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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo

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MINORI

Dalle associazioni le linee guida per la riforma della giustizia.

''Agire nel superiore interesse del minore''

Un "decalogo" per difendere "il superiore interesse del minore”. Sono state presentate stamattina, durante una conferenza stampa alla Sala stampa estera, le Linee Guida per la riforma della giustizia minorile tracciate dalle principali associazioni italiane che operano per la tutela dei diritti dei bambini e degli adolescenti. Tra gli aderenti e i primi firmatari delle Linee guida – che hanno chiesto di essere ricevute in audizione dalle Commissioni Giustizia di Camera e Senato e dalla Commissione parlamentare per l’infanzia -, Aibi, Ainram, Alisei, Amnesty international (sezione italiana), Anfaa, Anpas, Arciragazzi, Arché, Associazione famiglia dovuta, Ciai, Caritas italiana, Cica Comunità di Capodarco, Cies, Cnca, La Gabbianella, Ecpat Italia, Pidida, Terre des hommes Italia, Save the children Italia, Telefono azzurro, Terra nuova centro per in volontariato, Unicef Italia e Vis.


“Non è pensabile una riforma della giustizia minorile a costo zero”, ha esordito Roberto Salvan, responsabile di Unicef Italia, auspicando che il bambino “sia messo al primo posto nelle politiche sociali del nostro paese”. Il punto di partenza della riforma, quindi, “dovrebbe essere la Convenzione internazionale dei diritti dell’infanzia”, ha osservato Salvan, aggiungendo: “Se in Francia sembra che l’unica soluzione alla criminalità minorile sia portare i ragazzi in carcere a 13 anni, vogliamo impegnarci perché in Italia si imbocchi una strada diversa”. Concorde Pippo Costella di Save the children, che ha ravvisato nei ddl Castelli “il rischio di recessione su un tema in cui la legislazione italiana è pionieristica e all’avanguardia”, cioè nella “logica che comprende il minore in tutti i suoi aspetti, non solo quello giuridico”. Costella teme che il regresso riguardi anche i diritti e “il superiore interesse del minore”, mentre il documento presentato oggi dà spazio “non solo alla vulnerabilità dei bambini, ma anche alla loro competenza e alla partecipazione attiva, perché si concepisce l’infanzia come risorsa sociale”.
Anche secondo Paolo Raspanti dell’Anfaa (Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie), occorrono “giudici specializzati ed esclusivi, che si occupino solo dei minori, altrimenti i bambini diventerebbero l’ultima ruota del carro, come spesso succede”. Vanno potenziati il rapporto dei Tribunali dei minorenni con i servizi sociali del territorio, insieme alle strategie di prevenzione.

 

La validità della giustizia minorile vigente è stata confermata da Grazia Curalli, del Cies: “In Angola – ha raccontato - stanno adottando il sistema di giustizia minorile italiano: non torniamo indietro, il nostro modello va solo migliorato”. Gli angolani hanno chiesto che l’esperienza italiana fosse alla base della loro riforma nazionale della giustizia minorile, che prevede una parte istituzionale (formazione professionale di giudici e avvocati) e un’altra basata su prevenzione e recupero dei minori, curata dal Cies. “Spesso in Africa i bambini vengono giudicati da tribunali ordinari e vanno in carcere con gli adulti – ha riferito Curalli -. L’Angola prevede di costituire ‘case di detenzione’, che non vuole definire carceri, per reinserire i ragazzi nella società”. Le “Linee guida” stilate dalle associazioni riflettono sia le direttive internazionali tracciate dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e da altri strumenti di diritto internazionale, sia l’esperienza decennale di lavoro concreto delle associazioni; sono scaturite da una riflessione avviata oltre due mesi fa. Il gruppo di lavoro, formato dalle associazioni, ha esaminato le varie proposte di riforma della giustizia minorile avanzate in questi anni, in Italia e in altri paesi europei, in particolare il testo di riforma approntato dal Governo e attualmente all’esame del Parlamento, confrontandosi anche con le posizioni espresse dai giudici minorili, dagli avvocati di famiglia e da vari esperti (tra i quali Luigi Citarella, Federico Palomba, Marina Marino, Lino Rossi) nel campo dei diritti dei minori

 

 

 

 

Il ''decalogo'' presentato dalle associazioni

 

1) Il minore parte di un giudizio civile o penale deve essere sempre riconosciuto quale portatore di diritti e quindi in tutte le decisioni dei Tribunali, delle autorità amministrative e degli organi legislativi che lo riguardano, deve essere tenuto in preminente considerazione il suo superiore interesse (art. 3 della Convenzione ONU). Occorre pertanto compiere ogni sforzo per adottare un corpo di leggi e di provvedimenti per i giovani, anche quali autori di reati, che rispondano alle loro esigenze di soggetti in crescita (art.2 Regole di Pechino) e alle loro prospettive di maturazione.

 
2) In una riforma della giustizia minorile civile e penale, che preveda una nuova definizione delle norme procedurali e della organizzazione attraverso appropriati interventi legislativi, adeguatamente finanziati (non è possibile questa riforma a costo zero), si invita il Legislatore ad operare nel medio termine, ove e per quanto possibile, l’accorpamento di tutte le competenze in materia di minori, mantenendole in capo ad una unica istituzione giudiziaria specializzata. I soggetti preposti alla giustizia minorile devono avere una preparazione di tipo specialistico nel diritto in generale, nel diritto di famiglia e nel campo delle scienze umane e sociali, sulla base di precise regole per la selezione, la nomina e la formazione professionale. Questo principio della specializzazione adeguata degli organi della giustizia minorile, deve essere attuato, rendendo anche obbligatoria, in particolare per i giudici e gli avvocati, la frequenza di appositi corsi professionali.Tale principio di specializzazione esige inoltre che ai giudici per i minori non siano attribuite competenze ulteriori e diverse rispetto a quelle che riguardano la materia minorile e familiare.


3) Ogni processo che riguardi un minore deve essere svolto dinanzi a un giudice o collegio giudicante, competente, indipendente e imparziale. I Tribunali per i minorenni o per la famiglia o le sezioni specializzate dei tribunali ordinari devono avere una presenza capillare sul territorio nazionale, così da garantire un facile accesso al servizio giustizia, consentire ai giudici un rapporto più proficuo con i servizi locali e una maggiore vicinanza ai contesti sociali territoriali.


4) Tutte le procedure del processo minorile civile e penale devono tendere a proteggere al meglio gli interessi del minore e devono permettere la sua partecipazione e la sua libera espressione, come indicato dall’art. 14 delle Regole di Pechino, art. 9 e art. 37.d della Convenzione ONU. Pertanto il processo minorile si deve basare sull’applicazione della regola del contraddittorio, in modo tale da assicurare a tutte le parti interessate di partecipare al processo e di fare conoscere le proprie opinioni (art.9.2 della Convenzione ONU) di fronte a un giudice terzo e imparziale (art.111 della Costituzione).

 
5) Il minore, nei procedimenti giudiziari penali che lo riguardano, ha diritto a essere ascoltato e assistito da un proprio avvocato, che abbia le adeguate competenze per tutelare il suo superiore interesse.Parimenti nei procedimenti giudiziari civili che lo riguardano, ha diritto ad essere ascoltato, ad essere rappresentato dai propri genitori o da un legale rappresentante, e in caso di conflitti d’interesse con questi ultimi da un curatore speciale, nonché ha diritto di accedere ad una assistenza di natura psico-sociale e legale al fine di tutelare il suo superiore interesse.


6) Una riforma della giustizia minorile per essere adeguata non può prescindere dallo stabilire regole che disciplinino e garantiscano l’ascolto del minore soggetto a procedimenti civili o penali, in ottemperanza alla Convenzione ONU (art.12.) che sottolinea come “il minore capace di discernimento debba avere il diritto di esprimersi liberamente su ogni questione che lo interessa……e la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne” (art.12.2). Tali regole, nel disciplinare e garantire l’ascolto, devono anche assicurare al minore un’adeguata protezione psicologica e morale per tutta la durata dei procedimenti civili e penali che lo riguardano. Pertanto le audizioni del minore, il cui contenuto richieda una particolare attenzione e riservatezza, debbono essere svolte in modo protetto, onde evitare che la contemporanea presenza di tutte le parti in causa, possa turbare il minore o possa compromettere la genuinità delle sue dichiarazioni, nel rispetto di tempi celeri e modalità garantiste.

 
7) Nel processo penale le competenze del giudice o del collegio giudicante necessitano in particolar modo di un supporto interdisciplinare, quindi si ritiene importante la presenza della componente privata specializzata, affinché i provvedimenti adottati siano proporzionati alle circostanze e alla gravità del reato, alla situazione del minore e alla sua tutela (art.17.d Regole di Pechino).

Per quanto concerne la presenza della componente privata anche nei collegi giudicanti civili, si invita il Legislatore a valutare con la massima attenzione le diverse indicazioni avanzate a tale proposito dalle ONG e associazioni impegnate da anni nelle tutela dei diritti dei minori, dalle categorie professionali operanti all’interno del sistema della giustizia minorile, dalle sedi scientifiche, dal Forum permanente del Terzo Settore e dall’Osservatorio nazionale per l’infanzia (il quale sta redigendo il III Piano Nazionale di azione di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva 2002-2003 – L.451/1997), perché solo dall’analisi accurata, in tutte le sue angolazioni, dell’attuale sistema della giustizia minorile, si può delineare una sua riforma che non si limiti a cancellare il passato, ma che crei un sistema sempre più tutelante degli interessi e dei diritti del minore. Nei procedimenti riguardanti un minore, nei casi in cui il giudice o il collegio giudicante ritenga opportuno il contributo interdisciplinare di specialisti, il consulente tecnico di volta in volta nominato, deve avere particolari competenze nelle scienze del comportamento ed in ambito forense.


8) Le istituzioni giudiziarie che si occupano di minori devono poter contare sulla collaborazione dei servizi socio-assistenziale e sanitari territoriali: tale collaborazione deve essere continuativa, anche sulla base di precisi protocolli d’intesa ed i servizi devono essere adeguatamente specializzati in materia minorile. Per quanto riguarda la competenza penale, si invita il Legislatore a regolare i rapporti tra i servizi del Ministero della Giustizia e i servizi locali affinché si realizzi un’efficace collaborazione sinergica.


9) La condanna del minore a pene detentive deve costituire un provvedimento di ultima risorsa (art. 37.b della Convenzione ONU), e deve essere limitata al minimo indispensabile (art. 17.b Regole di Pechino), in quanto la pena deve svolgere la funzione di recupero del minore per il suo reinserimento nella società civile (art. 39 della Convenzione), oltre che la funzione di riparazione per il reato commesso. Il minore sia italiano che straniero, compreso quello che entra negli Istituti penali Minorili, deve pertanto potere usufruire di forme alternative alla detenzione (art. 18 Regole di Pechino), tra le quali la messa alla prova e ove possibile la mediazione penale, senza limitazioni per fattispecie di reato o per durata minima di espiazione della pena in caso di liberazione condizionale. In campo penale non sono giustificabili modifiche alle diminuenti e alle attenuanti per i minori di età compresa tra i sedici e i diciotto anni. Come non appare giustificato, nel caso che la pena a carico del minore possa essere completamente espiata entro il 22° anno di età, il passaggio, al compimento dei 18 anni, al carcere degli adulti; al contrario si deve privilegiare il trattamento del giovane adulto in appositi istituti fino all’espletamento della pena, al fine di portare a compimento i programmi di recupero per lui previsti (Regole di Pechino art. 3.3.).

La riforma della giustizia in campo penale deve essere conforme ai principi e alle norme della Convenzione ONU e in particolare all’art.40 della stessa Convenzione.


10) Una riforma della giustizia minorile non può prescindere, come da tempo richiesto dalla Corte Costituzionale, dalla delineazione di uno specifico ordinamento penitenziario per i minorenni condannati a pene detentive. Tali norme sull’ordinamento penitenziario minorile, oltre regolare l’esecuzione delle pene per i minorenni, devono assicurare l’attuazione di quanto sancito nella Convenzione ONU e in particolare che “ogni minore privato della libertà sia sempre separato dagli adulti” (art.37.c)

 

 

 

 

 

Giustizia minorile: monito della Corte di Strasburgo

 

La vicenda qui raccontata, che ha richiesto il pronunciamento della Corte di Strasburgo, è forse un caso limite. Le accuse rivolte in questo caso specifico alle autorità italiane costituiscono però un monito generale ai Tribunali per i minorenni a prendere coscienza dell’importanza dell’applicazione dell''art. 8 della Convenzione nelle questioni di affido di minori.
La condanna dello Stato italiano è stata particolarmente severa e ha riguardato l'operato dei servizi sociali, ma soprattutto la mancanza di vigilanza da parte del Tribunale per i minorenni sull'azione di quest'ultimi.

Vedi testo completo in formato pdf.

 

 

Giustizia minorile: cosa cambia con il nuovo ddlGiudici onorari


Vengono ridotti da due a uno (art. 1, 2 e 3). Il ddl infatti mira a far prevalere il profilo giurisdizionale dell''organo giudicante, pur non privandolo del supporto di specialisti di carattere sociale, tradizionalmente assicurato attraverso la partecipazione dei componenti privati dei Tribunali per i minorenni. La riduzione comunque fa si che la maggioranza rispecchi una specializzazione di carattere giuridico.

 
Imputabilità

 

Si introduce un diverso regime sansonatorio per i soggetti compresi tra i 16 e i 18 anni, per i quali la pena può essere ridotta solo fino ad un quarto. Rimane inalterata invece la riduzione di un terzo per i minori di 16 anni (art. 4). La motivazione di fondo risiede nella convinzione che i fenomeni di devianza che suscitano maggiore allarme hanno più spesso interessato proprio questo fascia d''età.



Misure cautelari


Gli articoli 7, 8, 9 e 10 ridefiniscono il sistema delle misure cautelari riducendo i margini di discrezionalità del giudice, aumentando la durata dei termini della custodia cautelare e distinguendo secondo fasce di età e distinti livelli di devianza. Si introduce l'ipotesi del pericolo di fuga, anche in considerazione della "condotta di vita dell'imputato”, come ulteriore criterio per definire i provvedimenti di adozione di misure cautelari restrittive, stabilendo un parallelismo con quanto prevede il codice di procedura penale per i maggiorenni. Viene inoltre indicato un elenco di delitti ritenuti “di particolare allarme sociale” rispetto a cui viene determinata l’adozione delle misure cautelari. Tra questi anche la “resistenza aggravata”.

Messa alla prova


Il ddl conferma l''istituto della sospensione del processo e della messa alla prova ma stabilendo che la durata della sospensione del processo non sia superiore a tre anni, modalità oggi prevista solo per i reati di maggiore gravità. La sospensione del processo e la messa alla prova sono escluse per i delitti di omicidio volontario, consumato o tentato.


Compimento della maggiore età


Al compimento del diciottesimo anno di età il giudice competente può disporre anche di ufficio, tenuto conto della personalità dell'imputato o del condannato, delle esigenze del trattamento e della durata della pena o del residuo di pena, che la misura della custodia cautelare in carcere o la pena detentiva siano eseguite negli istituti per adulti.


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