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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

 

Rapporto Caritas sul disagio a Roma. La città perde abitanti ma il 6% delle famiglie ''tira avanti con difficoltà''. Crescono le ''povertà invisibili'' e indebitamento

 

Rapporto 2003 sulla povertà e il disagio a Roma. Presentate oggi le anticipazioni, che puntano ovviamente sulla situazione capitolina ma gettano uno sguardo anvche sulla situazione internazionale, con riferimento generale anche alla realtà italiana. Il Rapporto parte dall’ottobre del 2001: dopo aver elaborato uno studio di fattibilità, l’équipe incaricata della redazione del Dossier “Disagio e Povertà a Roma”, ha avviato la seconda fase del Programma di lavoro. Lo studio ha anche consentito di prendere coscienza della necessità di dotare il circuito dei servizi Caritas di un sistema informativo sociale (Sis) in grado di restituire ai responsabili dei servizi e delle aree le informazioni utili per una più accurata conoscenza della realtà con cui si entra in contatto, e di uno strumento di programmazione di interventi ed azioni specifici ed innovativi.


Ma veniamo al Rapporto, partendo da Roma. Nello specificare l’assenza di studi e dati specifici, il Rapporto Caritas ricorda che stando ai dati del 14° censimento della popolazione del 2001, la popolazione della Regione Lazio, che conterebbe 4.976.184 residenti, sembrerebbe concentrarsi per quasi il 50% nel solo Comune di Roma che conterebbe 2.457.884 residenti. Se poi si aggiunge a questo dato la popolazione residente nella Provincia romana, pari a 1.120.900, il bacino di popolazione afferente a Roma e al suo hinterland giungerebbe a coprire ben il 71,9% della popolazione residente di tutta la Regione. Bene, ciò premesso, facendo riferimento ad un’indagine campionaria effettuata sulle famiglie e la qualità della vita a Roma nel corso del 2000, il Rapporto evidenzia come alla domanda relativa alla percezione delle condizioni di vita del nucleo familiare in base al proprio livello economico-finanziario disponibile, il 6% delle famiglie romane ha risposto di tirare avanti con “molte difficoltà”. “Se si calcola il 6% su 1.163.000 famiglie, ossia quelle della capitale – precisa il Rapporto -, si stimano in circa 70.000 le famiglie in tali condizioni. Se poi a questo dato si aggiungono i nuclei che hanno risposto di tirare avanti “con difficoltà” si arriva ad una percentuale cumulata del 14,8%, ossia a 170.000 famiglie. Inoltre oltre il 40% delle famiglie che hanno dichiarato di vivere con “molta difficoltà” aggiungono di aver notato un notevole peggioramento della propria situazione economica nel corso dell’ultimo anno”.


La situazione economica è considerata un problema da un’alta percentuale delle famiglie del campione (36%); altri problemi come la condizione di salute, la presenza di anziani, malati o invalidi da accudire emergono ma in seconda battuta. Il fattore economico sembra quindi rivestire un ruolo molto importante nella percezione della propria condizione e qualità di vita dalla popolazione romana. Quanto alle le tipologie familiari più deboli ed esposte ad una maggior rischio di trovarsi a fronteggiare situazioni difficili, vi sono anzitutto le famiglie monogenitore che, a Roma, sono l’11% di tutte le famiglie. Di questo 11%, ben il 70% dichiara nell’indagine di cui sopra, di avere difficoltà economiche ed il 25% definisce la propria situazione “difficile”. Un’ampia percentuale di famiglie è poi composta da persone che vivono sole, prevalentemente anziane. Il 75% è composto di vedove con problemi economici più o meno gravi. Un nuovo fenomeno che viene evidenziandosi tra le famiglie della capitale, apparentemente riconducibili ad un quadro di “normalità”, è poi quello dell’indebitamento. Numerose famiglie chiedono, agli organismi di competenza, contributi per rate arretrate di mutui, per importi in media di 150 milioni. “Si tratta di persone che rischiano di perdere la loro prima abitazione,ma per le quali si hanno spesso le mani legate”, afferma il Rapporto.


Poi le cosiddette “povertà invisibili”: le povertà che affliggono ed emarginano, umiliando la dignità della persona: anziani costretti a vivere con la sola pensione sociale e che, se pagano l’affitto di casa, rischiano di non mangiare; persone nella fascia 50-55 anni, con famiglia, e che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese; che hanno perso il lavoro o che non sono coperte da tutela; che al massimo possono ricevere dei sussidi straordinari.


E veniamo agli immigrati.

La capitale costituisce, senza dubbio, un interessante polo di attrazione per la popolazione immigrata. “Molti di questi immigrati lavorano in nero, senza una copertura assicurativa o contributiva. Le donne sono impiegate, prevalentemente, nelle attività domestiche, di assistenza agli anziani, e di assistenza bambini; gli uomini nel settore edilizio”. Se, poi, si osservano i dati relativi agli inserimenti scolastici dei bambini nelle scuole, il Rapporto osserva che “nel 2000 degli oltre 23.000 bambini che risultano residenti nella città, solo il 37%, ossia 8785 risultano iscritti nelle scuole romane. E’ evidente, quindi, il fenomeno dell’ evasione scolastica che pone dei seri problemi all’effettiva integrazioni di questi futuri cittadini nel tessuto connettivo della città”.


Dagli immigrati ai senza dimora.

Attualmente si stimano nell’ordine di 2000 le persone che vivono in strada a Roma. Tra i 3000 e i 4000 coloro che vivono in alloggi precari e ricoveri di fortuna. Prendendo a modello di riferimento l’utenza dell’Ostello gestito dalla Caritas di Roma, il Rapporto osserva che essa è costituita prevalentemente da persone adulte, italiane, residenti e non, senza fissa dimora, molto frequentemente con problemi di alcolismo, o disturbi psichiatrici. Sempre più spesso si affacciano persone con processi di esclusione recenti, causati dall’improvvisa perdita del lavoro e della casa, con pregresse cause di separazione e divorzio. Tra gli ospiti dell’Ostello gli uomini sono più del doppio delle donne, ed in particolare colpisce il rapporto di quasi 4 a 1 nella fascia di età 36-55. “Si tratta di un fenomeno nuovo, cui occorre dedicare tutta l’attenzione necessaria”. Numerosi anche i giovani di età tra i 18 ed i 35 anni non residenti, che approdano nella capitale con la speranza di trovare un lavoro: giovani che spesso finiscono a fare la vita di strada.


La fascia di utenza che risulta meno protetta è quella dai 55-65 anni, “costituita da persone che vengono da situazione familiari disgregate, che non hanno più relazioni con la famiglia di origine o con quella acquisita, sfrattati, senza un reddito, vittime dell’alcool o con pesanti malattie mentali. Le malattie mentali ed i disturbi psichiatrici costituiscono il problema più frequentemente riscontrabile tra le donne, oltre all’alcolismo”.


Proprio sulle donne, il Rapporto Caritas evidenzia come attraverso le ospiti, prevalentemente straniere ma in parte anche italiane, della Casa di Cristian “è possibile disegnare uno spaccato del disagio femminile a Roma”. Rispetto alle donne italiane con minori al seguito occorre sottolineare che si tratta di nuclei che hanno subito sfratti o che hanno perso l’unica fonte di reddito a seguito di perdita del posto di lavoro o a seguito di una malattia che ha impedito al coniuge occupato di svolgere la propria occupazione, e che quindi si ritrovano a dormire in macchina. Spesso sono donne che provengono dal Sud, in fuga da maltrattamenti domestici. Per le straniere valgono fattori diversi: si tratta di donne sole, rimaste incinte, oppure donne provenienti da Paesi in cui sono in corso conflitti bellici. Tra di esse diffuso il problema dell’alcolismo.


Tutte queste persone, si precisa, hanno bisogno di alloggio, vitto, vestiario, igiene personale, cure mediche. “Ma dietro a questo ci sono i bisogni latenti: si tratta del bisogno di aiuto psicologico ed esistenziale... E senza alcun dubbio. Il bisogno più diffuso è il bisogno affettivo”.

 

 

Indagine "DISAGIO E POVERTA'"
La popolazione romana censita negli anni 1991 e 2001

Popolazione residente

Censimento 1991

Censimento 2001

Comune di Roma

2.775.250

2.457.884

Resto della Provincia

985.817

1.120.900

Resto della Regione

1.379.304

1.397.400

Tot. Pop. Residente in Regione

5.140.371

4.976.184

Fonte: Caritas di Roma, 2003  

Indagine "DISAGIO E POVERTA'"
Famiglie per percezione delle condizioni di vita del nucleo familiare in base al livello economico finanziario
delle risorse disponibili (dati campionari)

Il livello delle risorse familiari consente di vivere:

Valori assoluti

Valori %

% cumulate

Con molte difficoltà

598

6,0

6,0

Con difficoltà

879

8,8

14,8

Con qualche difficoltà

3.631

36,3

51,1

Abbastanza facilmente 

3.540

35,4

86,5

Facilmente

1.212

12,1

98,6

Molto facilmente

140

1,4

-

TOTALE

10.000

100,0

100,0

Fonte: Caritas di Roma, 2003  

L'1,3% della popolazione laziale trattata presso i Dsm. Problemi per i minori nelle nuove aree urbane

La situazione dei disabili dalle anticipazioni del Rapporto 2003 su povertà e disagio a Roma. In Italia si stima che vivano poco più di 2.800.000 persone disabili, di cui 2.615.000 di 6 anni e più, vivono in famiglia; 43.600 sono di età compresa tra i 0-5 anni; circa 165.000 sono non autosufficienti e vivono presso presidi socio-assistenziali. “In base ad una stima plausibile, contenuta nel documento base per il Piano regolatore del sociale, i disabili con una o più forme di disabilità, nella capitale, ammonterebbero a circa 130.000 – rileva la Caritas -. La disabilità è fortemente associata alla variabile età: al crescere dell’età aumenta, infatti, il rischio di disabilità. Basti pensare che nella popolazione di 65 anni e più, il 19,3% presenta una qualche forma di disabilità. Tra coloro che hanno superato gli 80 anni, raggiunge il 47,7%”. E, rispetto al sesso, si evidenzia una prevalenza delle donne disabili rispetto agli uomini.

Ricordando come nel mondo circa il 20-35% della popolazione con più di 18 anni soffre nel corso di un anno di almeno un disturbo mentale clinicamente significativo, e che in Italia, in un anno, si stima che il 2-2,5% della popolazione adulta è trattato dai servizi pubblici o privati, la Caritas rileva che nel 1999 circa l’1,3% della popolazione adulta del Lazio è stata trattata presso i DSM.
“Roma è l’unica capitale europea che può vantare di non avere più un manicomio aperto: tuttavia questo richiederebbe un impegno non indifferente sul fronte dell’offerta di sostegno da parte dei servizi, sia all’utenza che alle famiglie degli interessati. E’ noto che, oggi, il maggiore carico in termini economici e di aiuto ricade proprio sulle famiglie delle persone che soffrono di questo tipo di disturbi. Allo stato attuale, sul fronte dei servizi, anche se non è ancora sufficiente, si è a avviato un intensa opera di coordinamento tra il Comune ed i DSM, con l’avvio ed il mantenimento di: 24 centri diurni, 16 residenze socio-assistenziali e 19 appartamenti personalizzati”.

Infine le nuove e vecchie generazioni. “La popolazione che invecchia pone alla società interventi sempre più pertinenti rispetto ai bisogni espressi ed inespressi. Si rendono necessari maggiori interventi di protezione e cura, così come anche interventi volti a favorire l’integrazione e la socializzazione di queste persone. Tra gli interventi più specificamente sanitari si rintracciano: l’accesso ai farmaci; gli accertamenti diagnostici; i ricoveri ospedalieri; la medicina specialistica; i servizi integrati socio-sanitari; le strutture di lungodegenza; le case di riposo; l’assistenza domiciliare; gli interventi per le persone non auto-sufficienti. Tra gli interventi integrativi: i servizi per il godimento del tempo libero; l’informazione; la sicurezza”.

Ma fronte di una popolazione che invecchia, si affacciano le nuove generazioni. “Dall’osservazione effettuata all’inizio di contributo dello sviluppo demografico della popolazione nei diversi Municipi – afferma la Caritas -, si è rilevato il fenomeno della concentrazione delle residenze delle nuove coppie nelle aree municipali più nuove. In queste aree, che hanno costituito negli ultimi anni, luogo di sperimentazione di una edilizia popolare che ha originato dei bacini di degrado fuori controllo, si rileva al contempo il maggior numero di bambini nella fascia di età 0-5 anni E’ in queste aree che si concentrano le nuove nascite della nostra città. Sono territori in cui sarebbe quindi necessario dedicare più risorse finanziarie e umane per favorire e promuovere la socializzazione, fin dalla prima infanzia, di bambini che potrebbero, con estrema facilità passare dal degrado a forme serie di devianza, cadendo in età adolescenziale nei giri della microcriminalità”. Il Rapporto ricorda che queste sono anche le zone dove le giovani coppie “scoppiano” più facilmente: è alto il numero delle separazioni non consensuali, cui seguono situazioni conflittuali che travolgono la vita dei minori coinvolti. Come segnala il XII Municipio, nell’ultimo anno, si è venuto manifestando un fenomeno nuovo: aumentano le assegnazioni da parte del Tribunale dei Minori agli Uffici dei Servizi Sociali, dei c.d. incontri protetti.

Se si considera, infine, l’attività dei Centri Caritas per i minori, si presenta il seguente quadro: nel 2000 i servizi di quest’area hanno fornito sostegno complessivamente a più di 300 minori ed in particolare 215 nei 3 Centri PIM, 16 circa nella Casa S.Chiara e S.Francesco, 6 nel gruppo appartamento di Torre Gaia, e 70 nel Carcere di Casal del Marmo. I CPIM hanno complessivamente una disponibilità di 32 posti dislocati nelle 3 sedi distaccate. Dei 215 minori passati per i CPIM nel corso del 2000, l’88,8% sono stranieri: le nazionalità più rappresentate sono quella albanese (29,0%) e la rumena (25,3%), avvalorando ancora una volta il dato secondo cui i flussi migratori in entrata nel nostro Paese partono dall’Est europeo. Il rapporto maschi/femmine è di 3 a 1 (73% contro il 27%). Il 53,4% dei 215 minori accolti ha un’età media di 17 anni compiuti. La maggioranza dei ragazzi ha otto anni di scolarità, ma il livello di conoscenze scolastiche non corrisponde quasi mai al numero di anni di frequenza scolastica.

Ed ancora: le segnalazioni e l’invio dei minori è, nel 61% dei casi, effettuata dalle Forze dell’ordine. Lo Spis (Servizio Pronto Intervento Sociale) del Comune di Roma ha assunto un ruolo di filtro rispetto alle richieste delle Forze dell’ordine, degli stessi ragazzi e del privato sociale. Nel 37% dei casi è lo Spis a valutare l’urgenza o meno del bisogno di ricovero protetto. Si tratta di giovani che non hanno una figura adulta di riferimento, e che versano in apparente stato di abbandono. Il più delle volte si tratta di minori clandestini non accompagnati che si rivolgono autonomamente alla polizia o che commettono un piccolo reato in seguito al quale vengono denunziati. Talora sono vittime di sfruttamento sessuale, abusi e maltrattamenti: sono “minori in fuga”. Questo è tanto vero che nel 53,9% dei casi si registrano allontanamenti non autorizzati dai centri PIM.

Immigrati Roma (03): inserimenti scolastici dei bambini nelle scuole - Anno scolastico 2001/2002

Municipio

Bambini stranieri 
nati in Italia

Bambini stranieri 
nati all'estero

Totale

I

87

24

111

II

4

116

120

III

62

10

72

IV

71

37

108

V

74

27

101

VI

187

91

278

VII

146

31

177

VIII

90

2

92

IX

4

37

41

X

77

41

118

XI

112

51

163

XII

96

20

116

XIII

4

0

4

XV

140

42

182

XVI

64

26

90

XVII

97

16

113

XVIII

86

31

117

XIX

175

31

207

XX

167

25

198

TOTALE

1.743

658

2.408

 

 

 

 

Fonte: Caritas Roma 2003 - Comune di Roma Dipartimento XI

Immigrati Roma (03): immigrati residenti nei
 Municipi del Comune di Roma al 31/12/2000

Circoscrizioni

Stranieri residenti

% stranieri residenti

I

19.942

11.8

II

11.361

6.7

III

4.146

2.5

IV

7.037

4.2

V

5.967

3.5

VI

8.707

5.2

VII

6.344

3.7

VIII

7.933

4.7

IX

6.848

4.0

X

5.188

3.1

XI

7.401

4.4

XII

6.152

3.6

XIII

9.842

5.8

XV

8.143

4.8

XVI

8.209

4.9

XVII

5.187

3.1

XVIII

10.553

6.2

XIX

9.435

5.6

XX

15.476

9.2

Immigr. resid. ign

5.193

3.1

Roma

169.064

100,0

Fonte: Caritas Roma 2003

Italia seconda in Europa per minori poveri. Al Sud il 63% delle famiglie indigenti.

Riguardo all’Italia, il Rapporto Caritas sulla povertà fa ricorso a due fonti “eccellenti”: l’indagine Istat sui consumi (anno 2000) ed il Rapporto Annuale della Commissione sull’Esclusione Sociale (anno 2000). Il rapporto ricorda anche che l’indagine Istat, nel valutare il fenomeno povertà, tiene conto sia della soglia di povertà relativa che assoluta. La povertà relativa si calcola in base alla spesa media mensile per persona nel Paese (nel 2000 pari a 1.569.000 di lire). Questo valore costituisce la soglia della linea di povertà relativa per una famiglia di 2 componenti. Per confrontare le spese di famiglie più grandi o più piccole (1 solo componente) occorre ricorrere alle “scale di equivalenza” che tengono conto delle cosiddette economie di scala predefinite.

Venendo ai dati, il Rapporto ricorda come nell’anno 2000, in Italia, si stima che circa 2.707.000 famiglie (pari al 12,3% di tutte le famiglie residenti) vivessero in condizioni di povertà relativa, per un totale di 7.948.000 individui (il 13,9% di tutta la popolazione – indice di diffusione).
“Il territorio – si evidenzia - costituisce una variabile rispetto alla quale i conti tornano inesorabilmente a sfavore del Mezzogiorno d’Italia: basti pensare che, nonostante il Sud ospiti solo il 32,8% di tutte le famiglie residenti del nostro Paese, ben il 63% di quelle povere si concentrano in questa area geografica. L’intensità della povertà, che misura di quanto in media la spesa delle famiglie povere è percentualmente al di sotto della soglia di povertà, indica che le famiglie povere spendono in media 1.216.000 di lire mensili, cioè il 22,5% in meno della soglia”.

Ma quali sono le caratteristiche delle famiglie in cui è maggiormente diffuso il fenomeno della povertà relativa? “Innanzitutto – si afferma - è bene precisare che le famiglie più numerose sono quelle maggiormente interessate da questo fenomeno: in tutte le grandi ripartizioni geografiche la povertà è più diffusa tra le famiglie con 5 o più componenti. Si tratta per lo più di coppie con 3 o più figli minori. Tuttavia la povertà relativa interessa anche un ampio numero di famiglie in cui sono presenti 1 o più persone anziane, oppure quei nuclei composti da persone anziane che vivono sole. La presenza di figli minori e anziani caratterizza, quindi, senza alcun dubbio, le famiglie povere”. A queste variabili si aggiungono i bassi livelli di istruzione e l’esclusione dal mercato del lavoro. Un basso livello di scolarizzazione costituisce un fattore di rischio molto forte: i più bassi livelli di istruzione osservano proprio tra le persone più anziane. La condizione di povertà si associa, inoltre, all’esclusione dal mercato del lavoro: la percentuale di famiglie povere è più bassa se la persona di riferimento è occupata (7,9% – 9,8%); mentre aumenta se è ritirata dal lavoro (14,0%) o se è in cerca di occupazione (33,0%).

Se, invece, si tiene conto della povertà assoluta con cui si individua un sottogruppo di famiglie relativamente povere caratterizzate da condizioni economiche particolarmente disagiate, complessivamente si stima che 954.000 famiglie (4,3% del totale) e 2.937.000 individui (5,1% della popolazione) vivono in tali condizioni. Nel Mezzogiorno l’incidenza è del 9,4%, mentre al centro ed al Nord è pari al 2,7% e all’1,6%. L’intensità della povertà assoluta a livello nazionale è del 19,3%; al centro e nel Mezzogiorno i valori sono prossimi al 20%, mentre al Nord l’intensità è pari al 15,4%. Anche rispetto alla povertà assoluta le famiglie più colpite sono quelle con 4 o più componenti (7%). Le condizioni di maggior disagio si registrano tra coppie con 3 o più figli; o con membri aggregati (anziani); o con anziani soli (categoria ad alto rischio).

Sul fronte delle povertà estreme, inoltre, si registra un abbassamento dell’età dei senzatetto. Il Rapporto Annuale della Commissione sull’Esclusione Sociale riferisce che il 70% dei senzatetto non ha compiuto i 50 anni di età. Dei 17.000 senzatetto stimati in Italia, la percentuale dei giovani aumenta drammaticamente. Molti sono stranieri, immigrati che non riescono a trovare casa, anche quando hanno un lavoro. Tra gli italiani le ragioni sono più complesse e vanno ricercate nella fuga da casa, l’alcolismo, la disoccupazione improvvisa, i rapporti familiari interrotti.

Un altro aspetto preoccupante è dato dalla crescita della povertà minorile: un fenomeno che si concentra prevalentemente al Sud. I minori che vivono al di sotto della soglia di povertà rappresentano il 17% del totale. L’Italia occupa il 2° posto in Europa per la più alta percentuale di minori “poveri”. A differenza di quanto accade nei Paesi Nord-Europei, dove la povertà minorile è concentrata in famiglie monoparentali o con pochi figli, in Italia la povertà infantile è diffusa nelle famiglie biparentali, con più di 2 figli e residenti al Sud. La condizione di povertà del minore è fortemente associata alla posizione lavorativa dei genitori: se un genitore è disoccupato il valore si aggira intorno all’80%, per scendere al 36% se almeno uno dei due genitori lavora.

Povertà Italia (03): soglie di povertà 
e ampiezza della famiglia - dati al 31 luglio 2001

Ampiezza della famiglia

Coefficienti

Soglie di povertà

1

0,60

941.275

2 (linea standard)

1,00

1.568.791

3

1,33

2.086.492

4

1,63

2.557.129

5

1,90

2.980.703

6

2,15

3.388.589

7 o più

2,40

3.765.098

Fonte: Caritas Roma 2003 su dati Istat Note Rapide 31 luglio 2001

POVERTA' – Il contesto europeo. ''Relazione fra spesa per protezione sociale e livello di povertà relativa''

Venendo al contesto europeo, il Rapporto Caritas sulla povertà evidenza come i dati più recenti disponibili in materia di reddito negli Stati Membri dell’Unione Europea mostrano che nel 1997 il 18% della popolazione dell’Ue, vale a dire oltre 60 milioni di persone, viveva in famiglie nelle quali il reddito era inferiore al 60% del reddito medio nazionale equivalente e che circa la metà di queste persone aveva vissuto al di sotto di questa soglia di povertà relativa per tre anni consecutivi (1995-1997).

“Sebbene i dati relativi al reddito siano raccolti a livello dei nuclei familiari basandosi sul presupposto che esista un’equa distribuzione del reddito familiare fra tutti i membri adulti – si precisa -, i divari complessivi tra i sessi nei tassi di povertà relativa appaiono contenuti, il divario è particolarmente significativo per taluni gruppi: persone che vivono sole, in particolare donne anziane (il tasso di povertà relativo per gli uomini anziani è del 15%, per le donne anziane è del 22%) e per i genitori soli, in maggioranza donne (40%)”.

La povertà relativa per quanto riguarda i redditi è sensibilmente più alta fra i disoccupati, fra i bambini e i giovani, e tra alcuni tipi di famiglie come quelle monoparentali e quelle con prole numerosa. “La linea di povertà relativa del 60% viene utilizzata in quanto rappresenta il miglior indicatore attualmente disponibile per effettuare paragoni i materia di povertà fra i vari paesi dell’UE, ma è generalmente ammesso che un indicatore puramente monetario, per quanto importante, non possa cogliere la complessità e il carattere pluridimensionale della povertà e dell’emarginazione sociale , di cui il reddito costituisce solo una delle dimensioni”.
Il rapporto fra la dimensione legata al reddito e quella non monetaria della povertà non è affatto semplice. “Un numero consistente di persone che vivono al di sopra della linea di povertà relativa possono non essere in grado di soddisfare almeno una delle esigenze considerate fondamentali. D’altra parte, il livello effettivo di vita di coloro che sono al di sotto delle linea di povertà relativa è fortemente condizionato da fattori quali la proprietà della casa, le condizioni di salute, la sicurezza del reddito del da lavoro, la necessità di un’assistenza integrativa per i familiari anziani o disabili, ecc.. Occorre anche tener conto del fatto che le linee di povertà relativa sono nazionali e presentano molte variazioni fra i diversi Stati membri”.

Secondo il Rapporto, “vi è una correlazione abbastanza evidente fra la spesa per la protezione sociale e il livello di povertà relativa: gli Stati membri con i sistemi sociali più avanzati e con alti livelli pro capite di spesa sociale, vale a dire il Lussemburgo, Danimarca, Paesi bassi, Svezia e Germania, sono in genere quelli che più riescono a garantire la soddisfazione delle esigenze di base e a mantenere a livelli sensibilmente inferiori alla media europea la quantità di persone che si collocano al di sotto della linea di povertà relativa. In questi Paesi, il problema della povertà e dell’emarginazione sociale, si associa a fattori di rischio molto specifici. I tassi più bassi di povertà relativa dell’UE nel 1997 erano quelli della Danimarca (8%), della Finlandia (9%), del Lussemburgo e della Svezia”. Viceversa, negli Stati membri con sistemi sociali meno evoluti e storicamente contraddistinti da livelli più bassi di spesa per la protezione sociale e di investimento nei servizi pubblici, la povertà e l’emarginazione sociale rappresentano un fenomeno più diffuso: “in tali paesi il tasso di povertà tende ad essere più elevato, in particolare in Portogallo (23%), nel Regno Unito e in Grecia (22%). Inoltre alcuni di questi paesi stanno vivendo una rapida transizione da una società rurale ad una moderna e incontrano forme di emarginazione sociale nuove che crescono accanto a quelle tradizionali”.
Dunque, il quadro complessivo che emerge conferma, secondo la Caritas, “che la lotta alla povertà e all’emarginazione sociale resta una sfida importante aperta di fronte all’Unione europea. Se gli Stati membri vogliono raggiungere l’obiettivo di costruire società capaci di integrazione, occorre allora che si compiano netti miglioramenti nella distribuzione delle risorse e delle opportunità all’interno della società, in modo da garantire l’integrazione sociale e la partecipazione a tutti i cittadini, i quali devono poter godere dei propri diritti fondamentali”.

Ma quali sono, secondo il Rapporto, i più importanti mutamenti strutturali che stanno avendo luogo in tutta l’UE e che probabilmente andranno ad incidere in modo significativo sugli sviluppi dei prossimi dieci anni? La Caritas ne individua soprattutto quattro, mutamenti che “stanno creando opportunità di ampliamento e rafforzamento della coesione sociale ma anche nuove pressioni e nuove sfide per i principali sistemi di integrazione e in alcuni casi stanno ingenerando nuovi rischi di povertà e di emarginazione sociale per le categorie più deboli”.
I quattro mutamenti sono: mutamenti del mercato del lavoro; vertiginosa crescita della società basata sulla conoscenza e delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; Mutamenti demografici e crescente multietnicità; Mutamenti della struttura delle famiglie e dei ruoli di uomini e donne. Esistono, inoltre, alcuni rischi od ostacoli ricorrenti che risultano fra i più importanti fattori di limitazione dell’accesso alle opportunità di integrazione sociale da parte di persone e/o gruppi. Questi ostacoli, secondo il Rapporto Caritas, sono: dipendenza prolungata da un reddito basso o inadeguato; disoccupazione di lunga durata; bassa qualità dell’impiego o mancanza di una carriera lavorativa; basso livello d’istruzione, analfabetismo; crescere in una famiglia vulnerabile; disabilità; cattive condizioni di salute; vivere in un’area caratterizzata da numerosi svantaggi; condizioni abitative precarie e mancanza di dimora; immigrazione, appartenenza etnica, razzismo e discriminazione.

Da qui le otto “sfide cruciali”. “La responsabilità che compete a tutte le politiche pubbliche – si afferma nel Rapporto - è quella di garantire che i principali meccanismi di distribuzione delle opportunità e delle risorse (mercato del lavoro, sistema fiscale, sistema di protezione sociale, educativo, degli alloggi, sanitario ecc.) divengano tali, nel contesto dei mutamenti strutturali in itinere, da poter rispondere alle esigenze delle persone più esposte alla povertà e all’emarginazione sociale, consentendo loro di godere dei propri diritti fondamentali”. Per questo, le otto sfide cruciali sarebbero quelle di: sviluppare un mercato del lavoro capace di integrazione e promuovere l’occupazione come diritto e opportunità per tutti; garantire un reddito adeguato e risorse per vivere in modo dignitoso; combattere lo svantaggio educativo; preservare la solidarietà familiare e tutelare i diritti dei figli; garantire una buona sistemazione per tutti; garantire un accesso paritario ai servizi di alta qualità (salute, trasporti, servizi sociali, assistenza, cultura, tempo libero, assistenza giuridica); migliorare l’erogazione di servizi; riqualificare le aree particolarmente svantaggiate.

''Nel mondo i fattori che generano indigenza si sono moltiplicati''.

"La povertà – afferma la Caritas - è una condizione umana e sociale in cui una grave insufficienza del reddito economico, si abbina ad altri elementi tra loro correlati, quali la mancanza di salute, di famiglia, di lavoro, di casa, di conoscenza, la mancanza di esercizio della cittadinanza attiva, mancanza di libertà, che collocano la persona a i margini della società rendendone problematica l’integrazione. Viene a cadere così la concezione fatalistica della povertà, ad essa si sostituisce una rappresentazione più realistica, che coinvolge nell’attribuzione di responsabilità società civile e istituzioni”.

Un’ altra importante ragione di considerare una più ampia serie di dimensioni – continua -, è che i differenti aspetti della povertà interagiscono e si rinforzano l’un l’altro in vari modi. Per esempio, chi ha difficoltà a percepire un reddito, ne avrà anche nel convertire quel reddito in possibilità di vita. Quest’aspetto si aggrava quando l’individuo svantaggiato ha intorno a lui persone con le stesse difficoltà (effetto “grouping”). In questo caso, è probabile che l’individuo entri in una condizione dove la volontà, la determinazione ed il coraggio di lottare diventano sempre più fragili tanto che la persona non riesce ad affrontare la situazione. La povertà, quindi, non si configura come una situazione statica ma piuttosto come una condizione che si aggrava nel tempo”.
Si conferma dunque, secondo il Rapporto Caritas, il dato che “oggi i fattori che possono generare povertà si sono differenziati e moltiplicati. In tutto questo consiste il carattere processuale e multidimensionale della povertà”.

Sulla situazione internazionale, esistono per la Caritas diverse proiezioni circa l’entità della popolazione che vive in condizioni di povertà nel mondo: stime condotte dalla Banca Mondiale in un rapporto di recente pubblicazione, indicano che 2,8 miliardi di persone – quasi la metà della popolazione mondiale - vivono con meno di due dollari al giorno. Di questi, 1,2 miliardi vivono al limite della sopravvivenza, con meno di un dollaro al giorno. Nei paesi ricchi, meno di un bambino su 100 muore prima di raggiungere i cinque anni di età, mentre nei paesi più poveri, il numero è cinque volte più alto. “L’ultimo allarme – ricorda la Caritas - è arrivato dall’Unicef nella sessione speciale dell’ ONU che si è tenuta a New York nel maggio 2002: ‘un bambino ogni 12 nel mondo muore prima di aver compiuto 5 anni, e i motivi di questi decessi sono in gran parte prevenibili’”. Il WDR sottolinea come questo stato d’indigenza persista nonostante le condizioni dell’umanità siano migliorate molto in questo ultimo secolo. Tuttavia questo miglioramento dove la ricchezza e la rete di contatti globali e le capacità tecnologiche sono aumentate in modo esponenziale. “Malgrado ciò – precisa la Caritas -, la distribuzione di questi miglioramenti è straordinariamente ineguale se si pensa che nei venti paesi più ricchi, il reddito medio è 37 volte più ampio della media di quello dei paesi più poveri: abisso che è raddoppiato negli ultimi 40 anni”.

Secondo quanto riportato dal Rapporto, il progresso nella riduzione della povertà varia enormemente da regione a regione. Nel Sud-Est asiatico (Indonesia, Tailandia Corea del Sud), il livello medio dei consumi è calato notevolmente (da -13,6 della Thailandia al -24 dell’Indonesia nell’anno 1997/98), ed è aumentato il numero delle persone che si collocano al di sotto della linea di povertà. In Indonesia ad esempio, la percentuale di persone che vive al di sotto della linea nazionale della povertà è aumentato di circa dieci punti, corrispondenti a 20 milioni di persone povere in più. A questo calo del livello dei consumi, poi, si accompagna un peggioramento degli indicatori di salute e di istruzione, con preoccupanti effetti a lungo termine. L’impossibilità di procurarsi medicinali e vaccinare i bambini aumenta la vulnerabilità delle famiglie più povere alle malattie; un aumento della malnutrizione porta ad una riduzione nelle capacità di apprendimento.
In Cina si è registrato, invece, un notevole progresso nella riduzione del numero dei poveri, che è passato da 200 milioni nel 1995 a 125 milioni nel 1997 nelle zone rurali. A questo si aggiunge un aumento dei livelli di istruzione e di salute.

In India, un altro paese con una fortissima concentrazione di persone che vive con meno di un dollaro al giorno, non ci sono stati progressi nella riduzione della povertà, la situazione è peggiorata in Bangladesh a causa di una serie di inondazioni che hanno devastato il Paese.
Situazione molto difficile in Africa. Secondo il Rapporto Caritas la crisi economica globale e il calo dei prezzi delle materie prime e di molti prodotti agricoli hanno avuto un effetto molto negativo sulle economie africane. “Se a questo effetto si aggiunge l’impatto dei numerosi conflitti che lacerano il tessuto connettivo della società africana ormai da decenni – si precisa -, non sorprende osservare che il tasso di crescita del prodotto interno lordo del Paese è stato nel 1998 al di sotto del tasso di crescita della popolazione, implicando un calo dei redditi pro-capite. A tutto questo si va ad aggiungere l’effetto devastante dell’Aids (ben 40 milioni di africani ne sono affetti) che va a colpire giovani in età riproduttiva e produttiva sottraendo importante forza lavoro al paese. La conseguenza è una rapida e profonda modificazione della struttura demografica della popolazione con un forte rischio d’estinzione per molte popolazioni africane. Emerge con urgenza la necessità di provvedere più fondi per assistere i paesi africani. Inoltre, il continente africano ha il tasso di iscrizione alle scuole elementari più basso al mondo (40%, con 45 milioni di bambini in età scolare non iscritti)”.

Chiudendo la panoramica, si nota come in America Latina la manifestazione più drammatica della povertà è rappresentata dall’esistenza di forti disuguaglianze tra ricchi e poveri – cinque dei dieci paesi con la più bassa percentuale di reddito o consumi sono in America Latina (gli altri cinque sono in Africa). “In Guatemala, ad esempio, il 20%più povero della popolazione detiene il 2.1% del reddito nazionale, mentre il 20% più ricco detiene il 63 percento del reddito nazionale”.
Infine, nell’ex Unione Sovietica le condizioni di vita sono peggiorate: in Russia ed Ucraina si continuano a prevedere per l’anno in corso contrazioni del prodotto interno, con un conseguente aumento della povertà. Nell’ex-blocco sovietico, quasi 150 milioni di persone vivono in condizioni di povertà.

“In conclusione – precisa il Rapporto Caritas -, il quadro di fine secolo è di stallo contro la povertà estrema. Se la situazione non cambia, non sarà possibile raggiungere l’obiettivo stabilito dalla comunità internazionale in seguito alla conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sociale di Copenaghen di dimezzare la povertà estrema entro il 2015”.

Mons. Di Tora ai candidati alla presidenza della Provincia di Roma: ''Occorre un ruolo strategico''.

Mons. Guerino Di Tora, responsabile della Caritas di Roma, intervenendo alla presentazione della anticipazioni del Rapporto, si è soffermato sull’attività dell’organismo in questi anni e ha legato questo escursus ai motivi dell’invito ai due candidati alle prossime elezioni provinciali di Roma, Moffa e Gasbarra.

Ha affermato Di Tora: “La Caritas romana svolge ormai da decenni un compito importante di assistenza alle categorie più svantaggiate. Un compito, che nel corso degli anni ha assunto sembianze diverse. Dapprima di sostituzione e supplenza alle responsabilità che sarebbero, di diritto e di fatto, spettate alle pubbliche amministrazioni, la Regione, la Provincia, il Comune, le Circoscrizioni; oneri e impegni, che la Caritas si assumeva in circostanze che vedevano le pubbliche istituzioni cronicamente in ritardo rispetto alle esigenze e alle emergenze. Così è stato per l’Aids, così per le prime ondate immigratorie, così per il fenomeno del barbonismo e in molti altri casi che hanno segnato nel tempo la storia della povertà, dell’emarginazione e dell’esclusione nella città di Roma. Questa fase si è in larga misura esaurita; per fortuna, perché questo significa che le amministrazioni locali hanno nel frattempo messo a punto strumenti più adeguati di riconoscimento e tutela rispetto ai problemi dell’assistenza e dei diritti dei cittadini più deboli. Più spesso, l’opera della Caritas ha potuto essere contenuta dentro le righe, nel rispetto, peraltro sempre richiesto ed auspicato dalla stessa Caritas, delle competenze. In questi casi, il suo è stato un intervento di integrazione rispetto ai programmi e alle responsabilità delle pubbliche istituzioni. Ed è un compito che perdura tuttora, nella consapevolezza, da entrambe le parti e peraltro sancita anche in importanti norme di legge (L. 328/2000), che i problemi sociali possono trovare soluzione soltanto in un tessuto di integrazione fra organi centrali dello Stato, amministrazioni regionali, enti locali e organismi del volontariato e del terzo settore, semplici cittadini”.

“A queste due direttrici – ha continuato - , lungo le quali si è incanalata l’attività della Caritas di Roma, se ne è sempre accompagnata una terza, che in modo un po’ forte direi di “denuncia”, denuncia di ciò che si faceva e di ciò che non veniva fatto, e che con espressione appena più morbida direi di stimolo e sollecitazione rivolte alle istituzioni responsabili affinché prendessero atto di quanto si doveva fare e fornissero le adeguate risposte alle attese dei cittadini, degli ultimi e dei primi. Ed è in questa veste, un po’ censoria e un po’ pretoria, che la Caritas si è assunta, accanto alle sue attività assistenziali, anche il compito di informare, studiare, documentare ed approfondire i problemi e le patologie della società. Lo testimoniano gli innumerevoli rapporti e volumi pubblicati nel corso degli anni sui temi della povertà e del disagio, dell’immigrazione, dei giovani, dei senza fissa dimora, delle periferie… Ebbene, è in questa linea, in coerenza con questo percorso, che oggi la Caritas di Roma ha ritenuto di dover, poter, esprimere ai due candidati l’invito a partecipare a questo incontro di riflessione. Titolo e scopo dell’incontro, dunque, coincidono; e sono quelli di presentare a chi dagli elettori riceverà il mandato di amministrare la Provincia di Roma per i prossimi cinque anni i propri programmi, le cose che ha fatto e che sta facendo e, con una punta di legittima presunzione, il proprio punto di vista su che cosa si dovrebbe e potrebbe fare nei campi in cui la Caritas esercita da sempre la propria funzione e la propria missione pedagogica e di esempio di solidarietà e di carità”.

A queste considerazioni, mons. Di Tora ne ha aggiunte altre due, stavolta esterne all’attività della Caritas. “Una è il riordino delle funzioni della provincia a seguito delle modifiche apportate al Titolo V della Costituzione dalla legge costituzionale 18 Ottobre 2001 n. 3 e da altre norme, nazionali e regionali; norme, che nel complesso hanno precisato i poteri e i compiti delle province e ne hanno notevolmente ampliato le competenze in nuovi importanti ambiti del territorio...”. La seconda, ha ricordato Di Tora, “riguarda i risultati dell’ultimo censimento generale della popolazione, da poco resi noti, che confermano ampiamente il perdurare di quelle tendenze di cambiamento della demografia della Provincia di Roma alle quali sono inevitabilmente associate importanti trasformazioni dei bisogni dei cittadini e nuove sfide per i futuri amministratori”.

Di Tora, infine, ricordando lo spopolamento a cui sembra soggetta la capitale a vantaggio della provincia, ha ricordato come “in questi ultimi vent’anni, la popolazione della provincia sia cambiata, ed è cambiata un po’ a pelle di leopardo: alcuni comuni, pochi in verità, hanno assistito ad una crescita relativa della popolazione sotto i 18 anni, altri, la maggior parte sono invecchiati o hanno continuato ad invecchiare (...).Degli oltre 3,7 milioni di abitanti, il 70% circa è concentrato nel territorio della Capitale. Il resto è formato per il 70% da comuni che hanno meno di 10.000 abitanti e di questi quasi un terzo ne ha meno di 1.000, per lo più abitati da persone avanti o molto avanti negli anni. Che c’entra con la prossima tornata elettorale? C’entra, naturalmente. Per diversi motivi. Primo, perché comuni di queste dimensioni non sono in grado di fare quasi niente, né politiche del territorio, né politiche di sostegno allo sviluppo economico, né cultura, né servizi. Per poterlo fare debbono associarsi, debbono consorziarsi. E qui interviene il ruolo strategico della Provincia. Il secondo motivo è che di regola questi comuni soffrono di quella sindrome che i demografi chiamano “malessere demografico”. Popolazioni sempre più vecchie che tendono a “deperire” anche sotto il profilo sociale, culturale, economico e urbano”.


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