed in particolare negli ultimi dieci) per portare a piena legittimità e riconoscimento sociale e culturale la figura professionale dell’educatore non ha prodotto, sinora, risultati apprezzabili.

Anzi, nonostante nel 1983 la Commissione ministeriale abbia sollecitato una disciplina di tale figura, e diversi decreti governativi abbiano normato la presenza dell’educatore - solo per quanto riguarda l’ambito sanitario e non senza problemi in fase d’attuazione - e, benché di recente sia stato istituito il corso di laurea in scienze dell’educazione con un indirizzo denominato «educatore professionale extrascolastico», la situazione complessiva, sia per quanto riguarda il riconoscimento del profilo e dell’iter formativo, sia per quanto attiene le condizioni e le possibilità di impiego, appare oggi sempre più confusa e incerta.

Si riscontra, infatti, una notevole divaricazione tra una domanda crescente, nella società, di azione educativa e pedagogica e la posizione della figura dell’educatore professionale in una situazione di sostanziale debolezza nel quadro delle professioni sociali. E’ una situazione, questa, che non riguarda solamente chi dovrà inserirsi nei servizi, ma anche (paradossalmente) molti di coloro che già si sono collocati nel mondo del lavoro, in condizioni sovente di precarietà ed incertezza.

           

E’ difficile immaginare che la debolezza che molti educatori esprimono nella loro quotidianità, si risolva d’incanto solo grazie all’approvazione formale del profilo, del piano di studi e dell’albo professionale. Molti educatori probabilmente continuerebbero a vivere «confusivamente» la propria identità professionale anche alla presenza di provvedimenti come quelli auspicati, in ragione di una debole consapevolezza delle valenze di questo ruolo (ad esempio, dei diversi livelli di responsabilità che ciascuno gioca: professionale, sociale, personale ecc.) e delle connessioni tra ruolo, modello e sistema e in ragione della debolezza e crisi che, secondo alcuni, la pedagogia starebbe vivendo.

S’impone, di conseguenza, l’esigenza di individuare altre ragioni di tale situazione d’incertezza. Tra queste possono essere evidenziate alcune contraddizioni di tipo culturale, che hanno accompagnato l’evoluzione della figura dell’educatore, quali, ad esempio:

-         l’estrema differenziazione delle rappresentazioni (modi di raffigurarsi il ruolo e le attese sociali) che sono andate costruendosi sull’educatore sia da parte degli educatori stessi (al punto da non riuscire spesso ad esprimere compiutamente in modo condiviso un pensiero, consapevole, su se stessi) sia da parte delle altre professioni sociali;

-         l’attribuzione di una connotazione filantropico-assistenziale al lavoro educativo;

-         la scarsa considerazione in genere espressa per l’extrascolastico educativo (da alcuni considerato un lusso che non sempre ci si può permettere);

-         l’appiattimento su una posizione che vede l’educatore esclusivamente impegnato in un’ottica di tipo rieducativo-riparativo;

-         la moltiplicazione dei soggetti operanti nei servizi educativi extrascolastici sotto svariate denominazioni, che non si sa se corrispondano a profili professionali differenti o allo stesso profilo denominato in modo diverso;

-         la moltiplicazione delle iniziative, soprattutto da parte degli enti locali e di soggetti di terzo sistema, in cui vanno a collocarsi gli educatori, ma, sovente, senza chiarire se ciò comporti un riconoscimento delle funzioni educative del servizio, attività o progetto o se tale collocazione sia puramente funzionale all’ampliamento della «forza lavoro» (senza, peraltro, essere capaci di utilizzarne adeguatamente le specificità professionali).

 

Conseguenza di tutto ciò è che l’educatore professionale rischia di essere percepito come più «cose» insieme (funzioni, ruoli, compiti di lavoro ecc.) e, nel frattempo, di veder compromessa la propria identità. E’ evidente come ciò non aiuti il processo di professionalizzazione e confermi, invece, una situazione in cui appare sempre più rilevante il bisogno di regolazione del sistema delle professioni sociali.

Si tratta di trovare le modalità per garantire i cittadini sulla possibilità di ricevere aiuto da professionisti competenti e per garantire i professionisti competenti (in questo caso gli educatori) circa la possibilità di tutelare la propria professionalità. Tutto ciò richiama due dimensioni del problema: una politica ed una etica.

 

Per quanto riguarda la dimensione politica è sempre più evidente l'intreccio e la connessione tra il futuro della professione dell'educatore e quello delle politiche sociali. Lo sviluppo quantitativo e qualitativo della figura dell'educatore è avvenuto in un periodo caratterizzato da forti riforme nel sistema dei servizi, passato progressivamente da una concezione assistenzialistica e custodialistica ad una concezione di promozione sociale, prevenzione ed integrazione sociosanitaria nella prospettiva della deistituzionalizzazione e della territorialità.

 

A fronte di una prospettiva, sempre più presente nel dibattito culturale, che vede nell’educatore professionale un possibile tutore dei diritti sociali (salute, gioco, tempo libero, intuizione, socializzazione, crescita), si pone l’esigenza di definire il percorso e le condizioni necessarie per far sì che ciò possa avvenire. Tale percorso appare, oggi, alquanto accidentato e difficile in considerazione del fatto che, tuttora, l’educatore non riesce a tutelare i propri diritti.

Per quanto riguarda la dimensione etica si tratta di considerare attentamente il fatto che allo sviluppo professionale (metodologico e tecnico) già avvenuto deve ora seguire, come per altre professioni sociali, un serio lavoro di costruzione di un codice deontologico per poter rispondere non solo alle domande relative al «cosa» e al «come» ma anche alle domande relative al «perché», al fine di delineare i limiti e i confini al di là dei quali un'azione educativa diviene eticamente incongrua da un punto di vista professionale.

Tutto ciò dovrà portare gli educatori (e non solo loro) a un consistente approfondimento sul piano dei valori e dei principi che orientano l'azione e i comportamenti professionali al fine di offrire servizi nel pieno rispetto di se stessi, del «cliente-utente», delle caratteristiche sociali e culturali del contesto territoriale in cui l'azione si svolge.

Queste considerazioni rilanciano in modo rilevante l’esigenza di una seria riflessione sulla figura dell’educatore: sul perché egli debba esistere, per chi, per quali bisogni, per quale modello di lavoro sociale, per quale sistema dei servizi, per quale futuro impiego (ambiti, soggetti e contesti organizzativi).

 

Le ragioni di un manifesto sulleducatore professionale

 

L’avvio dei corsi di laurea in Scienze dell’educazione ha posto immediatamente e con urgenza alcuni interrogativi che restano tuttora irrisolti:

 

-  E' ancora possibile pensare a un’ipotesi di formazione a doppio livello: da un lato il corso di laurea che dovrebbe offrire la possibilità di accedere a posizioni direttive nel sistema dei servizi e, dall’altra, il diploma universitario (laurea breve) di tipo professionalizzante (ipotesi, peraltro, prevista anche dalla recente normativa universitaria), garantendo che non si sviluppi

un rigido meccanismo burocratico e consentendo in qualsiasi momento, anche una volta terminati gli studi, il passaggio dal diploma universitario alla laurea?

-         E’ possibile, e come, riconoscere la professionalità di molti educatori in servizio da anni, soprattutto in Regioni in cui, di fatto, non vi sono state opportunità formative di base (con, ad esempio, corsi di riqualificazione in servizio definiti in modo omogeneo per tutto il territorio nazionale)?

-         E’ possibile, e come, garantire una possibilità di accesso «agevolato» ai percorsi universitari per chi ha già conseguito titoli formativi di tipo professionalizzante?

-         E’ possibile, e come, recuperare la notevole esperienza e la competenza formativa costruita e sviluppata nell’ambito delle scuole di formazione, in questo momento esistenti?

-         E’ possibile, e come, garantire nel corso di laurea (ed eventualmente anche in quello di laurea breve) l’effettivo sviluppo di tirocinii formativi, seri, qualificati, organizzati e soprattutto, utili ai fini della costruzione dell’identità professionale e dell’acquisizione delle competenze operative necessarie per l’ingresso nel mondo del lavoro?

-         E’ possibile, e come, affrontare il crescente bisogno di differenziazione degli interventi che potenzialmente possono dare luogo ad una proliferazione di figure professionali (ad es. l’educatore con gli anziani, l’educatore di comunità per tossicodipendenti, l’educatore di strada ecc.)?

-         E’ possibile, e come, garantire l’apertura di sedi formative in tutte le Regioni, in modo da permettere a quanti sono interessati la possibilità di prepararsi per svolgere tale professione?

-         E’ possibile, e come, regolare l’accesso all’esercizio della professione educativa (albo, esame di Stato ecc.)?

 

Infine occorre considerare anche la questione della formazione permanente e della supervisione. Stante la situazione di debolezza sopra descritta, cresce negli educatori in servizio la domanda di formazione e di supervisione, come esigenza di rafforzamento della propria identità professionale, sia riguardo al crescere (ed esplodere) di nuovi bisogni e di altre problematiche sociali, sia a proposito di situazioni lavorative in cui l’educatore è coinvolto in équipe pluriprofessionali nelle quali sovente prevale il senso di insoddisfazione e la difficoltà d’interazione. Si pone pertanto un problema di collegamento tra formazione di base e formazione permanente in modo da garantire un costante aggiornamento e un lavoro di accompagnamento e sostegno allo sviluppo culturale e metodologico della professione. In questa prospettiva occorre dedicare attenzione alla possibilità di sviluppo di un’esperienza di supervisione pedagogica professionale praticata da educatori esperti.

 

Le questioni sinora espresse trovano un altro motivo d’urgenza nelle modificazioni in atto a livello di istituzioni pubbliche e del sistema dei servizi sociali e sanitari. In particolare l’attenzione va posta sull'aziendalizzazione delle Asl, sull’incertezza circa il futuro dei servizi sociali, sul fatto che l’educatore sia tuttora collocato in servizi a forte caratterizzazione sanitaria, in servizi di chiara connotazione socio-assistenziale e in servizi al confine tra sanitario e sociale. Tutto questo determina il bisogno di un approfondimento circa le collocazioni dell’educatore negli scenari dei servizi che si configurano per il futuro.

Si tratta, in altre parole, di intravedere quali spazi, funzioni e collocazioni operative e organizzative gli educatori saranno chiamati a ricoprire nel prossimo futuro.

In particolare, e al solo scopo, in questa sede, di evidenziare una questione essenziale, c’è da chiedersi se le attuali tendenze a un ridimensionamento del welfare non comportino una sostanziale riduzione delle potenzialità operative dell’educatore professionale e un suo confinamento in attività di tipo prettamente riparatorio-assistenziale. I segnali in tal senso sono preoccupanti, anche se i singoli contesti regionali appaiono differenziati, e si manifestano attraverso decisioni politiche e atti normativi e amministrativi volti a:

 

-         separare rigidamente il «sociale» dal «sanitario» (non solo negli aspetti finanziari ma anche in quelli organizzativi e operativi), in nome di principi di efficienza ed economicità;

-         sanitarizzare il sociale, riducendo le risorse orientate alla prevenzione e alla promozione del benessere per concentrarle sulle dimensioni curative e comunque direttamente sanitarie;

-         ridurre la consistenza dei servizi pubblici a favore di uno sviluppo del privato non profit e profit.

 

Appare evidente che se tali tendenze dovessero essere confermate anche nel futuro, l’apporto dell’educatore professionale verrebbe fortemente ridimensionato, soprattutto in quelle attività a elevata integrazione socio-sanitaria in cui la dimensione educativa, costitutiva dell’intervento stesso (si pensi ad aree quali la psichiatria, la tossicodipendenza, i minori ecc.), non appare facilmente ascrivibile all’uno o all’altro comparto.

In altri termini, l’assenza di una precisa classificazione (sociale o sanitaria) in un’organizzazione che separa nettamente i due aspetti, rischia di lasciare senza cittadinanza e copertura economica tali attività e gli operatori che le attuano, gli educatori potrebbero così progressivamente scomparire dalle aziende Asl.

Il manifesto sull’educatore professionale nasce da questi interrogativi, da tempo presenti a chi opera nel settore, e vuole essere un contributo di riflessioni e proposte per arricchire il dibattito avviato e per giungere ad alcune scelte auspicabili.

 

Due presupposti di fondo

 

In chi ha sottoscritto il manifesto, vi sono due convinzioni fondamentali che vincolano e caratterizzano le riflessioni seguenti.

La prima convinzione, pur riconoscendo che i diversi ambiti d’azione dell’educatore introducono esigenze di specializzazione (a livello di metodologie e di dimensioni organizzative), si esprime nel senso che queste possono far riferimento a un’unica figura, denominata educatore professionale. Un unico profilo vuol dire maggior arricchimento professionale, più ragguardevole mobilità e (probabilmente) maggior benessere (nel senso della prevenzione del burn-out). Tutti gli educatori, indipendentemente dagli ambiti lavorativi, oggi sono chiamati a misurarsi con l’esigenza di:

 

- affrontare la complessità della società e dei bisogni degli individui;

- attivare/accompagnare processi di crescita e sviluppo individuali e collettivi;

- sviluppare potenzialità;

- attivare risorse nelle relazioni interpersonali e in contesti relazionali più ampi;

- integrare saperi di discipline diverse;

- lavorare in gruppo;

- costruire una professionalità in senso evolutivo, costruttivo, compartecipato.

 

In secondo luogo, porre la persona al centro dei servizi implica che siano fornite risposte complessive, con interventi non frazionati e che siano valorizzati e impegnati solo quegli operatori in grado di far propria la logica dell’unitarietà e della globalità degli interventi. In tal senso si ritiene che l’educatore professionale sia figura sociale che presenta un sistema di competenze adeguato per far fronte a tali richieste, dato che la sua identità professionale, se frammentata  in diversi profili, sarebbe indebolita. L’esigenza di abilitare l’educatore a fronteggiare funzioni diverse comporta livelli articolati di intervento formativo collocabili sia all’interno della formazione di base, con moduli e seminari mirati a specifici temi, sia nell’aggiornamento periodico.

 

Gli ambiti di intervento delleducatore professionale

 

Gli ambiti di intervento individuati sono quattro: socio-sanitario, sociale, di protezione giuridica, formativo.

Destinatari dell’ambito socio-sanitario sono: portatori di handicap, tossicodipendenti e alcolisti; soggetti con disagio mentale. I servizi individuati sono diurni, residenziali, domiciliari (es. centri educativo-occupazionali, servizi per l’inserimento lavorativo, servizi territoriali per l’handicap, sert, comunità terapeutiche, centri di salute mentale, comunità alloggio ecc.).

Destinatari degli interventi dell’area sociale sono: la popolazione minorile, giovanile, adulta, anziana in prospettiva assistenziale e promozionale. I servizi individuati sono centri di aggregazione, centri sociali, sostegno educativo domiciliare, comunità alloggio, servizi di pronta accoglienza, iniziative collegate a progetti giovani, ecc.

Destinatari degli interventi dell’area concernente la protezione giuridica sono i minori e gli adulti sottoposti a procedimento penale. Per i minori ci si riferisce a: uffici di servizio sociale, centri di prima accoglienza, istituti penali minorili, comunità per minorenni, centri diurni polifunzionali; per gli adulti ad istituti di prevenzione e pena nelle loro varie tipologie di utenza e organizzative.

Destinatari degli interventi dell’ambito formativo sono: allievi educatori, educatori in servizio e i servizi: scuole di formazione, università, sedi e agenzie formative.

 

Lo specifico professionale delleducatore e relative competenze

 

La relazione e la progettualità sovente sono individuate come le caratteristiche distintive dell’educatore, ma, a un’attenta e onesta analisi, è possibile riconoscere come tali competenze siano trasversali e presenti in diverse figure professionali che operano nell’ambito dei servizi alla persona: ciò dà luogo all’emergere di aree di confine comuni di non facile distinzione. A proposito di questo rilievo, gli elementi specifici della professionalità dell’educatore sono identificati in alcuni aspetti della relazione e della progettualità (caratteristiche che sono parzialmente o per nulla praticate da altre figure). Per quanto riguarda la relazione «educativa», si tratta in particolare:

 

-         della condivisione della vita quotidiana, al fine di permettere il recupero e la valorizzazione educativa dei significati delle attività di routine, l’utilizzazione di «imprevisti» e «incertezze», l’interpretazione e l’elaborazione degli «eventi»;

-         della stimolazione e valorizzazione delle risorse personali e del contesto familiare dei soggetti, oltre che di quelle del territorio; dell’attivazione di processi di cambiamento nella prospettiva di una costruzione della comunità locale, in un’ottica preventiva e promozionale da un lato, compensatoria e integrativa, dall’altro.

 

Se si analizzano le varie fasi del progetto, in considerazione del diverso ambito operativo, della diversa competenza professionale (si pensi al versante «famiglia» come utenza privilegiata dei servizi), si può costatare come difficilmente il progetto sia considerato, seguito e sviluppato in tutte le sue parti, le sue fasi, i suoi tempi. Spesso, infatti, il progetto è inteso solo come rapporto diretto tra obiettivi e risultato, senza una vera e propria metodologia articolata  per gradualità, tempi, modalità, verifiche intermedie ecc.

Nella relazione educativa questa dinamica progettuale accomuna i due soggetti coinvolti: il cammino è comune, proprio in virtù di quella caratteristica qualità professionale, che deriva dalla quotidianità come costruzione di significati umani e psicologici, che legano insieme educatore e educando (soggetto in formazione).

 

La quotidianità diventa quindi la caratteristica che differenzia e definisce, anche dal punto di vista metodologico, un progetto avente contenuti e valenza educativa da altri interventi, nei termini di unitarietà e globalità dell’intervento.

Nella pratica quotidiana l’educatore dovrebbe, in ragione di tali elementi specifici:

 

-         valorizzare il proprio sé (personale, professionale e sociale) con la consapevolezza e la disponibilità a vivere i rischi connessi ai limiti della propria condizione spazio temporale, definita anche in base all’età e al sesso;

-         produrre e garantire processi di sostegno, di tutela e orientamento

-         acquisire e attivare metodologie e tecniche a valenza educativa e pedagogica;

-         essere attento alle dimensioni della negoziazione e della mediazione tra le esigenze dei diversi soggetti coinvolti e dei diversi contesti interessati.

 

Spesso il mandato istituzionale non appare sufficientemente chiaro ed elaborato. Questo è particolarmente riscontrabile nell’ambito del «sociale», che ha visto organizzare nuovi interventi che non scaturiscono da mandati formali ma nascono come esito del processo e delle pratiche sociali messe in atto. In tali situazioni l’educatore è chiamato, spesso, a «inventare» la traduzione operativa di un mandato «generico». Questo, pur presentando aspetti positivi, giacché facilita la crescita di creatività e di autonomia, può generare conflitti con l’istituzione e mettere, di fatto, in discussione l’identificazione con la medesima.

 

Il profilo professionale dell'educatore

 

A fronte dell’assenza di una disciplina dell’educatore professionale, va riconosciuto che in questi anni molteplici sono le idee espresse a tal proposito, così come molti sono i tentativi realizzati per giungere al riconoscimento della figura dell’educatore. I riferimenti più indicativi rispetto alle esigenze poste in precedenza sono contenuti in documenti e normative, elaborati in sedi diverse:

 

-         il documento della Commissione interministeriale e interregionale costituita presso il Ministero dell’Interno nel 1983;

-         il profilo professionale individuato dall’Associazione internazionale degli educatori (Aieji);

-         il profilo professionale individuato dal Comitato europeo dei Centri di formazione per educatori;

-         la proposta di profilo elaborata dall’Associazione nazionale degli educatori (Anep) nel 1994;

-         la proposta di legge di iniziativa parlamentare (Gianotti ed altri, n. 114) del 1994;

-         la proposta di legge elaborata dall’Associazione italiana delle scuole per educatori professionali (Aisep) del 1995;

-         le normative di istituzione del profilo e del percorso formativo dell’educatore professionale di alcune Regioni (con particolare riferimento a quella della Regione Lombardia).

In merito ai contenuti dei profili sopra richiamati particolare attenzione deve essere posta affinché, come accade in talune delle proposte indicate, non si accentuino aspetti di professionalità prevalentemente nel settore sanitario ma vengano invece valorizzate quelle competenze finalizzate alla promozione del benessere individuale e collettivo, per permettere all’educatore, in analogia con altre professioni del sociale, di essere impegnato anche nella tutela e sviluppo dei diritti delle persone.

 

Percorsi e sedi formative di base

 

La formazione è una condizione irrinunciabile per garantire la qualità dei servizi, la dignità professionale degli operatori e la tutela dei diritti delle persone.

Per quanto riguarda luoghi e percorsi formativi, si fa riferimento alla seguente normativa:

 

  1. L. n. 341 del 19/11/1990, Riforma degli ordinamenti didattici universitari;
  2. Dm del 11/2/1991, Modificazioni all’ordinamento didattico universitario relativamente al Corso di laurea in scienze dell’educazione (ex Pedagogia) che prevede l’indirizzo per educatori professionali extrascolastici;
  3. Dl n. 115 del 27/1/1992, Attuazione della direttiva Cee n. 89/48 sul riconoscimento reciproco dei diplomi triennali post scuola media superiore;
  4. Dl n. 502 del 1992, Riordino della disciplina in materia sanitaria;
  5. Dl n. 319 del 2/5/1994, Attuazione della direttiva Cee 92/51 relativa ad un secondo sistema generale di riconoscimento della formazione professionale che integra la direttiva Cee 89/48.

 

La scelta dell’iter formativo richiede una precisa definizione del ruolo dei soggetti istituzionali affinché, sul piano operativo, sia permesso il recupero e la valorizzazione dell’esperienza formativa esistente (normativa regionale in merito e attività delle scuole).

Nell’ipotesi dell’attivazione di uno specifico diploma universitario, per la formazione dell’educatore professionale, è necessaria la collaborazione tra Regioni e università, finalizzata ad una gestione integrata del percorso formativo, in una logica di programmazione, di valorizzazione e di recupero del patrimonio di esperienza e saperi, accumulato finora nel campo della formazione professionale degli educatori. A tal fine si evidenzia la possibilità di utilizzare strumenti quali le convenzioni, i consorzi, gli accordi di programma.

 

Per quanto concerne la collocazione della formazione dell’educatore nell’ambito dell’università, si concorda sull’ipotesi di un percorso articolato su due livelli di preparazione: il diploma universitario, come formazione di tipo professionalizzante, e la laurea, come ampliamento delle competenze scientifiche e culturali e acquisizione di un titolo in grado di garantire l’accesso a ruoli direttivi. Questa articolazione formativa rafforzerebbe l’identità professionale dell’educatore e ne favorirebbe la progressione di carriera.

 

Una situazione critica appare essere quella che potrà determinarsi qualora trovino concretizzazione i previsti diplomi universitari nell’ambito delle facoltà di medicina. Tali diplomi ridurrebbero al solo approccio medico-biologico l’area professionale dell’educatore. Ciononostante un rapporto e un confronto con tali facoltà è quanto mai opportuno, proprio per poter proporre il contributo sinora maturato in relazione alla formazione dell’educatore e all’identificazione del suo specifico professionale.

Si ritiene che la laurea in scienze dell’educazione (indirizzo educatore extrascolastico) non presenti le caratteristiche di percorso formativo completamente adeguate all’acquisizione delle capacità e delle competenze, previste dal profilo dell’educatore professionale, soprattutto per quanto riguarda lo scarso peso che è attribuito ai tirocinii professionali.

L’esperienza sinora realizzata dalle scuole di formazione per educatori evidenzia che a un solido impianto scientifico deve fare riscontro un valido itinerario formativo, che permetta di acquisire le capacità del fare, dell’essere e anche del saper governare processi di cambiamenti individuali, di gruppo e collettivi. Questo si traduce nella necessità che:

 

-         i piani di studio siano flessibili, periodicamente rivisti e modificati sulla base dei diversi bisogni formativi dettati dalle nuove acquisizioni teoriche, metodologiche, tecniche e dall’affacciarsi di nuovi problemi e fenomeni sociali;

-         sia sostenuto chi è in formazione nella conoscenza di sé e nell’uso di sé nella relazione con le persone, i gruppi, le comunità attraverso:

-         la definizione di un programma riguardante l’intero percorso formativo, condiviso da tutti i docenti;

-         la messa a disposizione, nella formazione di base, degli strumenti concettuali e metodologici fondamentali per operare sul versante della prevenzione, della promozione, della cura, del recupero, della riabilitazione, acquisendo nel contempo, nella formazione in servizio, le competenze per lavorare in uno specifico settore. Una formazione di base polivalente facilita nelle situazioni di mobilità ed è una risorsa quanto mai opportuna per le professioni di aiuto;

-         la costruzione di professionalità capaci di agire in modo integrato con le altre professioni sociali, con la consapevolezza delle specificità del contesto in cui si opera;

-         l’utilizzo di metodologie didattiche attive, come laboratori, esercitazioni pratiche, ma, soprattutto, tirocinii progettati, guidati e dotati di un monte ore adeguato agli obiettivi formativi;

-         la supervisione fornita da un professionista della stessa area professionale;

-         la presenza nelle sedi formative di tutor che supportino l’individualizzazione del progetto formativo e curino la qualità dell’organizzazione dei tirocinii, in collaborazione con i docenti.

 

Questa configurazione di percorso formativo ha trovato concretizzazione nell’ambito delle scuole regionali, nelle quali si è potuto realizzare un progetto formativo secondo una logica di coerenza tra domanda degli utenti, necessità dei servizi e professionalità impiegate.

 

Il mercato del lavoro

 

E’ necessaria una lettura in senso dinamico dei bisogni formativi, favoriti dallo sviluppo della domanda occupazionale dei servizi, per formulare le risposte adeguate sul piano quantitativo e qualitativo e per individuare e fornire validi strumenti d’orientamento formativo e professionale. In questa direzione le Regioni possono e devono svolgere un ruolo attivo:

 

-         nella costruzione e nella gestione del percorso, in stretto raccordo con le richieste del sistema dei servizi, con le trasformazioni e l’articolazione specifica del mercato del lavoro locale;

-         nei processi di regolazione del mercato del lavoro degli operatori sociali, sia nella programmazione del fabbisogno sia nella rilevazione e controllo dello stesso.

 

In questo senso le Università possono svolgere un utile ruolo di ricerca intorno alla professionalità dell’educatore e alla valutazione dei processi formativi. Le amministrazioni locali e le organizzazioni sindacali vanno sensibilizzate affinché, a professionalità come l’educatore professionale, sia riconosciuta una collocazione contrattuale adeguata alle funzioni svolte e al livello di formazione acquisito.

 

La formazione in servizio, la formazione,la supervisione

 

Per garantire un livello qualificato di servizi è necessario che le Regioni:

 

-         vincolino l’ingresso nei servizi a personale con la specifica qualifica di educatore professionale sia nel settore pubblico sia nel privato convenzionato; In questa direzione, ad esempio, si sono già orientate la Regione Veneto e la Regione Piemonte.

-         promuovano la formazione in servizio per qualificare gli operatori assunti senza titolo ma con i requisiti di accesso ai corsi stessi;

-         prevedano corsi specifici per il personale in servizio, privo dei requisiti di accesso alla professione, con la garanzia del mantenimento del posto di lavoro e della qualifica funzionale raggiunta.

 

La formazione permanente è parte costitutiva di una professionalità che deve rispondere a situazioni particolarmente complesse con bisogni in continua evoluzione. Nella prospettiva sopra indicata è necessario che negli operatoricresca una cultura orientata a considerare la formazione continua come costitutiva della propria professionalità e che, nel contempo, si sviluppino nei servizi condizioni culturali e gestionali che ne consentano la realizzazione.

Si tratta di pensare a un educatore positivamente inserito nel contesto organizzativo e protagonista del suo processo formativo. In tal senso vanno favorite, da un lato, la formazione per acquisire nuovi saperi e abilità, dall’altro la formazione mirata a far fronte ai cambiamenti organizzativi in atto nei servizi. 

 

Analogamente alla formazione di base anche la formazione permanente deve partire dalla formulazione di progetti formativi, considerando che per molti educatori questa è l’unica, o quantomeno la più importante opportunità formativa specifica, giacché la formazione di base e la qualificazione in corso d’impiego hanno sinora coinvolto una parte limitata dell’universo degli educatori in servizio. Vanno definiti gli interventi a partire da un’accurata lettura dei bisogni formativi, tenendo conto che il progetto deve riguardare:

 

-         sia il bisogno di rafforzamento dell’identità professionale dell'educatore e/o dell’organizzazione specificatamente coinvolta;

-         sia nuovi bisogni formativi inerenti obiettivi definiti in sede di programmazione regionale o locale.

 

A fronte della consistente offerta di formazione, non inserita in una programmazione, si auspica che siano attivati percorsi formativi congruenti con i progetti di servizio, che siano definite le funzioni da compiere e gli stessi soggetti da coinvolgere nella formazione. In altri termini si tratta di permettere lo sviluppo di pratiche formative a servizio di obiettivi di sviluppo qualitativo dei servizi. Tale prospettiva potrebbe garantire:

 

-         una migliore articolazione del profilo professionale di fronte ai bisogni emergenti e a nuove pratiche operative;

-         nuove modalità operative, evitando la proliferazione di altre figure professionali e garantendo, nel frattempo, una figura flessibile e capace di riorientare se stessa, continuamente, nell’ambito dei servizi in cui opera.

 

Ciò, concretamente, potrebbe tradursi in un’organizzazione sempre nuova e finalizzata delle proprie conoscenze, in una costante ridefinizione degli ambienti in cui si agisce, di se stessi (identità professionale), dei criteri per agire, dei propri compiti, delle funzioni da esercitare e potrebbe tradursi nella capacità di cogliere i limiti dei propri saperi.

Questo approccio dinamico alla dimensione professionale propone un superamento di una visione statica della professionalità e del sé professionale.

 

Entrambi, se visti in modo difensivo e autoreferenziale, producono ostacoli allo sviluppo di esperienze di progettazione partecipata, realizzabili su scala comunitaria. Si tratta sostanzialmente di passare da una logica individuale ad una logica plurale, che vede nel «noi» una dimensione favorente l’integrazione delle competenze, delle funzioni e dei ruoli.

Diventa, in altre parole, necessario il passaggio ad una situazione in cui la realizzazione degli interventi chiede di rimettere in discussione i ruoli, le prassi organizzative e di diventare capaci di farsi carico dei problemi, in conformità con una visione condivisa degli obiettivi e della necessità di produrre risorse (professionali, comunitarie o d’altra natura) per conseguirli.

 

Le scuole potrebbero essere nello stesso tempo sedi di formazione di base e luoghi di formazione permanente, in modo da garantire un arricchimento reciproco fra operatori in servizio e operatori in formazione. In questa direzione vanno costruite e praticate situazioni di formazione per porre gli educatori in una posizione di protagonismo, con situazioni di autoformazione e ricerca professionale finalizzate alla produzione di «sapere professionale» originale, a partire dall’analisi e dal confronto tra le prassi operative.

 

A questo scopo, è utile, in una situazione in cui sovente i confini tra formazione permanente e supervisione sono scarsamente definiti, procedere ad una chiarificazione tra le due pratiche di supporto all’attività professionale, ad esempio orientando la formazione permanente sui versanti della programmazione, dell’organizzazione dei servizi e della domanda proveniente dai bisogni sociali espressi.

 

La supervisione potrebbe, invece, essere orientata e riferita, in modo prevalente, ad una riflessione sistematica sulla pratica professionale specifica. È cioè necessario sviluppare e incrementare il coinvolgimento di educatori professionali, opportunamente formati, nella realizzazione dell’attività di supervisione, interna alla professione, per garantire la possibilità di una riflessione e di una ricerca sulle pratiche e sulle metodologie educative, che attinga alle esperienze di educatori competenti, che abbiano avuto la possibilità di rivisitare a fondo il proprio lavoro, rielaborandone i significati, le prassi, gli orientamenti.

 

Le sedi formative per educatori professionali potrebbero offrire spazi formativi finalizzati alla graduale acquisizione di queste competenze.

 


 

Albo - Tutela professione

Proposte di Legge

 

PdL 2613 del 9 apr 2002 - CAMERA DEI DEPUTATI - INIZIATIVA DEL DEPUTATO BATTAGLIA - Nuove norme in materia di professioni sanitarie.

 

PdL 2618 del 9 apr 2002 - On. Lucchese - Istituzione degli Ordini (o dei Collegi) e degli Albi delle professioni sanitarie riabilitative, delle professioni tecnico-sanitarie e delle professioni tecniche sanitarie della prevenzione di cui alla legge 251/2000

 

PdL 771 Ordinamento della Professione di Educatore Professionale

 

PdL 1504 Disciplina della Professione di Educatore Professionale

 

PdL 4562 Mestieri e Professioni di aiuto - Sindrome da Burn-out

 

PdL 6550 Professioni non regolamentate

 

Leggi  (Anep)

Legge 8 novembre 2000, n. 328 - pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 13 novembre 2000 - Supplemento ordinario n. 186

Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali - Principi generali del sistema integrato di interventi e servizi sociali

 

Legge 11 luglio 1980, n. 312 (G.U. 12 luglio 1980 n. 190)

Educatori per adulti negli istituti penitenziari.

Nuovo assetto retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato; questa definisce le qualifiche funzionali con le funzioni ad esse correlate, da disposizioni sui profili professionali, cita gli Assistenti Sociali utilizzati dal Ministero del Lavoro e al titolo secondo parla delle "norme relative al personale della scuola materna, elementare, secondaria e artistica delle istituzioni educative e delle scuole speciali dello stato

 

Legge 354/75

Ha visto un ingresso reale degli educatori negli istituti penitenziari nel 1979; con la circolare ministeriale (Grazia e Giustizia) 7 feb 1992 sono state definite le aree operative tra cui quella "Educativa o del trattamento" detta anche area pedagogica. In questa area sono previsti: Direttore di area pedagogica (VIII livello) attualmente assente dagli istituti penitenziari d'Italia perche' il primo concorso bandito qualche anno fa attualmente e' bloccato; Educatore coordinatore (VII livello); Psicologi (ma solo con contratti a termine, assunti quindi come collaboratori consulenti; Educatori (VI livello); Operatori dell'Area pedagogica (V livello).

Decreti
D.P.R 384/90 sentenza Cons. di Stato su Decreto Sanità

DPR 1219 del 1984

FORMAZIONE: Corso di laurea triennale in EDUCATORI PROFESSIONALI


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