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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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"La giornata del disabile"
16 maggio 2003 – Circolo Didattico di Ardea 2

41° Distretto Scolastico Pomezia – Ardea

R. A. Borzetti

Le "radici" dell’Integrazione Scolastica

 

L'inserimento del bambino handicappato nella scuola di tutti è un problema nato e sviluppatosi in Italia, soprattutto negli ultimi decenni. Infatti, nei periodi precedenti e, in particolare dall'Unità d'Italia fino agli anni '60, l'educazione e la formazione di tali alunni veniva affidata ad opere di carità, ad organismi ed enti a carattere privato, e, solo in alcuni casi a strutture pubbliche. Il primo intervento diretto dello Stato si deve alla tenace opera di due giovani ciechi AUGUSTO ROMAGNOLI ed AURELIO NICOLODI. Il loro intenso lavoro ha portato, nel 1923, all'emanazione di due importanti RR.DD. In effetti, Romagnoli e Nicolodi avevano come obiettivo primario il pieno riconoscimento giuridico del cieco come persona in grado di produrre e che il cieco, come ogni altra persona, è un soggetto educabile. Lo Stato, si assunse così, l'onere di disciplinare tutto ciò che ha attinenza con l'educazione speciale dei ciechi. Successivamente con la Circolare Ministeriale n. 1771/12 dell'11/03/1953, viene a delinearsi e a chiarirsi la differenza tra classi speciali per minorati e scuole di differenziazione da un lato, e classi differenziali dall'altro. Infatti, la Circolare così spiega:

" Le classi speciali per minorati e quelle di differenziazione didattica sono istituti scolastici nei quali viene impartito l'insegnamento elementare ai fanciulli aventi determinate minorazioni fisiche o psichiche ed istituti nei quali vengono adottati speciali metodi didattici per l'insegnamento ai ragazzi anormali, es. scuole Montessori. Le classi differenziali, invece, non sono istituti scolastici a sé stanti, ma funzionano presso le comuni scuole elementari ed accolgono gli alunni nervosi, tardivi, instabili, i quali rivelano l'inadattabilità alla disciplina comune e ai normali metodi e ritmi d'insegnamento e possono raggiungere un livello migliore solo se l'insegnamento viene ad essi impartito con modi e forme particolari".

Nel 1962 si ha il primo intervento organico dello Stato nell'ambito delle scuole speciali (legge n. 1073 del 24/07/62), il quale però non riguarda l'ordinamento scolastico, ma lo stanziamento di fondi "per il funzionamento, l'assistenza igienico-sanitaria e le attrezzature per le classi differenziali nelle scuole statali e per le classi di scuola speciale da istituire anche nei comuni minori". Con la legge n.1859 del 31/12/1962 si ebbe l'istituzione della scuola media unica, obbligatoria, gratuita che rappresenta la vera svolta nel sistema scolastico dal dopoguerra in poi. L'art. 11 prevede classi di aggiornamento per gli alunni che presentano difficoltà di apprendimento, mentre l'art. 12 prevede l'istituzione di classi differenziali per alunni disadattati scolastici. La Circolare Ministeriale del 9 luglio 1962, auspicava l'incremento di tutte le scuole atte ad accogliere alunni handicappati e poneva l'accento su un'appurata selezione al fine di escludere "gli scolari che possono trarre profitto da un buon insegnamento individualizzato nella scuola comune. . . Ai maestri che non abbiano una preparazione specifica possono essere affidate soltanto le classi differenziali nelle quali saranno accolti gli alunni le cui anomalie sono tali da prevedere un facile e rapido adattamento alla scuola comune". Per quanto riguarda la scuola materna statale, il problema dei bambini handicappati viene trattato nella legge del 18 marzo 1968, n. 444: "Per i bambini dai tre ai sei anni affetti da disturbi dell'intelligenza o del comportamento, da menomazioni fisiche o sensoriali, lo Stato istituisce sezioni speciali presso scuole materne statali e, per i casi più gravi, scuole materne speciali." Nel 1968, però viene a formularsi una forte polemica riguardo alle classi differenziali: si accusava la scuola di aver ghettizzato coloro che per particolari ragioni non erano simili agli altri. E' in questo periodo che si comincia a parlare di "inserimento" del bambino handicappato nella scuola di tutti. Si cercava così con nuovi metodi, nuovi ordinamenti e con l'introduzione degli organi collegiali, di attuare quanto viene sancito dalla Costituzione: "La scuola è aperta a tutti". D'altra parte, come potevano essere educati all'accettazione del diverso e a sentimenti di sincera solidarietà quei bambini e quei ragazzi delle scuole normali che diventavano uomini senza aver mai parlato o giocato con un loro coetaneo colpito da una minorazione?.

Vennero così promulgate diverse leggi riguardanti questo argomento. La prima legge nel nostro ordinamento repubblicano, ad affrontare il problema dell'inserimento degli handicappati nelle scuole pubbliche è la n.118 del 30 marzo 1971. L'art. 28 di tale legge, nell'indicare i provvedimenti per la frequenza scolastica degli invalidi civili (così venivano denominati giuridicamente gli handicappati) proclamava che per essi "l'istruzione dell'obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuole pubblica" e sembrava così accettare il principio dell'inserimento, ma poi precisava "salvo i casi in cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto difficoltoso l'apprendimento o l'inserimento nelle predette classi normali". E' chiaro da quest'articolo quanto si sia ancora lontani da un vero e proprio inserimento, tant'è vero che le scuole dovettero affrontare da sole quest'esperienza ed in alcune città esso fu così caotico, precipitoso e settario da guadagnarsi il nome di "inserimento selvaggio". Intanto, il Ministero della Pubblica Istruzione aveva incominciato a studiare il problema: nel maggio del 1974 vennero introdotti nella scuola, gli organi collegiali con D.P.R. n. 416, art. 4 "il collegio dei docenti esamina, allo scopo di individuare i mezzi per ogni possibile recupero, i casi di scarso profitto o di irregolare comportamento degli alunni su iniziative dei docenti di ciascuna classe dopo aver ascoltato gli specialisti". Secondo il D.P.R. 417, il preside deve curare i rapporti con gli specialisti che operano sul piano medico e psico-pedagogico, inoltre deve assegnare gli alunni handicappati alle varie classi sui criteri stabiliti dal Consiglio di Circolo e dal Consiglio d'Istituto e cura l'istituzione delle norme giuridiche ed amministrative relative a tali alunni". Con la Circolare 191 del 18-8-74, vengono definiti i compiti dell'équipe socio-psico-pedagogica formata da un neuropsichiatra, psicologo, assistente sociale e, ove occorra, anche tecnici della riabilitazione, nonché medico scolastico e Direttore Didattico/Preside a gli insegnanti a tanto nominati. L'équipe ha il compito di definire la diagnosi, collaborare con gli organi collegiali della scuola, stabilire col Direttore/Preside i modi di collaborazione ed il programma di lavoro. La Circolare Ministeriale dell'08/08/75 n.227 evidenzia gli interventi necessari da realizzarsi a favore di alunni portatori di handicap. Le scuole speciali statali, già menzionate, non vanno chiuse ma utilizzate per l'educazione e la riabilitazione dei casi più gravi; se hanno personale in esubero esso "può essere assegnato a scuole normali per interventi individualizzati di natura integrativa in favore della generalità degli alunni ed in particolare di quelli che presentino specifiche difficoltà di apprendimento" (D.P.R. n. 970 del 31-10-1975). Vengono così istituiti i corsi biennali per insegnanti di sostegno. "L'obbligo scolastico per i ciechi si adempie" secondo la legge dell'11/05/76 "nelle apposite scuole o nelle classi ordinarie delle scuole pubbliche. In tali classi devono essere assicurate la necessaria integrazione specialistica e i servizi di sostegno secondo le competenze dello Stato e degli Enti Locali preposti. "Tutto ciò non bastava, comunque, a realizzare in pieno il concetto di inserimento che si rivelò come la semplice introduzione di una persona con problemi di diversa natura in un ambiente non qualificato ad accoglierla e non capace di darle strumenti validi per la sua riabilitazione. Non a caso, nella legge 517 del 4 agosto 1977 il termine inserimento è sostituito con quello di "integrazione": il vero scopo non è e non può essere l'inserimento di per sé, cioè far convivere l'handicappato con i cosiddetti normali, ma la sua integrazione, la sua immissione reale e completa nel gruppo dei coetanei. Ciò implica un giocare insieme, un lavorare insieme, una partecipazione alle attività e alle emozioni della propria classe. L'integrazione dell'handicappato è legata a tutto il rinnovamento della scuola alla gestione sociale di essa, e ad una nuova professionalità del maestro e delle tecniche didattiche e perfino alla struttura architettonica dell'edificio scolastico che necessariamente deve poter ospitare bambini normali e non.

"Se un bambino" scrive "Andrea Canevaro" viene ammesso in una scuola, che non procede a nessun cambiamento, egli viene assimilato. Se invece l'accoglimento di un bambino in una scuola comporta piccoli adattamenti, tanto da parte del bambino che da parte della scuola, allora si può parlare di "integrazione". A maggior ragione, la differenza risulta fondamentale per le scelte educative vissute dai bambini handicappati. L'integrazione è dunque un cambiamento e un adattamento reciproco un processo aperto e correlato con il riconoscimento e l'assunzione delle identità e delle conoscenze "incorporate".

La legge 517 prevede delle norme sulla valutazione degli alunni, sull'abolizione degli esami di riparazione e sulla necessità di adoperare per ogni singolo alunno una programmazione educativo-didattica. Aspetto sostanziale della 517, è la formulazione e la realizzazione della programmazione educativo-didattica attuando le classi aperte, la flessibilità d'orario, eliminando i voti che vengono sostituiti da giudizi motivati, abolendo le classi differenziali ed ogni forma di ghettizzazione ed assegnando il docente di sostegno per una realizzazione idonea dell'handicappato. L'individuazione dei soggetti portatori di handicap spetta alla Regione anche se l'integrazione di tale situazione viene devoluta dalla Regione al Comune e da questo alle U.S.L. che seguono sistematicamente i soggetti segnalati dalle scuole per rilasciare poi le certificazioni mediche. Tali certificazioni, previste dalla Circolare Ministeriale n. 258 del 22/09/1983, sono d'importanza fondamentale per l'iscrizione dell'alunno alle scuole pubbliche come soggetto portatore di handicap. La Circolare 258, infatti, così attesta: "se le difficoltà dell'alunno vengono individuate dai docenti, la scuola dovrà prendere i dovuti contatti con i genitori prima per acquisire informazioni ed eventuali certificazioni per poi sottoporre i casi alla valutazione del servizio sanitario".

Con la successiva Circolare Ministeriale n. 250/85 viene evidenziata l'importanza della certificazione, denominata Diagnosi Funzionale ed intesa come un'attenta descrizione, posta in essere da una scrupolosa osservazione delle carenze ma anche delle potenzialità del portatore di handicap al fine di poter giungere ad adeguati interventi. Gli interventi, atti al recupero di soggetti portatori di handicaps, vengono posti in essere da una figura professionale altamente specializzata: l'insegnante di sostegno.

Già nella Circolare Ministeriale 199 del 28/07/1979 si raccomanda il pieno coinvolgimento dell'insegnante di sostegno nell'opera educativa. Costui deve possedere alcune caratteristiche particolari: professionalità, conoscenze, competenze ed atteggiamenti. L'insegnante di sostegno è considerato all'interno del sistema scolastico come un "esperto" che mette a disposizione del Consiglio di Classe tutta la sua specializzazione culturale e professionale. Questa figura professionale non deve essere considerata come sostegno del singolo alunno bisognoso di interventi specifici, ma dato che il suo scopo è quello di poter realizzare la piena integrazione dell'alunno handicappato, il compito dell'insegnante di sostegno sarà quello di coordinare le varie forme di intervento, orientando, informando ed assistendo tutte le persone che ruotano intorno al soggetto a lui affidato.

Se la specializzazione del docente di sostegno viene oggi a configurarsi come "garanzia" del diritto allo studio dell'alunno portatore di handicap, giustificata è la richiesta di una sempre più chiara identificazione del suo ruolo e dei suoi compiti. Il processo di integrazione, infatti, non consente generalizzazioni e richiede un'azione di sostegno "creativa", affidata cioè alla professionalità del docente. Nella Circolare Ministeriale 250/85 è già rinvenibile qualche elemento atto a caratterizzare tale professionalità: "Si può ribadire che l'insegnante di sostegno partecipa, a pieno titolo, alla elaborazione e alla verifica di tutte le attività di competenza del Consiglio d'Interclasse o del Collegio dei Docenti. La responsabilità dell'integrazione dell'alunno in situazioni di handicap e dell'azione educativa svolta nei suoi confronti è, al medesimo titolo, dell'insegnante di sostegno, dell'insegnante o degli insegnanti di classe o di sezione e dalla comunità scolastica nel suo insieme". Ciò significa che non bisogna delegare al solo insegnante di sostegno l'attuazione dei P.E.I. poiché in tale modo l'alunno verrebbe isolato anziché integrato nel contesto della classe, ma tutti i docenti devono farsi carico della programmazione e dell'attuazione e verifica degli interventi didattico-educativi previsti dal piano individualizzato. Spetta agli insegnanti di classe, in accordo con l'insegnante di sostegno, realizzare detto progetto anche quando quest'ultimo insegnante non sia presente in aula.

L'insegnante di sostegno è quindi un membro effettivo del Consiglio di Classe con tutti i poteri attribuiti ai suoi componenti. A tale riguardo è utile citare il comma 6 dell'art. 13 della legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, emanata il 5 febbraio 1992. Tale articolo ribadisce quanto già affermato nella Circolare Ministeriale 250/85: "Gli insegnanti di sostegno assumono la contitolarità delle sezioni e della classi in cui operano, partecipano alla programmazione educativa e didattica e alla elaborazione e verifica delle attività di competenza dei Consigli di Interclasse, dei Consigli di Classe e dei Collegi dei Docenti". Possiamo così concludere che in accordo con l'art. 1 della già citata legge 104, la problematica relativa alle persone in situazione di handicap ha lo scopo di garantire "il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia" e di "promuovere la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società".

 

DALLE SCUOLE SPECIALI ALL'INTEGRAZIONE..

Per comprendere come si è arrivati all’odierno orientamento sulla tematica dell’handicap bisogna risalire ai tre momenti che hanno caratterizzato lo sviluppo della psicologia sia da un punto di vista scientifico-concettuale sia sotto l'aspetto politico-sociale.

· Prima fase: In questa fase la psicologia si è posta come una disciplina che si proponeva di studiare le leggi generali relative al funzionamento psichico e al comportamento, ma in particolare alle varie funzioni psichiche considerate isolatamente le une dalle altre: la percezione, la memoria, l'apprendimento. A questa prima fase, che ha avuto importanza determinante per lo sviluppo delle fasi successive e che ha consentito, anche per quanto riguarda i fenomeni psichici, di definire in termini precisi certe modalità' di funzionamento della mente umana, ne ha fatto seguito una seconda.

· Seconda fase: Al successo di questa fase hanno contribuito, certamente in modo significativo, spinte provenienti da altre discipline scientifiche, sia da certe problematiche relative al mondo sociale e alla realtà politica. Questa fase, che sinteticamente si può definire personalistica, ha sottolineato come il compito della psicologia non potesse essere soltanto quello di definire le leggi generali di funzionamento delle singole funzioni considerate isolatamente l'una dall'altra, ma come anche dovesse essere quello di studiare come le varie modalità di espressione comportamentale si realizzassero concretamente all'interno di ogni singolo individuo; cioè in questa fase la psicologia si proponeva di studiare ogni individuo nella sua globalità, sottolineando come il funzionamento psichico sia strettamente interdipendente dal funzionamento dell'organismo. A questa fase, detta anche differenziale ne ha fatto seguito una terza.

· Terza fase: In questa fase, che possiamo definire come relazionale o sistematica, si sottolineano le interdipendenze che si realizzano fra i singoli individui e fra ogni individuo e le strutture dell’ambiente sociale in cui egli stesso è inserito. Qui si pone l'accento su come nella realtà della vita umana ciò che risulta non è il funzionamento di una attività considerata singolarmente, e non è neppure il funzionamento di un uomo estrapolato dalla realtà in cui vive, ma una interrelazione che si stabilisce tra ciascun individuo. L'individuo quindi non esiste più come entità isolata ma si pone come l'effetto e la causa, nello stesso tempo, di una serie di relazioni nella quale è inserito. Soltanto considerando il complesso di queste dinamiche è possibile comprendere il funzionamento di questo individuo, il perché di certe sue azioni, il significato di certe sue deficienze.

 

Se dalla premessa di cui sopra si passa a considerare le implicazioni che sono derivate e derivano dal modo di considerare e di affrontare il problema dell'handicap, si può rilevare che:

· La prima impostazione: Vede l'handicap essenzialmente come una anomalia statistica rispetto al comportamento di una data funzione, di una data attività in una certa popolazione. Oggi, però, non si limita all'annotazione statistica e nosografica della medicina tradizionale, ma tende a considerare sempre da vicino e in modo sempre più approfondito il problema dell'eziopatogenesi dell'handicap e della sua prevenzione. In questa ottica si prospetta, in termini nuovi, un problema da molti anni in discussione e non ancora pienamente risolto, quello connesso alla polemica fra fattori ereditari e fattori ambientali del comportamento, il problema legato alla necessità di chiarire quanto ciò che appare come deviante, rispetto alla norma del comportamento, sia connesso a meccanismi essenzialmente genetici e quanto invece sia legato a influenze essenzialmente ambientali.

· La seconda impostazione: L ' handicap costituisce essenzialmente una alterazione rispetto al funzionamento di un dato individuo. Essa tende a dimostrare come una disabilità o disfunzione presente in un individuo si configuri quale una realtà non statica ma dinamica non autolimitata ma interdipendente con tutte le altre funzioni della personalità ebbene questo tipo di impostazione tende a considerare la necessità di superare la concezione di natura tipologica che classica tutti i portatori di uno stesso tipo di handicap come una categoria esistenziale definita sulla base di un elemento disfunzionale e non tenendo conto di tutti gli altri elementi, potenzialmente o attivamente presenti, di tipo essenzialmente positivo all'interno di quella personalità. Questo nuovo modo di intendere la situazione ha portato, da un lato, a evitare una classificazione rigida degli handicap dall'altro a sottolineare e a dimostrare come il portatore di un handicap , di una anomalia, di una Disfunzione, diventa un handicappato solo se la sua disfunzione influenza negativamente altri aspetti della personalità, attuando una specie di contagio sull'individuo in toto; e che al contrario l'effetto che l'handicap esercita sul comportamento e sulla personalità può essere circoscritto, può essere attenuato, può essere, nei casi più fortunati, anche annullato se esiste la possibilità di valorizzare in senso positivo tutta una serie di potenzialità o di realtà che caratterizzano ciascun individuo, anche il meno fortunato, e "l'ambiente" in cui vive e cresce. Quindi non classifichiamo nessun uomo in funzione degli aspetti deficitari del suo comportamento, della sua personalità e preoccupiamoci invece di realizzare un recupero di certe funzioni, il raggiungimento di un equilibrio maturativo valorizzando quelle potenzialità che sono sicuramente presenti.

· La terza impostazione: In quella di tipo relazionale o sistematico, l'handicap costituisce un segnale che un individuo trasmette ai componenti del suo gruppo, della società. Questa impostazione porta a considerare come le implicanze che l'handicap determina non riguardino soltanto il portatore dell’handicap stesso, ma si estendano a tutto l'ambiente umano in cui egli è inserito e come l'intensità di tale estensione sia proporzionale, al livello di relazione esistente, tanto sul piano formale che su quello psicologico, fra il portatore di handicap e le altre persone. Questa relazione si presenta sempre più come una interrelazione, o relazione a due vie: l'handicap costituisce lo strumento di una comunicazione <non verbale> che si trasmette da chi è il portatore agli altri e che da questi, attraverso un feedback, o circuito di retroazione, ritorna al trasmettitore, che successivamente emetterà un secondo segnale che risulterà in qualche misura modificato dal segnale di ritorno della sua prima comunicazione. In questo senso l'evoluzione del portatore di handicap, l'auto valutazione e l'autopercezione che egli avrà di se stesso e del suo handicap, sarà nettamente e chiaramente influenzata dalle informazioni che egli riceverà come risposta a quella comunicazione che la presenza del suo stesso handicap da' in modo continuativo agli individui appartenenti all'ambiente in cui è inserito ,a seconda che la risposta che egli riceverà sia serena o angosciata , di accettazione o di negazione , di fiducia o di sfiducia.

 

Prevenzione: L'evoluzione che ha caratterizzato la ricerca psicologica ci consente, oggi, nell'affrontare la realtà del portatore di handicap, di affrontare problemi che si riferiscono ad una prevenzione:

· Primaria: necessità di stabilire linee generali che consentiranno di svolgere una prevenzione per le future generazioni <eziopatogenesi e sua prevenzione>;

· Secondaria: opportunità, sulla base di un apporto essenzialmente interdisciplinare , di realizzare tutto quanto è possibile per potenziare le possibilità positive esistenti nel portatore di handicap ;

· Terziaria: l'impostazione di "tipo sistemico" ci consente di sottolineare, sempre di più, che il problema del portatore di handicap non è il problema di un solo individuo, ma il problema di un gruppo sociale, di una società che , a seconda del modo in cui si porrà di fronte al problema stesso, contribuirà al suo superamento o alla sua persistenza.

La contestazione degli anni '68-'69

Uno degli aspetti più significativi del movimento che si è sviluppato nel mondo occidentale negli anni '68 '69 riguarda la contestazione di tutte le forme discriminative ed emarginati della società contemporanea: e fra le vittime del "SISTEMA" il riconoscimento, accanto agli svantaggi sociali, e agli svantaggi per età(vecchi e bambini),degli handicappati psico-fisici. Per quanto riguarda in modo specifico il problema degli handicappati, è da ricordare come per molti decenni esso sia stato affrontato in un ottica esclusivamente medico-specialistica, che comportava da un lato l'architettura di ogni persona in funzione del suo deficit (infatti tutti gli appartamenti ad una categoria nosografica venivano percepiti e trattati come relativamente omogenei fra loro),dall'altro lato il suo inserimento in una struttura monospecialistica e la sua separazione dai coetanei e spesso anche dalla famiglia.

Che questa fosse la tendenza è documentato dal fatto che proprio in quegli anni si riscontrava un notevole aumento delle "classi differenziali", di "scuole speciali" e "istituti per minori" come risposta a due bisogni sociali emergenti collegati uno con il fenomeno dell'emigrazione e l'altro con l'istituzione della scuola media unica .

Inoltre, fra gli handicappati "venivano" compresi anche i "disadattati del carattere e del comportamento": il termine "veniva" cosi estensivamente applicato ad individui portatori di gravi lesioni organiche e/o di gravi deficit psicologici e/o riconducibili a particolari condizioni socio-familiari.

La contestazione ha giustamente sottolineato l'importanza dei fattori socio-politico-culturali nella genesi e nel recupero degli handicappati e criticato l'impostazione puramente medico-biologico che caratterizzava il problema e che appariva strumentalizzabile e in effetti strumentalizzata ai fini di una emarginazione di uomini ritenuti meno produttivi. Ma nel rifiuto di una "concezione settoriale" e nell'intento di determinare un rapido superamento della stessa la contestazione era portata almeno nelle sue frange estreme, a negare una qualsiasi incidenza ai fattori medico biologici e primi fra tutti a quelli genetici:

L'eguaglianza di diritti fra tutti i cittadini veniva intesa anche come uguaglianza di posizione di partenza, secondo l'orientamento di un ambientalismo esclusivista: il riconoscimento di caratteristiche ereditarie sembrava in tale ottica comportare l'accettazione di concezioni razzistiche. Attualmente, tanto l'esclusivismo innatista che quello ambientalista sembrano superati a favore della tesi di interazione fra fattori genetici e fattori acquisiti. In base a tale principio i due gruppi di fattori non si possono dissociare gli uni dagli altri, proprio perché fin dall'inizio essi operano nei termini di una stretta interdipendenza. La contestazione ha presentato quello dell’handicappato come un problema non solo del singolo ma della società, alla quale viene ricondotta la responsabilità nella genesi degli handicap. L’handicappato deve vivere come tutti in mezzo agli altri, perché la sua diversità è un'etichetta impostargli dalla società. Il suo trattamento deve essere essenzialmente pedagogico-sociale e deve coinvolgere il gruppo sociale di cui egli fa parte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Orientamento degli ultimi anni e conseguenze sull'ordinamento scolastico. 

L'orientamento che si è sviluppato negli ultimi anni ha valorizzato l'apporto positivo della contestazione, ma ha rivoluzionato quegli aspetti di tale apporto che sembrano sacrificare all'affermazione ideologica il benessere dei singoli individui : ha considerato la necessità che gli handicappati siano inseriti in strutture "normali" , ma ha anche ribadito che per ciascuno di essi dovrà essere studiato l'intervento terapeutico o rieducativo più appropriato e che tale intervento dovrà realizzarsi per quanto possibile nelle strutture "normali". Ciò si potrà conseguire, sempre di più, arricchendo tali strutture in primo luogo la scuola, degli strumenti e delle competenze necessarie.

Questo orientamento fa scaturire nell'istituzione scolastica sostanziali e progressive innovazioni, tra le quali:

 a) L. 30/03/1971 n. 118: (Salvo i casi...)

Norme in favore dei mutilati e invalidi civili; il cui art. 28, dopo aver dettato norme sul trasporto gratuito, l'eliminazione delle barriere architettoniche e dell'assistenza degli invalidi più gravi, recita:

"...L’istruzione dell’obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, salvo i casi in cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto difficoltoso l’apprendimento o l’inserimento nelle predette scuole normali..."

b) C.M. 08/08/1975 n. 227 : (anche i...)

Sulla scorta delle indicazioni emerse dalle analisi ed elaborazioni recentemente svolte sui vari problemi educativi e scolastici degli alunni handicappati, in uniformità ad analoghi criteri seguiti dal legislatore con riguardo ai mutilati ed invalidi civili, si è ritenuto di proporre l’adozione di misure e modalità organizzative utili e applicabili per facilitare, per quanto possibile, un sempre più ampio inserimento di detti alunni nelle scuole aperte a tutti gli allievi. Tale obiettivo - che non è incompatibile con la necessaria continuità dell’opera degli istituti speciali e delle strutture specializzate oggi esistenti - sarà reso possibile dalla stessa trasformazione e dal rinnovamento delle scuole comuni, che dovranno essere progressivamente messe in grado di accogliere anche i discenti che, nell'età dell'obbligo scolastico, presentino particolari difficoltà di apprendimento e di adattamento...";

c) Art.7 L. 4 Agosto 1977 n.517 :

(..le classi differenziali...sono abolite.)

"Al fine di agevolare l'attuazione del diritto allo studio e la piena formazione della personalità degli alunni...

...sono previste forme d'integrazione e di sostegno a favore degli alunni portatori di handicap da realizzare mediante l'utilizzazione...

...In tali classi devono essere assicurati la necessaria integrazione specialista, il servizio psico-pedagogico e forme particolari di sostegno secondo le rispettive competenze dello Stato e degli enti locali preposti, nei limiti delle relative disponibilità di bilancio e sulla base del programma predisposto dal consiglio scolastico distrettuale.....

...Le classi d'aggiornamento e le classi differenziali previste dagli articoli 11 e 12 della legge 31 dicembre 1962, n.1859, sono abolite.".


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