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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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L’integrazione necessita di qualità, non di scorciatoie!

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Il gioco dei numeri e i numeri in gioco: è proprio questa la prospettiva in cui porsi, quando si affronta la tematica dell’integrazione scolastica e sociale degli alunni in situazione di handicap? quando, cioè, si pone quale obiettivo il rispetto dei diritti all’educazione e all’istruzione per gli alunni disabili? In questi ultimi mesi si rincorrono allarmanti articoli sul numero di cattedre in meno, sul numero degli alunni per classe, sugli insegnanti costretti a “restare fuori dalla scuola”, sulla mancanza di insegnanti per gli alunni disabili. Le Associazioni sono intervenute perché si “frenasse” la manovra dei tagli, perché fossero ripristinate le ore di sostegno... I precari di Salerno hanno promosso una forte rivendicazione, hanno incontrato il Ministro, indetto manifestazioni e incontri. Numeri, numeri e solo numeri... Lo stesso Hans M. Enzensberger, autore de “Il Mago dei Numeri”, forse troverebbe esagerato e fuori luogo lo “stra-uso”, per non dire “l’abuso”, di questi dati quando si parla di «integrazione dei disabili». Perché? Perché quando si affronta una tematica come quella dell’integrazione scolastica e sociale degli alunni in situazione di handicap, si parla di “persone”, di alunni e di alunne che frequentano la scuola: - ciascuno presenta particolari e specifiche esigenze, - ciascuno esprime bisogni personalissimi, e se per ognuno di loro è necessario prevedere e costruire percorsi individualizzati, per tutti e per ognuno deve essere garantito e assicurato il diritto all’educazione e all’istruzione. La prospettiva da cui affrontare le problematiche dell’integrazione non può pertanto essere ricondotta solamente ai tagli al sostegno e all’aumento degli alunni per classe, limitandosi per lo più al dato numerico. A nostro avviso, il punto dal quale partire, da cui inquadrare il tema dell’integrazione dovrebbe coincidere con questo quesito: «Per quell’alunno che si trova in situazione di handicap (e per ciascun alunno disabile della scuola italiana) sono assicurate le risorse che rispondano in modo adeguato ai suoi bisogni e che gli garantiscano i diritti di cui è destinatario?». Ogni situazione, infatti, merita attenzione particolare e risposte adeguate: nel campo dell’integrazione nulla è generalizzabile, se non i diritti degli alunni. Come riportato in questi giorni dagli organi di stampa, fa piacere apprendere direttamente dal sottosegretario De Torre che sono stati assegnati ulteriori 702 insegnanti di sostegno e che questi siano stati attribuiti in base a bisogni documentati. Ma altri fronti restano aperti: cosa possiamo dire, infatti, alla collega della scuola primaria che lo scorso anno era stata assegnata a due classi, alle quali erano iscritte alunne disabili, per un totale di 12 ore ciascuna e che quest’anno (siamo in continuità educativo-didattica), oltre a queste due classi, la collega si trova assegnata ad altre due? La “divisione” operata in tale contesto, implica che per ciascuna classe sono state destinate per quest’anno scolastico 5,5 ore (in quanto due ore sono per la programmazione curricolare). In questo caso, quale criterio è stato utilizzato? L’esempio giova ad una maggiore comprensione, per una situazione altamente problematica e complessa, perché chi sta negli uffici ministeriali o in qualche altro luogo che non sia la classe, immagina di fare miracoli con le tabelle numeriche: ma bisogna “toccare con mano” direttamente le sfide dell’integrazione, per poter valutare. E mentre prosegue la polemica sui tagli e sull’aumento degli alunni per classi, dal Ministero che, arroccato, difende le sue posizioni, partono gli strali: Zeus non sarebbe riuscito a fare di meglio. A Napoli il Ministro Fioroni ha illustrato il motivo per cui intenderebbe aumentare a 10 anni la permanenza obbligatoria su posti di sostegno (immaginiamo per i neo-immessi in ruolo), inserendo tale provvedimento nella prossima finanziaria, in quanto: «c’è tutta una teoria che dice che alcuni casi sono lavori usuranti e si è visto che poi l’insegnante non può... [...]». In virtù di tale logica, per evitare la “migrazione” dal sostegno alla disciplina, ha proposto l’aumento da 5 a 10 anni. Nel giro di 10 giorni anche il Sottosegretario con delega all’handicap, on. Letizia De Torre, si è fatta sentire e ha proposto qualcosa di diverso dalla permanenza di 10 anni su posto di sostegno, riallacciandosi, tuttavia, alle indicazioni del ministro Fioroni, ossia le “carriere differenziate” che vengono interpretate come “classe di concorso” [se così non fosse, è gradita la smentita], perché secondo il Sottosegretario è necessario separare le carriere e «fare in modo che quella del sostegno sia intesa come una "scelta di vita": chi sceglierà di esserlo lo sarà (tendenzialmente) per sempre» (Superabile). Ma, ed è lecito il dubbio, in quale modo le carriere differenziate potrebbero contribuire a promuovere e a sostenere l’integrazione? Eppure pareva fosse chiaro che la presa in carico dell’alunno in situazione di handicap fosse di competenza di tutti i docenti della classe e si basasse su: - il riconoscimento della professionalità dell’insegnante di sostegno, quale effettivo insegnante di classe, ed una maggiore attenzione alla continuità educativo-didattica, essenziale per il successo formativo degli alunni; - un percorso di formazione per i docenti curricolari, che invece troppo spesso delegano la loro parte all’insegnante di sostegno, scaricando la responsabilità; - la non attribuzione al docente di sostegno di competenze proprie della categoria sanitaria. Gli insegnanti di sostegno non sono e non vogliono essere né specialisti né sanitari. Essi si occupano degli aspetti educativo-didattici, del coordinamento delle risorse, in quanto possiedono, per la loro specializzazione, competenze in ambito psicologico e pedagogico, ma non sanitario. Patologizzare l’alunno, ricorrendo all’insegnante “specializzato nel trattamento della sua patologia”, significa negare la dignità di persona all’alunno, inquadrandolo anche a scuola nel framework della malattia. Nel trentesimo anniversario della L. 517/77, a fronte dei numerosi convegni celebrativi promossi nel territorio italiano, le idee sull’«integrazione degli alunni disabili» sono purtroppo ancora fortemente controverse: si propongono scorciatoie inutili, si sposta l’attenzione del problema, mentre appare particolarmente carente di approfondimento la riflessione sulla professionalità docente che, a nostro avviso, rappresenta la vera chiave di volta (ovvero “il grimaldello”) per uscire da una situazione che si sta attorcigliando, suscitando malcontento e reazioni conseguenti da parte di famiglie e operatori scolastici. CIIS


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