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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

"Liberare il lavoro" è il titolo del documento in cui il ministro espone gli obiettivi delle modifiche normative contenute nella manovra economica. In realtà si liberano le mani alle imprese, dall'abrogazione della norma anti-dimissioni in bianco all'allargamento delle assunzioni precarie.

Eguaglianza &Libertà
rivista di critica sociale
 

Lo scorso 19 giugno il ministro del Lavoro ha presentato il documento sugli obiettivi delle nuove norme in materia di lavoro inserite nella manovra economica. Il titolo del documento è “Liberare il lavoro”: qual è il senso di questa locuzione che pare assurgere a valore d’invocazione e, contemporaneamente, di mistica “missione”? Credo sia opportuno, prima di abbozzare una risposta, valutare nel merito le più significative tra le misure che, secondo l’autore, “sono volte a incoraggiare la maggiore propensione delle imprese ad assumere e a promuovere l’agevole regolarizzazione dei rapporti di lavoro irregolari”.

 

Le nuove norme sono contenute nel decreto legge 25 giugno 2008, nr. 112. Il primo punto (particolarmente) interessante riguarda i contratti a tempo determinato (art. 21); ci si preoccupa, in sostanza, di ampliare il cosiddetto “causalone” che consente il ricorso a tale tipologia contrattuale. Per il futuro le esigenze tecniche, produttive, organizzative o sostitutive, potranno essere riferite anche all’ordinaria attività del datore di lavoro. E’ sin troppo evidente che si è inteso “spuntare le armi” a quei (troppo) solerti giudici che - accogliendo i ricorsi dei lavoratori - avevano ritenuto non sussistenti le causali addotte dai datori di lavoro per l’utilizzo di contratti a tempo determinato e convertito gli stessi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

 

Con il secondo punto, in sostanza, si rende possibile - attraverso la contrattazione collettiva, anche di tipo “aziendale” - ridurre gli “intervalli temporali” previsti dalla legge tra la data di scadenza di un contratto a termine e quella d’inizio del successivo; dieci o venti giorni di “stacco” tra un contratto e l’altro a seconda che il precedente avesse avuto una durata inferiore o superiore a sei mesi. Sembrerebbe una modifica quasi irrilevante. Purtroppo (per i lavoratori), non è così. Infatti, la riforma consente di derogare a una norma (gli intervalli temporali) che era stata inserita dal legislatore per impedire il sistematico (improprio) ricorso ai contratti a termine e, allo scopo, ne sanzionava l’uso fraudolento riconoscendo al secondo rapporto - iniziato prima della scadenza dei dieci/venti giorni - la natura di contratto a tempo indeterminato.

 

Il terzo punto è relativo al cosiddetto “diritto di precedenza”, era già stato modificato in meglio dalla legge Finanziaria del precedente esecutivo. Attraverso la nuova norma, invece, il diritto di precedenza - rispetto a nuove assunzioni a tempo indeterminato, nei dodici mesi successivi - non è più “assoluto”, ma, attraverso la contrattazione collettiva anche di tipo territoriale o aziendale, può essere derogato. Evidentemente, anche rispetto al diritto di precedenza, appare chiara la logica di riferimento; le (inderogabili) “esigenze” delle imprese contano molto di più che non le (residuali) “aspirazioni” dei lavoratori.

 

Al cosiddetto “lavoro accessorio”, sono state apportate modifiche solo apparentemente modeste, perché, in effetti, la riforma ha previsto il ricorso a tale tipologia contrattuale per:

a)     tutte le attività stagionali agricole,  (non solo per quelle della vendemmia, come previsto in origine);

b)     per tutti i soggetti presenti sul mercato del lavoro, (a fronte della precedente disposizione che limitava la possibilità del lavoro accessorio ad alcune categorie di soggetti, in particolare quelle a maggiore rischio di “emarginazione”);

c)     i giovani con meno di 25 anni di età, durante le vacanze scolastiche, (operando, in sostanza, il “recupero” dell’impiego di quei soggetti per i quali era stato “inventato” lo strumento - successivamente abrogato con sentenza della corte Costituzionale nr. 50/05 - dei “Tirocini estivi di orientamento”).

 

Si è insomma molto allargata la platea dei soggetti coinvolti e la natura delle prestazioni riconducibili a una tipologia contrattuale definita, all’origine, “di nicchia”.

 

Relativamente alla disciplina sull’apprendistato professionalizzante, è stata cancellata la norma che individuava in due anni la durata minima di tale istituto; resta il limite massimo  (sin troppo ampio, a mio parere) dei sei anni. Come leggere questo provvedimento? Confessando di non credere all’imparzialità del ministro del Lavoro, sostengo che si è inteso legittimare il contratto di apprendistato anche per gli impieghi di carattere stagionale. Penso questo perché, nel corso degli anni scorsi, in qualità di “addetto ai lavori”, sono stato testimone di pressanti richieste - provenienti da aziende a carattere stagionale - tese all’utilizzo del contratto di apprendistato e del contratto di formazione e lavoro anche nei loro settori di attività. Questa volta, indiscutibilmente, si è inteso accogliere un’altra “esigenza”.

 

L’articolo 39 del decreto legge ha, almeno, il merito di aver (finalmente) chiarito quello che intendeva dire il ministro del Lavoro quando sosteneva di voler procedere alla “deregolamentazione della gestione dei rapporti di lavoro”. Infatti, tra le tante norme abrogate in materia di libri obbligatori, spiccano, in particolare, quelle relative al contrasto al lavoro irregolare.

 

Naturalmente, come già ampiamente annunciato, è stata cancellata la legge 188/2007 che, nelle intenzioni del precedente esecutivo, era destinata a impedire l’aberrante uso delle cosiddette “dimissioni in bianco”, prevedendo che le stesse dovessero essere presentate esclusivamente attraverso un modello ministeriale, con “data di scadenza” a 15 giorni. Si rende possibile così il ripristino di una pratica che tornerà a mortificare tanti lavoratori; in particolare le lavoratrici-madri e i soggetti più deboli del mercato del lavoro.

 

Inspiegabilmente, è stata abolita la norma che, al fine di promuovere un incremento dei contratti con un maggior numero di ore di lavoro, prevedeva un aumento della contribuzione per quelli con orario inferiore alle dodici ore settimanali. Sono state, invece, “recuperate” le disposizioni - precedentemente abrogate dal governo Prodi - che regolavano l’inserimento dei soggetti svantaggiati attraverso convenzioni con le cooperative sociali. Così com’è stato anche ripristinato il “lavoro intermittente” che, attraverso la legge 247/2007, era stato ampiamente ridimensionato rispetto ai settori interessati.

 

Un’altra (improvvida) abrogazione - che mal si concilia con le dichiarazioni del ministro Sacconi, circa l’intenzione di “agevolare la regolarizzazione dei rapporti di lavoro” - ha interessato i commi 47, 48, 49 e 50 della legge 247/2007. Le norme cancellate, in estrema sintesi, prevedevano, attraverso la contrattazione collettiva, la stipula di specifici rapporti di lavoro - nei settori del turismo e dello spettacolo, in determinati periodi dell’anno - proprio allo scopo di contrastare forme di lavoro irregolare o sommerso. Risponde, evidentemente, alla stessa logica l’abrogazione dei commi 1173 e 1174, dell’art. 1 della legge 296/2006. I suddetti commi prevedevano, infatti, la previsione di “indici di congruità”, in rapporto ai lavori svolti e ai lavoratori impiegati, in tutti quei settori in cui risultavano maggiormente elevati i livelli di violazione delle norme in materia d’incentivi e agevolazioni contributive e in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.

 

Sorvolando sulla ridicola esiguità delle sanzioni pecuniarie (amministrative) a carico dei consulenti del lavoro e degli altri professionisti che non ottemperino alla richiesta degli organi di vigilanza di esibire le documentazioni dei datori di lavoro loro clienti, è opportuno evidenziare almeno altre due questioni di grande rilevanza.

 

Relativamente al collocamento obbligatorio, di cui alla legge 68/99, la prima novità è rappresentata dal superamento dell’obbligo (annuale) di trasmissione del prospetto informativo da cui risultino:

1)     il numero complessivo dei dipendenti;

2)     il numero e i nomi dei “computabili” nella quota di riserva;

3)     i posti di lavoro disponibili e le relative mansioni.

Grazie alle nuove norme, il prospetto non andrà più inviato entro il 31 gennaio di ogni anno (con la “fotografia” della forza lavoro al 31 dicembre precedente) ma solo al verificarsi di variazioni tali da incidere sulla quota d’obbligo. Si tratta, in sostanza, di un parziale “ritorno all’antico”; il ritorno, cioè, a quella legge 482/68 che, nel corso della sua trentennale vigenza, ha stabilito tutti i record possibili, in termini di elusioni ed evasioni.

 

Restando alla stessa legge, un’altra sconsiderata abrogazione ha riguardato l’art. 17. E’ stata infatti soppressa la certificazione circa l’ottemperanza alle norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili per le imprese pubbliche e private che richiedano la partecipazione a bandi per appalti pubblici. In futuro, quindi, sarà sufficiente un’autocertificazione. Anche questo è un provvedimento che si commenta da solo.

 

La scure delle abrogazioni è calata anche sul Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro. Contemporaneamente alle tante lacrime di coccodrillo che quotidianamente accompagnano l’infinita lista dei morti sul lavoro, è stato modificato l’art. 14 del decreto legislativo 9 aprile 2008, nr. 81. In pratica, in futuro, gli organi di vigilanza del ministero del Lavoro non potranno più adottare il provvedimento di sospensione di un’attività imprenditoriale a fronte di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale. A questo punto, parlare di ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, appare francamente paradossale. Auguriamoci che, per il futuro, Maurizio Sacconi non ceda alla tentazione di riproporre agli italiani che “Il lavoro rende liberi”!

 

Non conforta, purtroppo, “l’assordante silenzio” che si registra rispetto a questi temi; tanto dal versante dell’opposizione parlamentare, quanto da quello dei sindacati. Considerati i precedenti, le previsioni volgono al peggio.
 

Renato Fioretti

 


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