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Cos'è l'Autismo in poche parole...

L’autismo viene considerato dalla comunità scientifica internazionale (classificazione ICD 10 dell’OMS e DSM IV) un disturbo pervasivo dello sviluppo, e si manifesta entro il terzo anno di età con deficit nelle aree della comunicazione, dell’interazione sociale e dell’immaginazione. L’autismo è un handicap grave che pur accompagnandosi ad un aspetto fisico normale coinvolge diverse funzioni cerebrali e perdura per tutta la vita. Inoltre le persone autistiche possono presentare problemi di comportamento. L’autismo è talvolta associato a disturbi neurologi aspecifici, come l’epilessia, o specifici, come la sclerosi tuberosa, la sindrome di Rett o la sindrome di Down.

Secondo stime recenti, l’autismo colpisce una persona su mille, e due persone su mille ne presentano alcuni sintomi potendo venire incluse nello "spettro autistico".

 

Dal Redattore Sociale, 01/02/2002

 

Giuseppe

 

Fuori dalla scuola perché “non scolarizzabile”. Giuseppe, bambino autistico di 12 anni, è il protagonista di una storia di esclusione tanto drammatica quanto controversa.
A denunciare il fatto e a renderlo pubblico, con il consenso dei genitori, è stata l’Agedi, Associazione genitori disabili, di Reggio Calabria. Questi i fatti.

 

Giuseppe frequenta la prima classe della scuola media “Montalbetti” di Reggio Calabria. Il bambino arriva da un percorso scolastico precedente (i cinque anni della scuola elementare) per nulla facile, segnato piuttosto da una non integrazione in classe con gli altri compagni. Giuseppe, infatti, ha frequentato la scuola in condizioni di isolamento, con il solo supporto dell’insegnante di sostegno, il quale purtroppo non è riuscito ad instaurare con lui un rapporto educativo solido ed efficace. Naturale, dunque, che il passaggio alla scuola media abbia segnato l’ennesimo trauma per Giuseppe, peggiorato tra l’altro dall’atteggiamento di rifiuto del preside e di alcuni insegnanti, le cui motivazioni sono state in un certo senso “legittimate” dall’equipe multidisciplinare scolastica. Le considerazioni sul caso vengono descritte in questi termini: “L’Unità multidisciplinare che ha seguito l’alunno Giuseppe, (…) ritiene di dover sospendere la frequenza in atto dalla scuola per esigenze di tutela dell’incolumità fisica dello stesso e di chi gli sta accanto, consigliando un ricovero del bambino presso un centro specialistico per l’adeguamento della terapia praticata”.


La risposta della famiglia è immediata: la denuncia al Tar e la richiesta di sostegno alle associazioni. Ma, di fatto, Giuseppe rimane in un limbo e di un pur timido accenno ad un tentativo di integrazione neppure l’ombra.

 

Nei giorni scorsi, i genitori si sono rivolti alla Clinica di Neuropsichiatria Infantile dell’Università degli Studi di Messina che ha fornito questa diagnosi: “Le difficoltà nell’inserimento scolastico non sono da attribuire ad un peggioramento clinico ma verosimilmente ad una difficoltà a seguire le attività curriculari anche se supportate dall’insegnante di sostegno. La possibilità che Giuseppe lavori coi coetanei è limitata a poche attività (per esempio educazione fisica). La patologia da cui è affetto il paziente si giova del contatto e della relazione con i coetanei e, pur essendo consapevoli che le sue abilità specifiche non possono migliorare sensibilmente, riteniamo che l’isolamento possa peggiorare la prognosi riguardo il versante relazionale. Potrebbe risultare inopportuno l’allontanamento dall’ambiente scolastico”. La risposta della scuola “Montalbetti”? “La certificazione della Clinica proviene dalla parte interessata e dunque non può essere presa in considerazione”.

 

Da lunedì, comunque, Giuseppe ha ripreso a frequentare le lezioni, grazie alle pressioni dell’Agedi e alla mobilitazione generale che si è creata intorno al caso. Ma rimane sempre un risultato a metà, poiché il bambino continua ad essere isolato e, neanche tanto implicitamente, rifiutato da gran parte del corpo docenti e dallo stesso preside

 

 

 

''Competenze chiare e specifiche degli insegnanti di sostegno''

 

“La storia di Giuseppe è piuttosto controversa" afferma Carlo Hanau, docente presso l’Università di Bologna ed esperto di integrazione scolastica dei bambini con disabilità.
“Quello che non riesco a comprendere con chiarezza è il motivo dell’attrito tra la scuola “Montalbetti” e la Clinica Neuropsichiatria di Messina. In più, mi sembra di capire che il preside della scuola reggina guardi con sospetto e con un atteggiamento critico al metodo Teacch, che è ormai il metodo più largamente sperimentato nell’educazione dei bambini artistici”.
Il professor Hanau mette ancora una volta il dito sulla piaga, che è soprattutto quella delle competenze e delle modalità di utilizzo da parte delle scuole di una risorsa importante come quella dell’insegnante di sostegno. “Non basta assegnare all’inizio dell’anno l’insegnante di sostegno ai bambini in difficoltà e pensare di aver esaurito il compito istituzionale dell’assistenza ai disabili nelle scuole - ribadisce Hanau - Occorre prima di tutto valutare le specificità dell’handicap e poi procedere all’assegnazione dell’insegnante.


Nel caso specifico di un alunno autistico, il discorso è molto più articolato e complesso, ma per nulla impossibile. Con le dovute metodologie, infatti, il bambino con sindrome autistica può gradualmente essere inserito nella classe, prevedendo anche necessari periodi di isolamento che altro non sono che momenti di educazione e trattamento specifici con l’insegnante di sostegno». “Inutile dire - conclude Hanau - che nel gioco di sinergie che si deve instaurare tra la scuola, il servizio sociale e le istituzioni, la famiglia ha il ruolo più importante. Sia perché da essa partono gli input necessari al processo di integrazione del bambino, sia perché la famiglia è il luogo che catalizza le reazioni, i risultati e le difficoltà. Il programma Teacch deve essere del tutto connesso alla vita familiare”.

 

“In Italia, dopo dieci anni dall’introduzione del metodo Teacch, non c’è alcun tipo di organizzazione in questo senso. Ci troviamo ancora in mare aperto su una zattera in balia delle onde dove ognuno rema come gli pare”.

Lo afferma realisticamente Antonio Rotundo, consulente volontario di Angsa (Associazione nazionale genitori soggetti autistici) Lombardia, sottolineando che gli ostacoli maggiori che si incontrano sono sia di tipo formativo-organizzativo, sia di tipo culturale.

 
“Nei nostri servizi - continua Rotundo - prevale nettamente l’aspetto assistenziale, relazionale, con interventi di tipo occasionale, spesso improvvisato. Il problema vero è che non siamo stati educati né a pensare né a lavorare in modo scientificamente serio”. Eppure esistono realtà regionali dove il servizio sociale funziona in tutte le sue componenti, riuscendo a gestire diverse situazioni di disagio. Isole felici?

 
“Sì, isole felici. Ma, attenzione - avverte Rotundo - le isole felici durano sempre troppo poco e, con l’anno scolastico nuovo o col cambio improvviso di un insegnante o di un operatore, tutto precipita di nuovo nel caos. Questo dimostra come l’organizzazione sia del tutto assente e ci si affidi esclusivamente alla buona volontà di singoli”.


“Ritengo - conclude l’esperto - che il cambiamento debba partire dal basso, cominciando proprio dalle famiglie e dagli operatori, i quali devono prendere coscienza finalmente che non si può più lavorare improvvisando o tirando a campare. È tempo, inoltre, di abbandonare la vecchia definizione di servizio. Finchè le persone disabili vengono servite, non si può sostenere che vengano educate a crescere e a diventare adulte. Nel caso delle persone autistiche, è di vitale importanza tenere conto del loro reale livello di sviluppo per valorizzarne le potenzialità e le abilità quando realmente ci sono”.

 
Ma Rotundo sottolinea anche la necessità da parte delle istituzioni, e delle Regioni in particolare, di prendersi in carico la persona autistica, seguendo un percorso che parta dall’inserimento scolastico e prosegua verso la più adeguata collocazione sociale nell’età adulta.

 

 

 

Che cos'è il Teacch

 

Teacch è un’organizzazione di servizi su base statale, creata nello Stato americano della Carolina del Nord, all’interno dell’Università, da Eric Schopler e dai suoi collaboratori circa 30 anni fa. Offre servizi alle persone con autismo e alle loro famiglie, formazione e consulenza nelle scuole. I servizi Teacch continuano poi anche per le età successive, rispondendo anche a necessità di abitazione e lavoro per persone autistiche adulte. Dunque, Teacch non è un metodo, né un tipo di trattamento per bambini, ma un servizio integrato di interventi.
I modi e gli strumenti metodologici si modificano in base all’esperienza e alle idee dei genitori e degli operatori. Un programma Teacch ben congegnato si svolgerà in tutti gli ambiti significativi di vita del bambino, casa, scuola, ambulatorio; sarà composto all’80 per cento di compiti valutati al test come “riusciti”, cioè già presenti nel repertorio dei bambini, dei quali si promuove l’uso indipendente, al 20 per cento di insegnamento di nuove abilità che risultano “emergenti”. Compiti semplici, necessari, utili nelle aree fondamentali dell’autonomia, della comunicazione, del lavoro, del tempo libero.

 
Lo spazio fisico deve essere progettato per aiutare il bambino a capire dove si svolgono determinate attività: uno schema della giornata va definito e comunicato adeguatamente al bambino con mezzi adatti alla sua comprensione. Questi mezzi sono spesso visivi, come sequenze di fotografie o disegni, spesso visivo-tattili, come sequenze di oggetti, a volte parole scritte o agende.

 
Questa metodologia permette di gestire i cosiddetti “comportamenti-problema”, che disturbano e preoccupano le persone intorno a lui. Buona parte di questi problemi nascono dalla confusione che l’ambiente presenta per il bambino autistico, ma sono ridotti quando il bambino incontra un ambiente organizzato secondo i principi dell’educazione strutturata.


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